Sono con voi perché, ora come mai, il futuro di tutti dipende dal presente che scegliamo. Sono con voi perché la devastazione del creato è un’offesa a Dio, un peccato non solo personale ma strutturale che si riversa sull’essere umano, soprattutto sui più deboli, un grave pericolo che incombe su ciascuno e che rischia di scatenare un conflitto tra le generazioni. Sono con voi perché il cambiamento climatico è «un problema sociale globale che è intimamente legato alla dignità della vita umana» (Esort. ap. Laudate Deum, 3). Sono con voi per porre la domanda a cui siamo chiamati a rispondere ora: lavoriamo per una cultura della vita o della morte? Vi chiedo, in modo accorato: scegliamo la vita, scegliamo il futuro! Ascoltiamo il gemere della terra, prestiamo ascolto al grido dei poveri, tendiamo l’orecchio alle speranze dei giovani e ai sogni dei bambini! Abbiamo una grande responsabilità: garantire che il loro futuro non sia negato.

È acclarato che i cambiamenti climatici in atto derivano dal surriscaldamento del pianeta, causato principalmente dall’aumento dei gas serra nell’atmosfera, provocato a sua volta dall’attività umana, che negli ultimi decenni è diventata insostenibile per l’ecosistema. L’ambizione di produrre e possedere si è trasformata in ossessione ed è sfociata in un’avidità senza limiti, che ha fatto dell’ambiente l’oggetto di uno sfruttamento sfrenato. Il clima impazzito suona come un avvertimento a fermare tale delirio di onnipotenza. Torniamo a riconoscere con umiltà e coraggio il nostro limite quale unica via per vivere in pienezza.

Che cosa ostacola questo percorso? Le divisioni che ci sono tra noi. Ma un mondo tutto connesso, come quello odierno, non può essere scollegato in chi lo governa. Il compito a cui siamo chiamati oggi non è nei confronti di ieri, ma nei riguardi di domani; di un domani che, volenti o nolenti, o sarà di tutti o non sarà.

Colpiscono, in particolare, i tentativi di scaricare le responsabilità sui tanti poveri e sul numero delle nascite. Sono tabù da sfatare con fermezza. Non è colpa dei poveri, perché la quasi metà del mondo, più indigente, è responsabile di appena il 10% delle emissioni inquinanti, mentre il divario tra i pochi agiati e i molti disagiati non è mai stato così abissale. Questi sono in realtà le vittime di quanto accade: pensiamo alle popolazioni indigene, alla deforestazione, al dramma della fame, dell’insicurezza idrica e alimentare, ai flussi migratori indotti. 

Qual è la via d’uscita? Quella che state percorrendo in questi giorni: la via dell’insieme, il multilateralismo. Infatti, «il mondo sta diventando così multipolare e allo stesso tempo così complesso che è necessario un quadro diverso per una cooperazione efficace. Non basta pensare agli equilibri di potere […]. Si tratta di stabilire regole universali ed efficienti» (Laudate Deum, 42). È preoccupante in tal senso che il riscaldamento del pianeta si accompagni a un generale raffreddamento del multilateralismo, a una crescente sfiducia nella Comunità internazionale.

È essenziale ricostruire la fiducia, fondamento del multilateralismo. Ciò vale per la cura del creato così come per la pace: sono le tematiche più urgenti e sono collegate. 

Quante risorse sprecate negli armamenti, che distruggono vite e rovinano la casa comune! Rilancio una proposta: «con il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari costituiamo un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame» (Lett. enc. Fratelli tutti, 262; cfr S. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 51) e realizzare attività che promuovano lo sviluppo sostenibile dei Paesi più poveri, contrastando il cambiamento climatico.

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È compito di questa generazione prestare orecchio ai popoli, ai giovani e ai bambini per porre le fondamenta di un nuovo multilateralismo. Perché non iniziare proprio dalla casa comune? I cambiamenti climatici segnalano la necessità di un cambiamento politico. Usciamo dalle strettoie dei particolarismi e dei nazionalismi, sono schemi del passato. Abbracciamo una visione alternativa, comune: essa permetterà una conversione ecologica, perché «non ci sono cambiamenti duraturi senza cambiamenti culturali» (Laudate Deum, 70). 

Testo completo ITALIANO e INGLESE

«Non distogliere lo sguardo dal povero» (Tb 4,7)

La Giornata Mondiale dei Poveri, segno fecondo della misericordia del Padre, giunge per la settima volta a sostenere il cammino delle nostre comunità. È un appuntamento che progressivamente la Chiesa sta radicando nella sua pastorale, per scoprire ogni volta di più il contenuto centrale del Vangelo. Ogni giorno siamo impegnati nell’accoglienza dei poveri, eppure non basta. Un fiume di povertà attraversa le nostre città e diventa sempre più grande fino a straripare; quel fiume sembra travolgerci, tanto il grido dei fratelli e delle sorelle che chiedono aiuto, sostegno e solidarietà si alza sempre più forte. 

«Non distogliere lo sguardo dal povero» (Tb 4,7). Questa Parola ci aiuta a cogliere l’essenza della nostra testimonianza. Soffermarci sul Libro di Tobia, un testo poco conosciuto dell’Antico Testamento, avvincente e ricco di sapienza, ci permetterà di entrare meglio nel contenuto che l’autore sacro desidera trasmettere. Davanti a noi si apre una scena di vita familiare: un padre, Tobi, saluta il figlio, Tobia, che sta per intraprendere un lungo viaggio. Il vecchio Tobi teme di non poter più rivedere il figlio e per questo gli lascia il suo “testamento spirituale”. Lui è stato un deportato a Ninive ed ora è cieco, dunque doppiamente povero, ma ha sempre avuto una certezza, espressa dal nome che porta: “il Signore è stato il mio bene”. Quest’uomo, che ha confidato sempre nel Signore, da buon padre desidera lasciare al figlio non tanto qualche bene materiale, ma la testimonianza del cammino da seguire nella vita, perciò gli dice: «Ogni giorno, figlio, ricordati del Signore; non peccare né trasgredire i suoi comandamenti. Compi opere buone in tutti i giorni della tua vita e non metterti per la strada dell’ingiustizia» (4,5).

Stupiscono non poco le parole di questo vecchio saggio. Non dimentichiamo, infatti, che Tobi ha perso la vista proprio dopo aver compiuto un atto di misericordia. Per la sua testimonianza di carità, il re lo aveva privato di tutti i suoi beni rendendolo completamente povero ma lui non ebbe timore di continuare nel suo stile di vita. Ascoltiamo il suo racconto, che parla anche a noi oggi: «Per la nostra festa di Pentecoste, cioè la festa delle Settimane, avevo fatto preparare un buon pranzo e mi posi a tavola:la tavola era imbandita di molte vivande. Dissi al figlio Tobia: “Figlio mio, va’, e se trovi tra i nostri fratelli deportati a Ninive qualche povero, che sia però di cuore fedele, portalo a pranzo insieme con noi. Tobia fece come gli aveva detto il padre, ma tornò con la notizia che un povero era stato ucciso e lasciato in mezzo alla piazza. Senza esitare, il vecchio Tobi si alzò da tavola e andò a seppellire quell’uomo. Tornato a casa stanco, si addormentò nel cortile; gli cadde sugli occhi dello sterco di uccelli e divenne cieco (cfr 2,1-10). Ironia della sorte: fai un gesto di carità e ti capita una disgrazia! Ci viene da pensare così; ma la fede ci insegna ad andare più in profondità. La cecità di Tobi diventerà la sua forza per riconoscere ancora meglio tante forme di povertà da cui era circondato. E il Signore provvederà a suo tempo a restituire al vecchio padre la vista e la gioia di rivedere il figlio Tobia. Quando venne quel giorno, «Tobi gli si buttò al collo e pianse, dicendo: “Ti vedo, figlio, luce dei miei occhi!”.Ed esclamò: “Benedetto Dio! Benedetto il suo grande nome! Benedetti tutti i suoi angeli santi! Sia il suo santo nome su di noi e siano benedetti i suoi angeli per tutti i secoli. Perché egli mi ha colpito, ma ora io contemplo mio figlio Tobia”» (11,13-14).

Ringraziamo il Signore perché ci sono tanti uomini e donne che vivono la dedizione ai poveri e agli esclusi e la condivisione con loro; persone di ogni età e condizione sociale che praticano l’accoglienza e si impegnano accanto a coloro che si trovano in situazioni di emarginazione e sofferenza. Non sono superuomini, ma “vicini di casa” che ogni giorno incontriamo e che nel silenzio si fanno poveri con i poveri. Non si limitano a dare qualcosa: ascoltano, dialogano, cercano di capire la situazione e le sue cause, per dare consigli adeguati e giusti riferimenti. Sono attenti al bisogno materiale e anche a quello spirituale, alla promozione integrale della persona. 

Nel 60° anniversario dell’Enciclica Pacem in terris, è urgente riprendere le parole del santo Papa Giovanni XXIII quando scriveva: «Ogni essere umano ha il diritto all’esistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita, specialmente per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario, l’abitazione, il riposo, le cure mediche, i servizi sociali necessari; e ha quindi il diritto alla sicurezza in caso di malattia, di invalidità, di vedovanza, di vecchiaia, di disoccupazione, e in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà» (n. 6). Quanto lavoro abbiamo ancora davanti a noi perché queste parole diventino realtà, anche attraverso un serio ed efficace impegno politico e legislativo!

Penso in modo particolare alle popolazioni che vivono in luoghi di guerra, specialmente ai bambini privati di un presente sereno e di un futuro dignitoso. Nessuno potrà mai abituarsi a questa situazione; manteniamo vivo ogni tentativo perché la pace si affermi come dono del Signore Risorto e frutto dell’impegno per la giustizia e il dialogo.

Non posso dimenticare le speculazioni che, in vari settori, portano a un drammatico aumento dei costi che rende moltissime famiglie ancora più indigenti. I salari si esauriscono rapidamente costringendo a privazioni che attentano alla dignità di ogni persona. 

Come non rilevare, inoltre, il disordine etico che segna il mondo del lavoro? Il trattamento disumano riservato a tanti lavoratori e lavoratrici; la non commisurata retribuzione per il lavoro svolto; la piaga della precarietà; le troppe vittime di incidenti, spesso a causa della mentalità che preferisce il profitto immediato a scapito della sicurezza…

Questo elenco, già di per sé drammatico, dà conto in modo solo parziale delle situazioni di povertà che fanno parte del nostro quotidiano. Non posso tralasciare, in particolare, una forma di disagio che appare ogni giorno più evidente e che tocca il mondo giovanile. Quante vite frustrate e persino suicidi di giovani, illusi da una cultura che li porta a sentirsi “inconcludenti” e “falliti”. 

I poveri sono persone, hanno volti, storie, cuori e anime. Sono fratelli e sorelle con i loro pregi e difetti, come tutti, ed è importante entrare in una relazione personale con ognuno di loro. Agire con e per i poveri è una questione di giustizia che ci impegna tutti a cercarci e incontrarci reciprocamente, per favorire l’armonia necessaria affinché una comunità possa identificarsi come tale. Interessarsi dei poveri, quindi, non si esaurisce in frettolose elemosine; chiede di ristabilire le giuste relazioni interpersonali che sono state intaccate dalla povertà. In tal modo, “non distogliere lo sguardo dal povero” conduce a ottenere i benefici della misericordia, della carità che dà senso e valore a tutta la vita cristiana.

La condivisione deve corrispondere alle necessità concrete dell’altro, non a liberarmi del mio superfluo. Anche qui ci vuole discernimento, sotto la guida dello Spirito Santo, per riconoscere le vere esigenze dei fratelli e non le nostre aspirazioni. Ciò di cui sicuramente hanno urgente bisogno è la nostra umanità, il nostro cuore aperto all’amore. 

Quest’anno ricorre il 150° anniversario della nascita di santa Teresa di Gesù Bambino. In una pagina della sua Storia di un’anima scrive così: "ho capito che la carità non deve restare chiusa in fondo al cuore: “Nessuno, ha detto Gesù, accende una fiaccola per metterla sotto il moggio ma la si mette sul candeliere, affinché illumini tutti quelli che sono nella casa”. Mi sembra che questa fiaccola rappresenti la carità che deve illuminare, rallegrare non solo coloro che sono a me più cari, ma tutti coloro che sono nella casa, senza eccettuare nessuno» 

In questa casa che è il mondo, tutti hanno diritto a essere illuminati dalla carità, nessuno può esserne privato. La tenacia dell’amore di Santa Teresina possa ispirare i nostri cuori in questa Giornata Mondiale, ci aiuti a “non distogliere lo sguardo dal povero” e a mantenerlo sempre fisso sul volto umano e divino del Signore Gesù Cristo.

Messaggio completo in ITALIANO e INGLESE

Maria, guarda a noi! Siamo qui davanti a te. Tu sei Madre, conosci le nostre fatiche e le nostre ferite. Tu, Regina della pace, soffri con noi e per noi, vedendo tanti tuoi figli provati dai conflitti, angosciati dalle guerre che dilaniano il mondo.

È un’ora buia. Questa è un’ora buia, Madre. E in questa ora buia ci immergiamo nei tuoi occhi luminosi e ci affidiamo al tuo cuore, sensibile ai nostri problemi. Esso non è stato esente da inquietudini e paure: quanta apprensione quando non c’era posto per Gesù nell’alloggio, quanto timore quando di corsa siete fuggiti in Egitto perché Erode voleva ucciderlo, quant’angoscia quando l’avete smarrito nel tempio! Ma, Madre, tu nelle prove sei stata coraggiosa, sei stata audace: hai confidato in Dio e hai risposto all’apprensione con la cura, al timore con l’amore, all’angoscia con l’offerta. Madre, non ti sei tirata indietro, ma nei momenti decisivi hai preso l’iniziativa: in fretta sei andata da Elisabetta, alle nozze di Cana hai ottenuto da Gesù il primo miracolo, nel Cenacolo hai tenuto i discepoli uniti. E quando sul Calvario una spada ti ha trapassato l’anima, tu, Madre, donna umile, donna forte, hai tessuto di speranza pasquale la notte del dolore.

Ora, Madre, prendi ancora una volta l’iniziativa; prendila per noi, in questi tempi lacerati dai conflitti e devastati dalle armi. Volgi il tuo sguardo di misericordia sulla famiglia umana, che ha smarrito la via della pace, che ha preferito Caino ad Abele e, perdendo il senso della fraternità, non ritrova l’atmosfera di casa. Intercedi per il nostro mondo in pericolo e in subbuglio. Insegnaci ad accogliere e a curare la vita – ogni vita umana! – e a ripudiare la follia della guerra, che semina morte e cancella il futuro.

Maria, tante volte tu sei venuta incontro, chiedendo preghiera e penitenza. Noi, però, presi dai nostri bisogni e distratti da tanti interessi mondani, siamo stati sordi ai tuoi inviti. Ma tu, che ci ami, non ti stanchi di noi, Madre. Prendici per mano. Prendici per mano e guidaci alla conversione, fa’ che rimettiamo Dio al primo posto. Aiutaci a custodire l’unità nella Chiesa e ad essere artigiani di comunione nel mondo. Richiamaci all’importanza del nostro ruolo, facci sentire responsabili per la pace, chiamati a pregare e ad adorare, a intercedere e a riparare per l’intero genere umano.

Madre, da soli non ce la facciamo, senza il tuo Figlio non possiamo fare nulla. Ma tu ci riporti a Gesù, che è la nostra pace. Perciò, Madre di Dio e nostra, noi veniamo a te, cerchiamo rifugio nel tuo Cuore immacolato. Invochiamo misericordia, Madre di misericordia; pace, Regina della pace! Scuoti l’animo di chi è intrappolato dall’odio, converti chi alimenta e fomenta conflitti. Asciuga le lacrime dei bambini – in quest’ora piangono tanto! –, assisti chi è solo e anziano, sostieni i feriti e gli ammalati, proteggi chi ha dovuto lasciare la propria terra e gli affetti più cari, consola gli sfiduciati, ridesta la speranza.

Ti affidiamo e consacriamo le nostre vite, ogni fibra del nostro essere, quello che abbiamo e siamo, per sempre. Ti consacriamo la Chiesa perché, testimoniando al mondo l’amore di Gesù, sia segno di concordi, sia strumento di pace. Ti consacriamo il nostro mondo, specialmente ti consacriamo i Paesi e le regioni in guerra.

Il popolo fedele ti chiama aurora della salvezza: Madre, apri spiragli di luce nella notte dei conflitti. Tu, dimora dello Spirito Santo, ispira vie di pace ai responsabili delle nazioni. Tu, Signora di tutti i popoli, riconcilia i tuoi figli, sedotti dal male, accecati dal potere e dall’odio. Tu, che a ciascuno sei vicina, accorcia le nostre distanze. Tu, che di tutti hai compassione, insegnaci a prenderci cura degli altri. Tu, che riveli la tenerezza del Signore, rendici testimoni della sua consolazione. Madre, Tu, Regina della pace, riversa nei cuori l’armonia di Dio. Amen.

* in occasione della preghiera Pacem in terris (27 ottobre 2023)

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Cari fratelli e sorelle! Per la Giornata Missionaria Mondiale di quest’anno ho scelto un tema che prende spunto dal racconto dei discepoli di Emmaus, nel Vangelo di Luca (cfr 24,13-35): «Cuori ardenti, piedi in cammino». Quei due discepoli erano confusi e delusi, ma l’incontro con Cristo nella Parola e nel Pane spezzato accese in loro l’entusiasmo per rimettersi in cammino verso Gerusalemme e annunciare che il Signore era veramente risorto. Nel racconto evangelico, cogliamo la trasformazione dei discepoli da alcune immagini suggestive: cuori ardenti per le Scritture spiegate da Gesù, occhi aperti nel riconoscerlo e, come culmine, piedi in cammino. Meditando su questi tre aspetti, che delineano l’itinerario dei discepoli missionari, possiamo rinnovare il nostro zelo per l’evangelizzazione nel mondo odierno.

1. Cuori ardenti «quando ci spiegava le Scritture». La Parola di Dio illumina e trasforma il cuore nella missione.

Ed ecco, «mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro» (v. 15). Come all’inizio della vocazione dei discepoli, anche ora nel momento del loro smarrimento, il Signore prende l’iniziativa di avvicinarsi ai suoi e camminare al loro fianco. Gesù infatti è la Parola vivente, che sola può far ardere, illuminare e trasformare il cuore.

Oggi come allora, il Signore risorto è vicino ai suoi discepoli missionari e cammina accanto a loro, specialmente quando si sentono smarriti, scoraggiati, impauriti di fronte al mistero dell’iniquità che li circonda e li vuole soffocare. Perciò, «non lasciamoci rubare la speranza!» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 86). Il Signore è più grande dei nostri problemi, soprattutto quando li incontriamo nell’annunciare il Vangelo al mondo, perché questa missione, in fin dei conti, è sua e noi siamo semplicemente i suoi umili collaboratori, “servi inutili” (cfr Lc 17,10).

Esprimo la mia vicinanza in Cristo a tutti i missionari e le missionarie nel mondo, in particolare a coloro che attraversano un momento difficile: il Signore risorto, carissimi, è sempre con voi e vede la vostra generosità e i vostri sacrifici per la missione di evangelizzazione in luoghi lontani. 

2. Occhi che «si aprirono e lo riconobbero» nello spezzare il pane. Gesù nell’Eucaristia è culmine e fonte della missione.

I cuori ardenti per la Parola di Dio spinsero i discepoli di Emmaus a chiedere al misterioso Viandante di restare con loro sul far della sera. E, intorno alla mensa, i loro occhi si aprirono e lo riconobbero quando Lui spezzò il pane. L’elemento decisivo che apre gli occhi dei discepoli è la sequenza delle azioni compiute da Gesù: prendere il pane, benedirlo, spezzarlo e darlo a loro. Ma proprio nel momento in cui riconoscono Gesù in Colui-che-spezza-il-pane, «egli sparì dalla loro vista» (Lc 24,31). Questo fatto fa capire una realtà essenziale della nostra fede: Cristo che spezza il pane diventa ora il Pane spezzato, condiviso con i discepoli e quindi consumato da loro. Così Cristo risorto è Colui-che-spezza-il-pane e al contempo è il Pane-spezzato-per-noi. E dunque ogni discepolo missionario è chiamato a diventare, come Gesù e in Lui, grazie all’azione dello Spirito Santo, colui-che-spezza-il-pane e colui-che-è-pane-spezzato per il mondo.

3. Piedi in cammino, con la gioia di raccontare il Cristo Risorto. L’eterna giovinezza di una Chiesa sempre in uscita.

Dopo aver aperto gli occhi, riconoscendo Gesù nello «spezzare il pane», i discepoli «partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme» (cfr Lc 24,33). Questo andare in fretta, per condividere con gli altri la gioia dell’incontro con il Signore, manifesta che «la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 1). Non si può incontrare davvero Gesù risorto senza essere infiammati dal desiderio di dirlo a tutti. Perciò, la prima e principale risorsa della missione sono coloro che hanno riconosciuto Cristo risorto, nelle Scritture e nell’Eucaristia, e che portano nel cuore il suo fuoco e nello sguardo la sua luce. 

L’immagine dei “piedi in cammino” ci ricorda ancora una volta la perenne validità della missio ad gentes, la missione data alla Chiesa dal Signore risorto di evangelizzare ogni persona e ogni popolo sino ai confini della terra. Oggi più che mai l’umanità, ferita da tante ingiustizie, divisioni e guerre, ha bisogno della Buona Notizia della pace e della salvezza in Cristo.  Come afferma l’apostolo Paolo, l’amore di Cristo ci avvince e ci spinge (cfr 2 Cor 5,14). 

L’urgenza dell’azione missionaria della Chiesa comporta naturalmente una cooperazione missionaria sempre più stretta di tutti i suoi membri ad ogni livello. Questo è un obiettivo essenziale del percorso sinodale che la Chiesa sta compiendo con le parole-chiave comunione, partecipazione, missione. Tale percorso non è sicuramente un piegarsi della Chiesa su sé stessa; non è un processo di sondaggio popolare per decidere, come in un parlamento, che cosa bisogna credere e praticare o no secondo le preferenze umane. È piuttosto un mettersi in cammino come i discepoli di Emmaus, ascoltando il Signore Risorto che sempre viene in mezzo a noi per spiegarci il senso delle Scritture e spezzare il Pane per noi, affinché possiamo portare avanti con la forza dello Spirito Santo la sua missione nel mondo.

Ripartiamo dunque anche noi, illuminati dall’incontro con il Risorto e animati dal suo Spirito. Ripartiamo con cuori ardenti, occhi aperti, piedi in cammino, per far ardere altri cuori con la Parola di Dio, aprire altri occhi a Gesù Eucaristia, e invitare tutti a camminare insieme sulla via della pace e della salvezza che Dio in Cristo ha donato all’umanità.

Santa Maria del cammino, Madre dei discepoli missionari di Cristo e Regina delle missioni, prega per noi!

Testo completo in ITALIANO e INGLESE

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L’ultima immagine del noto ciclo pittorico “I Pellegrini di Emmaus” di Jean Marie Pirot, in arte Arcabas, conservato nella chiesa della Resurrezione al Pitturello di Torre de’ Roveri (BG)... «Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme» (Lc 24,33)

Invito alla "Laudate Deum"

  • , Ott 11, 2023
  • Pubblicato in Notizie

Un breve scorcio sulla Laudate Deum, l’ultima esortazione apostolica del papa Francesco, innestata soprattutto sulle due precedenti: Laudato Si e Fratelli tutti. Una riflessione sulla crisi climatica destinata a “tutti le persone di buona volontà”.

Il crescente paradigma tecnocratico

20. Nella Laudato si’ ho offerto una breve spiegazione del paradigma tecnocratico che è alla base dell’attuale processo di degrado ambientale. Si tratta di «un modo di comprendere la vita e l’azione umana che è deviato e che contraddice la realtà fino al punto di rovinarla». In sostanza, consiste nel pensare «come se la realtà, il bene e la verità sbocciassero spontaneamente dal potere stesso della tecnologia e dell’economia». Come conseguenza logica, «da qui si passa facilmente all’idea di una crescita infinita o illimitata, che ha tanto entusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia».

21. Negli ultimi anni abbiamo potuto confermare questa diagnosi, assistendo al tempo stesso a un nuovo avanzamento di tale paradigma. L’intelligenza artificiale e i recenti sviluppi tecnologici si basano sull’idea di un essere umano senza limiti, le cui capacità e possibilità si potrebbero estendere all’infinito grazie alla tecnologia. Così, il paradigma tecnocratico si nutre mostruosamente di sé stesso.

22. Le risorse naturali necessarie per la tecnologia, come il litio, il silicio e tante altre, non sono certo illimitate, ma il problema più grande è l’ideologia che sottende un’ossessione: accrescere oltre ogni immaginazione il potere dell’uomo, per il quale la realtà non umana è una mera risorsa al suo servizio. Tutto ciò che esiste cessa di essere un dono da apprezzare, valorizzare e curare, e diventa uno schiavo, una vittima di qualsiasi capriccio della mente umana e delle sue capacità.

25. Contrariamente a questo paradigma tecnocratico diciamo che il mondo che ci circonda non è un oggetto di sfruttamento, di uso sfrenato, di ambizione illimitata. Non possiamo nemmeno dire che la natura sia una mera “cornice” in cui sviluppare la nostra vita e i nostri progetti, perché «siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati», così che «il mondo non si contempla dal di fuori ma dal di dentro». 

26. Ciò esclude l’idea che l’essere umano sia un estraneo, un fattore esterno capace solo di danneggiare l’ambiente. Dev’essere considerato come parte della natura. 

27. Pertanto, un ambiente sano è anche il prodotto dell’interazione dell’uomo con l’ambiente, come avviene nelle culture indigene e come è avvenuto per secoli in diverse regioni della Terra. I gruppi umani hanno spesso “creato” l’ambiente, rimodellandolo in qualche modo senza distruggerlo o metterlo in pericolo. Il grande problema di oggi è che il paradigma tecnocratico ha distrutto questo rapporto sano e armonioso. Tuttavia, l’indispensabile superamento di tale paradigma tanto dannoso e distruttivo non si troverà in una negazione dell’essere umano, ma comprende l’interazione dei sistemi naturali «con i sistemi sociali». 

28. Dobbiamo tutti ripensare alla questione del potere umano, al suo significato e ai suoi limiti. Il nostro potere, infatti, è aumentato freneticamente in pochi decenni. Abbiamo compiuto progressi tecnologici impressionanti e sorprendenti, e non ci rendiamo conto che allo stesso tempo siamo diventati altamente pericolosi, capaci di mettere a repentaglio la vita di molti esseri e la nostra stessa sopravvivenza. Ci vuole lucidità e onestà per riconoscere in tempo che il nostro potere e il progresso che generiamo si stanno rivoltando contro noi stessi.

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Il pungiglione etico

29. La decadenza etica del potere reale è mascherata dal marketing e dalla falsa informazione, meccanismi utili nelle mani di chi ha maggiori risorse per influenzare l’opinione pubblica attraverso di essi. Con l’aiuto di questi meccanismi, quando si pensa di avviare un progetto con forte impatto ambientale ed elevati effetti inquinanti, gli abitanti della zona vengono illusi parlando del progresso locale che si potrà generare o delle opportunità economiche, occupazionali e di promozione umana che questo comporterà per i loro figli. Ma in realtà manca un vero interesse per il futuro di queste persone, perché non viene detto loro chiaramente che in seguito a tale progetto resteranno una terra devastata, condizioni molto più sfavorevoli per vivere e prosperare, una regione desolata, meno abitabile, senza vita e senza la gioia della convivenza e della speranza; oltre al danno globale che finisce per nuocere a molti altri.

31. La logica del massimo profitto al minimo costo, mascherata da razionalità, progresso e promesse illusorie, rende impossibile qualsiasi sincera preoccupazione per la casa comune e qualsiasi attenzione per la promozione degli scartati della società. Negli ultimi anni possiamo notare che, sconcertati ed estasiati davanti alle promesse di tanti falsi profeti, i poveri stessi a volte cadono nell’inganno di un mondo che non viene costruito per loro.

34. Per ottenere un progresso solido e duraturo, mi permetto di insistere sul fatto che «vanno favoriti gli accordi multilaterali tra gli Stati». 

35. Non giova confondere il multilateralismo con un’autorità mondiale concentrata in una sola persona o in un’ élite con eccessivo potere: «Quando si parla della possibilità di qualche forma di autorità mondiale regolata dal diritto, non necessariamente si deve pensare a un’autorità personale». Parliamo soprattutto di «organizzazioni mondiali più efficaci, dotate di autorità per assicurare il bene comune mondiale, lo sradicamento della fame e della miseria e la difesa certa dei diritti umani fondamentali». Il punto è che devono essere dotate di una reale autorità per “assicurare” la realizzazione di alcuni obiettivi irrinunciabili. Così si darebbe vita a un multilateralismo che non dipende dalle mutevoli circostanze politiche o dagli interessi di pochi e che abbia un’efficacia stabile.

36. È deplorevole che le crisi globali vengano sprecate quando sarebbero l’occasione per apportare cambiamenti salutari. È quello che è successo nella crisi finanziaria del 2007-2008 e che si è ripetuto nella crisi del Covid-19. Infatti, «pare che le effettive strategie sviluppatesi successivamente nel mondo siano state orientate a maggiore individualismo, minore integrazione, maggiore libertà per i veri potenti, che trovano sempre il modo di uscire indenni». 

Riconfigurare il multilateralismo

38. A medio termine, la globalizzazione favorisce gli scambi culturali spontanei, una maggiore conoscenza reciproca e modalità di integrazione dei popoli che porteranno a un multilateralismo “dal basso” e non semplicemente deciso dalle élite del potere. Le istanze che emergono dal basso in tutto il mondo, dove persone impegnate dei Paesi più diversi si aiutano e si accompagnano a vicenda, possono riuscire a fare pressione sui fattori di potere. È auspicabile che ciò accada per quanto riguarda la crisi climatica. 

39. La cultura postmoderna ha generato una nuova sensibilità nei confronti di chi è più debole e meno dotato di potere. Ciò si collega alla mia insistenza, nella Lettera enciclica Fratelli tutti, sul primato della persona umana e sulla difesa della sua dignità al di là di ogni circostanza. È un altro modo di invitare al multilateralismo per risolvere i veri problemi dell’umanità, cercando soprattutto il rispetto della dignità delle persone in modo che l’etica prevalga sugli interessi locali o contingenti.

40. Non si tratta di sostituire la politica, perché d’altra parte le potenze emergenti stanno diventando sempre più rilevanti e sono di fatto in grado di ottenere risultati importanti nella risoluzione di problemi concreti, come alcune di esse hanno dimostrato nella pandemia. 

42. Il mondo sta diventando così multipolare e allo stesso tempo così complesso che è necessario un quadro diverso per una cooperazione efficace. Non basta pensare agli equilibri di potere, ma anche alla necessità di rispondere alle nuove sfide e di reagire con meccanismi globali a quelle ambientali, sanitarie, culturali e sociali, soprattutto per consolidare il rispetto dei diritti umani più elementari, dei diritti sociali e della cura della casa comune. Si tratta di stabilire regole universali ed efficienti per garantire questa protezione mondiale.

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Le motivazioni spirituali

61. Ai fedeli cattolici non voglio tralasciare di rammentare le motivazioni che scaturiscono dalla loro fede. Incoraggio i fratelli e le sorelle di altre religioni a fare lo stesso, perché sappiamo che la fede autentica non solo dà forza al cuore umano, ma trasforma la vita intera, trasfigura gli obiettivi personali, illumina il rapporto con gli altri e i legami con tutto il creato.

62. La Bibbia racconta che «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gen 1,31).

63. «l’insieme dell’universo, con le sue molteplici relazioni, mostra al meglio la ricchezza inesauribile di Dio»; quindi, per essere saggi, «abbiamo bisogno di cogliere la varietà delle cose nelle loro molteplici relazioni». In questo cammino di saggezza, non è irrilevante per noi che parecchie specie stiano scomparendo e che la crisi climatica stia mettendo in pericolo la vita di tanti esseri.

67. La visione giudaico-cristiana del mondo sostiene il valore peculiare e centrale dell’essere umano in mezzo al meraviglioso concerto di tutti gli esseri, ma oggi siamo costretti a riconoscere che è possibile sostenere solo un “antropocentrismo situato”. Vale a dire, riconoscere che la vita umana è incomprensibile e insostenibile senza le altre creature. Infatti, «noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile».

68. Mettiamo fine all’idea di un essere umano autonomo, onnipotente e illimitato, e ripensiamo noi stessi per comprenderci in una maniera più umile e più ricca.

69. Invito ciascuno ad accompagnare questo percorso di riconciliazione con il mondo che ci ospita e ad impreziosirlo con il proprio contributo, perché il nostro impegno ha a che fare con la dignità personale e con i grandi valori. Comunque, non posso negare che è necessario essere sinceri e riconoscere che le soluzioni più efficaci non verranno solo da sforzi individuali, ma soprattutto dalle grandi decisioni della politica nazionale e internazionale.

70. Ciononostante ricordare che non ci sono cambiamenti duraturi senza cambiamenti culturali, senza una maturazione del modo di vivere e delle convinzioni sociali, e non ci sono cambiamenti culturali senza cambiamenti nelle persone.

71. Gli sforzi delle famiglie per inquinare meno, ridurre gli sprechi, consumare in modo oculato, stanno creando una nuova cultura. Il semplice fatto di cambiare le abitudini personali, familiari e comunitarie alimenta la preoccupazione per le responsabilità non assolte da parte dei settori politici e l’indignazione per il disinteresse dei potenti. 

Roma, 4 ottobre, Festa di San Francesco d’Assisi, dell’anno 2023

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