Il primo Papa latino-americano è arrivato a Roma dalla “fine del mondo”. Ha scelto il nome di Francesco, ispirato al “poverello” di Assisi. “Come vorrei una Chiesa povera, per i poveri”, ha detto pochi giorni dopo la sua elezione, il 13 marzo 2013.

Ha lavorato instancabilmente per una Chiesa “in uscita” missionaria per raggiungere tutti, come un “ospedale da campo” dove essere accolti, accompagnati e guariti. È diventato il Papa della misericordia e della compassione che ha messo le periferie al centro del mondo. Ha compiuto 47 viaggi apostolici, visitando 66 Paesi, il primo dei quali il Brasile in occasione della GMG 2013. Voleva essere dove tutti erano.

Lascia l'immagine di una grande persona, un leader che ha fatto la differenza in un mondo privo di modelli. Francesco è stato un Papa molto presente e vicino a noi, che ha saputo tessere relazioni tra il suo pontificato e il popolo di Dio. “Pregate per me”, chiedeva, ricuperando l’importanza della preghiera d’intercessione. Telefonava a diverse persone e le sorprendeva con il suo buon umore. Con Francesco, il Papa è diventato umano e, allo stesso tempo, un profeta della misericordia e della speranza, temi di due Giubilei da lui convocati e animati.

Ha avuto a cuore i principali temi che riguardano l'umanità: i poveri e gli esclusi; i migranti e i rifugiati; la cura della nostra casa comune con la sua ecologia integrale (Laudato sì); la pace tra i popoli e le nazioni (Fratelli tutti); il dialogo interreligioso e la comunicazione trasparente. Ha avuto il coraggio di combattere gli abusi nella Chiesa e nella società.

Per noi Missionari della Consolata, Papa Francesco è il Pontefice che ha canonizzato il nostro Fondatore, San Giuseppe Allamano (il 20 ottobre 2024) e ha dato un grande impulso missionario alla vita e alle scelte della Chiesa.

Il 27 gennaio ho avuto la grazia di salutarlo personalmente durante l'udienza con i comunicatori che hanno partecipato al Giubileo del Mondo della Comunicazione. Ho sentito da vicino, ancora una volta, la sua mano e ho sentito il suo calore umano e divino. Guardandolo negli occhi, gli ho detto: “Santo Padre, prego per lei. Oggi è il mio compleanno, chiedo la sua benedizione!”. Francesco ha sorriso e ha chiesto ai suoi assistenti una custodia rossa. Che regalo! Era un rosario. “Grazie, Francesco!”

Negli ultimi giorni, in comunione con tutta la Chiesa, abbiamo pregato molto per la sua salute. Dopo 38 giorni al Gemelli, sembrava avesse superato la crisi. Era tornato a Casa Santa Marta e senza nascondere la sua fragile condizione di anziano ammalato, ha continuato a sorprenderci con i suoi gesti pieni di significato e con la sua parola pronunciata con grande difficoltà.

La domenica di Pasqua, nel suo Messaggio Urbi et Orbi (alla città di Roma e al mondo), Francesco, ricordando le guerre nel mondo, ha lanciato il suo ultimo appello a favore della pace. “Nessuna pace è possibile senza disarmo!” Poi ha offerto la sua benedizione per la Chiesa e per tutta l'umanità, è stato il suo addio...

Il lunedì di Pasqua, 21 aprile 2025, Francesco ha vissuto la sua Pasqua nella certezza che la morte non è la fine di tutto. Ora riposa nell'infinito amore misericordioso del Dio Uno e Trino che ha tanto amato e servito.

* Padre Jaime C. Patias, IMC, Ufficio per la Comunicazione.

Nella Basilica di San Pietro la Messa crismale del Giovedì Santo presieduta dal cardinale Calcagno su delega di Francesco. Nell’omelia del Pontefice l’invito ai preti a “ricominciare” durante l’Anno giubilare “nel segno della conversione” e a trasformare le parole in azioni tangibili: “I poveri, prima degli altri, e i bambini, gli adolescenti, le donne e anche coloro che nel rapporto con la Chiesa sono stati feriti, hanno il “fiuto” dello Spirito Santo: lo distinguono da altri spiriti mondani"

Il sacerdozio diventa “un ministero di speranza” quando è Cristo a condurre, perché “in ognuna delle nostre storie Dio apre un giubileo, cioè un tempo e un’oasi di grazia”. È l’incoraggiamento che il Papa rivolge a tutti i sacerdoti nell’omelia per la Messa crismale del Giovedì Santo. La liturgia celebrata nella Basilica di San Pietro questa mattina, 17 aprile, è presieduta dal cardinale Domenico Calcagno, presidente emerito dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, su delega di Francesco ancora convalescente a Casa Santa Marta. Nella circostanza sono stati consacrati gli oli che poi saranno utilizzati per i vari sacramenti durante l’anno, come Battesimo, cresima o unzione degli infermi, alla presenza di 4300 persone, di cui 1800 sacerdoti e 2500 fedeli.

Leggi qui il testo integrale dell'omelia del Papa Francesco

Guardare la propria vita per essere vicino alle persone

Nell’omelia, pronunciata dal cardinale, il Papa esorta i preti a “leggere il sacerdozio ministeriale come puro servizio al popolo sacerdotale” per portare “il lieto annuncio” della risurrezione di Cristo ai fedeli. Ricordando il rinnovamento delle promesse del giorno dell’ordinazione, di cui si fa memoria nella Messa crismale, Francesco sottolinea l’importanza di guardare la propria storia senza paura: questo porta “ristoro” a tutto il popolo di Dio, tramite la “prossimità quotidiana del prete alla sua gente in cui le profezie di giustizia e di pace si adempiono”, sottolinea il Pontefice. E l’Anno Santo, aggiunge, è una perfetta occasione per poter riscoprire il sacerdozio in servizio dei fedeli.

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Le anfore di oli che verranno usati per i Sacramenti. Foto: Vatican Media

L’anno giubilare rappresenta così, per noi sacerdoti, una specifica chiamata a ricominciare nel segno della conversione. Pellegrini di speranza, per uscire dal clericalismo e diventare annunciatori di speranza.

L’importanza della Parola di Dio

Il Papa insiste poi sull’importanza della Parola di Dio per accompagnare il ministero. “La nostra vita è sostenuta da buone abitudini. Esse possono inaridirsi, ma rivelano dov’è il nostro cuore – evidenzia - Quello di Gesù è un cuore innamorato della Parola di Dio: a 12 anni lo si capiva già e ora, divenuto adulto, le Scritture sono casa sua”. L’invito ai sacerdoti è quindi a ricordarsi che la Bibbia rimane la loro “prima casa”, dove si è costruito un rapporto con la Parola di Dio e in cui ognuno ha “delle pagine più care”.

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Aiutiamo anche altri a trovare le pagine della loro vita: forse gli sposi, quando scelgono le Letture del loro matrimonio; o chi è nel lutto e cerca dei brani per affidare alla misericordia di Dio e alla preghiera della comunità la persona defunta.

Trasformare la Parola in fatti

Tornando al Vangelo, Papa Francesco evidenzia l’importanza del passo del profeta Isaia che sceglie Gesù in cui si legge che “lo Spirito del Signore à sopra di me”. “Noi seguiamo Lui e per ciò stesso ci riguarda e ci coinvolge la sua missione” ed è questo Spirito che “invochiamo sul nostro sacerdozio” e che rimane “silenzioso protagonista del nostro servizio”. Francesco poi rimarca che i fedeli avvertono subito quando questo Spirito è reale e la Parola di Dio si trasforma in fatti tangibili.

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La participazione dei sacerdoti. Foto: Jaime C. Patias

I poveri, prima degli altri, e i bambini, gli adolescenti, le donne e anche coloro che nel rapporto con la Chiesa sono stati feriti, hanno il “fiuto” dello Spirito Santo: lo distinguono da altri spiriti mondani, lo riconoscono nella coincidenza in noi tra l’annuncio e la vita. Noi possiamo diventare una profezia adempiuta, e questo è bello!

Dio che porta avanti la sua opera

Francesco aggiunge che gli oli consacrati durante Messa sono un sigillo di “questo mistero trasformativo nelle diverse tappe della vita cristiana”. Invita quindi i sacerdoti a “mai scoraggiarsi, perché è un’opera di Dio” e lui “non fallisce mai”.

Fino all’ultimo giorno, è sempre Lui a evangelizzarci, a liberarci dalle prigioni, ad aprirci gli occhi, a sollevare i pesi caricati sulle nostre spalle. E poi perché, chiamandoci alla sua missione e inserendoci sacramentalmente nella sua vita, Egli libera anche altri attraverso di noi. In genere, senza che ce ne accorgiamo. Il nostro sacerdozio diventa un ministero giubilare, come il suo, senza suonare il corno né la tromba: in una dedizione non gridata, ma radicale e gratuita.

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La celebrazione della Messa del Crisma. Foto: Jaime C. Patias

La Pasqua sostiene la missione

Nonostante “la nostra casa comune, tanto ferita, e la fraternità umana, così negata, ma incancellabile”, il “raccolto di Dio è per tutti” ed è “un campo vivo, in cui cresce cento volte più di quello che si è seminato”, afferma Francesco. “Ogni contadino, infatti, conosce stagioni in cui non si vede nascere nulla. Non ne mancano anche nella nostra vita. È Dio che fa crescere e che unge i suoi servi con olio di letizia”. Il Pontefice conclude incoraggiando i sacerdoti nel loro ministero, anche con le difficoltà che possono sorgere: “Molte paure ci abitano e tremende ingiustizie ci circondano, ma un mondo nuovo è già sorto”.

Passione, morte e risurrezione di Gesù, che ci apprestiamo a vivere, sono il terreno che sostiene saldamente la Chiesa e, in essa, il nostro ministero sacerdotale.

* Isabella H. de Carvalho – Città del Vaticano. Pubblicato originalmente in: www.vaticannews.va

Nel suo nuovo libro lo scrittore spagnolo racconta il viaggio a Ulan Bator col pontefice nel 2023. Da ateo convinto, ha scoperto la “radicalità” dei religiosi che “aiutano la gente senza proselitismo”. “Incarnano la Chiesa missionaria e povera” del pontefice, ha detto ieri a Roma incontrando la stampa. Nel romanzo narrati gli incontri con il padre Ernesto Viscardi, IMC, e Suor Ana Waturu.

L’incipit è sensazionale. Nel maggio 2023 Javier Cercas, scrittore spagnolo ateo e anticlericale dichiarato, viene avvicinato da Lorenzo Fazzini – responsabile della Libreria Editrice Vaticana – per una proposta inedita e assolutamente inaspettata: seguire papa Francesco in Asia, nel suo 43esimo viaggio apostolico in Mongolia. In una terra di minoranza cattolica (circa 1500 fedeli su 3,4 milioni di abitanti), estrema “periferia” del mondo cristiano. E quindi terra di missione. Nasce così “Il folle di Dio alla fine del mondo” (edito in Italia da Guanda), “romanzo senza finzione”, arrivato nelle librerie di Italia, Spagna e America Latina l’1 aprile 2025.

20250410Mongolia4L’offerta del Vaticano prevede che Cercas di questa “avventura” scriva un libro, con assoluta libertà in merito a contenuti e forma. Lui tentenna per un secondo. “Non lo sapete che sono un tipo pericoloso?”, la sua prima reazione. Poi accetta. Javier Cercas non si converte: non è questo l’epilogo della storia. “Non venderei copie”, scherza. Ma ammette di essere stato toccato in Mongolia dalla “Chiesa missionaria e povera” al centro del pontificato di Bergoglio, che definisce “papa periferico”. L’ha detto ieri a Roma, incontrando la stampa e AsiaNews alla terrazza Caffarelli, sul Campidoglio, nell’ambito del festival internazionale Letterature. “Chi rappresenta questa Chiesa vera, questa radicalità? I missionari, senza dubbio. È impossibile non ammirarli”, ha affermato.

Anche se la fede – persa “molti anni fa”, come spesso racconta – non l’ha riabbracciata, dopo il viaggio (dal 31 agosto al 4 settembre 2023) nello Stato a maggioranza buddista incastonato tra Siberia e Cina, Javier Cercas ha detto ironicamente di aver trovato la soluzione “a tutti i problemi della Chiesa”. “Tutti missionari! Se siete tutti missionari allora il problema è risolto”, ha commentato. Sono loro per lo scrittore “i veri folli di Dio”. Richiamando il santo di Assisi da cui Bergoglio per primo ha preso il nome papale. I “folli” – che Javier Cercas definisce anche “soldati di Bergoglio” – sono p. Ernesto, p. Giovanni, sr. Ana, sr. Francesca, e altri, personaggi del libro, con i quali lo scrittore intrattiene lunghe conversazioni. “Fanno delle cose totalmente anormali – ha raccontato -. Abbandonano la famiglia, la casa, il loro Paese, senza preoccuparsi dei soldi, dell’ambizione professionale… tutto questo per andare in Mongolia, o in Africa”.

“Per fare che cosa?”, ha domandato. “Per aiutare la gente. Nemmeno per convertire la gente. Questo è proibito nella Chiesa di Francesco; non è proselitismo. È aiutare chi ha bisogno. Come non ammirare tutto questo? Una cosa assolutamente rivoluzionaria, sovversiva, folle”. Per Javier Cercas – che da giovane ha ricevuto una ferrea educazione cattolica – il missionario è “il cristiano ideale”. “È quello che prende sul serio il messaggio di Cristo. È la rivoluzione di Francesco, di una radicalità straordinaria, che significa il ritorno al cristianesimo primitivo”, ha affermato.

20250410Momgolia7Nel libro padre Ernesto Viscardi, IMC, compare perché organizza un incontro con i monaci buddisti del monastero di Dashichoilin. Missionario della Consolata, è nel Paese dal 2004 (da prima di lui solo il card. Giorgio Marengo, prefetto apostolico a Ulan Bator). “L’unico missionario cattolico arrivato in Mongolia di sua spontanea volontà, non destinato qui dai suoi superiori”, scrive Cercas. “Sapeva […] che l’Asia era un continente immenso, riluttante al cristianesimo”. Presta servizio al centro “Il Sole che Sorge”, a Chingeltei, periferia della capitale. “Lui e i suoi compagni accolgono bambini e adolescenti poveri e senza famiglia – continua – ai quali offrono riparo, cibo, istruzione, divertimento e affetto”. Dopo di lui, in “Il folle di Dio alla fine del mondo” è narrato pure l’incontro con padre Giovanni, degli Oblati di Maria Immacolata, già missionario in Corea del Sud, “da quasi trent’anni a Pechino”, scrive Cercas.

Lo scrittore spagnolo scrive anche dell’incontro con sr. Ana Waturu, kenyana, missionaria della Consolata, direttrice della Caritas in Mongolia. Racconta di uno scambio avvenuto all’interno della cattedrale di Ulan Bator, dedicata ai Santi Pietro e Paolo, sede della organizzazione umanitaria cristiana. “Dirige un gruppo di venti volontari, non tutti cattolici, in maggioranza fra i trenta e i quarant’anni, impegnati ad assistere persone che lo richiedano, fornendo loro cibo, indumenti, rifugio e aiuti di ogni tipo”, racconta. Lo scrittore ha la possibilità di parlare anche con “la più giovane delle missionarie della Consolata destinate in Mongolia”: sr. Francesca Allasia, 35enne nel 2023. Alla sua prima esperienza missionaria, la religiosa è in Asia da pochi mesi, giunta dopo gli studi a Roma. “Ha iniziato a parlare dei ragazzi del Sole che Sorge come se fossero suoi figli, ma subito capisco che, in realtà, per lei, sono davvero i suoi figli”, scrive Cercas nel libro.

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Il cardinale Giorgio Marengo con il Papa Francesco durante la sua visita in Mongolia. Foto: Vatican Media

AsiaNews ha assistito anche al dialogo dell’autore con i giornalisti italiani Aldo Cazzullo – anch’esso personaggio nel libro – e Sabina Minardi, svolto a Roma all’Auditorium Parco della Musica. In questa occasione Cercas ha spiegato che il suo viaggio è stato segnato da due dimensioni. La prima, quella “geopolitica” (che è in realtà la secondaria), ovvero lo sguardo della Chiesa rivolto verso Oriente, e quindi Pechino. “La Cina è importantissima; infatti non ci sono molte relazioni diplomatiche. È un’ossessione dei gesuiti e del papa. Il viaggio in Mongolia è servito anche per approssimarsi a essa”, ha detto. Papa Francesco al termine del viaggio, alla messa nella “Steppe Arena” di domenica 3 settembre 2023, aveva rivolto “un caloroso saluto al nobile popolo cinese”.

Ma è la seconda dimensione che per Javier Cercas è la fondamentale, “il centro del libro”: quella “religiosa”. L’autore – “più importante scrittore civile d’Europa”, dice Cazzullo – accetta la proposta della Santa Sede ponendo una unica condizione: che il papa gli conceda “cinque minuti” a quattr’occhi. Cercas vuole rivolgere al pontefice una domanda. “Perciò mi sono imbarcato su questo aereo: per chiedere a papa Francesco se mia madre vedrà mio padre al di là della morte, e per portare a mia madre la sua risposta. Ecco un folle senza Dio che insegue il folle di Dio fino alla fine del mondo”, scrive. Questo enigma – “la domanda di un bambino” – accompagna il nuovo romanzo di Javier Cercas. Trasformandolo in un giallo dell’esistenza che verrà risolto (forse) da un “piccolo miracolo”.

Fonte: AsiaNews

Il segno di una presenza nel tempo della realtà virtuale

L’inattesa partecipazione di Papa Francesco agli ultimi momenti della celebrazione liturgica giubilare dedicata agli ammalati e al mondo della sanità rappresenta un messaggio denso di significati. Anche nel tempo della realtà virtuale, nel tempo in cui crediamo di poter partecipare a tutto restando dietro allo schermo di un computer, l’esserci fisicamente è importantissimo.

Esserci di persona, fare la fatica di viaggiare, di uscire, di attendere; fare la fatica di camminare, di avvicinarsi agli altri, di sudare, di esporsi al sole o alle intemperie ha senso per incrociare dal vivo lo sguardo di chi ci sta intorno, per sperimentare la compagnia degli altri, per essere parte di un popolo di pellegrini. Con il suo gesto non annunciato, il Successore di Pietro ci insegna che nulla sarà mai davvero sostituibile con la presenza fisica, con l’esserci. L’uscita del Papa sul sagrato di San Pietro è dunque di per sé stessa un messaggio più significativo di qualsiasi parola: nonostante la voce ancora flebile, nonostante le cannule per l’ossigeno, ha voluto essere lì.

C’è poi un secondo significato: Francesco ha scelto per la sua prima uscita dopo la fine del ricovero al Gemelli, una celebrazione giubilare che sente particolarmente vicina: quella dedicata agli ammalati, a chi soffre e a chi si prende cura di chi soffre. Anche se il peggio è passato, il Papa è un convalescente che ancora mostra i segni della malattia. Fragile tra i fragili, non ha rinunciato a vivere il “suo” Giubileo, confessandosi in Basilica e attraversando la Porta Santa come fanno migliaia di persone ogni giorno. Quella porta che aveva spalancato da Pontefice la notte di Natale, ieri l’ha varcata da semplice pellegrino che ancora sopporta le conseguenze della polmonite.

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Papa Francesco a sorpresa in Piazza San Pietro durante la Messa del Giubileo degli ammalati

Infine, l’uscita a sorpresa di domenica mattina ci parla del rapporto del Pastore con il suo gregge, del vescovo con il suo popolo. Nonostante la convalescenza, nonostante le avvertenze dei medici, Francesco non ha rinunciato all’incontro con la gente seppur cosciente dei rischi per la sua salute che ciò può comportare. Così facendo ci dice che, anche se talvolta le circostanze possono imporre l’approccio virtuale a causa di un ricovero, del lockdown per la pandemia o dell’impossibilità a viaggiare, l’incontro in presenza è insostituibile. Perché, come ebbe a dire poco più di un anno fa, «l’amore ha bisogno di concretezza, l’amore ha bisogno di presenza, di incontro, ha bisogno di tempo e spazio donati: non può ridursi a belle parole, a immagini su uno schermo…». E questo vale anche per l’amore del Papa per il popolo di Dio, al quale ha sempre “parlato” anche con i gesti e la tenerezza.

* Pubblicato originalmente in: www.vaticannews.va

È stata pubblicata dalla Sala Stampa della Santa Sede la catechesi di Papa Francesco preparata per l'udienza generale che si sarebbe dovuta svolgere il 2 aprile, annullata data la convalescenza del Pontefice a Casa Santa Marta, dopo il ricovero di oltre un mese al Policlinico Gemelli.

Di seguito il testo dedicato all’incontro di Gesù con Zaccheo (Lc 19,5), un episodio che sta “particolarmente a cuore” al Pontefice. È la terza catechesi, nell'ambito del ciclo giubilare "Gesù Cristo nostra speranza”, su “La vita di Gesù. Gli incontri".

Cari fratelli e sorelle,

continuiamo a contemplare gli incontri di Gesù con alcuni personaggi del Vangelo. Questa volta vorrei soffermarmi sulla figura di Zaccheo: un episodio che mi sta particolarmente a cuore, perché ha un posto speciale nel mio cammino spirituale.

Il Vangelo di Luca ci presenta Zaccheo come uno che sembra irrimediabilmente perso. Forse anche noi a volte ci sentiamo così: senza speranza. Zaccheo invece scoprirà che il Signore lo stava già cercando.

Gesù, infatti, è sceso a Gerico, città situata sotto il livello del mare, considerata un’immagine degli inferi, dove Gesù vuole andare a cercare coloro che si sentono perduti. E in realtà il Signore Risorto continua a scendere negli inferi di oggi, nei luoghi di guerra, nel dolore degli innocenti, nel cuore delle madri che vedono morire i loro figli, nella fame dei poveri. 

Zaccheo in un certo senso si è perso, forse ha fatto delle scelte sbagliate o forse la vita l’ha messo dentro situazioni da cui fatica a uscire. Luca insiste infatti nel descrivere le caratteristiche di quest’uomo: non solo è un pubblicano, cioè uno che raccoglie le tasse dei propri concittadini per gli invasori romani, ma è addirittura il capo dei pubblicani, come a dire che il suo peccato è moltiplicato. Luca aggiunge poi che Zaccheo è ricco, lasciando intendere che si è arricchito sulle spalle degli altri, abusando della sua posizione. Ma tutto questo ha delle conseguenze: Zaccheo probabilmente si sente escluso, disprezzato da tutti.

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Papa Francesco doppo un'udienza generale nell'Aula Paolo VI. Foto: Vatican Media

Quando viene a sapere che Gesù sta attraversando la città, Zaccheo sente il desiderio di vederlo. Non osa immaginare un incontro, gli basterebbe guardarlo da lontano. I nostri desideri però trovano anche degli ostacoli e non si realizzano automaticamente: Zaccheo è basso di statura! È la nostra realtà, abbiamo dei limiti con cui dobbiamo fare i conti. E poi ci sono gli altri, che a volte non ci aiutano: la folla impedisce a Zaccheo di vedere Gesù. Forse è anche un po’ la loro rivincita. Ma quando hai un desiderio forte, non ti perdi d’animo. Una soluzione la trovi. Occorre però avere coraggio e non vergognarsi, ci vuole un po’ della semplicità dei bambini e non preoccuparsi troppo della propria immagine. Zaccheo, proprio come un bambino, sale su un albero. Doveva essere un buon punto di osservazione, soprattutto per guardare senza essere visto, nascondendosi dietro le fronde.

Ma con il Signore accade sempre l’inaspettato: Gesù, quando arriva lì vicino, alza lo sguardo. Zaccheo si sente scoperto e probabilmente si aspetta un rimprovero pubblico. La gente magari l’avrà sperato, ma resterà delusa: Gesù chiede a Zaccheo di scendere subito, quasi meravigliandosi di vederlo sull’albero, e gli dice: «Oggi devo fermarmi a casa tua!» (Lc 19,5). Dio non può passare senza cercare chi è perduto.

Luca mette in evidenza la gioia del cuore di Zaccheo. È la gioia di chi si sente guardato, riconosciuto e soprattutto perdonato. Lo sguardo di Gesù non è uno sguardo di rimprovero, ma di misericordia. È quella misericordia che a volte facciamo fatica ad accettare, soprattutto quando Dio perdona coloro che, secondo noi, non lo meritano. Mormoriamo perché vorremmo mettere dei limiti all’amore di Dio.

Nella scena a casa, Zaccheo, dopo aver ascoltato le parole di perdono di Gesù, si alza in piedi, come se risorgesse dalla sua condizione di morte. E si alza per prendere un impegno: restituire il quadruplo di ciò che ha rubato. Non si tratta di un prezzo da pagare, perché il perdono di Dio è gratuito, ma si tratta del desiderio di imitare Colui dal quale si è sentito amato. Zaccheo si prende un impegno a cui non era tenuto, ma lo fa perché capisce che quello è il suo modo di amare. E lo fa mettendo insieme sia la legislazione romana relativa al furto, sia quella rabbinica circa la penitenza. Zaccheo allora non è solo l’uomo del desiderio, è anche uno che sa compiere passi concreti. Il suo proposito non è generico o astratto, ma parte proprio dalla sua storia: ha guardato la sua vita e ha individuato il punto da cui iniziare il suo cambiamento.

Cari fratelli e sorelle, impariamo da Zaccheo a non perdere la speranza, anche quando ci sentiamo messi da parte o incapaci di cambiare. Coltiviamo il nostro desiderio di vedere Gesù, e soprattutto lasciamoci trovare dalla misericordia di Dio che sempre viene a cercarci, in qualunque situazione ci siamo persi.

* Ufficio per la Comunicazione con informazioni di Sala Stampa della Santa Sede.

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