Noi abbiamo nel cuore il desiderio di continuare a promuovere l'azione missionaria della Chiesa nei luoghi in cui siamo stati chiamati a essere messaggeri della Buona Notizia di Gesù ma non è mai un cammino facile. Questo compito può essere portato avanti solo con la grazia dell'autore della missione e si fa in mezzo a tante sfide che il mondo di oggi deve affrontare.
Eppure, se allunghiamo un po’ lo sguardo "della mia comunità", la "mia parrocchia", la mia opzione o il mio servizio missionario corriamo il pericolo di farci contagiare da quella che il nostro confratello Leonel Narváez chiama “la maledetta rabbia" e che nasce dall'impotenza di non sapere essere missionari ad gentes in mezzo ai conflitti. A questo punto il passo è breve per arrivare, in un modo o nell'altro, all'indifferenza verso le sofferenze altrui o ad aspettare passivamente un cambiamento che non arriva mai.
Il rinnovamento della comunità auspicato dal cammino sinodale implica guardarsi intorno, scoprire i gesti di speranza che ancora ci accompagnano e da essi lanciarsi verso la novità del risveglio ecclesiale e umano di cui il mondo di oggi ha bisogno.
Mentre continuiamo a chiederci cosa intendiamo per “ad gentes” in questi tempi complessi, dobbiamo anche capire che la risposta molto probabilmente non ci arriverà da una riflessione illuminata o da una rivelazione divina, ma piuttosto dell'incontro autentico con i poveri del nostro tempo. In realtà se ciò che sono e ciò che faccio non definisce il mio Ad Gentes, dovrei, io e la comunità, cominciare a preoccuparmi.
Il cammino sinodale è parte della risposta che lo Spirito Santo continua a rivelarci attraverso il magistero di Papa Francesco; camminare insieme è un primo passo per ricomporre il corpo della Chiesa, dell'Istituto e della Missione. Ma poi il passo successivo è camminare gli uni verso gli altri affinché "l'incontro autentico con il fratello" diventi gesto sacramentale, fonte di grazia e forza per affrontare la novità della missione. Un sentito grazie a tutti i missionari e alle comunità che sanno sostenere con umiltà la nostra speranza quotidiana e che, in questo modo, ci incoraggiano a rimanere saldi nel nostro impegno missionario. La vostra comunicazione e condivisione ci rende artigiani della Buona Novella, tessuta nel quotidiano della nostra missione. Il Beato Giuseppe Allamano, nostro Fondatore, e la Madonna Consolata siano sempre con noi.
* P. Venanzio è superiore provinciale in Colombia (lettera alla comunità del bollettino Infomisión di Ottobre 2023)
Sono Efrenny Estefanía Chirinos, Missionaria Laica della Consolata. Ho sentito il mio cuore ardere, da quando ho preso coscienza di essere una figlia prediletta di Dio che mi ama, mi chiama e mi manda. È stato un tempo di grazia quello che mi ha permesso di scoprire me stessa parlando, leggendo ma soprattutto incontrando la persona di Gesù; è Lui che mi ha messa in cammino come missionaria.
Sono arrivata alla terra del popolo Warao poco più di un anno fa con il cuore in fiamme e i piedi sulla strada. Dopo l'incontro con Gesù, vivo questa esperienza tra i miei fratelli e sorelle Warao, nel Delta Amacuro, in particolare a Tucupita (Venezuela). Tra di loro ho scoperto che non è tanto quello che posso dare, ma che è molto di più quello che ricevo: la vicinanza, il contatto, l'innocenza, il sorriso, la gioia dei più piccoli –i primi del Signore che hanno sempre un gesto di generosità e di vicinanza condividendo perfino quello che non hanno–.
Ho sentito e sento la mano di Dio in tutto l'amore che vedo: nella ricchezza culturale dei popoli indigeni; nella bellezza di questa parte dell'Amazzonia con i suoi fiumi e i suoi tramonti. Da loro imparo come essere felici con poco perché per loro poco spesso è più sufficiente.
Come missionaria per grazia di Dio, godo del dono di sentirmi inviata in questi luoghi dove magari pochi vogliono venire. Mi rallegra l’accompagnamento quotidiano di giovani, l’energia e la dedizione delle donne e delle madri. Ho capito che la chiamata per noi battezzati è permanente e l'esperienza di questo sogno missionario, che è diventato realtà, sarà in me tutti i giorni della mia vita. Voglio vivere le parole del nostro fondatore Giuseppe Allamano che diceva: "Siate missionari nella testa, sulle labbra e nel cuore".
Continuo a sognare e a sforzarmi di essere una cristiana che, attraverso la Grazia dello Spirito Santo, vero protagonista della missione, possa sentirsi sempre di più innamorata di Gesù Misericordioso: il suo amore e il suo perdono –di cui faccio esperienza giorno dopo giorno– mi invitano ad essere fedele a questo mandato.
Anche se no mancano le umane paure, il cuore batte di emozione e di gioia, lo sento ardere mosso dalla fiducia in un cammino che condivido con altre persone e con una comunità. Questo è un sogno; i sogni ci spingono e ci fanno camminare; i sogni ci rendono consapevoli che è necessario rispondere con un "sì" convinto alla chiamata missionaria che ci invita a portare ovunque l'amore e la consolazione ricevuti da Gesù stesso, cercando di adempiere al mandato di andare e fare discepoli fra tutti i popoli (cf. Matteo 28,19-20).
Incoraggio coloro che hanno nel cuore questo desiderio e questo ardore missionario a compiere questo passo. Gesù ci aspetta sulla sua barca, non abbiate paura, è il Signore che guida i nostri passi! Con il cuore grato per coloro che mi sostengono con le loro preghiere, voglio ricordare queste parole di Marta Arrias: "Se ti sei appassionata per Lui e hai promesso che lo avresti seguito sappi che la tua vita non sarà mai più la stessa. Fate le valigie per il futuro, mettete la vostra vita sulle spalle, il vostro sogno sotto il braccio e partite".
*Efrenny Estefanía Chirinos è una laica Missionaria della Consolata.
Omelia della Santa Messa nella “Steppe Arena” (3 settembre)
«O Dio, ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz’acqua» (Sal 63,2). Questa stupenda invocazione accompagna il viaggio della nostra vita, in mezzo ai deserti che siamo chiamati ad attraversare. E proprio in questa terra arida ci raggiunge una buona notizia: nel nostro cammino non siamo soli; le nostre aridità non hanno il potere di rendere sterile per sempre la nostra vita; il grido della nostra sete non rimane inascoltato. Dio Padre ha mandato il suo Figlio a donarci l’acqua viva dello Spirito Santo per dissetare la nostra anima (cfr Gv 4,10). Tanti di voi sono abituati alla bellezza e alla fatica del camminare, azione che richiama un aspetto essenziale della spiritualità biblica, rappresentato dalla figura di Abramo e, più in generale, proprio del popolo d’Israele e di ogni discepolo del Signore: tutti, tutti noi infatti, siamo “nomadi di Dio”, pellegrini alla ricerca della felicità, viandanti assetati d’amore. Il deserto evocato dal salmista si riferisce, dunque, alla nostra vita: siamo noi quella terra arida che ha sete di un’acqua limpida, di un’acqua che disseta in profondità; è il nostro cuore che desidera scoprire il segreto della vera gioia, quella che anche in mezzo alle aridità esistenziali, può accompagnarci e sostenerci. Sì, ci portiamo dentro una sete inestinguibile di felicità; siamo alla ricerca di un significato e una direzione della nostra vita, di una motivazione per le attività che portiamo avanti ogni giorno; e soprattutto siamo assetati di amore, perché è solo l’amore che ci appaga davvero, che ci fa stare bene, che ci apre alla fiducia facendoci gustare la bellezza della vita. Cari fratelli e sorelle, la fede cristiana risponde a questa sete; la prende sul serio; non la rimuove, non cerca di placarla con palliativi o surrogati: no! Perché in questa sete c’è il nostro grande mistero: essa ci apre al Dio vivente, al Dio Amore che ci viene incontro per farci figli suoi e fratelli e sorelle tra di noi.
Questo è il contenuto della fede cristiana: Dio, che è amore, nel suo Figlio Gesù si è fatto vicino a te, a me, a tutti noi, desidera condividere la tua vita, le tue fatiche, i tuoi sogni, la tua sete di felicità. È vero, a volte ci sentiamo come una terra deserta, arida e senz’acqua, ma è altrettanto vero che Dio si prende cura di noi e ci offre l’acqua limpida e dissetante, l’acqua viva dello Spirito che sgorgando in noi ci rinnova liberandoci dal pericolo della siccità. Queste parole, carissimi, richiamano la vostra storia: nei deserti della vita e nella fatica di essere una comunità piccola, il Signore non vi fa mancare l’acqua della sua Parola, specialmente attraverso i predicatori e i missionari che, unti dallo Spirito Santo, ne seminano la bellezza. E la Parola sempre, sempre ci riporta all’essenziale, all’essenziale della fede: lasciarsi amare da Dio per fare della nostra vita un’offerta d’amore. Perché solo l’amore ci disseta veramente. Non dimentichiamo: solo l’amore disseta veramente.
Questa è la verità che Gesù ci invita a scoprire, che Gesù vuole svelare a voi tutti, a questa terra di Mongolia: non serve essere grandi, ricchi o potenti per essere felici: no! Solo l’amore ci disseta il cuore, solo l’amore guarisce le nostre ferite, solo l’amore ci dà la vera gioia. E questa è la via che Gesù ci ha insegnato e ha aperto per noi.
Anche noi, fratelli e sorelle, allora ascoltiamo la parola che il Signore dice a Pietro: «Va’ dietro a me» (Mt 16,23), vale a dire: diventa mio discepolo, fai la stessa strada che faccio io e non pensare più secondo il mondo. Allora, con la grazia di Cristo e dello Spirito Santo, potremo camminare sulla via dell’amore. Anche quando amare significa rinnegare sé stessi, lottare contro gli egoismi personali e mondani, correre il rischio di vivere la fraternità.
La Chiesa celebra oggi, 29 giugno, la Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. In Italia la festa di San Pietro è stata celebrata fin dai primi secoli della formazione dell'Europa cristiana. Nella città di Roma è giorno festivo e festa patronale e Papa Francesco presiede la Messa nella Basilica Vaticana e nella preghiera dell’Angelus ha ricordato le figure così umane e così credenti di questi due apostoli: “in loro appare che è Dio a renderci forti con la sua grazia, a unirci con la sua carità e a perdonarci con la sua misericordia. Ed è con questa umanità vera che lo Spirito forma la Chiesa. Pietro e Paolo sono state persone vere, e noi, oggi più che mai, abbiamo bisogno di persone vere. C’è in noi l’ardore, lo zelo, la passione per il Signore e per il Vangelo, o è qualcosa che si sgretola facilmente? E poi, siamo pietre, non d’inciampo ma di costruzione per la Chiesa? Lavoriamo per l’unità, ci interessiamo degli altri, specialmente dei più deboli?”
Durante la messa, 32 nuovi arcivescovi del mondo hanno ricevuto dal Papa il Palio, una stola bianca ornata da sei croci e tre chiodi, simbolo della Passione. Realizzato dalle monache benedettine del Monastero di Santa Cecilia, a Roma, con lana di pecora, il Palio è simbolo di comunione e fedeltà con il successore di Pietro. L'Arcivescovo è il Buon Pastore che porta sulle sue spalle le pecore a lui affidate, specialmente le più bisognose.
Con questa solennità la Chiesa ritorna alle radici della sua fede. Le spoglie mortali di Pietro e Paolo, due martiri, riposano nelle due Basiliche, San Paolo fuori le Mura e San Pietro, che racchiude un vasto cimitero sotterraneo, posto sotto l'altare della Basilica a lui dedicata a Roma.
Ciascuno con il proprio contributo, i due Apostoli formarono le prime Comunità di Seguaci di Gesù. Paolo è passato da persecutore ad ardente difensore di Gesù. Un appassionato della missione. Sono sue le espressioni “guai a me se non evangelizzassi!” (1 Cor 9,16) o "non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me" (Gal 2,20). A causa del Vangelo, morì decapitato.
Pietro, da uomo pauroso che era, con la grazia di Gesù è diventato la prima pietra della comunità cristiana. Lui che aveva rinnegato Gesù, dopo averlo incontrato risorto, annuncia senza timore, il nome e la causa di Gesù, chi lo ha ucciso e perché. Come il Maestro, anche Pietro ha concluso la sua vita crocifisso. Lui si chiamava Simone e non era nessuna "roccia". Fu Gesù a dargli il soprannome di Cefa o Pietra, che in seguito divenne Pietro. Questo Pietro, così debole e così umano, come noi, si è trasformato in roccia perché Gesù ha pregato per lui e ha detto: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18). È così che Pietro è diventato il nostro primo Papa.
Oggi, a capo della Chiesa abbiamo la guida di Francesco, (il 266° Papa dopo Pietro) un “fratello argentino” che, quando inaugurò il suo pontificato nel 2013, disse di sognare una Chiesa povera per i poveri, una Chiesa in cammino missionario verso le periferie geografiche ed esistenziali, una Chiesa che non ha paura di toccare le ferite, come in un ospedale da campo, per poter andare incontro a tutti e offrire la misericordia di Dio.
Seguendo gli Apostoli della prima ora, Papa Francesco comunica la gioia del Vangelo che ci riempie di speranza e ci incoraggia a lottare per i nostri diritti; prendendoci cura responsabilmente della nostra Casa Comune e di ciascuno di noi stessi.
Nei momenti più difficili che l'umanità ha dovuto affrontare, come la pandemia di Covid-19 e la “terza guerra mondiale a pezzi” degli ultimi anni, le parole, i gesti e le preghiere di Francesco sono sempre stati fondamentali per ricordare l'essenziale del Crocifisso davanti al messaggio evangelico per tutta l'umanità.
Francesco sa che solo Cristo edifica la Chiesa. Per questo propone l'incontro con Gesù, che può rinnovare la nostra vita. Cristo può anche rompere gli schemi che ci vincolano, che sono ostacoli alle riforme della Chiesa di Pietro e per cambiare nel mondo ciò che va cambiato: razzismo, esclusione, discriminazione, xenofobia (avversione per stranieri e migranti), omofobia, fondamentalismo, degrado del Pianeta, disprezzo per i poveri, odio per i popoli indigeni, neri e i poveri delle periferie...
La nostra fede cristiana oggi è la stessa di Pietro e Paolo: seguire Gesù Cristo. Per questo celebrare questi Apostoli è anche fare memoria della nostra storia di fede, valorizzare le nostre radici e le origini della nostra comunità. Nonostante le difficoltà, questo ci riempie di coraggio e di fiducia per rimanere, con Pietro e Paolo, saldi nell'opera che Gesù ci ha affidato nella sua Chiesa.
* Padre Jaime C. Patias, IMC, missionario della Consolata residente a Roma.
La Missione Giovani è una delle attività che la Gioventù Missionaria della Consolata (JMC) svolge ogni anno con l'obiettivo di rafforzare lo spirito e il carisma della famiglia della Consolata, offrendo ai giovani l'opportunità di vivere la spiritualità e il carisma della missione nei luoghi più bisognosi. Ogni anno l'esperienza si svolge in una città o in un luogo dove la gente sente il desiderio e la sete di Dio.
A causa della pandemia, negli ultimi tre anni l'iniziativa non si è potuta celebrare ma si sono svolti vari incontri online dove ogni giovane ha potuto condividere la propria missione.
In questo Mese Missionario 2022 siamo stati invitati a riflettere sul tema "La Chiesa è missione", con lo slogan "Sarete miei testimoni" (At 1,8), parole tratte dall'ultimo colloquio di Gesù risorto con i suoi discepoli prima della sua Ascensione al cielo, secondo gli Atti degli Apostoli: "Avrete forza quando lo Spirito Santo sarà sceso su di voi; e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra" (At 1,8). Oggi questa chiamata è rivolta a tutti i cristiani che sono incoraggiati a testimoniare Cristo nel mondo.
Dal 13 al 16 ottobre, con la Missione Giovani, nella città di Jaguararí, seguendo l’invito di Gesù, ci siamo impegnati a proclamare il Vangelo. I giovani che hanno partecipato hanno visitato le famiglie, i malati e le persone più bisognose, benedicendo e pregando con le persone sull'esempio della Madre di Gesù che si affrettò a visitare la cugina Elisabetta, portandole consolazione, gioia e speranza.
Durante la formazione e la preparazione per questa missione concreta i giovani avevano detto: "vogliamo vivere questa esperienza senza paura, ma con la certezza che la Chiesa è Missione, i giovani sono missione. Per questo vogliamo essere testimoni di Gesù in mezzo alla gente e con la gente".
In questa attività abbiamo riunito con gioia circa 40 giovani provenienti dalle città di Jaguarari, Monte Santo e Feira de Santana, disposti ad assumere le parole del nostro Padre Fondatore Giuseppe Allamano: "La missione nella bocca, nella mente e nel cuore". La nostra Madre Consolata, il nostro Beato Giuseppe Allamano, Irene Stefani e Leonella Sgorbatti intercedano per noi.
* Padre Josky Menga, IMC, è coordinatore dell'AMJV in Brasile e animatore a Bahia.