Fondata nel 2001, la diocesi di Maralal, in territorio di Samburu, nel nord del Kenya, comprende 14 parrocchie, con una popolazione di 300.000 abitanti, di cui il 25% cristiani. La diocesi di 21 mila km2 è guidata da un vescovo italiano, Mons. Vigilio Pante, missionario della Consolata. Nato nel 1946 a Lamon, Belluno (Italia) padre Pante arriva in Kenya nel 1972. Lavora nella diocesi di Nyeri e poi a Marsabit, al Nord. Dopo 29 anni, nell’ottobre del 2001, diventa vescovo della nascente diocesi. 

Mararal

La Cattedrale di Maralal

Nella cappella della casa episcopale

Mons. Pante ha appena compiuto 73 anni e afferma che una delle principali sfide del suo ministero episcopale è sempre stata quella di lavorare per creare armonia tra i popoli Samburu, Turkana e Pokot che abitano il territorio. I conflitti tra loro erano ricorrenti. Perciò, ha scelto il motto episcopale "Con il ministero della riconciliazione”. Mons. Pante inizia a creare occasioni per il dialogo: il mercato come luogo di incontro mentre si vendono e acquistano prodotti; la scuola interetnica per insegnare ai bambini una convivenza pacifica valorizzando le diversità e la Chiesa dove la fede e l’amore uniscono.

Donne della etnia Pokot ritornano dal mercato

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Scuola inter-etnica accoglie gli studenti Samburu Turkana e Pokot

Scuola Suor Irene a Maralal

Studenti delle scuole di Loroki nella diocesi di Maralal

In un'intervista avvenuta nel punto panoramico della Valle Suguta, uno dei posti più belli del Kenya, Mons. Pante con molta gioia e buon umore, fa una valutazione dei 18 anni di evangelizzazione nella diocesi di Maralal.

Al servizio della Diocesi ci sono 20 sacerdoti diocesani e 12 sacerdoti missionari religiosi, oltre a 45 suore di otto congregazioni diverse. Oltre al vescovo, altri cinque missionari della Consolata lavorano nella Diocesi.

Casa della Pace a Lesiolo  Maralal

Parrocchia di Baragoi

Mons. Pante con i padri Patias e Jorge Kibura

Mons. Pante ha costruito il Seminario Minore

I seminaristi diocesani di filosofia e teologia sono 14 con buone prospettive per il futuro. Le scuole della diocesi sono tra le migliori. A Wamba c'è un ospedale e nelle comunità la prima preoccupazione sono i pozzi per l'approvvigionamento d’acqua. L'evangelizzazione vede la partecipazione decisiva dei catechisti. Ogni anno il numero dei battezzati aumenta e la Chiesa cresce. Con soddisfazione, Mons. Pante sottolinea i progressi dei primi 50 anni di evangelizzazione nella regione di Maralal.

Il vescovo ha investito nella formazione delle nuove generazioni per cambiare il comportamento degli adulti nella convivenza tra diversi gruppi etnici. Per costruire una cultura di pace Mons. Pante ha deciso di iniziare con i bambini. "Chiunque studi e giochi insieme un giorno lascerà il fucile e userà la penna. In 15 anni di lavoro ci sono stati cambiamenti importanti. Il Kenya di oggi è diverso dal Kenya di ieri", afferma con determinazione il Vescovo.

Le strade pietrose e polverose insieme al clima secco a causa della scarsità delle piogge rendono più difficile la vita della popolazione nomadica che deve percorrere lunghe distanze per trovare pascoli e acqua per i greggi e le mandrie. Anche così, la creazione rappresenta una grande ricchezza in mezzo al clima arido. Lungo le strade e nei campi è molto comune trovare capre, bovini e cammelli in cerca di pascolo e acqua guidati dei pastori.

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Al lavoro, l'uomo di solito segue la mandria e si prende cura della loro sicurezza. Le donne invece, si occupano dell’approvvigionamento dell’acqua, della legna per cucinare e della preparazione del cibo, compito anche dei giovani.

Le scuole, le chiese e il mercato nel villaggio sempre pieno di gente mostra una società viva e in costante trasformazione.

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Valle Suguta

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Donna Pokot a Maralal

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02 INMD3 25 Il mercato come luogo di incontro e dialogo

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 Mons. Pante in moto una delle sue passioni

Joseph Fadelle, una testimonianza che fa valorizzare la libertà religiosa che abbiamo

“Non perdere la speranza”. È il consiglio sincero di Joseph Fadelle, un uomo che osserva con disperazione e dolore come milioni di cristiani vengono massacrati in Medio Oriente per l'estremismo dello Stato Islamico. In lui, però, c'è qualcosa di unico: il suo nome non è stato sempre Joseph, e la sua ragione di vita non è stata sempreCristo.

Joseph Fadelle è nato come Mohammed al-Moussaoui. La sua famiglia, discendente diretta del profeta Maometto, era una delle più note tra quelle sciite dell'Iraq. Mohammed era stato scelto per succedere a suo padre alla guida del clan.

Un incontro quasi casuale con Massoud, un cristiano con il quale si è visto costretto a condividere la stanza durante il breve servizio militare nel 1987, ha però cambiato completamente i progetti che tutti, anche lui stesso, avevano per la sua vita.

All'improvviso il Corano ha smesso di avere un senso per lui, e l'ansia per quel “pane di vita” che Cristo gli presentava in sogno è diventata insaziabile.

Oggi, 28 anni dopo, Mohammed vive come Joseph in Francia. Il suo libro, “Il prezzo da pagare” - pubblicato per la prima volta nel 2010 –, racconta la storia lacerante e incredibile di un uomo che ha affrontato la sua famiglia per amore di Cristo. Le scene che riferiscono la sofferenza che ha dovuto subire per il fatto di voler difendere la propria conversione commuovono fino alle lacrime.

Joseph Fadelle è stato due giorni a Buenos Aires. Alla sua visita nelle scuole San Juan el Precursor, di San Isidro, e Monseñor Dillon, nel quartiere di Caballito, hanno assistito alunni e professori di oltre 30 istituzioni educative. Fadelle ha condiviso la sua esperienza anche nella scuola OakHill con gente di tutte le età.

Miguel del Castillo, organizzatore del viaggio di Fadelle, ha raccontato: “Abbiamo scelto i giovani come principali destinatari di questa esperienza perché è molto importante trasmettere loro il valore di difendere ciò in cui si crede fino all'estremo. In una cultura in cui non siamo disposti a rischiare la comodità di ciò che è certo, appare un uomo contemporaneo che ha portato le sue convinzioni al di là dell'immaginabile”.

Una buona scelta, visto che tutti, adulti e allievi, sembravano mettere alla prova la propria fede mentre ascoltavano ammirati Joseph.

“La tua malattia si chiama Cristo e non ha cura”

Queste parole, incredibilmente, sono uscite dalla bocca di un musulmano. È così che Joseph ha sentito che Cristo era entrato nella sua vita. Si è innamorato di Lui all'improvviso e non ha mai fatto marcia indietro.

“I miei fratelli hanno cercato di uccidermi. È stato mio zio, mentre mi puntava addosso un'arma, a pronunciare queste parole, che mi sono rimaste incise nel cuore. Io li ho già perdonati. Prego perché un giorno possano conoscere Cristo. So che loro non mi hanno perdonato, perché il Corano ordina così, ma se devo morire per difendere il mio amore per Cristo, sarò più che felice”, ha confessato emozionato Fadelle prima di entrare all'ultima presentazione.

Su Fadelle pesa una fatwa, un pronunciamento legale dell'islam che detta la sua condanna a morte. “Per questo non tornerò mai nel mio Paese”, ha spiegato. “La fatwa non ha data di scadenza. E sono consapevole che la mia vita è in pericolo ovunque io sia”.

Non si può che provare ammirazione di fronte alla sua reazione: allegria. Joseph vive con infinita gioia e fiducia in Cristo la sua conversione, malgrado la sofferenza sia fisica che spirituale che ha dovuto subire. E vive nello stesso modo la sua realtà di oggi. Il suo volto trasmette pace.

La complessa avventura di optare per Cristo oggi

Eduardo Cazenave, rettore generale della scuola San Juan el Precursor, ha condiviso un pensiero che mette in discussione: “Si tende a credere che ciò che si vive sia la normalità. Che la tolleranza che abbiamo nel nostro Paese riguardo ai temi religiosi sia quella che c'è in tutto il mondo. Che poter aver vicina la propria chiesa sia una cosa comune. All'improvviso, una testimonianza come quella di Joseph ti fa valorizzare ciò che hai”.

“La maggior parte degli allievi che hanno assistito alla conferenza è nata e cresciuta in un ambiente prevalentemente cattolico ed è rimasta molto colpita dalla prospettiva di dover superare tante difficoltà per poter trovare la propria fede e le proprie convinzioni”, ha aggiunto John Michel, direttore generale della scuola Monseñor Dillon.

Anche Adrián Guerra, direttore della scuola Oak Hill, ha commentato questa esperienza ricordando che “gli esempi di vita sono quelli che lasciano il segno nel cuore di chi li sa apprendere”.

Valentina, Bernardita, Francisco, Dolores, Belisario, Segundo, Andrea. Sono allievi di Oak Hill e giovani come ce ne sono milioni al mondo. Per accogliere Joseph hanno letto il suo libro e si sono preparati nelle materie di Storia, Geografia, Educazione Civica e Formazione Religiosa.

Pur con tanta preparazione, sono rimasti colpiti dalla possibilità di trovarsi a dover scegliere tra comodità, buona posizione e amore della famiglia e l'amore di Cristo. Vari hanno dubitato del fatto che sarebbero disposti a passare ciò che ha passato Joseph.

Tutti, però, concordano nel dire che Dio ci ha amati per primo e che la scelta è più nella quotidianità di quello che crediamo. Non riuscivano a non stupirsi percependo la Provvidenza di Dio nel modo in cui Joseph ha incontrato Cristo senza che si fosse proposto di farlo.

Seguire Cristo oggi è una sfida. L'esempio di Joseph Fadelle dà speranza ai cristiani e li incoraggia ad avvicinarsi ai loro fratelli che soffrono in Siria, Iraq e in molti altri Paesi. E anche se a loro oggi Cristo chiede una dedizione più radicale, papa Francesco invita i cristiani a non mettere in atto un “silenzio complice” e a unirsi nella preghiera a distanza.

Fonte: AICA

 

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