Momento di vita" è questa la ricchezza
partire, starci e veder la bellezza
di volti, di sguardi e di sorrisi,
di vite, di storie e cammini condivisi

Ed eccoci qua, undici avventurieri
ritornare indietro non come ieri.
Qualcosa è entrato di grande nel cuore
brivido, gioia, dolore e bagliore.

Tutto è partito da padre Francesco
che col suo input come un affresco
qui ci ha accolto e tutti ci invita
ad assaporare un "momento di vita".

Dopo di lui, con grande energia
ecco Patrik e la sua simpatia
col suo " Allora ragazzi, tutto è a posto?"
"Certo, siam qui", ciascuno ha risposto!

E di padre Edween che possiamo dire?
Tranquillo, pacato e dolce è il suo agire,
sempre sul campo, col suo PC
accoglie tutti sia la notte che il dì.

Ogni ospite che giunge, qui avventuriero
è per noi un regalo davvero!
Dal Sudan,dal Niger o da altra nazione
alla mia vita chiede qualche ragione.

Che dice Nicola dall' alta sua vetta?
Di gustare la vita ha proprio gran fretta.
Lui corre, pensa e non sta fermo un momento
fra scout e calcetto ha un gran movimento.

De Rroma o lì intorno la bella Anita
la vita zociale se l'lè ben gestita
ha pagato il suo dazio il primo giorno
Poi tutto tranquillo ora lì intorno.

Compagna di banco, nonché di avventure
Giulia sorride con ore un po' dure,
poi via libera, stomaco ochei
ma senza la carne è meglio, direi.

Vittoria è allegra, profonda e attiva
già dei Balcani conosce la riva,
ora è più dentro al tema dei viaggi
e alle storie di tanti miraggi.

Elena, dolce, carina e solare
è sempre pronta ad intavolare
che siano discorsi, oppure giochi
lei volentieri si mette tra i fuochi.

Camilla, Camilla buona e silenziosa
si butta su tutto ed è generosa.
ha trovato canzoni, ha tanta pazienza
di viaggi è esperta, non si può far senza.

Accio Accio, non voglio scordare
lui c'è sempre a partecipare,
Il suo sorriso è sempre radioso
il suo fare sempre gioioso.

Ivan il grande, di nome e di fatto
ha ben sopportato il caldo misfatto
ora lui torna fra i suoi avventurieri
carichi sempre di tanti misteri.

Lasciamo alla fine Don Fabio e don Enrico
è tanto quel che ci han elargito,
compagni di viaggio e guide speciali,
con loro davvero puoi mettere le ali.

Ed io, che dire? Mi sento assai grata
per dove alla fine sono arrivata:
scoprir vite forti, tenaci e belle
assai luminose come le stelle.

Ora il mondo prosegue e va avanti
e nuovi pezzi aggiungo ai Santi:
son questi padri e son questi amici
che fanno dei mondi un po' più felici.

* Diacono Ivan Bartoletti Stella, direttore della Caritas della Diocesi di Cesena.

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A pochi giorni dalla morte di decine di persone al largo delle coste ioniche, la denuncia della Chiesa locale contro l’anestesia delle coscienze e le politiche miopi ed inefficaci. Monsignor Fortunato Morrone, presidente della Conferenza Episcopale della Calabria: “All’Europa chiediamo una governance globale del fenomeno migratorio. L’accoglienza delle nostre strutture di volontariato sopperisce alle carenze delle nostre amministrazioni”

La voce della Chiesa calabrese torna ad alzarsi, sempre più forte. Questa volta per denunciare quella che i vescovi definiscono l’ennesima tragedia del mare anonima ed invisibile. Negli occhi hanno ancora le immagini del terribile naufragio di qualche giorno fa consumatosi a 120 miglia dalle coste ioniche e non possono dimenticare le decine di morti, tra cui molti bambini, e gli sguardi persi ed annichiliti dei superstiti sbarcati nel porto di Roccella. Sono di nuovo scioccati, i presuli, a tal punto che non esitano a gridare contro l’anestesia delle coscienze e contro misure politiche miopi ed incapaci di evitare simili tragedie.

Il veleno dell’assuefazione

Già, l’indifferenza. È uno dei mali che avvelena la politica, anche europea. Lo sostiene con vigore, monsignor Fortunato Morrone, arcivescovo di Reggio Calabria-Bova e presidente della Conferenza Episcopale calabra (Cec). “Queste stragi di migranti si ripetono con troppa frequenza e tutto ciò, purtroppo, crea assuefazione”, dice ai media vaticani. Poi, però, spiega che ad un certo punto l’indifferenza deve fare i conti con il mare che restituisce il suo carico di disastri. E di morti.

Ascolta l'intervista a monsignor Fortunato Morrone

Governance globale

I vescovi calabresi si auspicano che le dinamiche migratorie vengano presto gestite a livello globale da un'unica governance, perlomeno sul territorio europeo. “Lo scrive anche Papa Francesco in un intero capitolo dell’enciclica Fratelli Tutti”, afferma Morrone. E proprio all’Europa il presidente dell'episcopato calabrese ricorda che “l’umanità è sempre stata - e sempre sarà - in continuo movimento e dunque sul fronte migratorio appare inutile lavorare in emergenza. L’Europa deve essere una comunità di nazioni non di nazionalismi. Occorre uno sguardo politico di ampio respiro”.

Chiesa in prima linea

La complessa macchina dell’accoglienza che la Chiesa calabrese riesce a mettere in moto nei porti ogni volta che ci sono uomini, donne e bambini da soccorrere e sostenere testimonia l’impegno concreto di tanti volontari e volontarie che spendono la propria vita per essere fedeli al Vangelo. “A loro va tutto il mio grazie - aggiunge l’arcivescovo - perché portano speranza. Ma ci tengo a precisare anche un’altra cosa: il loro fondamentale lavoro sopperisce alle carenze delle nostre amministrazioni". E questa non è una cosa di poco conto.

*  Federico Piana - Città del Vaticano. Originalmente pubblicato in: www.vaticannews.va

Il racconto di Alex Zappalà, direttore del Centro missionario di Concordia-Pordenone (Italia), che ha guidato un gruppo giovanile a Oujda: "Viviamo in una parte di mondo in cui facciamo tante cose ma non abbiamo il tempo per stare accanto alle persone, la missione è questo. Troppe vittime di tratta, non possiamo più tacere". Padre Patrick Mandondo, missionario della Consolata: fasciamo le ferite di chi attraversa il confine, l'anno scorso 3.800 giovani, e salviamo i prigionieri dei trafficanti. "Venite a visitarci"

Fasciare le ferite di chi percorre i deserti inseguendo il sogno di una vita senza guerre, dittature, privazioni. È quanto da anni fanno i Missionari della Consolata che vivono a Oujda, la città marocchina più vicina, solo sette chilometri, al confine con l'Algeria. Un confine sanguinoso, irto di ostacoli per chi vuole oltrepassarlo, sul quale nel 1963 si consumò la famigerata Guerra delle Sabbie, uno degli apici di quell'antagonismo che separa ostilmente i due Paesi pur accomunati da molti elementi linguistici, religiosi, etnici. Differenze storiche, politiche e ideologiche dalla loro rispettiva indipendenza influenzano tutt'ora pesantemente i rapporti e a farne le spese sono proprio le persone migranti che tentano di risalire dalle regioni subsahariane verso la Spagna scegliendo, o costretti a scegliere, quella rotta in cerca di un futuro vivibile.

Lunghi cammini con i piedi rotti: l'arrivo a Oujda di migranti stremati

A gettare luce su una realtà di cui poco si parla è stato negli ultimi giorni Alex Zappalà, direttore del Centro missionario diocesano di Concordia-Pordenone che, su Popoli e Missioneha raccontato l'esperienza di accompagnamento, dal 21 al 29 aprile, di una quindicina di giovani del gruppo "Missio Giovani" fino a Oujda. Un viaggio di spiritualità missionaria a contatto con le vite stremate di persone che qui trovano un luogo di sosta, di cura, di ripartenza. Un viaggio di conoscenza sul campo dopo un anno di lavoro sui temi dell'accoglienza e della migrazione, che ha fatto riscoprire il vero senso della missione: "stare con", al di là del "fare".

Ascolta l'intervista ad Alex Zappalà

Quando Alex e i suoi ragazzi sono giunti a Oujda, un'ottantina di altri giovani africani erano presenti dai padri della Consolata. E subito è partito uno scambio, un ascolto di storie anche "impronunciabili", tanto il dolore. "Quasi tutti venivano anche da quattro anni di cammino, attraverso il deserto, o nelle prigioni della Libia. Ci hanno raccontato di violenze, abusi visibili dentro i loro occhi. C’era però anche tanta forza e desiderio di proseguire il viaggio per inseguire il loro sogno. Pochi fanno marcia indietro. Se tornano indietro è perché non hanno più soldi, per esempio. Oppure pensano che il loro sogno non è più alla propria portata".

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La missione tra i migranti aiuta a ricucire cicatrici . Vite che recuperano una dignità

C’è un continuo via vai, racconta Alex. I missionari stanno accanto ai migranti, li sfamano, li curano. Questi arrivano con gambe rotte, ferite. I religiosi, che sono aperti ad accoglierli 24 ore su 24, li portano in ospedale, se necessario. L’anno scorso sono passati da qui 3.800 persone, il 10 percento sono donne e bambini. Arrivano per lo più ragazzi maschi, minorenni non accompagnati e giovani. La maggioranza proviene dalla Guinea Conakry, circa il 60 percento. Poi arrivano dal Sud Sudan, costoro preferiscono intraprendere la rotta verso il Marocco pur di evitare la Libia. Arrivano anche da Camerun, Costa D’Avorio, Mali, Ciad, Burkina Faso. Alcuni anche dal Congo, dal Benin, dal Togo, dal Senegal. Chi ha attraversato la Libia, ha tentato più volte, è stato maltrattato nelle carceri, vittima di ogni genere di abusi. C'è chi ha provato la via verso la Tunisia, se falliscono quella tentano in direzione Marocco nella speranza di raggiungere Melilla, altra dura frontiera tra l'Africa e l'Europa.

Padre Mandondo: fasciamo le ferite e diamo un luogo di sosta

"Il nostro lavoro è di testimonianza cristiana e sostituisce la mancanza di operatori capaci di portare avanti questa realtà di accoglienza", spiega a radio Vaticana, padre Patrick Mandondo, IMC, parroco di San Luigi, responsabile della pastorale migratoria del Centro parrocchia Accueil migrants Oujda (AMO). Originario della Repubblica Democratica del Congo, si è specializzato in Teologia pastorale e Mobilità umana a Roma, dove nel 2020 è stato ordinato sacerdote.

Dal 2022 è in Marocco dove porta avanti, insieme ai suoi due confratelli, questo progetto assunto dalla diocesi di Rabat e avviato da un prete locale nel 2018. "È una esperienza molto ricca e sfidante - racconta - abbiamo pochi mezzi, viviamo di provvidenza e non abbiamo possibilità economiche adeguate, considerato che si tratta di un progetto che richiede molti soldi, fino a 300 mila euro l’anno". Spiega come tanti ragazzi arrivano con i piedi spaccati, "se un giorno venite a trovarci lo vedrete con i vostri occhi". 

Ascolta l'intervista a padre Patrick Mandondo

Per i minori soli i missionari hanno creato un programma di alfabetizzazione e per i più grandi uno professionale (elettricista, panettiere…). "Valutiamo caso per caso come aiutarli", afferma Patrick da questa città di transito dove, precisa, non ci sono strutture di accoglienza, né statali né delle associazioni. "Qui la Chiesa è proprio un ospedale da campo, come dice Papa Francesco. È una Chiesa che si apre alle sofferenze". Quella di San Luigi è l’unica parrocchia di una città di 600 mila abitanti, dove i cristiani non arrivano all'1 percento della popolazione. "La nostra piccola comunità è formata in maggior parte da giovani dell’Africa sub-sahariana venuti qua per studiare con borse di studio del Marocco. Frequentano la messa domenicale, quasi un centinaio, poi durante la settimana non li vediamo perché impegnati nelle loro attività. Noi dunque portiamo avanti il progetto con i migranti applicando il nostro carisma di missionari ad gentes. Per noi la promozione umana è molto importante". E insiste nel descrivere il confine tra i due Paesi, un fossato con due muri presidiati da ingenti forze di polizia che spesso usano violenza nei confronti di chi intende attraversarli. 

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 Vite che non ce la fanno. La missione non è solo 'fare', è soprattutto 'stare accanto'

I missionari sfidano le insidie e i ricatti della tratta

"Ci raccontano le difficoltà vissute, come hanno attraversato il deserto, come sono stati venduti da trafficanti, deportati nella foresta abbandonati a se stessi, depredati di tutto, privati di cibo e acqua. Raccontano in lacrime questi ricordi", prosegue Patrick che insiste sul rischioso lavoro che i religiosi fanno per salvare i migranti dalle minacce dei trafficanti. "Noi facciamo un lavoro molto pericoloso perché andiamo nei quartieri a liberare questi ragazzi maltrattati dai mafiosi". Racconta di persone al di qua e al di là dei del confine che prelevano questi ragazzi vittime di una vera e propria tratta. "Sono merce, valgono circa 300 euro a testa". Arrivati in Marocco vengono bloccati nelle "case" dei trafficanti i quali, riferisce Mandondo, cominciano a ricattare le loro famiglie di origine. Il sacerdote ricorda quando una volta ne ha quaranta di ragazzi lasciati in una stanza di tre metri per quattro. Una volta intercettati, i religiosi cercano di fare un'opera di mediazione non senza il rischio di essere picchiati. "Spesso capita. Alla fine riusciamo". L’appello che il parroco fa alla comunità internazionale è di non considerare la migrazione come un problema. "La gente non cerca di sapere perché la gente si muove. Dobbiamo andare alla radice delle questioni. Dobbiamo dare dignità".

Zappalà: assicurare canali regolari di migrazione

Su questo impegno di ridonare una dignità persa insiste molto Zappalà. "Questa cosa ci ha spiazzato. Bisognerebbe creare, e non vale solo per l’Italia, dei canali regolari attraverso i quali questi ragazzi possano giocarsi una chance", sottolinea. "I visti o non ci sono o sono pochissimi. Sono persone dentro una tratta che sta facendo morti su morti. Non possiamo più tacere. Chiudersi per paura significa innazitutto perdersi la ricchezza dell’incontro con l’altro". E ricorda come i ragazzi ventenni e trentenni che ha guidato a Oujda abbiano potuto condividere i sogni dei loro coetanei. "Un giovane tra loro, Jacob, quattro anni di cammino alle spalle ha il sogno di fare lo chef. Non ha mai smesso di sorridere con noi pur raccontando il dramma del suo percorso. L’ultimo giorno, al momento dei saluti, si è tolto la maglietta con i colori della sua terra di origine, la Guinea Conakry, e l’ha data a una ragazza dei nostri. 'Voglio che tu non ti dimentichi', le ha detto. Lei ha donato la sua felpa, era quella della Gmg in Portogallo. Da allora ci sono canali di comunicazione tra i giovani che sono diventati amici. 

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Dopo la sosta

La missione non è solo 'fare', è soprattutto 'stare accanto' 

"Se ci perdiamo l’umanità dell’altro allora non avremo più freno nello schiacciare un bottone e far saltare tutti per aria", conclude Alex che sintetizza il frutto più prezioso di questo viaggio. "Noi siamo partiti senza un progetto particolare da fare. Ma siamo stati con loro. Spesso alla parola missione associamo solo la dimensione del ‘fare’. Ma lo ‘stare’ vale ancora di più, anche quando non puoi fare nulla. Viviamo in una parte di mondo in cui facciamo tante cose ma non abbiamo il tempo per stare accanto alle persone. Le nostre giornate sono scandite, fin da piccolissimi, da agende pienissime. Abbiamo perso il gusto di stare e raccontarci, di incrociare lo sguardo dell’altro".

Alex osserva come l'esperienza alla frontiera abbia fatto riscoprire il valore profondo dell’umanità. "Non è una lettura 'moderna' del Vangelo, questa, è sempre stato così al tempo di Gesù che chiedeva appunto di ‘stare con’, di mettere al centro l’altro per avere uno sguardo più tenero. Che loro possano credere - è il suo auspicio - che da questa parte di mondo non è vero che ci sono solo persone che non ti vogliono ma che ci sono persone che si aprono. La paura porta solo distorsione della verità. C’è una parte di mondo di cui ci possiamo ancora fidare e che deve vincere in qualche modo: è il profumo del Regno di cui ci ha parlato Gesù".

* Antonella Palermo Fonte - Città del Vaticano. Pubblicato originalmente in: Vatican News

Il 24 marzo si celebrerà nella Chiesa italiana la 32esima edizione della Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri, appuntamento istituito nel 1993 dal Movimento Giovanile Missionario della direzione nazionale italiana delle Pontificie Opere Missionarie.

Quest’anno lo slogan scelto da Missio Giovani (settore della Fondazione Missio che si occupa dell’animazione di quest’iniziativa) è “Un cuore che arde”, espressione che riprende il tema della Giornata missionaria mondiale dell’ottobre scorso. Il riferimento è al brano dei discepoli di Emmaus che ha guidato la riflessione durante lo scorso Ottobre missionario.

Per celebrare questa Giornata sono disponibili vari materiali prodotti da Missio. Qui è possibile visionarli e scaricarli.

Progetto di solidarietà

In occasione della Giornata dei Missionari Martiri 2024, Missio, organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana, presenta il progetto "Accoglienza Migranti Oujda" – A.M.O. gestito dai Missionari della Consolata per far fronte alla situazione di estrema vulnerabilità in cui si trovano giovani, donne e minori che hanno appena varcato il confine.

Presenti nella diocesi di Rabat dal 2021, i Missionari della Consolata lavorano nella parrocchia San Luigi che accoglie persone migranti che attraversano la frontiera tra Algeria e Marocco nel progetto chiamato "Accoglienza Migranti Oujda" - A.M.O.

Video presenta il progetto "Accoglienza Migranti Oujda" in Marocco

 

I giovani, le donne e i minori, accompagnati o non accompagnati, arrivano al Centro di accoglienza in condizioni davvero fisiche e psicologiche estreme. Attraversano il confine, chiuso al transito delle persone, nascosti in nascondigli a cielo aperto, fino al momento opportuno.

Il periodo più favorevole è l'inverno, quando il freddo e le tempeste di sabbia rendono più debole il controllo della polizia. Questo genera casi di ipotermia, disidratazione e stress estremo. A ciò bisogna aggiungere che l'attraversamento degli ostacoli presenti sulla linea di confine (recinzioni, fossati, inseguimenti della polizia), provoca molteplici problemi traumatici, talvolta dovuti anche alla violenza degli agenti di frontiera. Oltre alle problematiche fisiche, i migranti arrivano in preda a seri problemi psicologici a causa degli stress vissuti durante la traversata. Le donne, durante il viaggio, subiscono ogni tipo di abuso e stupro. Una percentuale molto alta è incinta o viaggia con bambini molto piccoli.20240320GMM

In questo contesto drammatico, otto anni fa fu creato il progetto A.M.O. mettendo a disposizione i locali della parrocchia San Luigi, facendola diventare un vero e proprio Centro di accoglienza.

Quando le persone arrivano, viene loro consegnato un kit igienico (materiale per lavarsi) e un kit di indumenti, viene offerta loro una doccia calda e un posto dove riposare. Successivamente iniziano le pratiche di registrazione. Poiché i posti sono molto limitati, è stabilito che venga data priorità a coloro che necessitano di assistenza medica urgente come donne e minori.

L'équipe di lavoro che coordina l'A.M.O. è composta dai Missionari della Consolata, (P. Francesco Giuliani, P. Patrick Osaleh Mandondo e il P. Edwin Duyani), due suore che si prendono cura delle donne e dell'educazione, un membro della chiesa protestante che coordina il centro con i cattolici, diventando così un centro ecumenico, due giovani residenti che si occupano dell'accoglienza dei nuovi arrivati e dell'organizzazione tecnica nel Centro (manutenzione, cucina, pulizia, ecc.), un giovane residente che si occupa dell'amministrazione interna e due medici.

Per saperne di più sul progetto e su come effettuare una donazione, cliccate qui.

Aiutiamo i Missionari della Consolata ad aiutare, giovani, donne e bambini, nel loro difficile percorso migratorio, così potranno trovare uno spazio sicuro in cui fermarsi lungo il cammino verso un futuro più sereno. Dal punto di vista amministrativo noi calcoliamo che il Centro di accoglienza A.M.O. abbia bisogno di 15 € al giorno per migrante per potersi sostenere. Costo totale del Progetto € 10.000.

COME DONARE
MODULO DI DONAZIONE ONLINE: www.missioitalia.it
BONIFICO BANCARIO: Missio - Pontificie Opere Missionarie IT03N0501803200000011155116 Banca Popolare Etica
BOLLETTINO POSTALE: Missio - Pontificie Opere Missionarie Via Aurelia 796 00165 Roma - CCP n° 63062855
CAUSALE: Progetto 95 – MAROCCO

Fonte: MISSIO - organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana

La Chiesa deve essere accogliente e caritatevole verso tutti gli esseri umani, soprattutto quelli più bisognosi come i migranti. Non basta avere un buon cuore per aiutarli. Per integrare questi fratelli e sorelle, è necessario avere buone capacità di riflessione per comprendere questa realtà e non cadere nel pregiudizio.

I flussi migratori sono un fenomeno spesso causato dalla mancanza di risorse, instabilità sociale ed economica, esigenze demografiche e politiche, conflitti e povertà. Il fenomeno è sempre esistito in ogni epoca, ma ha assunto caratteristiche e dimensione specifiche ai nostri giorni. È una realtà di cui a volte non ci rendiamo conto di tutte le sue implicazioni.

L'immigrazione, nel contesto del mondo globalizzato, implica l'inevitabile contatto tra culture, che crea nuove opportunità di incontro tra popoli diversi e inizialmente estranei gli uni agli altri. Ma non dobbiamo dimenticare che ci sono anche sfide implicite in questa diversità. Una delle sfide più grandi è la paura dell'altro. Nelle nostre società di oggi, e purtroppo alle volte anche nella Chiesa, c'è questa paura, che dà origine a un crescente sentimento di sospetto e di stereotipi nei confronti degli immigrati.

Il fenomeno migranti ha tuttavia aperto nuovi spazi ecclesiali verso una pastorale specifica di settore e per questo è necessaria una nuova capacità di analisi della realtà migratoria prendendo in considerazione i meccanismi perversi che generano questa sofferenza.

Questo è quindi il primo atto di solidarietà con i nostri fratelli e sorelle migranti. Per questo dobbiamo essere consapevoli che le improvvisazioni più frutto di emozioni momentanee che di serie analisi non sono sufficienti a gestire situazioni complesse che creano discriminazioni, pregiudizi e stereotipi. Ciò che serve oggi è la competenza e lo studio approfondito e critico di questa realtà e non solo nel senso di uno studio accademico, ma di uno studio che si basa su fatti concreti, realtà evidenti, cioè di una buona lettura dei "segni dei tempi".

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"I flussi migratori sono un fenomeno spesso causato dalla mancanza di risorse",  dice  Padre Patrick Mandondo, IMC

Non dobbiamo dimenticare che tutta l'attività della Chiesa è espressione di un amore che cerca il bene integrale di ogni persona. L'incontro tra immigrati e popolazioni residenti serve oggi a mettere in pratica un nuovo e rinnovato modo di evangelizzare. L’opportunità di questo grande incontro deve farci sentire la necessità di una nuova evangelizzazione.

Il centro di attrazione di questa nuova evangelizzazione sono i poveri e gli emarginati, compresi i migranti e i rifugiati. Queste nuove fragilità sono un luogo di evangelizzazione e di lavoro missionario. Evangelizzare nell'era delle migrazioni significa anche raggiungere coloro che non condividono la fede cristiana. In altre parole, persone di altre religioni che non hanno ancora incontrato Gesù Cristo o che lo conoscono solo parzialmente. Ma questo deve essere fatto con il rispetto dovuto a tutti e con la prudenza che tali situazioni richiedono. L'annuncio può talvolta non essere ben accolto, ma ciò che più conta è trovare valori comuni da condividere, in vista della difesa e promozione della vita.

*  Padre Patrick Mandondo, IMC, lavora con la Pastorale dei Migranti a Oujda, Marocco. Articolo pubblicato in www.fatimamissionaria.pt

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