La città di Puyo nell'Amazzonia ecuadoriana, fra il 10 e il 12 febbraio, ha ospitato l'ottavo Incontro e Festival della Gioventù Amazzonica, con il seguente motto: "Giovani, alzatevi e, con Maria, evangelizzate l'Amazzonia".
Si sono riuniti giovani cattolici proveninenti dai cinque vicariati amazzonici dell'Ecuador: Sucumbíos, Aguarico, Napo, Puyo e Méndez, con l'obiettivo di far nascere in questo momento festivo e comunitario un incontro personale con Cristo per mezzo della formazione, la condivisione fraterna, la preghiera e la celebrazione dell’eucaristia. Si è visto come importante il riconoscimento della propria identità amazzonica per intraprendere un cammino di evangelizzazione e di testimonianza dell’amore di Dio in questa regione del paese.
Il festival si è celebrato la prima volta nella stessa città di Puyo nel 2004 con il motto: "Giovani vivete la vostra fede con Cristo" e da quel momento, con una cadenza di 3 o 4 anni, ci sono stare altre celebrazioni: nel 2007 a Sucumbíos con il motto "Giovani amazzonici in missione con Cristo"; nel 2009 nel Napo al grido di "giovani missionari e discepoli di Gesù"; nel 2014 nel Vicariato di Aguarico guidati dalla frase "sono giovane Signore e non ho paura delle difficoltà per lottare per la giustizia"; nel 2016 ancora una volta Sucumbíos con l’espressione "quant’è bello essere misericordiosi" e nel 2019 nuovamente nel Napo con il motto "i giovani con fede e gioia danno vita e difendono l'Amazzonia". In quell’ultima occasione la partecipazione era stata davvero significativa: 600 giovani amazzonici. Dopo la pausa obbligata dal Covid siamo arrivati all’appuntamento 2023.
Gli obiettivi dell'ottavo festival giovanile sono stati quelli di conoscere la realtà delle situazioni vissute dai giovani dell'Amazzonia e le sfide che trovano nella società e nella Chiesa; rafforzare il loro incontro con Cristo per farli diventare protagonisti del rinnovamento della Chiesa della regione e approfondire in chiave amazzonica il tema proposto per la prossima Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona.
La metodologia utilizzata per la riflessione è stata quella del vedere, illuminare e agire. Vedere la realtà dell'evangelizzazione delle comunità indigene amazzoniche. Illuminare questa realtà con il magistero della Chiesa, specialmente le esortazioni apostoliche “Cristo Vive”, dedicata alla gioventù, e “Querida Amazonía”. L'azione poi si tradurrà in concrete attività di evangelizzazione organizzate nelle rispettive giurisdizioni invitando tutti a prendersi cura della Casa Comune e a valorizzare l'interculturalità dell'Amazzonia.
In questa celebrazione non hanno partecipato solo giovani amazzonici ecuadoriani ma anche, per la prima volta, giovani dell'Amazzonia colombiana. Era infatti presente una piccola delegazione della città di Florencia e di Cartagena del Chairá, che rappresentavano l’animazione Missionaria e Vocazionale dei Missionari della Consolata, dell'Arcidiocesi di Florencia e della Diocesi di San Vicente del Caguán.
L'obiettivo di questa presenza è stato quello di mostrare che in Amazzonia "i fiumi non separano ma uniscono"; che i giovani amazzonici ecuadoriani interagiscono con i giovani amazzonici colombiani; che l'Amazzonia è una sola nonostante i confini che cercano di dividerla.
Era anche l’occasione di articolare legami fra le diverse giurisdizioni ecclesiastiche amazzoniche per continuare a sognare insieme nella costruzione di una pastorale giovanile dal volto amazzonico.
Per i giovani colombiani presenti si trattava anche di imparare dall’esperienza consolidata dei giovani ecuadoriani. Le certezze e le sfide di questo incontro sono state molte: ispirati in Maria, che per prima si è messa in cammino, i giovani sono stati invitati a continuare a tessere legami di fraternità e identità nello spirito del Sumak kawsay, la “vita in pienezza”, un principio appartenente alla cultura indigena e anche recepito dalla costituzione dell’Ecuador.
Il prossimo appuntamento nel 2026 nella città di Macas, nel Vicariato Apostolico di Méndez.
P. Kim, nato il 19 dicembre 1973 a Geum San, provincia di GimJe (Corea del Sud), in una famiglia composta dai genitori Kim Ki Su e Jo Bok Yeo e da una sorella, è tornato in patria dopo dieci anni di lavoro missionario fra la Colombia e l’Ecuador. Ha rilasciato questi riflessioni al portale “Consolata America”.
Non è esagerato dire che i miei genitori mi hanno trasmesso la vocazione sacerdotale. Mio padre, che era un falegname, dopo il matrimonio si trasferì in un paesino dove vivevano dei pii cattolici che ha uno spazio particolare nella storia della chiesa cattolica coreana. Sono nato lì e quindi sono cresciuto in un ambiente molto religioso che ha anche prodotto non poche vocazioni sacerdotali e religiose. quando io avevo 8 anni tutti i membri della mia famiglia sono stati battezzati.
Ai tempi della scuola ero molto impegnato nella parrocchia ma non ero interessato a diventare sacerdote. Tuttavia, mi sono spesso interrogato sulla mia identità personale, su chi ero io. Era una domanda che non mi lasciava in pace.
Poco prima di entrare alla Consolata stavo lavorando nella Hyundai e ogni fine settimana andavo in discoteca con i miei amici... eppure, in un angolo del mio cuore, c’era un vuoto che non riuscivo a colmare fino a quando, un giorno, ho sperimentato un cambiamento interiore e da quel momento ho deciso di vivere una vita diversa. A 25 anni ho venduto la mia auto e il mio appartamento. I miei genitori, all'inizio, erano contrari perché ero l'unico maschio in famiglia ma sapevo che una nuova vita inizia sempre così: con decisioni radicali e superando questo tipo di avversità.
Con gli studenti del collegio Allamano (Bogotà)
Quando sono arrivato in Colombia non avevo mai vissuto a 2500 metri sul livello del mare e quindi ho fatto fatica anche ad adattarmi all'altitudine ma poi la lingua e la cultura sono stati l’impegno maggiore soprattutto quando, poco più di un anno dopo essere arrivato in Colombia, sono stato mandato alla pastorale indigena nella regione di Sucumbíos, in Ecuador. In quella missione è stato impegnativo adattarsi all'ambiente amazzonico, caldo e umido, e alla lingua e cultura indigena. Quel primo salto è davvero stato complicato e difficile anche se ha lasciato un segno nella mia vita missionaria; mi ha permesso di conoscere da vicino la ricchezza della cultura indigena e la gravità della deforestazione e dello sfruttamento ambientale.
Dopo l’esperienza di Sucumbíos ho lavorato per poco più di 3 anni come vice parroco nella parrocchia di “Nuestra Señora de Fátima” nella città di Manizales, nella bella regione del caffé situata nella regione occidentale della Colombia. Ho anche aiutato ad amministrare la casa “San José” che ospitava i nostri missionari anziani. Forse il periodo trascorso a Manizales è stato il mio periodo più felice.
Poi il 9 novembre 2019 sono andato a Puerto Leguízamo ancora una volta nella regione amazzonica, non lontano da Sucumbíos dove ero già stato ma in Colombia e non in Ecuador. Ho lavorato come vicario nella cattedrale e vissuto con intensità la fraternità con i missionari presenti in quella geografia, tra di loro anche il vicario apostolico Mons. Joaquín Umberto Pinzón.
Ho fatto del mio meglio e ho vissuto felicemente, ma onestamente non posso cancellare le brutte impressioni e il dolore che mi è rimasto nel cuore, quando ho visto da vicino la situazione di violenza che dilagava nella regione: innumerevoli persone scomparse o reclutate o uccise vittime dei conflitti socio-politici. Eppure la gente viveva tranquilla e come se nulla fosse accaduto. L'esperienza di tre anni a Leguízamo è per me come l'esperienza che fece Fëdor Dostoevskij quando trascorse quattro anni a Omsk.
Con il vescovo e membri dell'equipe missionaria in una comunità indigena di Sucumbíos
Ad essere sincero, sono molto felice di essere tornato nel mio Paese. Negli ultimi due anni mi sono successe molte cose. Dopo un incidente in moto a Leguízamo, un'operazione di rimozione della cistifellea per calcoli biliari e la morte dei miei genitori, ho sentito la necessità di cambiare il luogo della missione.
È stata un'esperienza preziosa in Colombia e credo che rimarrà per sempre nella mia memoria. Grazie a tutti i sacerdoti della Regione Colombia.
* Kim Myeong Ho è un missionario coreano della Consolata che ha trascorso 10 anni in Ecuador e Colombia.