Venerdì 6 dicembre 2024, la comunità dei Missionari della Consolata in Costa d'Avorio ha vissuto un momento memorabile segnato dalla professione perpetua di tre dei suoi confratelli. Questi giovani missionari, attualmente in formazione per un master in teologia, hanno fatto la scelta coraggiosa e determinata di dedicare tutta la loro vita al servizio della missione ad gentes.

La celebrazione si è svolta presso la casa di formazione Irène Stefani di Abidjan, un luogo simbolico dove si intrecciano preghiera, impegno, formazione e missione.

Durante l’emozionante cerimonia, Aria Telmo Avelino José, originario del Mozambico, Maina Fredrick Mwangi del Kenya e Kajuna Dickson Desidery della Tanzania hanno pronunciato i loro voti perpetui di povertà, castità e obbedienza. Con questa scelta, si impegnano a vivere secondo lo spirito ereditato da San Giuseppe Allamano, dedicandosi in modo esclusivo alla missione ad gentes. Il loro impegno rappresenta una risposta alla chiamata di Cristo e una promessa di portare la sua luce in regioni del mondo spesso dimenticate. È un atto d'amore e di fede che ispira non solo i loro coetanei ma anche l'intera comunità cristiana.

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Ordinazione diaconale e presbiterale

Il giorno successivo, sabato 7 dicembre, questi tre nuovi professi sono stati ordinati diaconi da S.E. Mons. Prosper Bonaventure KY, Vescovo di Dédougou in Burkina Faso. La cerimonia si è tenuta nella chiesa parrocchiale di San Matteo ad Anonkoua Kouté, nel quartiere di Abobo ad Abidjan in un contesto favorevole alla preghiera e alla celebrazione. Questa ordinazione segna l'inizio di un nuovo capitolo nella loro vita ministeriale, spirituale e missionaria, chiamandoli a servire con umiltà e dedizione.

Oltre a questi tre confratelli, Mons. Ky ha anche ordinato diaconi quattro giovani della Società delle Missioni Africane (SMA) e ha conferito l'ordine presbiterale a due diaconi della Congregazione di Gesù e Maria (Eudisti). Questi eventi portano un messaggio di speranza per la Chiesa in Costa d'Avorio e oltre. In tempi in cui le sfide sono innumerevoli, l'impegno di questi giovani missionari ricorda che la fede può trasformare la vita delle persone e portare conforto e gioia ai più vulnerabili. Il loro percorso è un invito per ciascuno di noi a rinnovare il nostro impegno verso la nostra fede e la nostra comunità.

* Padre Ariel Tosoni, IMC, è missionario argentino nella Costa d’Avorio.

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Non appena abbiamo saputo la data della canonizzazione del nostro Fondatore, il nostro Superiore Regionale, padre Clement Gachoka, è andato visitando i vescovi delle tre diocesi della Corea del Sud in cui operiamo come Missionari della Consolata, per dare la bella notizia e anche per accordare in ogni diocesi una data per poter celebrare degnamente una messa solenne di ringraziamento.

Il vescovo della diocesi di Daejeon ha scelto per la celebrazione la data dell’8 dicembre, Solennità dell’Immacolata, e così proprio ieri, abbiamo avuto il nostro grande evento.

Il luogo prescelto per la celebrazione è stata la parrocchia di Jon-min-dong, il cui attuale parroco, padre Byeon Yun Chui Damiano, è stato missionario in Mongolia per vari anni, e conosce bene i nostri missionari di quel Paese. Lui si è subito detto entusiasta dell’iniziativa e davvero ha fatto tutto quanto in suo potere per accogliere questo evento nella sua parrocchia e facilitarci al massimo le cose.

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Il Superiore della Regione Asia, padre Clement Gachoka, si rivolge all'assemblea durante la Messa

Una volta stabiliti data e luogo della celebrazione abbiamo cominciato a pensare alla preparazione. E qui sono venute alla luce le caratteristiche dei coreani quando c’è da fare qualcosa insieme: organizzazione, suddivisione delle responsabilità, serietà nell’attuazione delle stesse.

I membri del nostro Gruppo Amici IMC non sono certo stati un’eccezione, e ci ha fatto bene al cuore vedere con quanta passione, senso di partecipazione, e gioia si siano dedicati a preparare la festa, fin nei minimi dettagli: dalla tradizionale offerta di un mazzo di fiori al vescovo, al momento del suo arrivo in parrocchia per la celebrazione… fino al momento della benedizione finale alla fine del pranzo per gli invitati. Passando per la meticolosa attenzione a come disporre davanti all’altare il quadro grande di San Giuseppe Allamano, fino agli striscioni da appendere all’ingresso della parrocchia e nel grande salone dove si sarebbe tenuto il pranzo. E senza tralasciare il modo migliore di consegnare ad ogni persona che sarebbe venuta alla messa il libretto sulla vita dell’Allamano, con il santino-ricordo, e, all’uscita, il regalino-ricordo che avevamo preparato.

Insomma, ognuno aveva qualcosa da fare, e tutti hanno svolto il proprio compito, piccolo o grande che fosse, con attenzione ed amore. Siamo davvero fieri del nostro Gruppo di Amici!

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Un altro dato che ci ha riscaldato il cuore è stato vedere la partecipazione delle più diverse realtà della diocesi e della Corea in generale. Mentre la partecipazione dei sacerdoti diocesani è stata molto ridotta (ma si sapeva già, essendo domenica…), i religiosi/e hanno invece risposto molto bene.

C’erano suore di varie comunità, religiosi dei Salesiani, dei Francescani Missionari (un Istituto radicato qui a Daejeon); i Focolarini consacrati; diversi rappresentanti dei Neo catecumenali… e non mancava neppure un nutrito gruppo di Migranti, appartenenti alla locale comunità cattolica dei Migranti “Moyse”, i quali non sanno il coreano, ma hanno partecipato bene lo stesso, fino alla fine. Tutta questa partecipazione ci ha dato la piacevole e grata sensazione di essere ben “radicati” nel tessuto ecclesiale locale!

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Il vescovo, Mons. Kim Jong-su Agostino (foto), ha fatto una bella omelia, ripercorrendo le varie tappe della vita di San Giuseppe Allamano, e mettendo in risalto i vari aspetti della sua santità: dall’obbedienza ai suoi vescovi, alla costante ricerca della volontà di Dio, fino alla grande passione missionaria. La gente ascoltava con grande attenzione, e poteva avere la riprova di quanto il vescovo andava dicendo, nel libretto sull’Allamano che avevano ricevuto all’entrare in chiesa.

Alla fine, tutti abbiamo visto un breve video, sempre sulla vita di San Giuseppe Allamano, e abbiamo ascoltato il coro della parrocchia cantare “O Consolata”, in coreano, con grande solennità!

Anche il pranzo si è svolto bene, con grande gioia. Avevamo previsto un centinaio di partecipanti, ma alla fine sono stati abbastanza di più. Poco male, perché l’impresa di catering alla quale ci eravamo affidati aveva fatto le cose con parecchia abbondanza, e non è mancato niente a nessuno.

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Alla fine i saluti, gli abbracci, gli arrivederci… e il gran lavoro delle nostre signore per rimettere a posto ogni cosa. Sono davvero ammirabili!

E così abbiamo ringraziato con gioia il Signore per la santità del nostro Fondatore. Ci rimane nel cuore la certezza che adesso lui è un po’ più conosciuto ed amato anche nella nostra diocesi di Daejeon. Come non rendere grazie al Signore anche per questo?

* Padre Diego Cazzolato, IMC, missionario in Corea del Sud.

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Infiammato dal suo zelo apostolico e avendo compreso la missione della Chiesa, San Giuseppe Allamano si interessò al mondo intero. Sentì l'urgenza di portare il Vangelo fino ai confini della terra. Nella sua osservazione, c'erano così tante organizzazioni sponsorizzate dalla Chiesa che si dedicavano alla carità, ma nessuna era dedicata alla missione.

Per porre rimedio alla situazione, dopo una lunga preparazione spirituale accompagnata da ostacoli e sfide, il 29 gennaio 1901 fondò la congregazione dei Missionari della Consolata per padri e fratelli.

Nella formazione iniziale, il Fondatore aveva previsto che, mentre i padri si sarebbero fatti carico del lavoro pastorale, i fratelli sarebbero stati responsabili nella creazione di strutture al servizio della missione. Coadiutori della missione. Il lavoro fatto dai fratelli, fino ad oggi, parla dell’importanza dei fratelli nella missione.

Fratel Vincenzo Clerici

20241210Vincenzo1Durante il ritiro annuale dei missionari della Consolata a Modjo, ho avuto modo di interagire con Fratel Vincenzo Clerici, che ha 84 anni, e che è l'unico Fratello della Consolata rimasto in Etiopia. Era mia intenzione cercare di capire la sua storia come fratello nella Consolata.

Nato in Italia nel 1940, Fratel Vincenzo ha conseguito la laurea in fisica presso l’università di Torino, ed in seguito ha lavorato come insegnante in un istituto tecnico.

Fratel Vincenzo confessa che il cammino che lo ha portato ad essere fratello della Consolata è stato in un certo senso speciale. All'inizio si recò in missione in Kenya come giovane laico. Il termine volontario non era in uso allora. I giovani dall'Italia si trasferivano nei paesi del terzo mondo (come venivano chiamati allora) per fare un'esperienza lì. La sua prima esperienza missionaria è stata con i missionari della Consolata.

Tornato in Italia, fece parte di un gruppo di quattro giovani che ogni mese andavano alla Casa Madre dei missionari della Consolata. Lì, erano accompagnati da Padre Giuseppe Caffaratto che fungeva da loro animatore. Arrivò il momento che i suoi amici furono inviati in Amazzonia (Brasile), e invece lui fu mandato in Kenya.

Quando arrivò in Kenya, ci fu quello che lui definì un "Boom" delle scuole. Padre Giovanni De Marchi che era già in Kenya lo incoraggiò a imparare l'inglese. Quindi dovette recarsi in Inghilterra, dove trovò un lavoro per sostenersi e vi rimase per un anno mentre seguiva il suo corso di Inglese. Tornato in Kenya dopo il corso, fu inviato alla missione di Mugoiri vicino a Murang'a, dove lavorò come insegnante nella scuola secondaria di Mugoiri.

Da giovane laico, dovette sostenersi economicamente da solo. Fu così che padre Cesare Facchinello, responsabile della missione Mugoiri, fece in modo che la scuola gli pagasse uno stipendio. La metà andava alla missione per il suo vitto e alloggio, e l’altra metà per le sue necessità personali. In seguito fu trasferito a Sagana dove incontrò cinque fratelli della Consolata tra cui Fratel Sandro e Fratel Adriano. Vivere con questi fratelli a Sagana, fare lo stesso lavoro, gli stessi orari, condividere le loro esperienze di vita insieme lo aiutò a fare il passo decisivo di diventare fratello religioso.

In seguito alla sua decisione, fu ammesso al Postulato a Sagana e poi inviato alla Certosa di Pesio per il suo Noviziato dall’allora superiore generale Padre Giuseppe Inverardi. Qui, si unì al gruppo di altri novizi, lui l'unico fratello. Dopo il suo noviziato, fu rimandato a Sagana come Fratello della Consolata.

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Fratel Vincenzo con il gruppo dei Missionari della Consolata in Etiopia. Foto: Edgar Nyangiya

Dopo la sua prima esperienza come fratello a Sagana, Fratel Vincenzo fu destinato all'Etiopia dove lavorò per sette anni prima di essere richiamato a Langata in Kenya, una comunità di fratelli dove lavorò come formatore. Dopo due anni fu inviato nuovamente in Etiopia. Da allora, ha sempre vissuto e lavorato in Etiopia come fratello.

I suoi primi anni di vita come Fratello

Fr. Vincenzo ricorda che i fratelli all’inizio si impegnavano nell'apprendere  nuove conoscenze tecniche. Camminavano assieme e si aiutavano a vicenda.  Si applicavano con passione ai compiti assegnati, sia che si trattasse di falegnameria, muratura, meccanica e altro. Ricorda come Fratel Mario Bernardi ebbe una grande influenza su di lui. Fratel Mario nonostante il suo impegno nella falegnameria, trovava tempo anche per le attività  pastorali. Secondo lui, Fratel Mario è stato determinante nella vita dei fratelli in Kenya, con il suo continuo incoraggiamento.

In Etiopia, i fratelli lavoravano con passione nelle missioni e nelle scuole tecniche. Ad esempio, ricorda la scuola tecnica di Meki dove era stato assegnato. Oltre a insegnare, si assicurava che le forniture (materiali per la falegnameria, la lavorazione dei metalli, ecc.) fossero sempre disponibili. Ricorda di aver lavorato con Padre Michele Brizio (di buona memoria) che era il direttore e lui era il suo vice. In seguito, la scuola tecnica fu consegnata alla prefettura locale.

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In quel tempo i fratelli erano spinti dalla passione per la missione e dall'amore per il lavoro che stavano svolgendo. Non solo utilizzavano le loro conoscenze e competenze tecniche, ma si impegnavano anche nel lavoro pastorale. Ha ancora bei ricordi di quando fu inviato nella missione di Gambo, quando andava a visitare le famiglie cristiane e i lebbrosi della missione, pregando con loro e dando loro conforto.

Diminuzione del numero di fratelli IMC

Ho chiesto la sua opinione sul motivo della diminuzione dei fratelli IMC. All’inizio sembrava immerso nei suoi pensieri, poi ha sottolineato come la maggior parte dei fratelli è in età avanzata e in tanti sono morti, e d'altra parte che sono pochi coloro che aspirano a diventare fratelli.

Ha inoltre osservato come la società ha contribuito notevolmente alla diminuzione di questa vocazione, nel senso che, ciò che i fratelli facevano come specialisti qualificati, ora ci sono molte persone che sono qualificate nello stesso campo. Ma non ritiene che questa sia la vera ragione. Ha tristemente osservato come alcuni fratelli ritengono che i sacerdoti siano contrari alla vocazione di fratello, e che alcuni sacerdoti incoraggeranno i giovani a farsi sacerdoti piuttosto che incoraggiarli alla vocazione ad essere fratello.

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I partecipanti al corso G50 presso la casa del Fondatore a Castelnuovo don Bosco. Foto: Orlando Hoyos

Il suo incoraggiamento

Fratel Vincenzo è fermamente convinto che la vocazione alla fratellanza sia ancora molto buona e nobile, che serve molte persone nella società in moltissimi campi diversi. Tuttavia, a causa delle competenze e della professionalità coinvolte in questa vocazione, scoraggia l'aspetto dei giovani che preferiscono il denaro al servizio che offrono all'umanità. Questa avidità di denaro e posizioni ha reso il mondo simile a un gioco di combattimento per la sopravvivenza.

Per avere più vocazioni, egli consiglia che noi come famiglia della Consolata (fratelli, sacerdoti, suore e missionari laici) dovremmo incoraggiare e motivare i giovani in formazione. Si dovrebbe propagandare di più questa vocazione ad essere fratello e mostrare ai giovani che questa vocazione è ancora rilevante nella Chiesa, così facendo da rendere apprezzabile questa  vocazione ai giovani in formazione.

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Fratel Vincenzo ha sottolineato come tutti i professi dovrebbero riconoscere e apprezzare la bellezza della vita comunitaria e della fratellanza propria della vocazione a fratello. Con le sue parole conferma che "certamente la vocazione a fratello non ti rende ricco, ma ci sono più vantaggi e gioia nell'essere un fratello rispetto ai pochi svantaggi che accompagnano questa vocazione".

Fratel Vincenzo ha concluso dicendo che, nonostante la sua età, si sente ancora più realizzato e felice come fratello religioso e non ha rimpianti nel continuare a seguire questa vocazione. Se potesse tornare giovane e avere la possibilità di scegliere, sceglierebbe ancora di essere un fratello religioso della Consolata.

Attualmente, il fratello lavora nella missione di Modjo assieme altri membri della comunità.

* Padre Edgar Nyangiya, IMC, missionario in Etiopia.

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 Chiesa nella missione di Modjo in Etiopia

Un sì per sempre. Sei giovani missionari della Consolata, provenienti dal Kenya, Uganda e Colombia, si apprestano a vivere due momenti fondamentali del loro cammino vocazionale. Il 6 dicembre 2024, nella chiesa di Corpus Domini a Porta Pia, emetteranno i voti perpetui, consacrando per sempre la loro vita a Dio e alla missione.

Il giorno successivo, il 7 dicembre, saranno ordinati diaconi da Monsignor Ignazio Sanna durante una celebrazione che si terrà alle ore 10:30 presso la parrocchia Natività di Maria a Roma-Bravetta. Saranno giornate di grande gioia e significato per la famiglia dei Missionari della Consolata e per l’intera Chiesa. 

I voti perpetui rappresentano uno dei momenti più solenni e significativi nella vita di un missionario. Questi sei giovani consacreranno la loro vita a Dio, abbracciando con totale dedizione i consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza. In particolare, nella famiglia dei Missionari della Consolata, i voti perpetui sono un atto di amore e di fiducia, un sì definitivo alla missione universale di portare il messaggio del Vangelo ai popoli di ogni cultura e nazione. Questo impegno non è solo una scelta personale, ma anche un dono alla Chiesa, che si arricchisce della testimonianza di uomini e donne pronti a vivere per gli altri, specialmente per gli ultimi e i più bisognosi.

Il diaconato: una vita di servizio

Il giorno seguente, l’ordinazione diaconale segnerà un ulteriore passo nel loro cammino vocazionale. Il diaconato, infatti, è un ministero di servizio che richiama profondamente la missione stessa di Cristo, che "non è venuto per essere servito, ma per servire" (Mc 10,45). Come diaconi, i sei missionari saranno chiamati a proclamare il Vangelo, assistere il popolo di Dio nei sacramenti e testimoniare la carità cristiana attraverso un servizio concreto alle comunità che saranno loro affidate.

Questo ministero, seppur transitorio prima dell’ordinazione sacerdotale, è un momento fondamentale per comprendere e vivere il cuore della missione. I diaconi sono chiamati a essere segni visibili di Cristo servo, impegnati nel servizio alla Parola, all’altare e alla carità.

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Una chiamata universale alla missione

La provenienza internazionale dei giovani missionari – dal Kenya, Uganda e Colombia – sottolinea la natura universale della vocazione missionaria. I Missionari della Consolata, seguendo l’eredità di San Giuseppe Allamano, loro Fondatore, si dedicano all’annuncio del Vangelo nelle periferie del mondo, superando confini culturali, geografici e linguistici. La loro testimonianza di vita è un richiamo alla bellezza di una Chiesa missionaria, chiamata a essere segno di speranza per l’umanità.

Questi momenti di grazia ci ricordano l’importanza della preghiera e del sostegno della comunità cristiana. La Chiesa si unisce in gioia per celebrare questi passi fondamentali nel cammino vocazionale di questi giovani. Possano il loro sì essere luce per il mondo e strumento di pace e amore, secondo la missione che Cristo stesso ci ha affidato.

* Fratel Adolphe Mulengezi, IMC, studia Comunicazioni Sociali a Roma.

Sono passati 60 anni dalla fondazione della diocesi di Marsabit avvenuta il 25 novembre del 1964, sotto la guida del vescovo Mons. Carlo Cavallera, missionario della Consolata.

Per questa occasione giubilare la chiesa di Marsabit insieme a tanti amici, venuti da vicino e da lontano, in una giornata piovosa (segno di benedizione), il 23 novembre 2024, si è radunata attorno al suo pastore, il vescovo Mons. Peter Kihara per ringraziare a Dio per le grandi cose che il Signore ha fatto e continua a fare nella storia di questa chiesa e in questo angolo del nord Kenya detto anche the Northern Frontier District.

La liturgia ben curata e animata con canti, balli e danze fatte da piccoli e grandi, si è svolta nel piazzale della Cattedrale sotto un grande tendone montato per l’occasione. La partecipazione attiva di tutti ha reso la ceremonia tutta particolare.

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Mons. Antony Muheria, arcivescovo di Nyeri, ha presieduto la concelebrazione insieme a Mons. Peter Kihara vescovo di Marsabit, Mons. Peter Makau vescovo di Isiolo, Mons. Antony Ireri Mukobo vescovo emerito di Isiolo, Mons. Hieronymus Joya, vescovo di Maralal, Mons. Norman King’oo, vescovo di Machakos, Mons. Virgilio Pante, vescovo emerito di Maralal ed il vescovo emerito di Nyeri, Mons. Peter J. Kairo.

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Alla celebrazione hanno partecipato anche l'intera Direzione Generale dei Missionari della Consolata che si trova nel Kenya per il Consiglio di novembre, la Direzione Regionale IMC del Kenya-Uganda e circa 70 sacerdoti, diverse religiose e religiosi.

Pur celebrando 60 anni di fondazione della diocesi, va ricordato che in questo territorio, i semi del Vangelo e la presenza del cristianesimo risalgono ad anni più lontani, perché già nel 1914, quando i missionari cattolici arrivavano a Moyale, vi trovarono una cappella dei protestanti evangelici ed in seguito anche la presenza della Chiesa cattolica.

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Mons. Peter Kihara il terzo vescovo alla guida della chiesa di Marsabit.

“Che cosa renderò al Signore per tutti i benefici che mi ha fatto? Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore” (Sal 116, 12-13). “Rendiamo grazie al Signore per le cose grandi che Lui ha fatto per noi”, ha sottolineato nel suo discorso Mons. Peter Kihara il terzo Pastore alla guida della chiesa di Marsabit, da ormai diciotto anni. “È un momento di gioia e di gratitudine al Signore, del grazie ai giganti nello Spirito: i missionari e missionarie di varie congregazioni e Fidei Donum, i catechisti, i benefattori e laici impegnati a vivere la loro fede”.

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I frutti che oggi si vedono e raccolgono vengono dai sacrifici, dalla dedizione e zelo missionario di tantissime persone. Tra tutti questi, vanno ricordati in particolare, i laici Paolo Valle che la provvidenza aveva mandato a Marsabit (nel 1948) ed Elias M’Ategi. Essi sono “considerati i fondatori provvidenziali della Chiesa cattolica” a Marsabit. Erano i responsabili della preghiera e della catechesi nell’unica cappella di Marsabit. In seguito, arrivarono anche i missionari Carlo Andrione, Paolo Tablino e Bartolomeo Venturino.

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Marsabit come diocesi, nasce nel 25 novembre del 1964, staccandosi dalla diocesi di Nyeri. Mons. Carlo Cavallera, che era vescovo di Nyeri, assunse la nuova diocesi portando con sé alcuni missionari della Consolata.

Il Concilio Vaticano II ha avuto un ruolo determinante per la fioritura di questa diocesi, perché con l’Enciclica di Papa Pio XII, Fidei Donum, diverse chiese iniziarono ad inviare i loro missionari in queste zone. A Marsabit iniziarono ad arrivare i sacerdoti della diocesi di Alba (Italia), della diocesi di Augsburg in Germania, della diocesi di Murang’a in Kenya e dalle diocesi di Iasi e arcidiocesi di Bucarest tutti due in Romania. Questa presenza è stata anche arricchita da altri missionari, oltre a quelli della Consolata, che hanno dato forza nel lavoro di prima evangelizzazione, sono missionari Comboniani, Benedettini, Salesiani. In seguito, sono arrivate anche altre congregazioni. Il primo sacerdote diocesano è stato ordinato nel 1993. Attualmente ci sono 18 sacerdoti e 3 suore del posto.

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La diocesi di Marsabit è composta di 14 gruppi ed etnie differenti. Le più grandi sono quelle dei Turkana, dei Samburu, dei Rendile e dei Gabbra. Conta con 50.000 battezzati, 18 sacerdoti diocesani, 12 missionari Fidei Donum, 13 missionari di Istituti religiosi, 44 consacrate e 3 fratelli, tutti impegnati nelle 17 parrocchie e un’altra ancora che sarà aperta prossimamente. Sono poche parrocchie, ma molto lontane l’una dall’altra. Quella più lontana dista circa 400 km dalla sede vescovile, con strade deserte e sovente difficili da percorrere. Nonostante tutto però, la diocesi non si stanca mai di essere una presenza luminosa, dando vita e speranza, servendo la gente negli ambiti della educazione, della salute, della promozione umana e con precorsi di pace.

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Nell’occasione, la diocesi ha anche inaugurato e benedetto la nuova struttura del Segretariato diocesano e la residenza vescovile, un passo importante nello sviluppo della chiesa locale. Nell'ambito della celebrazione di questo anniversario giubilare, la chiesa locale sarà arricchita da quattro ordinazioni sacerdotali che avranno luogo nei prossimi giorni.

In questi 60 anni di storia, la diocesi è stata guidata da tre pastori, tutti missionari della Consolata. Il primo è stato vescovo Carlo Maria Cavallera (1964 - 1981), il vescovo Ambrose Ravassi (1981 - 2007) e l’attuale vescovo Peter Kihara.

* Padre Godfrey Msumange, IMC, missionario in Inghilterra.

Alcone foto della celebrazione (Foto: Martin Ndumia)

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 La presenza della Direzione Generale IMC

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La inaugurazione della nuova struttura del Segretariato diocesano e la residenza vescovile

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