Papa Francesco (1936-2025) tra le braccia del Padre

In queste ore siamo tutti scossi. È difficile ordinare i pensieri e tradurli in parole di senso compiuto. È un grande shock, che ha bisogno di essere attraversato con fede.

Ci vorrà del tempo per capire fino in fondo la portata del pontificato di Papa Francesco. Quello che mi sento di dire adesso è che vedevo incarnata in lui una profonda paternità, che ho sperimentato personalmente in varie occasioni. Mi sentivo attratto dalla sua libertà interiore e dal suo ascolto delle mozioni interiori dello Spirito Santo.

Per noi Missionari e Missionarie della Consolata, Papa Francesco è il Pontefice che ha canonizzato il nostro santo Fondatore e che ha dato un impulso missionario grandissimo alla vita e alle scelte della Chiesa.

Con il suo magistero e con il suo esempio ha riportato la missione evangelizzatrice della Chiesa al centro della vita reale delle comunità.

Per quanto riguarda la Chiesa in Mongolia, certamente Papa Francesco sarà ricordato nella storia di questo Paese per essere stato il primo pontefice a venire qui. Ma anche per il coraggio dei suoi discorsi profetici sul valore della fratellanza universale e dell’impegno per la giustizia, la pace e l’armonia del creato.

In queste ore sto ricevendo telefonate e messaggi dalle autorità civili e religiose della Mongolia. Uno dei consiglieri del Presidente mongolo mi ha trasmesso le condoglianze del Capo dello Stato, dicendo che Papa Francesco ha scritto a caratteri d’oro una pagina nuova nella storia delle relazioni tra Mongolia e Santa Sede.

Poco fa mi ha chiamato l’Abate primate dei buddhisti mongoli, il Hamba Nomun Khan Javzandorj, con il quale non più di tre mesi fa avevamo avuto la gioia di incontrare personalmente Papa Francesco in Vaticano. Mi ha voluto dire che, su richiesta esplicita del Presidente della Mongolia, la comunità monastica buddhista del tempio Gandantegchinlen, domani offrirà una preghiera rituale per l’anima di Papa Francesco, come già avevano fatto durante il suo recente ricovero ospedaliero.

Papa Francesco è stato capace di parlare al cuore di tutti. Abbiamo tanto da imparare e da applicare alla nostra vita di servi del Vangelo.

* Cradinal Giorgio Marengo, IMC, Prefetto Apostolico di Ulaanbaatar (Mongolia). Pubblicato originalmente in: www.rivistamissioniconsolata.it

Nel suo nuovo libro lo scrittore spagnolo racconta il viaggio a Ulan Bator col pontefice nel 2023. Da ateo convinto, ha scoperto la “radicalità” dei religiosi che “aiutano la gente senza proselitismo”. “Incarnano la Chiesa missionaria e povera” del pontefice, ha detto ieri a Roma incontrando la stampa. Nel romanzo narrati gli incontri con il padre Ernesto Viscardi, IMC, e Suor Ana Waturu.

L’incipit è sensazionale. Nel maggio 2023 Javier Cercas, scrittore spagnolo ateo e anticlericale dichiarato, viene avvicinato da Lorenzo Fazzini – responsabile della Libreria Editrice Vaticana – per una proposta inedita e assolutamente inaspettata: seguire papa Francesco in Asia, nel suo 43esimo viaggio apostolico in Mongolia. In una terra di minoranza cattolica (circa 1500 fedeli su 3,4 milioni di abitanti), estrema “periferia” del mondo cristiano. E quindi terra di missione. Nasce così “Il folle di Dio alla fine del mondo” (edito in Italia da Guanda), “romanzo senza finzione”, arrivato nelle librerie di Italia, Spagna e America Latina l’1 aprile 2025.

20250410Mongolia4L’offerta del Vaticano prevede che Cercas di questa “avventura” scriva un libro, con assoluta libertà in merito a contenuti e forma. Lui tentenna per un secondo. “Non lo sapete che sono un tipo pericoloso?”, la sua prima reazione. Poi accetta. Javier Cercas non si converte: non è questo l’epilogo della storia. “Non venderei copie”, scherza. Ma ammette di essere stato toccato in Mongolia dalla “Chiesa missionaria e povera” al centro del pontificato di Bergoglio, che definisce “papa periferico”. L’ha detto ieri a Roma, incontrando la stampa e AsiaNews alla terrazza Caffarelli, sul Campidoglio, nell’ambito del festival internazionale Letterature. “Chi rappresenta questa Chiesa vera, questa radicalità? I missionari, senza dubbio. È impossibile non ammirarli”, ha affermato.

Anche se la fede – persa “molti anni fa”, come spesso racconta – non l’ha riabbracciata, dopo il viaggio (dal 31 agosto al 4 settembre 2023) nello Stato a maggioranza buddista incastonato tra Siberia e Cina, Javier Cercas ha detto ironicamente di aver trovato la soluzione “a tutti i problemi della Chiesa”. “Tutti missionari! Se siete tutti missionari allora il problema è risolto”, ha commentato. Sono loro per lo scrittore “i veri folli di Dio”. Richiamando il santo di Assisi da cui Bergoglio per primo ha preso il nome papale. I “folli” – che Javier Cercas definisce anche “soldati di Bergoglio” – sono p. Ernesto, p. Giovanni, sr. Ana, sr. Francesca, e altri, personaggi del libro, con i quali lo scrittore intrattiene lunghe conversazioni. “Fanno delle cose totalmente anormali – ha raccontato -. Abbandonano la famiglia, la casa, il loro Paese, senza preoccuparsi dei soldi, dell’ambizione professionale… tutto questo per andare in Mongolia, o in Africa”.

“Per fare che cosa?”, ha domandato. “Per aiutare la gente. Nemmeno per convertire la gente. Questo è proibito nella Chiesa di Francesco; non è proselitismo. È aiutare chi ha bisogno. Come non ammirare tutto questo? Una cosa assolutamente rivoluzionaria, sovversiva, folle”. Per Javier Cercas – che da giovane ha ricevuto una ferrea educazione cattolica – il missionario è “il cristiano ideale”. “È quello che prende sul serio il messaggio di Cristo. È la rivoluzione di Francesco, di una radicalità straordinaria, che significa il ritorno al cristianesimo primitivo”, ha affermato.

20250410Momgolia7Nel libro padre Ernesto Viscardi, IMC, compare perché organizza un incontro con i monaci buddisti del monastero di Dashichoilin. Missionario della Consolata, è nel Paese dal 2004 (da prima di lui solo il card. Giorgio Marengo, prefetto apostolico a Ulan Bator). “L’unico missionario cattolico arrivato in Mongolia di sua spontanea volontà, non destinato qui dai suoi superiori”, scrive Cercas. “Sapeva […] che l’Asia era un continente immenso, riluttante al cristianesimo”. Presta servizio al centro “Il Sole che Sorge”, a Chingeltei, periferia della capitale. “Lui e i suoi compagni accolgono bambini e adolescenti poveri e senza famiglia – continua – ai quali offrono riparo, cibo, istruzione, divertimento e affetto”. Dopo di lui, in “Il folle di Dio alla fine del mondo” è narrato pure l’incontro con padre Giovanni, degli Oblati di Maria Immacolata, già missionario in Corea del Sud, “da quasi trent’anni a Pechino”, scrive Cercas.

Lo scrittore spagnolo scrive anche dell’incontro con sr. Ana Waturu, kenyana, missionaria della Consolata, direttrice della Caritas in Mongolia. Racconta di uno scambio avvenuto all’interno della cattedrale di Ulan Bator, dedicata ai Santi Pietro e Paolo, sede della organizzazione umanitaria cristiana. “Dirige un gruppo di venti volontari, non tutti cattolici, in maggioranza fra i trenta e i quarant’anni, impegnati ad assistere persone che lo richiedano, fornendo loro cibo, indumenti, rifugio e aiuti di ogni tipo”, racconta. Lo scrittore ha la possibilità di parlare anche con “la più giovane delle missionarie della Consolata destinate in Mongolia”: sr. Francesca Allasia, 35enne nel 2023. Alla sua prima esperienza missionaria, la religiosa è in Asia da pochi mesi, giunta dopo gli studi a Roma. “Ha iniziato a parlare dei ragazzi del Sole che Sorge come se fossero suoi figli, ma subito capisco che, in realtà, per lei, sono davvero i suoi figli”, scrive Cercas nel libro.

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Il cardinale Giorgio Marengo con il Papa Francesco durante la sua visita in Mongolia. Foto: Vatican Media

AsiaNews ha assistito anche al dialogo dell’autore con i giornalisti italiani Aldo Cazzullo – anch’esso personaggio nel libro – e Sabina Minardi, svolto a Roma all’Auditorium Parco della Musica. In questa occasione Cercas ha spiegato che il suo viaggio è stato segnato da due dimensioni. La prima, quella “geopolitica” (che è in realtà la secondaria), ovvero lo sguardo della Chiesa rivolto verso Oriente, e quindi Pechino. “La Cina è importantissima; infatti non ci sono molte relazioni diplomatiche. È un’ossessione dei gesuiti e del papa. Il viaggio in Mongolia è servito anche per approssimarsi a essa”, ha detto. Papa Francesco al termine del viaggio, alla messa nella “Steppe Arena” di domenica 3 settembre 2023, aveva rivolto “un caloroso saluto al nobile popolo cinese”.

Ma è la seconda dimensione che per Javier Cercas è la fondamentale, “il centro del libro”: quella “religiosa”. L’autore – “più importante scrittore civile d’Europa”, dice Cazzullo – accetta la proposta della Santa Sede ponendo una unica condizione: che il papa gli conceda “cinque minuti” a quattr’occhi. Cercas vuole rivolgere al pontefice una domanda. “Perciò mi sono imbarcato su questo aereo: per chiedere a papa Francesco se mia madre vedrà mio padre al di là della morte, e per portare a mia madre la sua risposta. Ecco un folle senza Dio che insegue il folle di Dio fino alla fine del mondo”, scrive. Questo enigma – “la domanda di un bambino” – accompagna il nuovo romanzo di Javier Cercas. Trasformandolo in un giallo dell’esistenza che verrà risolto (forse) da un “piccolo miracolo”.

Fonte: AsiaNews

Il 16 febbraio è noto per essere il giorno della festa del Fondatore dei Missionari e delle Missionarie della Consolata. Un giorno in cui ricordiamo la sua nascita al cielo e ringraziamo Dio per il dono della sua vita per noi. Inoltre, quest'anno è stata la prima volta che abbiamo celebrato Giuseppe Allamano come Santo dopo la sua canonizzazione avvenuta a Roma il 20 ottobre 2024 da Papa Francesco.

A coronare questa giornata, i Missionari e le Missionarie della Consolata che lavorano in Mongolia, insieme ai fedeli si sono riuniti nella Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo a Ulan Bator per la Messa di ringraziamento. La coincidenza ha voluto che questo giorno sia stata una domenica, il Giorno del Signore. Grande fu la gioia di tutti i presenti alla celebrazione.

La Messa è iniziata con un breve rito liturgico di benedizione delle casule e delle stole realizzate per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano in Italia, a cui ha fatto seguito la processione del celebrante e i concelebranti all’altare. Bambini e adulti hanno partecipato attivamente.

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Infatti, più che una festa dei Missionari della Consolata, fu una festa di tutti. Nella sua omelia, il cardinale Giorgio Marengo, ha sottolineato una verità universale quando ha detto: “In realtà, celebrare un santo ha un valore molto più profondo e ampio, perché i santi riconosciuti dalla Chiesa appartengono a tutti, riguardano ciascuno di noi, rappresentano un grande aiuto che lo Spirito Santo mette a disposizione di tutta la Chiesa”.

Ancora in vita, San Giuseppe Allamano arricchì la Chiesa nella sua essenziale natura missionaria raggiungendo persone di ogni ceto sociale, favorendo la formazione e l'educazione cristiana e invitando tutti a camminare verso la meta della santità. Dopo la sua canonizzazione, continua ciò che fece da vivo, ma questa volta dal cielo, intercedendo per coloro che cercano il suo aiuto.

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Non ci fu nell’Allamano nessuna discrepanza tra ciò che egli predicò e ciò che egli visse. “Prima santi e poi missionari” resta la strada da lui indicata e realizzata nella sua attività apostolica, strada che ha insegnato ai suoi figli e alle sue figlie. Un cammino che ha percorso con umiltà e consapevolezza dei suoi limiti, credendo che la grazia del Signore fosse sufficiente per raggiungere la meta della santità.

Ai fedeli mongoli che hanno partecipato alla messa, il celebrante ha ricordato che “la santità non è un'utopia, ma è la realtà in cui già viviamo, grazie alla mediazione della Chiesa; è l’aria che respiriamo, la forza a cui possiamo sempre attingere, la speranza che ci fa rialzare dopo ogni caduta”. Nella piccola chiesa cattolica che si trova in Mongolia, il suggerimento di santità di San Giuseppe Allamano può essere fonte di ispirazione e motivazione per portarci sempre più profondamente nell’incontro con Cristo e nell'amore.

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Il cardinale Giorgio Marengo con i missionari e le missionarie della Consolata che lavorano in Mongolia

Dopo l'omelia, la professione di fede, la preghiera dei fedeli, ci fu la processione offertoriale, nella quale ciascuno ha portato la sua offerta. L’incenso ha aperto il corteo con il suo profumo di benedizioni, seguito dai ritratti di San Giuseppe Allamano, della sua reliquia e della Consolata: doni presentati per rinnovare la nostra volontà di essere disponibili a compiere la santa volontà di Dio, chiedendogli di esaudire con bontà il desiderio di essere veri missionari; fiori: presentati a Dio Padre creatore, chiedendogli di continuare a dare crescita e benedirci con la pioggia del suo Spirito, e splendere come sole nella nostra vita per un raccolto gioioso; frutti: che rappresentano le nostre preghiere a Dio affinché faccia sbocciare l'amore, la gioia, la pace, la pazienza, la gentilezza, la bontà, la fedeltà, la mitezza e l'autocontrollo nella nostra vita; pane e vino: simbolo dell’offerta del nostro lavoro quotidiano, affinché ci trasformi nel Corpo e nel Sangue di Cristo e contribuire al disegno salvifico di Dio. 

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Dopo la messa alcuni fedeli e le foto di rito vicino all'altare, siamo andati nel salone della Cattedrale e abbiamo passato un momento di gioia e fratellanza con tutti.

* Padre Dido Mukadi, IMC, missionario in Mongolia.

Nella piccola porzione di Chiesa del Paese asiatico, il Giubileo si sta svolgendo tra fede e speranza. Il cardinale Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulaanbaatar, racconta come al centro di tutte le attività ci sia la formazione e la condivisione che coinvolge tutti. Un Anno santo sotto lo sguardo della Madre del Cielo, titolo con il quale Papa Francesco volle onorare la statua di legno di Maria ritrovata in una discarica e poi intronizzata nella cattedrale cittadina

Una giornata di freddo intenso, la colonnina di mercurio che scende in picchiata fino a toccare i 30 gradi sotto zero, una straordinaria partecipazione di popolo che scalda il cuore. E l’anima. Così Ulaanbaatar, capitale della Mongolia, il 29 dicembre scorso, giorno nel quale si è aperto il Giubileo 2025 con una solenne celebrazione che anche qui, ai più estremi confini del mondo, non poteva certo mancare o passare inosservata. La fotografia è ancora nitida nella mente del cardinale Giorgio Marengo, prefetto apostolico di quella infinitesimale porzione di Chiesa che conta circa 1600 battezzati su 3,2 milioni di abitanti sparpagliati in un territorio di oltre un milione e mezzo di chilometri quadrati.

Grande processione

20250302Marengo1Il suo ricordo dettagliato, confidato in una conversazione con i media vaticani, serve per ricostruire quella giornata che si è aperta con una grande processione iniziata all’esterno della cattedrale dedicata ai santi Pietro e Paolo, sede della prefettura apostolica: "Siamo partiti dalla grande croce che venne usata per la messa papale durante il viaggio apostolico di Francesco nel settembre del 2023. Dopo aver recitato parte del Rosario all’esterno, siamo entrati solennemente in cattedrale orientandoci verso l’altro crocifisso che campeggia sopra il nostro altare e verso il quale abbiamo indirizzato il nostro sguardo e le nostre preghiere. È stata una celebrazione molto intensa che ha permesso alla nostra gente di sentirsi in comunione con la Chiesa universale".

Parola di Dio e formazione

I fedeli della prefettura apostolica di Ulaanbaatar non sono certamente arrivati impreparati a quel momento. Le occasioni di formazione e di approfondimento sono state molte, una in particolare ha riassunto al meglio l’esigenza di esercitare la speranza, tema portante dell’Anno santo: "È stata l’esperienza di comunione e di animazione legata al Gen Rosso, il gruppo di artisti internazionali che sono venuti a trovarci qui tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre e con i quali abbiamo preparato dei workshop e un concerto. Il filo conduttore di queste nostre attività è stato il concetto che in inglese abbiamo chiamato hoping together, sperando insieme, che poi è stato anche il tema della visita papale di quasi due anni fa". Prepararsi bene al Giubileo ha voluto anche dire riscoprire la storia di una Chiesa locale che affonda le radici in un cristianesimo dal passato antico ma che, in epoca contemporanea, vanta appena trentatré anni di esistenza. "Anche questo è stato un esercizio di speranza, un voler accogliere l’invito giubilare a guardare il futuro con gli occhi pieni di fede, senza scoraggiarsi mai".

Ascolta l'intervista al cardinale Marengo

Rinnovamento e purificazione

Durante l’Anno santo la formazione dei fedeli sarà un elemento costante, non verrà certo accantonata. Sussidi e catechesi saranno messi a disposizione di tutti affinché si possa cogliere davvero il senso profondo della grazia del Giubileo: "In questo senso, stiamo pensando anche a una pubblicazione pieghevole con le spiegazioni per ottenere le indulgenze e con la quale si possa mettere in evidenza il senso vero del cammino di conversione che qui tutti stiamo cercando di compiere. Un rinnovamento che deve partire dalla purificazione continua del nostro cuore". Ciò a cui tiene maggiormente il cardinale Marengo in questo quadro di fede è la dimensione della carità, condizione essenziale per ricevere la grazia giubilare: "Le opere di misericordia, offrire i propri disagi e le proprie sofferenze al Signore, non sono cose di poco conto. Come non lo sono i sacrifici che ognuno potrà fare per partecipare ai nostri incontri di formazione, come la settimana pastorale che animeremo nel mese di maggio".

Pellegrinaggi parrocchiali

Anche se sarà difficile, quasi impossibile, che dalla Mongolia dei fedeli possano giungere a Roma in pellegrinaggio non solo per l’enorme distanza ma anche per l’alto costo del viaggio, il prefetto apostolico spiega che "le grazie del Giubileo ci raggiungono dove siamo e si configurano con delle iniziative che hanno a che fare con la vita di tutti i giorni: la preghiera, prenderci cura degli altri, moltiplicare la misericordia come modo concreto per esercitare la speranza".

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La visita del Papa Francesco in Mongolia nel settembre 2023. Foto: Vatican Media

Ma oltre al pellegrinaggio che i fedeli potranno compiere alla cattedrale di Ulaanbaatar, ce n’è un altro che sta a cuore al porporato: quello che è rivolto particolarmente ai giovani e che si potrà fare nelle nove parrocchie della Prefettura. "Cinque di esse sono nella capitale, quattro sparse nel Paese. Ci siamo resi conto che, in molti casi, i fedeli di una parrocchia non conoscono bene le altre realtà. Allora abbiamo pensato che, quando la bella stagione arriverà, si potranno organizzare delle visite reciproche".

E visto che la distanza tra una parrocchia e l’altra può essere anche di centinaia di chilometri, Marengo ha pensato, sopratutto per i più giovani, una sorta di “passaporto del Giubileo”: "Sarà una specie di carta d’identità con i dati personali da far riempire ogni volta che si visita una parrocchia. Credo che sia un modo davvero bello per poter ringraziare il Signore per il dono di queste comunità che sono sparse in un territorio immenso".

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Il cardinale Giorgio Marengo con i missionari e le missionarie della Consolata che lavorano in Mongolia. Foto Dido Mukadi

Lo sguardo di Maria

A Ulaanbaatar il Giubileo si sta svolgendo sotto lo sguardo amorevole della Madre del Cielo, titolo con il quale Papa Francesco volle chiamare la statua di Maria che, qualche anno fa, fu ritrovata miracolosamente nella discarica di una città del nord da una donna non cattolica e intronizzata nella cattedrale. "È per questo che la cattedrale sta assumendo sempre più un ruolo spirituale fondamentale per i fedeli che possono recarsi davanti a questa piccola statua di legno e affidare la propria vita alla Vergine Maria".

* Federico Piana - Città del Vaticano. Originalmente pubblicato in: www.vaticannews.va

 

 

 

Benvenuti in Mongolia

Dal 2003 i missionari e le missionarie della Consolata operano in Mongolia.

La Mongolia è un paese asiatico vasto cinque volte l'Italia, ma con soltanto tre milioni e mezzo di abitanti (2,2 persone per chilometro quadrato), la metà dei quali risiede a Ulaanbaatar, una capitale fredda e inquinata, ma anche ricca di musei.

Per il paese conta molto la sua posizione geografica. La Mongolia - infatti - è priva di uno sbocco al mare. Confina a Nord con la Russia e a Sud e a Est con la Cina, due paesi che ne hanno segnato - spesso in modo negativo - la storia. Prima dell'arrivo di Cina e Russia, il paese aveva però conosciuto i fasti dell'Impero fondato da Gengis Khan nel 1206, eroe indiscusso di tutti i mongoli.

Video-reportage del giornalista Paolo Moiola

Circa tre quarti della superficie della Mongolia sono costituiti da steppe e praterie, che ospitano ben 71 milioni di animali: pecore, capre, bovini (tra cui gli yak), cavalli, ma anche - in particolare, nel deserto del Gobi - cammelli. Gli animali sono allevati da pastori nomadi, noti anche per l'originalità delle loro tende mobili conosciute con il nome di «gher». Oggi i nomadi sono circa il 30 per cento della popolazione mongola.

Le fedi religiose più diffuse sono lo sciamanesimo e il buddhismo tibetano (di cui - è bene ricordarlo - il Dalai Lama è il massimo rappresentante). Per il resto, la minoranza kazaka segue l'Islam. Mentre il cristianesimo è la religione dell'1,3 per cento della popolazione. I cattolici mongoli sono guidati dal cardinale Giorgio Marengo, IMC, prefetto apostolico di Ulaanbaatar e da un gruppo di missionari e missionarie.

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Occorre peraltro sottolineare che soltanto nel 1990, con la nascita della Mongolia democratica, per i cittadini mongoli è tornata la libertà di espressione religiosa.

 Per un approfondimento di tutto questo qui potete trovare il reportage di Paolo Moiola, redattore della rivista Missioni Consolata.

* Padre Jaime Patias, IMC, Ufficio per la Comunicazione

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