Is 50, 5-9; Sal 114; Giac 2,14-18; Mc 8, 27-35

In questa domenica la liturgia ci presenta un episodio evangelico molto importante: Gesù chiede ai discepoli che cosa pensa la gente di lui, e poi che cosa pensano loro di lui; e dopo la confessione di Pietro annuncia la sua passione. Questo annuncio viene preparato dalla prima lettura, che è un oracolo del profeta Isaia sul Servo del Signore (Is 50, 5-9). La seconda lettura, tratta dalla Lettera di Giacomo (Giac 2,14-18), parla della fede che deve manifestarsi nelle opere.

Il Signore Dio mi assiste

Gli oracoli di Isaia sul Servo del Signore non parlano esplicitamente del Messia, per cui lasciano adito a varie interpretazioni. Tuttavia, annunciano una sorte dolorosa per il Servo del Signore: egli deve presentare il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che gli strappano la barba, non sottrarre la faccia agli insulti e agli sputi. La sua è una sorte veramente umiliante. Ma il Servo del Signore dice: «II Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso». In questa sorte umiliante il Servo del Signore è sicuro di essere assistito da Dio. Perciò non perde il coraggio, anzi mostra una straordinaria fermezza.

Chi dice la gente che io sia?

Dopo la prima parte della sua vita pubblica Gesù va nella regione  di Cesarea di Filippo, un territorio a nord-est della Palestina. Qui interroga i suoi discepoli: «Chi dice la gente che io sia?». Il suo ministero ha avuto un grande successo; egli ha parlato come nessun uomo ha mai parlato (cf. Gv 7,46) e ha manifestato al tempo stesso una bontà straordinaria e una potenza impressionante: ha accolto tutti i malati e ne ha guariti molti. Perciò la sua persona suscita molti interrogativi: la gente si chiede chi sia questo personaggio così potente e così buono.

I discepoli rispondono alla prima domanda di Gesù: per alcuni egli è Giovanni Battista risorto, per altri Elia - Elia, secondo il racconto biblico, non era morto, ma era stato assunto in cielo; quindi, ne era atteso il ritorno -; per altri uno dei profeti che ha avuto una sorte simile. La gente dunque è incerta sulla vera identità di Gesù.

Gesù allora rivolge una seconda domanda ai discepoli: «E voi  chi dite che io sia?». Pietro risponde: "Tu sei il Cristo». Guidato dallo Spirito Santo, Pietro riconosce che Gesù è il Messia, il re promesso della stirpe di Davide, il re che doveva essere Figlio di Dio. La reazione di Gesù a questa confessione di Pietro è inaspettatamente negativa. Egli accetta questo titolo, ma impone severamente ai discepoli di non parlare di lui a nessuno, di non dire a nessuno che egli è il Messia. Il motivo è lo stesso che, dopo la moltiplicazione dei pani, lo ha spinto a ritirarsi solo sulla montagna, rifiutandosi di diventare re (cf. Cv 6,15).

In effetti, l'attesa messianica nel popolo ebreo si manifestava allora in un modo che non piaceva a Gesù. Senza dubbio egli è  consapevole di essere il Messia, ma sa che la sorte del Messia non è quella immaginata dalla gente. La gente pensa al Messia come a un re trionfatore o, più esattamente, come a un personaggio che deve provocare un 'insurrezione, prendere il potere e liberare il popolo ebreo con la forza delle armi. Gesù non intende favorire questa immagine del Messia; perciò, vieta ai discepoli di rivelare che egli è il Messia: A questo punto egli comincia a insegnare che il Figlio dell'uomo deve molto soffrire. «Figlio dell’uomo» è un'espressione che Gesù usa spesso per designare sé stesso. È un titolo che non ha nulla di trionfalistico, ma che vuole semplicemente significare un uomo chiamato a una missione, senza quelle risonanze militari suscitale dal titolo di Messia.

Gesù afferma che il Figlio dell'uomo dovrà molto soffrire, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Fa questo discorso apertamente. Pietro allora lo prende in disparte e si mette a rimproverarlo. Pietro non accetta questa sorte umiliante per Gesù. Anche lui pensa a un Messia trionfatore non a un uomo riprovato dagli altri, che deve soffrire, essere accusalo, maltrattato e ucciso; perciò, non può accettare questa prospettiva.

La reazione di Gesù è decisa e severa. Pietro lo ha rimproverato; ora è lui che rimprovera Pietro e gli dice: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». I pensieri di Dio non sono come quelli degli uomini, come ci dice il profeta Isaia.

Nel caso di Gesù i pensieri di Dio vanno nel senso di dover affrontare una passione dolorosa e umiliante. Ma questa passione avrà effetti molto positivi, di salvezza per lutti gli uomini: effetti che non possono essere ottenuti per mezzo di un trionfo militare, con la forza delle armi. Questo è il progetto di Dio, che era stato già indicato, sia pure non in modo così esplicito, nelle profezie e, in particolare, nei canti del Servo del Signore.

Dopo l'annuncio della passione Gesù dà un insegnamento generale, valido per tutti quelli che vogliono diventare suoi discepoli: «Se qualcuno vuoi venire dietro di me, rinneghi se stesso prenda la sua croce e mi segua». Sono parole molto chiare, che cancellano tutte le illusioni di chi vuoi diventare discepolo del Messia per trionfare con lui e soddisfare le proprie aspirazioni umane spontanee. Gesù dice che bisogna rinnegare se stessi - quindi, rinunciare alle proprie aspirazioni umane di trionfo, successo e dominio, prendere la propria croce eseguirlo.

Poi dà una regola generale: «Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà». Per capire questo principio importante di Gesù, dobbiamo ricordare che la vocazione dell’essere umano è una vocazione all'amore: Dio, che è amore, ci ha creati per comunicarci il suo amore e renderei capaci di vivere nell'amore. Pertanto, la felicità dell'essere umano non si trova nell'egoismo, ma nell'amore. Chi vuoi salvare la propria vita, la perde, perché si mette sulla via dell'egoismo, e non può trovare in essa la vera gioia. Invece, chi accetta di perdere la propria vita per causa di Gesù e del suo Vangelo, la salva, perché si mette decisamente sulla via dell'amore: per amore del Signore accetta una sorte difficile, un combattimento duro; accetta di perdere la propria vita per amore, e così raggiunge la gioia perfetta e definitiva.

Dobbiamo tener sempre presente questo insegnamento di Gesù, perché la nostra tendenza spontanea è quella di cercare in maniera immediata la felicità, e quindi di metterei sulla via dell’egoismo, che non conduce alla vera gioia. Dobbiamo accettare sempre di perdere la nostra vita, cioè di rinunciare ai nostri interessi immediati, per cercare il regno di Dio, che è il regno dell' amore, della pace e della gioia.

Il discepolo missionario è quello che per fede, è consapevole di essere chiamato a perdere la propria vita per amore, e così ottenere la vera vita, la vera gioia e la felicità eterna.

* Mons. Osório Citora Afonso, IMC, è vescovo ausiliare dell’Archidiocesi di Maputo, Mozambico.

Is 35,4-7; Sal 145; Gc 2,1-5; Mc 7,31-37

La difficoltà e la resistenza da parte dei discepoli di accettare che la buona notizia, il messaggio di Gesù venga rivolto anche ai pagani viene dall’evangelista Marco narrato in un episodio che ha soltanto lui. È il capitolo settimo, versetti 31-37.

Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Basta guardare una qualunque carta geografica per vedere che è un itinerario assurdo, inverosimile, perché Gesù parte da Tiro, era già andato in terra pagana, va su al nord come possiamo vedere nella cartina geografica, a Sidòne, poi scende per andare al mare di Galilea, ma fa tutto un ampio giro passando per la Decàpoli, cioè le città pagane. Perché questo?

L’evangelista non vuole indicare un itinerario topografico, ma teologico: l’azione di Gesù, quella della buona notizia, abbraccia tutto il mondo pagano ed è qui che incontra la resistenza. In questo episodio l’evangelista, attraverso la figura del sordomuto, rappresenta la resistenza dei discepoli. Sono sordi, non accolgono il messaggio di Gesù e per questo non possono esporlo.

Gli portarono un sordo, non è muto, balbuziente, il riferimento è al profeta Isaia nel capitolo 35 dove si parla dell’esodo, della liberazione, e lo pregarono di imporgli la mano. Ebbene Gesù non impone la mano, la situazione è molto più grave e Gesù agisce quasi con violenza, lo prese in disparte, questa espressione “in disparte” delle sette volte che appare nel vangelo di Marco ben sei riguarda i discepoli. Quindi sotto la figura di questo sordo balbuziente l’evangelista intende rappresentare la resistenza da parte dei suoi discepoli.

Lontano dalle folle gli pose le dita negli orecchi, letteralmente gli infilò, cioè gli sturò le dita negli orecchi. Qui l’evangelista adopera il termine greco “ota” (fonetico) che indica proprio l’organo fisico, e con la saliva, la saliva si riteneva che fosse alito condensato ed era un’immagine dello Spirito, gli toccò la lingua. Guardando quindi verso il cielo, il cielo rappresenta la sfera divina, emise un sospiro, è solo qui nel nuovo testamento che Gesù sospira. È la resistenza, la fatica che Gesù fa per comprendere che il regno di Dio non riconosce confini, non innalza muri, ma apre le porte a tutti quanti.

Egli disse: Effatà. Quando nel vangelo di Marco vengono adoperate parole in aramaico, la lingua parlata a quel tempo, significa che l’episodio riguarda i discepoli di Gesù che erano di questa lingua, cioè, ed è un imperativo, apriti. L’imperativo è rivolto a tutto l’individuo: se era rivolto alle orecchie Gesù avrebbe dovuto dire “apritevi”, invece è l’uomo che si deve aprire completamente E subito, finalmente, gli si aprirono, e qui l’evangelista per orecchi non adopera il termine adoperato prima, ma un altro termine “acuai” (fonetico) che indica l’udito, la comprensione.

Era questo il problema, non era un problema fisico, era un problema di comprensione. Si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente, qui il riferimento è preso dall’evangelista dai capitolo 35 del profeta Isaia dove si parla della liberazione, dell’esodo dalla prigionia. Isaia scrive “Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchie dei sordi, allora lo zoppo salterà come un cervo e griderà di gioia la lingua del muto”. Quindi l’evangelista vede nell’azione di Gesù questa liberazione che lui porta.

E comandò loro, a questi portatori, di non dirlo a nessuno, ma più egli lo proibiva più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano, e qui la reazione è strana perché Gesù ha guarito un sordomuto, ma viene estesa a tutti, il plurale indica che riguarda i discepoli, ha fatto bene, il termine “bene” è preso dal libro della Genesi, della creazione, quindi si vede nell’attività di Gesù il prosieguo dell’azione creatrice del Padre, ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti. Quindi l’attività di Gesù è quella di liberare questi discepoli da questi pregiudizi nazionalisti, religiosi, che li chiudevano ai pagani. Ma perché Gesù proibisce? Per evitare un facile entusiasmo, il cammino sarà ancora lungo e Gesù più avanti li dovrà ancora rimproverare dicendo “Avete orecchi e non udite”, il cammino è lungo.

* Padre Alberto Maggi, OSM, Centro Studi Biblici G. Vannucci, a Montefano (Mc).

Dt 4,1-2.6-8; Sal 14; Gc 1,17-18.21b.22.27; Mc 7,1-8.14-15.21-23

La liturgia ci propone un insegnamento sulla religione autentica, sul rapporto tra religione e osservanze, tra religione e cuore. La prima lettura è un testo del Deuteronomio in cui Mosè fa l'elogio della legge e chiede che la si metta in pratica. La seconda lettura non parla della legge, ma della parola di Dio: questa parola, seminata in noi, non soltanto dev'essere ascoltata, ma anche messa in pratica; e la religione pura è una religione di amore, di attenzione e di aiuto alle persone bisognose. Nel Vangelo Gesù non parla di legge, ma di osservanze, di tradizioni, e ci dà un insegnamento molto importante.

Ascolta le leggi e le norme affinché le mettiate in pratica

Nella prima lettura ciò che si deve innanzitutto notare è che la legge è un dono di Dio. Per amore del suo popolo Dio gli ha dato una legge, che gli permette di trovare il suo autentico cammino di vita e di raggiungere la felicità. Le parole di Dio sono in primo luogo un dono, perché ci mettono in relazione con lui. Giacomo ci dice che la parola di Dio è anche sorgente di vita: «Dio ci ha generati con una parola di verità» (Gc 1,18). Perciò dobbiamo accogliere la legge di Dio e la parola di Dio con gratitudine e metterle in pratica.

Nell' Antico Testamento si insiste molto sulla necessità di adempiere la legge. Se essa non viene messa in pratica, non serve a nulla. Similmente Gesù nel Vangelo ci dice che chi ascolta la sua parola ma non la mette in pratica è come uno che costruisce la sua casa sulla sabbia, è un uomo stolto. Invece, è saggio colui che ascolta la sua parola e la mette in pratica; costui costruisce la sua casa sulla roccia, e può affrontare tutte le difficoltà della vita, perché la sua casa è ben fondata (cf. MI 7,24-27).Anche Giacomo insiste molto sulla necessità di mettere in pratica la parola di Dio. Dice ai fedeli: «Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi».

Noi dobbiamo fare un esame di coscienza per vedere come accogliamo la parola di Dio. Se l'ascoltiamo in modo distratto, superficiale, essa non ci servirà molto per la nostra vita. La nostra vita allora non andrà nella direzione giusta, non ci metterà in una relazione profonda con Dio, e anche le nostre relazioni con il prossimo saranno falsate. Dobbiamo invece accogliere la parola di Dio in modo da farla penetrare profondamente in noi e poi metterla in pratica nella vita concreta. I farisei avevano aggiunto molte osservanze alla legge di Mosè.

Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me

Nel brano evangelico di oggi Marco ci dice che essi criticavano i discepoli di Gesù perché alcuni di loro prendevano cibo con mani ritualmente impure, ossia con mani che non erano state lavate. Presso gli ebrei c'era l'usanza di lavarsi le mani prima di mangiare, anche se esse erano pulite; e questa osservanza, per i farisei, doveva essere praticata rigorosamente. Tutti gli ebrei, attenendosi alla tradizione degli antichi, praticavano molte osservanze di questo genere. Davanti a questa situazione, Gesù critica l'insistenza esagerata dei farisei sulle osservanze rituali, come se la cosa più importante nella vita fosse l'osservanza di tutti i precetti di purità legale e rituale. Egli fa notare che scribi e farisei trascurano il comandamento di Dio per osservare la tradizione degli uomini. E in un altro passo dichiara che essi trascurano la giustizia, la misericordia e la fedeltà, cose che sono molto più importanti di tutte le osservanze esterne.

Quando tutta l'attenzione è posta sulle osservanze esterne, è praticamente inevitabile che si pecchi contro la carità, perché si giudicano e si criticano gli altri che non si comportano secondo la tradizione. Invece, occorre osservare la legge nei suoi orientamenti più importanti. La legge di Dio va rispettata, ma dev'essere capita in profondità. Gesù ha dichiarato: «Non sono venuto per abolire, ma per dare compimento», e ha insistito sulle cose più importanti della legge. Poi Gesù dà un insegnamento che provoca stupore nella gente: Asco1tatemi tutti e intendete bene: non c'è nulla fuori dell'uomo  che, entrando in lui, possa contaminarlo: sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo. Secondo le tradizioni dei farisei, i cibi ritualmente impuri contaminavano l'uomo; si doveva essere molto attenti a rispettare tutte le regole di purità rituale, per non essere contaminati dai cibi. Per Gesù, invece, non è così; l'impurità più importante non è questa, ma «sono le cose che escono dall'uomo a contaminarlo".

Gesù spiega questa sua affermazione, che a prima vista può sembrare strana, dicendo che il cibo penetra non nel cuore, ma nel ventre e poi viene eliminato, e non contamina l'uomo. Invece, dal cuore degli uomini escono le cose cattive: «Dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: prostituzioni, furti, omicidi. adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo». La vera impurità è quella del cuore, che provoca i peccati più gravi.

Perciò Gesù esige da noi una religione del cuore, una religione che sia attenta non alla purezza esterna, rituale, ma alla purezza del cuore. Gesù è venuto proprio per renderci possibile questa religione del cuore, che è la religione vera. «Religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre - dice Giacomo - è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo.

Il discepolo missionario è quello che desidera di ricevere sempre meglio il Cuore nuovo che Dio ci ha preparato nel mistero pasquale di Cristo; di ricevere lo spirito nuovo, che è lo Spirito stesso di Dio, lo spirito di amore, che il Signore ci Comunica attraverso i sacramenti. È colui che sa vivere non una religione superficiale, fatta di osservanze esterne, ma una religione veramente profonda. Anche la nostra partecipazione alla Messa, se è intesa come un'osservanza esterna, non vale molto davanti a Dio.

* Mons. Osório Citora Afonso, IMC, è vescovo ausiliare dell’Archidiocesi di Maputo, Mozambico.

Gs 24,1-2.15-17.18; Sal 33; Ef 5,21-32; Gv 6,60-69

L’evangelista Giovanni registra con amarezza come il lungo discorso di Gesù nella sinagoga di Cafarnao, tutto incentrato sull’Eucaristia, sia stato un gran fallimento. Ridicolizzato dai capi religiosi che non capiscono come quest’uomo parli di mangiare la sua carne e bere il suo sangue, Gesù non viene compreso neanche dai suoi discepoli.

Scrive l’evangelista che “molti dei suoi discepoli dopo aver ascoltato dissero ‘questa parola è dura’”. Il termine tradotto qui con ‘duro’ è il greco ‘skleros’, che significa, cioè, quello che è insolente, quello che è offensivo. Cos’è questa parola dura?

Anzitutto il distacco che Gesù ha preso dalla tradizione dei padri, mentre i discepoli seguono i padri di Israele, Gesù invita a seguire il Padre, ma poi soprattutto hanno capito, loro che seguono Gesù per ambizione –ricordiamo che lo seguono perché vogliono che Gesù diventi il re del popolo –hanno capito che, se vogliono seguire Gesù, come lui devono farsi dono, devono farsi pane per gli altri. Questo ‘duro’ significa inaccettabile.

E quindi mormorano contro di lui. Hanno mormorato i giudei, mormora la folla e anche i discepoli mormorano contro Gesù.

Allora Gesù dichiara “questo vi scandalizza?” Lo scandalo è la morte del Messia. Non possono accettare un Messia che vada incontro alla morte e dice Gesù “se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dove era prima?”. La morte era considerata una discesa nel regno dei morti e la risurrezione una salita.

Ma per salire bisogna passare attraverso la morte, Gesù passerà attraverso la morte più scandalosa, più infamante, la crocifissione, riservata ai maledetti da Dio. Ed ecco l’indicazione importante e preziosa che Gesù dà, e l’evangelista ci sottolinea, sul significato dell’Eucaristia.

“E’ lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla”. Cosa vuol dire Gesù? Mangiare il pane, è il significato dell’Eucaristia, la carne, senza poi farsi pane per gli altri, questo non serve a nulla. Una partecipazione all’Eucaristia nella quale l’amore che viene ricevuto non si trasformi anche in amore comunicato, non serve assolutamente a nulla. Ma Gesù garantisce “le parole che io vi ho detto sono Spirito e sono vita”.

Chi accoglie questo pane e si fa pane per gli altri, scopre dentro di sé la potenza generatrice di queste parole che sprigionano energie vitali. “Ma tra di voi” aggiunge Gesù “vi sono alcuni che non credono”.

È il fallimento di Gesù, molti replicano che il suo discorso è duro, molti non credono, addirittura aggiunge “tra di voi c’è addirittura uno che mi avrebbe tradito”. Il fallimento totale di Gesù. Ma Gesù non intende cambiare il programma, anzi provoca i suoi discepoli “che da quel momento”, sottolinea l’evangelista, “tornarono indietro e non andavano più con lui”, Gesù non li rincorre.

Gesù è disposto a rimanere solo pur di non cambiare il programma, ma li provoca e dice ai Dodici “volete andare via anche voi?” Loro seguono Gesù per la propria convenienza, per la propria necessità e non hanno capito che invece per seguire Gesù bisogna proiettare la propria vita per il bene e la necessità degli altri. “Gli risponde Simon Pietro” – ricordiamo che questo discepolo si chiama Simone, ha un soprannome negativo, Pietro, che gli evangelisti indicano quando è in opposizione a Gesù.

Quando viene presentato con il nome e il soprannome significa che questo discepolo da una parte è d’accordo con Gesù e dall’altra no – “Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”.

Ecco Pietro, Simone ha compreso che le parole di Gesù che si sono fatte carne in lui sono quelle che comunicano la vita capace di superare la morte. Ma, ecco la parte negativa “noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”.

Il Santo di Dio è un’espressione che indica il Messia della tradizione che è apparso altre volte nei vangeli sempre in un contesto negativo, in Marco e in Luca, in bocca agli spiriti impuri o ai demòni e al Messia dell’aspettativa popolare, cioè quello che avrebbe dovuto restaurare la monarchia, quello che avrebbe dovuto dominare i pagani e soprattutto quello che avrebbe dovuto rispettare e imporre la legge. Questo è il Messia che Pietro desidera e questo sarà il motivo che lo porterà al suo tradimento.

* Padre Alberto Maggi, OSM, Centro Studi Biblici G. Vannucci, a Montefano (Mc).

Pr 9,1-6; Sal 33; Ef 5,15-20; Gv 6,51-58

Mentre, nella prima lettura, l’autore del libro del Proverbio ci parla della Sapienza che offre e invita a mangiare il pane e da bere il vino, “venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che ho preparato”,  la pagina evangelica è la continuazione del discorso di Gesù sul pane della vita eterna ove Gesù afferma: “Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno”. Questo è il pane vivo e vivificante, che comunica la vita stessa di Dio. Non si tratta di un pane materiale, che dà solo ciò che è necessario alla vita fisica, ma di un pane che dà la vita eterna.

Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato

Il protagonista della pagina del libro di Proverbio è la Signora Sapienza. La sapienza è personificata, è una donna che progetta ed agisce secondo una gerarchia di valore e con un obiettivo molto chiaro. È lei che si è costruita una casa; ha scolpito, le sette colonne; ha macellato il bestiame, ha mescolato; ha imbandito la tavola, ha mandato le ancelle e ha mandato a proclamare oppure ad invitare a mangiare e a bere. Lei ha preparato tutto ed ora invia le ancelle ad invitare tutti perche si preoccupa per loro, per il loro cammino e per il loro destino. Donna Sapienza ha di che preoccuparsi, perché in città si trova anche un'altra maestra, Donna Follia, che pure invita gli alunni alla sua anti-scuola, dove insegna il gusto del proibito e il fascino dell'insensato e, così facendo, conduce alla morte (9,13-18). L'invito della donna Sapienza è rivolto a tutti: degli ingenui e  degli inesperti: "Chi è inesperto e chi è privo di senno. Vuole significare che l’invito è rivolta alle persone che sono lontane dall’arroganza e di coloro che si illudono di sapere tutto. Questi devono prima essere disposti a lasciare la stoltezza e a seguire la “via della prudenza”. I “semplici” equivalgono ai “poveri” della letteratura biblica: sono i piccoli, gli umili, coloro che non vivono in schemi di orgoglio e autosufficienza e hanno sempre un cuore aperto a Dio e alle sue proposte."Chi è inesperto accorra qui!". A chi è privo di senno ella dice: "Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che ho preparato"». Si tratta del vino della Sapienza, che indica una via giusta per vivere in unione con Dio e per riuscire pienamente nella vita.

Egli, Cristo, vive in noi; egli si è ”costruita la sua casa”, cioè la Chiesa; casa che ha sette colonne, cioè i Sacramenti. Egli, nato sotto la Legge, ha celebrato l'antica Pasqua con banchetto di carni di agnello, mescendo vino, ma poi ha istituito una nuova celebrazione pasquale e ha mandato “le sue ancelle” a invitare tutti gli uomini: “Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato”. Tutti siamo invitati a mangiare un pane, che non è più pane, ma il suo Corpo, e a bere un vino, che non è più vino, ma il suo Sangue; ma per accedere a tale banchetto di vita bisogna abbandonare “l'inesperienza”, che nasce dalla volontà di essere lontani da Dio, per lasciarsi guidare dalla sua Sapienza, che dona l'esperienza della fedeltà, dell'amore di Dio: “Abbandonate l’inesperienza e vivrete”.

Chi mangia questo pane vivrà in eterno

Nel brano del Vangelo di oggi Gesù si presenta come il pane vivo disceso dal cielo, e afferma: “Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno”. Questo è il pane vivo e vivificante, che comunica la vita stessa di Dio. Non si tratta di un pane materiale, che dà solo ciò che è necessario alla vita fisica, ma di un pane che dà la vita eterna. Tutti noi desideriamo avere la vita eterna, superare la morte e raggiungere la felicità eterna nell'unione con Dio. Perciò abbiamo un bisogno assoluto di questo pane vivo e vivificante che è Gesù stesso. Non si tratta soltanto di mangiare la sua carne ma anche di bere il suo sangue: “ Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda ”. Gesu al fare riferimento alla sua carne vuole esprimere il suo essere umano che, facendosi carne, facendosi uno di noi, è venuto d darci esempio di come vivere: vedendolo concretamente attraverso dei suoi gesti concreti, le sue parole ed il suo modo concreto e reale di vivere, noi siamo invitati a prenderlo come modello. Il suo “sangue” invece fa riferimento alla sua passione e morte e ci porta a contemplare quel momento supremo in cui egli si è consegnato, fino all'ultima goccia di sangue, per amore. “Carne” e ‘sangue’ riassumono una vita vissuta nel dono di sé, dell'amore fino all'estremo; mostrano la realtà della sua incarnazione. Ora, è questa realtà che si è manifestata in ogni passo della vita di Gesù e, in modo radicale, sulla croce, che egli ci invita a “mangiare” e “bere”, cioè a “interiorizzare”, ad “assimilare” il suo modo di vivere. Egli non si presenta a noi come uno spirito che non ha carne e ossa, ma come il Verbo di Dio incarnato, che si è fatto nostro fratello, ha assunto la nostra natura umana, per trasformarla in mezzo per comunicare la vita eterna.

Gesù poi dice: “Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me”. Qui ci viene presentato l'aspetto dinamico dell'Eucaristia. Essa non è soltanto una relazione molto profonda con Gesù, ma una relazione che orienta tutta la nostra vita. Tutta la vita di Gesù era orientata verso il Padre. Egli ha vissuto veramente per il Padre. Non ha cercato la propria gloria, ma la gloria del Padre: non ha voluto fare la propria volontà, ma la volontà del Padre. Allo stesso modo, chi riceve l'Eucaristia ha una vita orientata verso Gesù. È una vita che cerca di compiere l'opera di Gesù, cerca di glorificare Gesù e, per mezzo suo, il Padre.

Il discepoli missionario, come l’ha ben detto Papa Francesco, è quello che si nutri del Vangelo e dell’amore dei fratelli. Infatti, “dinanzi all’invito di Gesù a nutrirci del suo Corpo e del suo Sangue, potremmo avvertire la necessità di discutere e di resistere, come hanno fatto gli ascoltatori di cui ha parlato il Vangelo di oggi. Questo avviene quando facciamo fatica a modellare la nostra esistenza su quella di Gesù, ad agire secondo i suoi criteri e non secondo i criteri del mondo. Nutrendoci di questo cibo possiamo entrare in piena sintonia con Cristo, con i suoi sentimenti, con i suoi comportamenti. Questo è tanto importante: andare a Messa e comunicarsi, perché ricevere la comunione è ricevere questo Cristo vivo, che ci trasforma dentro e ci prepara per il cielo”.

* Mons. Osório Citora Afonso, IMC, è vescovo ausiliare dell’Archidiocesi di Maputo, Mozambico.

Gli ultimi articoli

Visione ecclesiale sulla formazione dei consacrati

16-09-2024 I missionari dicono

Visione ecclesiale sulla formazione dei consacrati

“La vita consacrata è un segno visibile dell'azione dello Spirito Santo nella vita della Chiesa che di fronte a una...

Formazione: la motivazione e l’affettività

13-09-2024 I missionari dicono

Formazione: la motivazione e l’affettività

I formatori riuniti a Roma per il corso di formazione permanente, questo martedì 10 settembre, hanno avuto l’opportunità di confrontarsi...

Il Papa ai giovani di Singapore: siate coraggiosi, uscite dalle comfort zone

13-09-2024 Missione Oggi

Il Papa ai giovani di Singapore: siate coraggiosi, uscite dalle comfort zone

Francesco, come ultimo appuntamento del viaggio apostolico in Asia e Oceania, incontra i ragazzi di diverse fedi al Catholic Junior...

Kenya. Mons. Muheria sulle proteste dei giovani

13-09-2024 Notizie

Kenya. Mons. Muheria sulle proteste dei giovani

«La violenza non va bene, ma gridano contro la corruzione e per avere un futuro». Monsignor Anthony Muheria, arcivescovo metropolita...

Gruppo di formatori visita la comunità di Porta Pia a Roma

12-09-2024 I missionari dicono

Gruppo di formatori visita la comunità di Porta Pia a Roma

Il gruppo di formatori riunito a Roma per il corso di formazione permanente, questo sabato 7 settembre, ha visitato la...

XXIV Domenica del TO / B – “Tu sei il Cristo”

12-09-2024 Domenica Missionaria

XXIV Domenica del TO / B – “Tu sei il Cristo”

Is 50, 5-9; Sal 114; Giac 2,14-18; Mc 8, 27-35 In questa domenica la liturgia ci presenta un episodio evangelico molto...

Formazione all’Intelligenza emotiva

11-09-2024 I missionari dicono

Formazione all’Intelligenza emotiva

Il tema della formazione all’intelligenza emotiva, previsto nel programma del corso di formazione permanente per i formatori dell’IMC, è stato...

I quattro martedì dell’Allamano

11-09-2024 Allamano sarà Santo

I quattro martedì dell’Allamano

Pubblichiamo la prima conferenza di una serie di quattro incontri programmati dai Missionari e delle Missionarie della Consolata di Torino...

La dimensione umana della formazione

10-09-2024 I missionari dicono

La dimensione umana della formazione

All’inizio dei lavori nella mattina di sabato 7 settembre, padre Antonio Rovelli ha invitato a pregare per tutti i fratelli...

onlus

onlus