Davi Kopenawa, lo sciamano e portavoce del popolo Yanomami, ha lasciato la grande casa collettiva nell’Amazzonia brasiliana con una missione importante: portare l’appello dei popoli della foresta agli abitanti della foresta di pietra. «L’uomo bianco delle merci non ci ascolta. Abbiamo bisogno di lanciare le parole come una freccia per toccare il cuore della società non indigena», dice Kopenawa, sapendo bene che chi comanda non ascolta.

Nella sua agenda in Italia, mercoledì 10 aprile, a Roma, il leader indigeno noto a livello internazionale per il suo impegno nella protezione dell’Amazzonia si è incontrato in privato con Papa Francesco, un alleato importante. «Ho chiesto al Papa di aiutare il presidente Lula a rimuovere tutti gli invasori, i cercatori d’oro (garimpeiros) e gli sfruttatori delle terre indigene», spiega Davi ai giornalisti rivelando di aver scritto una lettera a Francisco nel 2020 e che da tempo desiderava parlare con lui.

A questo incontro - avvenuto grazie alla collaborazione con il vaticanista Raffaele Luise  -, Kopenawa è stato accompagnato da fratel Carlo Zacquini, missionario della Consolata a Roraima, in Brasile, suo amico e braccio destro da 50 anni, responsabile assieme alla fotografa e attivista Claudia Andujar per la campagna del 1979 a favore della demarcazione del territorio Yanomami, avvenuta nel 1992.

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Stretta di mano tra Papa Francesco e Davi Kopenawa. L'udienza privata si è tenuta in Vaticano mercoledì 10 aprile 2024.  Foto: Vatican Media

David ha già dimostrato in diverse occasioni la sua profonda conoscenza delle minacce per l’intera umanità: salvaguardare la foresta e i suoi abitanti è fondamentale per garantire l’esistenza stessa della nostra Casa comune. Tra le maggiori minacce per i territori indigeni, Kopenawa elenca la contaminazione dell’acqua per l’uso criminale del mercurio (per separare l’oro dal resto, ndr) da parte dei minatori; l’ingresso di allevatori di bestiame con l’appoggio dei governi di tutto il mondo che comprano carne, così come l’espansione della coltivazione della soia sotto la pressione della Cina che ne richiede sempre di più. «La foresta brucia, la terra si esaurisce, gli uccelli, gli animali, i pesci muoiono e il nostro popolo si ammala. Forse qui voi siete protetti da questo, ma ci sono altre malattie», avverte lo sciamano.

Il leader Yanomami ha già scritto due libri in collaborazione con l'antropologo francese Bruce Albert: "La caduta del cielo" (2015) e "Lo spirito della foresta" (2023), entrambi tradotti in italiano. Gli autori presentano una visione dei popoli indigeni e della protezione dell’ambiente. “Il loro pensiero e la loro pratica quotidiana sono in perfetto equilibrio con tutte le forme di vita, visibili e invisibili”.

Davi Kopenawa è presidente dell'Associazione Hutukara Yanomami e ritiene che il nuovo ministero dei Popoli indigeni e la Fondazione nazionale dei popoli indigeni (Funai), entrambi diretti per la prima volta da due donne indigene, Sonia Guajajara e Joenia Wapichana, «hanno bisogno di risorse per proteggere il popolo Yanomami, costruire posti di sorveglianza e per delimitare e riconoscere le terre indigene». Negli ultimi anni, soprattutto sotto la presidenza di Jair Bolsonaro, le risorse sono state tagliate, rendendo impossibile il lavoro.

Il popolo Yanomami conta circa 42mila persone, tra Brasile e Venezuela. Si stima che nel 2023 fossero oltre 20mila i garimpeiros nelle loro terre. Entrano illegalmente nella foresta, tagliano alberi, scavano buche enormi, usano pompe idrauliche, avvelenano i fiumi.

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Davi Kopenawa con il fratel Carlo Zacquini, IMC, durante conferenza stampa nella sede della Radio Vaticana a Roma.

All’inizio dell’anno 2024, sono state diffuse immagini dove si vedevano bambini yanomami malnutriti, uguali o addirittura peggiori di quelle del 2023. Poco più di un anno dopo l’azione delle forze federali brasiliane la Terra yanomami affronta ancora la crisi dell’estrazione mineraria illegale, della fame e della salute. Finora tutto è stato vano. «Molte volte abbiamo richiesto di rimuovere gli invasori dalle nostre terre, di prevenire la deforestazione e l’inquinamento dei fiumi, ma non ci ascoltano perché non sono nostri "parenti" (indigeni come noi, ndr). Abbiamo pochi amici. I politici ascoltano solo la voce del denaro, del mercato. Papa Francesco è diverso. Lui è figlio di Dio e non può mentire. Come leader, non può promettere e non fare», dichiara Davi mostrandosi fiducioso.

Nella lotta per la protezione del Pianeta, la sintonia tra Davi Kopenawa e il Papa Francesco è grande. Ricordando che il Pontefice nel 2015, nell’enciclica Laudato si’ affermava: «La molteplice distruzione della vita umana e ambientale, le malattie e l’inquinamento di fiumi e terre, l’abbattimento e l’incendio di alberi, la massiccia perdita della biodiversità, la scomparsa delle specie, costituiscono una cruda realtà che chiama in causa tutti. La violenza, il caos e la corruzione dilagano. Il territorio è diventato uno spazio di scontri e di sterminio di popoli, culture e generazioni» (LS 23). La preoccupazione con la cura del Creato da parte di Francesco è stata anche dimostrata con la realizzazione del Sinodo per l’Amazzonia nel 2019 e nei suoi vari interventi e documenti.

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Kopenawa apprezza lo sforzo di Francesco, ma osserva che «molte persone sono contro la protezione dell’ambiente perché i grandi imprenditori non vogliono sentire quello che lui dice sulla foresta amazzonica, che è in pericolo. Loro cercano le ricchezze. Io sono per l’ambiente. Se non fosse per gli indigeni, la foresta non ci sarebbe più. Noi Yanomami ci prendiamo cura del polmone del pianeta. Ma questo ai politici, ai fazendeiros, ai garimpeiros non interessa. E l'esercito li sostiene. Dicono che la Terra indigena yanomami (Tiy) sia troppo grande per pochi indigeni, ma non si rendono conto che noi stiamo proteggendo l’intero pianeta».

La Tiy include un’area estesa oltre 9 milioni di ettari nel Nord del Brasile. In questa regione, i fiumi sono preziosi canali di comunicazione che uniscono le diverse comunità. Fu a monte del fiume che i missionari della Consolata italiani, Giovanni Calleri e Bindo Meldolesi fondarono, nel 1965, la Missione Catrimani, a 250 chilometri da Boa Vista, capitale di Roraima. Nel corso degli anni, la coesistenza di Yanomami con i missionari ha contribuito a rafforzare un modello di missione basata sul rispetto e il dialogo, nella difesa della vita, della cultura, del territorio e della foresta. Tre missionari e quattro missionarie della Consolata sono attualmente impegnati nella Missione Catrimani. Mentre, da Boa Vista, all’età di 87 anni, fratel Carlo Zacquini, instancabile, continua a sostenere la causa di Davi Kopenawa, degli Yanomami e della foresta amazzonica.

* Padre Jaime C. Patias, IMC, Segretariato Generale per la Comunicazione.

Di seguito un estratto dell'intervista al leader indigeno Kopenawa e al Fratel Carlo Zacquini (Radio Vaticana)

Il missionario italiano, assassinato 39 anni fa, sarà al centro delle iniziative promosse dalle diocesi di Roma e di Porto-Santa Rufina in vista della prossima Giornata dedicata ai religiosi, alle religiose e ai laici che hanno dato la vita per il Vangelo e per i fratelli e le sorelle. In programma due Via Crucis, una mostra con i disegni realizzati dallo stesso Ramin e un convegno dal titolo "Custodi del giardino". Suor Antonietta Papa, referente UISG: ora spetta a noi tener viva la loro testimonianza

In occasione della 32esima "Giornata dei missionari martiri", il prossimo 24 marzo, diverse iniziative ricorderanno l'impegno, fino al dono della vita, di missionari e missionarie che in diverse parti del mondo si sono schierati a favore degli ultimi per il riconoscimento della loro dignità e dei loro diritti spesso connessi alla loro terra. Numerosi gli appuntamenti organizzati anche nelle diocesi di Roma e di Porto-Santa Rufina e dedicati in modo particolare al sacerdote comboniano Ezechiele Ramin, detto Lele, assassinato a Cacoal, in Rondonia nell' Amazzonia il 24 luglio 1985, e a quanti come lui hanno abbracciato la croce del martirio in missione per la nostra casa comune.

La Via Crucis "Martiri della Terra"

Il primo evento della serie è stato la Via Crucis missionaria intitolata Martiri della Terra”, che si è svolta il 15 marzo nel Giardino Laudato Si’ delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret a Roma. Questa Via Crucis è estata promossa dalla Commissione UISG - USG "Giustizia, Pace e Integrità del Creato", dall’Ufficio per la cooperazione missionaria tra le Chiese della diocesi di Roma, Terra e Missione e Movimento Laudato Si’.

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Via Crucis "Martiri della Terra" nel Giardino Laudato Si’ delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret a Roma il 15 marzo. Foto: Jaime C. Patias

Percorrendo il cammino di Gesù, insieme ad aspetti della realtà e dei diritti violati in Amazzonia, le 15 stazioni della Via Crucis missionaria hanno fatto memoria di 13 martiri della Panamazzonia: Marçal de Souza Guarani, Josimo Moraes Tavares, Vicente Cañas, Ines Arango, Galdino Pataxó, Alcides Jimenez, Dorothy Stang, Alejandro Labaka, Oscar Romero, Ezechiele Ramin, Rodolfo Lunkenbein, Simão Bororo e Chico Mendes.

Mostra "Passione Amazzonia" a Roma e a Porto-Santa Rufina

Nell'occasione è stata inaugurata la Mostra "Passione Amazzonia" con l’esposizione dei disegni di Padre Ezechiele Ramin, ucciso in Brasile il 24 luglio 1985.  In esposizione 12 pannelli che alternano le immagini della Passione di Cristo alle scene di vita dei popoli dell’Amazzonia. La mostra sarà poi trasferita nella diocesi di Porto-Santa Rufina dove, venerdì 22 marzo alle ore 19.30, si ripeterà la celebrazione della Via Crucis “Martiri della Terra” all’interno del Giardino Laudato Si’ della Parrocchia della Natività di Maria Santissima (in Via Santi Martiri di Selva Candida, nel territorio del Comune di Roma). Il momento di preghiera, guidato da don Federico Tartaglia, direttore del Centro missionario di Porto-Santa Rufina, vedrà la partecipazione dei fratelli di Ezechiele Ramin e di suor Giovanna Dugo sfma, che con padre Lele ha avuto un fitto scambio epistolare durante gli anni di missione in Amazzonia.

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Inaugurazione della Mostra "Passione Amazzonia" il 15 marzo. Foto: Jaime C. Patias

Il convegno "Custodi del giardino"

Infine, sabato 23 marzo dalle 9 alle 13, alla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium” a Roma, si svolgerà il convegno “Custodi del giardino”, sul tema “I martiri della giustizia ambientale e lo sfruttamento delle risorse”. Vi parteciperanno monsignor Gianrico Ruzza, vescovo delle diocesi di Porto-Santa Rufina e Civitavecchia-Tarquinia; Piera Ruffinatto fma, preside della Facoltà Auxilium; padre Adelson Araújo dos Santos sj, teologo e docente di spiritualità alla Pontificia Università Gregoriana; padre Giulio Albanese, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali e dell’Ufficio missionario della diocesi di Roma; i giornalisti Gianni Beretta, Lucia Capuzzi e Toni Mira e i fratelli di Ezechiele Ramin.

Suor Antonietta: la terra per noi è vita

"La vita è bella e sono contento di donarla", scriveva in una delle sue lettere Ezechiele Ramin, oggi servo di Dio, ucciso per aver difeso i diritti degli indios Surui e dei contadini senza terra. Di lui e della sua opera racconta ai media vaticani suor Antonietta Papa, missionaria italiana che ha conosciuto Ramin durante la sua missione in Brasile. Suor Antonietta delle Figlie di Maria Missionarie, vive ora tra Roma e Lampedusa ed è la referente del progetto "Migranti Sicilia" della UISG, Unione Internazionale delle Superiore Generali.

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Suor Antonietta Papa è responsabile del progetto UISG Migranti in Sicilia. Foto: Archivio personale

Suor Antonietta, lei è stata in missione in Brasile e lì ha conosciuto bene Ramin: ci può dire qualcosa di lui e del suo impegno?

Ho conosciuto Ezechiele dal momento in cui è arrivato nel luogo dove ha vissuto il suo brevissimo periodo brasiliano. L'ho conosciuto nella sua funzione di sacerdote nelle celebrazioni e quando alcune volte veniva con noi all'interno della foresta amazzonica, dove sono disseminate tutte le comunità degli indios e dei contadini. Ricordo un tratto che mi ha colpito tantissimo: lui aveva nella sua parrocchia un ragazzo che voleva essere battezzato e ricevere l'Eucaristia, però aveva molte difficoltà e quindi padre Ezechiele me lo ha inviato dicendomi, con una lettera, di stare attenta a questo ragazzo - e questo rivela moltissimo della spiritualità di Ezechiele che era capace di un'azione pastorale ferma, sicura, ma che nello stesso tempo, si adegua alla persona -  e mi proponeva per lui un cammino progressivo, senza fretta, proprio perché quel ragazzo diventasse così un vero cristiano. In questa lettera scrive: "Ho scoperto con la vita una cosa bella: la fede in Dio ci porta all'azione. Ho lasciato in Italia il pensare e l'agire spirituale che mi preoccupava tanto, mi sento più libero e più maturo". Ecco, io credo che da questa osservazione della gente e soprattutto dall'impegno con gli indios - con i quali aveva fatto un'amicizia tanto che il capo Suruí lo chiamava "fratello, fratello mio", si capisce che veramente Ramin è stato una persona che ha amato profondamente questa terra, dove poi è stato ucciso, ma l'ha amata con cuore e mente e intelligenza, l'intelligenza nel capire rapidamente ciò che si stava muovendo e nel capire come i "grandi" stavano cercando di dividere i piccoli in modo tale che i faccendieri potessero poi impossessarsi delle terre, degli indios e dei contadini. Di questo lui subito ne aveva avuto coscienza.

Evidentemente l'azione di Ezechiele dava fastidio. In breve ci ricorda quali erano i diritti che lui vedeva negati alla gente in Amazzonia?

I diritti negati sono i diritti della terra per i contadini, i diritti degli indios. A quell'epoca gli indios erano considerati, come bixo do mato, cioè animali della foresta, senza la dignità della persona, semplicemente non persone, non persone! Questo è quello che ha colpito Ezechiele, che ha colpito ognuno di noi e lo si vede nei disegni che lui ha prodotto in questo tempo in cui stava lì con loro, li osservava, parlava, soprattutto con gli indios, di cui aveva una grande conoscenza.

Oltre a Ramin ci sono altri missionari che vengono oggi definiti "martiri della terra". E lei ne ha potuti conoscere alcuni. Ce li può anche solo nominare?

Certo, ho conosciuto sia Josimo Tavares, un sacerdote brasiliano che ho avuto modo di incrociare proprio in alcuni incontri sempre sulla pastorale della terra e Maurizio Maraglio, missionario di Mantova con cui ci scrivevamo sempre. Un giorno ho ricevuto una lettera che mi annunciava: "Maurizio non ti può rispondere perché è stato ucciso" e la sua uccisione era proprio a causa di questo tema della pastorale della terra di cui parlavamo tanto insieme. Però voglio anche ricordare, anche se non l'ho conosciuta direttamente, suor Dorothy Stang, questa missionaria statunitense che ha lottato tanto per i contadini nell'Amazzonia brasiliana. Anche lei è stata uccisa nel 2005, aveva 73 anni e ancora lottava per la terra. Veramente una grande donna! Quindi uomini e donne che hanno lottato per la foresta amazzonica, perché sia preservata, perché sia custodita.

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Mostra "Passione Amazzonia" . Riproduzione riservata © copyright Famiglia Ramin/TeM/Missionari Comboniani

Lei lo ha accennato prima, Ramin amava disegnare e alcune sue opere saranno in mostra a Roma e nella diocesi di Porto Santa Rufina. Che significato aveva per lui disegnare e che cosa voleva comunicare?

Lui osservava molto la gente. Da questa mostra noi possiamo vedere la passione di Cristo che lui cercava di rivedere in questi sguardi. Vedeva i volti, ma anche gli atteggiamenti di questi indios così sfruttati, così malmenati e annientati da tutto ciò che c'era attorno. E lui diceva di vedere attraverso i loro sguardi la primavera che veniva. Anche se ancora si era in pieno inverno, lui riusciva a capire e a vedere i germogli che stavano nascendo in quello che lui disegnava, e accostava questi volti a quello di Cristo in croce. Io ricordo che li vedevamo passare davanti a noi questi contadini che erano stati uccisi e legati ad un palo, e così era il Cristo crocifisso.

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Flagellazione di Gesù e ritratto di un uomo Suruí, disegni di Ezechiele Ramin. Riproduzione riservata © copyright Famiglia Ramin/TeM/Missionari Comboniani

In ricordo di Ramin ma anche degli altri martiri della terra, la UISG ha promosso per oggi una Via Crucis: quale il messaggio che si vuole trasmettere attraverso questo momento? 

La Via Crucis per noi è importante perché ripercorre tutti questi martiri che hanno donato la propria vita per la causa della terra, ma non è soltanto la terra: la terra è dove noi viviamo e siamo. E per questi indios, per questi contadini la terra è la madre. La Via Crucis ripercorre la strada dei vari missionari che hanno dato la vita per questo. La Via Crucis è per noi veramente un percorso che ci invita ad essere donne e uomini di fede, donne e uomini che percorrono la via di Cristo sapendo di custodire ciò che Dio Padre ci ha affidato fin dalla Genesi.

E' dal 1980, l'anno in cui è stato ucciso sant'Oscar Romero, che si celebra la "Giornata dei Missionari Martiri". L'accento sul martirio della terra della Giornata di quest'anno è molto attuale perché lega la cura dell'ambiente ai diritti delle persone, cioè ci fa capire meglio la connessione tra la vita degli uomini e delle donne e il territorio in cui ciascuno  vive...

Esatto, è proprio questo. Forse negli anni '80 la coscienza di questo era molto meno diffusa, si iniziava appena ad avere consapevolezza che il territorio in cui si vive è proprio vita, è vita per noi. Perché dentro la foresta amazzonica, oltre agli animali, alle persone, si vive insieme, è un ambiente vitale.

Non riesco a trovare un'altra parola se non "vita", questa cultura della terra di cui oggi progressivamente ci stiamo appropriando in modo più pieno.

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Via Crucis "Martiri della Terra" nel Giardino Laudato Si’ delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret a Roma il 15 marzo. Foto: Jaime C. Patias

Ma tutte queste persone che hanno dato la vita per la terra avevano capito questo valore fino in fondo e proprio per questo oggi noi ne siamo testimoni eredi, e lo dobbiamo trasmettere agli altri. Dobbiamo essere noi coloro che portano avanti questa missione per non rovinare totalmente questo nostro ambiente. Lo vedo anche a Lampedusa, dove sono adesso... E' la stessa cosa: Mediterraneo, foresta amazzonica, foresta del Congo, foreste dell'India: tutte queste regioni sono sacre perché ci permettono di vivere, di respirare, di essere noi stessi. Non so come maggiormente spiegare questa passione che ormai è dentro ognuno di noi.

Fonte: Vatican News

La storia è dinamica perché è fatta da esseri umani che non sono solo viaggiatori, ma anche costruttori di strade, ricreatori di spazi geografici ed economici, tessitori di culture, capaci di plasmare con la luce e la potenza del Paraclito volti sociali, comunità di fede o chiese al servizio del Regno di Dio annunciato e iniziato dal Signore Gesù.

Genesi di una Chiesa dal volto amazzonico

Improvvisamente, in quell'atmosfera cupa di pandemia diffusa in tutto il mondo, a causa di quel piccolo, inopportuno e misterioso virus che l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha chiamato Covid19, è nata una nuova struttura nella Chiesa latinoamericana e caraibica (26-29 giugno 2020). I vescovi, ratificati dal Papa, le hanno dato il nome di Conferenza ecclesiale dell'Amazzonia,  articolando e promuovendo la sinodalità tra le chiese particolari o locali in tutto il territorio amazzonico e accompagnando la gestazione di chiese dal volto amazzonico. Proprio come aveva sognato ed espresso Papa Francesco nell'esortazione post-sinodale Querida Amazonia (QA 4), riprendendo il cammino intravisto dall'incontro della Commissione Missionaria del Celam a Iquitos (Perù). In comunione con la Chiesa di Gesù Cristo, una, santa, cattolica e apostolica.

Un territorio in costruzione

"Nel processo storico e sociale del Caquetá, la Chiesa cattolica è stata una delle principali protagoniste. I missionari francescani irruppero due secoli fa nelle foreste vergini di questo territorio e nel 1759 ricevettero il sostegno del Regio Decreto spagnolo per guidare le missioni Adakí da Quito, che rimasero nel Caquetá fino al 1800.

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La Cattedrale dell'Arcidiocesi di Florencia , Caquetá, nella Amazzonia colombiana

Per descrivere questa breve panoramica storica, mi affido a Salomón Trujillo Tovar, Monsignor Ángel Cuniberti. El hombre que impresionaba a todos, Copigráficas, Florencia - Caquetá, 2020.

Nel 1844 la comunità cappuccina fu incaricata di guidare l’annuncio del vangelo nei territori delle regioni del Putumayo e del Caquetá. Ciò accadde un anno prima dell'emanazione della Legge del 2 maggio 1845, con la quale fu creato e organizzato il territorio del Caquetá e il governo autorizzò a concedere terre incolte alle famiglie che desideravano popolare questa regione. Malgrado questo fu solo alla fine del XIX secolo quando l'insediamento di abitanti in questo territorio subì un'accelerazione, dovuta alla convergenza di due fattori: uno, la migrazione causata dall'estrazione del caucciù e della china; due, la presenza dei missionari cappuccini che il vescovo di Pasto, Ezequiel Moreno, a partire dal 1896, destinò alla prima spedizione missionaria nel territorio del Caquetá con il fine di  promuovere evangelizzazione e civiltà fra gli sfollamenti causati dalla "guerra dei mille giorni" (1899–1902), vissuta nell'interno della Colombia.

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Comunità indigena Murui di Puerto Refugio sulle rive del fiume Putumayo

Un territorio pacifico, ricoperto dalla foresta pluviale e interconnesso da grandi e piccoli fiumi che da sempre uniscono anziché separare, viene gradualmente invaso dai raccoglitori di caucciù, molti dei quali vittime anche della "febbre della quina", che provenivano dal Brasile e dal Perù. Tale invasione sfruttatrice e schiavista, organizzata soprattutto dalla cosiddetta Casa Arana, la stessa che ha dato origine a La Vorágine, un romanzo di José Eustasio Rivera (1924), stava decimando e spingendo gli abitanti originari (Uitotos o Murui, Coreguages, Inganos, Quichuas e altri) sempre più in là e più nel profondo della selva. Oggi li troviamo insediati lungo i fiumi Caquetá, Orteguaza, Caguán, Peneya, Putumayo o nelle zone più alte della Cordigliera Orientale.

Il 25 dicembre 1902, Doroteo de Pupiales tracciò le prime strade di Florencia, oggi capitale del Dipartimento di Caquetá. Ordinò la costruzione di una cappella come simbolo della cristianità e chiese al prefetto di Mocoa l’organizzazione politica e amministrativa del territorio che legittimasse  gli atti religiosi e le altre azioni svolte dalla missione cappuccina nell'ambito delle competenze supplementari che lo Stato colombiano aveva loro concesso.

Di fronte ai crescenti problemi di confine con il Perù e dopo un accordo tra i governi dei due Paesi, la Colombia creava inizialmente il Commissariato Speciale del Caquetá con giurisdizione nei territori del Caquetá e nel Putumayo (1910). Poi questo Commissariato è stato promosso a Intendenza Nazionale (1950) e finalmente nel 1982 nasce l’attuale Dipartimento del Caquetá.

Si delinea un nuovo profilo umano

Come conseguenza della progressiva colonizzazione, si fu delineando il profilo umano degli abitanti di questo esteso territorio poco a poco antropizzato e allo stesso tempo degradato dall’estendersi della colonizzazione. Agli indigeni si univano gli estrattori di gomma ed altri prodotti vegetali, i taglialegna, i missionari e i contadini provenienti dalle regioni del Huila, Tolima, Caldas, Antioquia e altri luoghi, sospinti fin là dalla violenza politica e dalla guerra civile colombiana.

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La presenza afroamericana a Puerto Leguízamo

Questa variegata colonizzazione è quella che promuove il disboscamento, creazione di pascoli per il bestiame, la coltivazione di prodotti agroalimentari. Si costruiscono strade, ponti e villaggi; si aprono istituzioni educative primarie ed anche superiori, cliniche, strutture sportive, luoghi di culto.

Si trattava di un'opera gigantesca e complessa, anche se insufficiente, che cercava di difendere, promuovere e salvare la vita umana, spesso a spese della Madre Terra e della sua biodiversità. Questo processo di colonizzazione sopperiva i molti limiti dello Stato e persino serviva come difesa della sovranità nazionale e dei confini.

Creazione di un territorio ecclesiastico

Nel 1985 Papa Giovanni Paolo II istituì la diocesi di Florencia, il cui primo vescovo fu monsignor José Luis Serna Alzate, missionario della Consolata, e al tempo creò il vicariato apostolico di San Vicente del Caguán - Puerto Leguizamo, affidato a un altro missionario della Consolata, monsignor Luis Augusto Castro Quiroga.

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Poi la progressiva organizzazione ecclesiastica di questo territorio è proseguita il 21 febbraio 2013 quando papa Benedetto XVI, poco prima della sua rinuncia, ha eretto il Vicariato Apostolico di Puerto Leguizamo - Solano, sotto la responsabilità di un altro missionario della Consolata, Mons. Joaquín Humberto Pinzón Guiza. Qualche anno dopo, il 30 maggio 2019, il Vicariato di San Vicente del Caguán è stato costituito Diocesi da papa Francisco e il suo vicario apostolico, monsignor Francisco Javier Munera Correa anche lui Missionario della Consolata, divenne il primo vescovo diocesano. Pochi mesi dopo, il 13 luglio 2019, Papa Francesco ha elevato la diocesi di Florencia ad arcidiocesi e ha nominato arcivescovo monsignor Omar de Jesús Mejía Giraldo. Oggi Florencia è sede della nuova provincia ecclesiastica dell'Amazzonia, composta dalle diocesi di Florencia, San Vicente e Mocoa e dai vicariati apostolici di Leguizamo, Amazonas, Vaupés e Guainía, al confine con Brasile, Perù ed Ecuador.

* Padre Salvador Medina è missionario della Consolata in Colombia.

Nella Quaresima i cristiani di Roma hanno la possibilità di rivivere la Via Crucis di Gesù verso Gerusalemme in sintonia con la crisi climatica e il grido della Terra, particolarmente con i martiri della Panamazzonia.

Venerdì 15 marzo alle ore 15.30, nel Giardino Laudato Si’ delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret (via Santa Maria in Cosmedin 5), vicino alla Bocca della Verità a Roma, si svolgerà la Via Crucis missionaria “Martiri della Terra”: l'esperienza panamazzonica, tenuta in diverse lingue (italiano, portoghese, spagnolo, francese, inglese) per facilitare la partecipazione di diverse comunità, Congregazioni religiose, Istituzioni, Organismi di volontariato internazionale, gruppi, associazioni e movimenti. L'iniziativa è promossa dalla Commissione Uisg – Usg Giustizia, Pace e Integrità del Creato (Gpic), dall’Ufficio per la cooperazione missionaria tra le Chiese della diocesi di Roma, Terra e Missione e Movimento Laudato Si’.

Nell'occasione sarà inaugurata la Mostra "Passione Amazzonia" con l’esposizione dei disegni di Padre Ezechiele Ramin, ucciso in Brasile il 24 luglio 1985.  In esposizione 12 pannelli che alternano le immagini della Passione di Cristo alle scene di vita dei popoli dell’Amazzonia. La Mostra, a cura di Terra e Missione, della famiglia Ramin e della famiglia comboniana, la settimana prossima sarà visitabile all'Università Auxilium delle Salesiane, via Cremolino, 141 Roma e poi sarà trasferita nella diocesi di Porto-Santa Rufin.

20230312ViaCrucis2A pochi giorni dalla 32esima Giornata dei missionari martiri, il prossimo 24 marzo, numerosi sono gli appuntamenti organizzati nelle diocesi di Roma e di Porto-Santa Rufina per ricordare il sacrificio di Ezechiele Ramin, detto Lele, e di quanti hanno abbracciato nella vita la croce del martirio in missione per la Casa Comune. Quindi, sabato 23 marzo dalle 9 alle 13, alla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium” si svolgerà il convegno “Custodi del giardino”, che sarà incentrato sul tema “I martiri della giustizia ambientale e lo sfruttamento delle risorse”.

Memoria dei martiri

Percorrendo il cammino di Gesù, insieme ad aspetti della realtà e dei diritti violati in Amazzonia, le 15 stazioni della Via Crucis missionaria fanno memoria di 13 martiri della Panamazzonia: Marçal de Souza Guarani, Josimo Moraes Tavares, Vicente Cañas, Ines Arango, Galdino Pataxó, Alcides Jimenez, Dorothy Stang, Alejandro Labaka, Oscar Romero, Ezechiele Ramin, Rodolfo Lunkenbein, Simão Bororo e Chico Mendes.

Nel testo di presentazione gli organizzatori spiegano le motivazioni dell'iniziativa: “Abbiamo preparato questa Via Crucis come segno speciale per vivere il cammino intrapreso da Gesù per rappresentare il modo in cui Cristo si incarna attualmente nel territorio e nella sua gente, riuscendo a vivere, morire e risuscitare nella regione panamazzonica. La speranza pasquale della risurrezione di Cristo nella Panamazzonia, nella Chiesa e in ciascuno dei nostri cuori si rinnovi con i passi che compiremo oggi”.

Questa celebrazione della Via Crucis riprende il lavoro portato avanti dall’équipe della “Casa Comune” nata in occasione del Sinodo per l’Amazzonia nel 2019. Apprezziamo il cammino percorso da quando Papa Francesco ha pubblicato l’Enciclica Laudato Si’ (2015), ha voluto lo svolgimento del Sinodo sull’Amazzonia e pubblicato l’esortazione Querida Amazonia (2019), ha indetto l’anno speciale del 5° anniversario della Laudato Si’ (2020), ha stimolato il lancio della Piattaforma di iniziative Laudato Si’ (2021), ha voluto che la Santa Sede firmasse il trattato di Parigi sul clima (2022), ha pubblicato Laudate Deum (2023) e si è coinvolto direttamente nella COP28 a Dubai (2023).

Insieme ai Martiri della Terra, “ricordiamo insieme il cammino percorso da Gesù, e possiamo immaginarlo camminare al nostro fianco, attraversando ogni situazione dolorosa della nostra Panamazzonia, affinché, ispirati dalla sua parola, sappiamo individuare i nuovi cammini per la nostra Chiesa”.

* Redazione con informazione dall’équipe "Casa Comune" e del sito della Diocesi di Roma.

Di seguito, pubblichiamo il testo integrale della Via Crucis missionaria “Martiri della Terra” (Italiano)

 

 Via Crucis missionaria “Martiri della Terra” (Spagnolo)
Via Crucis missionaria “Martiri della Terra” (Portughese)

 

Il Vicariato Apostolico di Puerto Leguizamo - Solano in Colombia sta svolgendo un corso di introduzione per i missionari che vengono a vivere, lavorare, evangelizzare e "abitare questo territorio amazzonico e di frontiera".

Il passato coloniale

Da quel passato remoto –precedente alla “scoperta” dell’America, forse meglio chiamarla invasione o occultamento– ci è giunta una buona luce in occasione del 500° anniversario, quando a santo Domingo, in occasione dell’Assemblea episcopale latinoamericana, si è registrato ufficialmente un cambiamento di visione, di atteggiamento e di comportamento, in relazione alla proposta della Chiesa cattolica per l'evangelizzazione, nel presente e nel futuro, di questo Continente della Speranza.

Oggi l’Amazzonia è ancora una realtà sconosciuta e non è compresa. Continua ad essere una sfida e una promessa. Capire il presente di questa immensa regione implica una corretta conoscenza e interpretazione del suo passato, indispensabile per immaginare e costruire il futuro. Parlare dell'Amazzonia significa soprattutto parlare della sua gente e in particolare di quel quinto della sua popolazione che è, in larga misura, il depositario di una esperienza secolare in termini di conoscenza, comprensione e utilizzo della natura.

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Oggi, l'impetuosa avanzata delle Federazioni indigene amazzoniche fa sì che esse assumano un ruolo di primo piano nel proporre e attuare alternative di sviluppo regionale.

La cultura indigena, d'altra parte, è presente in qualche modo in tutta la popolazione che vive nella selva. Fino a poco tempo fa venivano chiamati "selvaggi" o "incivili" gli eredi diretti di quelli che i ricercatori hanno chiamato "Cultura della foresta pluviale", il cui sviluppo è stato interrotto dall'invasione europea.

Gli storici scavano negli scritti dei primi spagnoli che passarono o si stabilirono nella regione, cercando di rileggerli. Gli antropologi e gli etnologi cercano di ricostruire la vita dei popoli antichi partendo soprattutto dalla vita attuale. I linguisti studiano le caratteristiche comuni delle lingue indigene per cercare di stabilire le relazioni tra i popoli antichi e in qualche modo la loro collocazione nello spazio (cf. José Barletti, A los 450 años del Descubrimiento Español del Río Amazonas. Los pueblos amazónicos en tiempo de la llegada de Orellana. 1992). Di questo passato ci restano le tracce di una distruzione culturale, soprattutto nella sua dimensione spirituale, e l'impianto forzato di una nuova civiltà, quella occidentale.

Proprio in occasione della celebrazione del 500° anniversario, abbiamo visto, in tutto il continente americano, le mani alzate di molti popoli e nazionalità ancestrali che gridavano: Esistiamo! Siamo qui! Abbiamo resistito a diversi e crudeli attacchi! Non sono riusciti a eliminarci! Siamo parte di un mondo multietnico e pluriculturale; siamo soggetti di diritti: "unità, terra e cultura che vogliamo recuperare".

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Ovunque, le costituzioni nazionali sono state riviste e le Chiese, soprattutto quella cattolica, hanno cambiato e decolonizzato le loro pratiche di evangelizzazione. Hanno riconosciuto e valorizzato le culture e, anche se molto lentamente, sono entrate in dinamiche interculturali e interspirituali di dialogo anziché di imposizione.

Presente in costruzione

Il presente storico non inizia nel presente cronologico ma si inserisce in eventi temporali che, nel caso nostro, si possono inquadrare tra il Concilio Vaticano II (1962-1965) che, pur essendo ecumenico, era piuttosto eurocentrico e la Seconda Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano di Medellín (26 agosto – 8 settembre 1968).

Lì, a Medellín, si ritrovarono alcuni dei vescovi che, verso la fine del Concilio, il 16 novembre 1965, avevano celebrato un'eucaristia nelle catacombe di Domitilla, chiedendo fedeltà allo "spirito di Gesù" e firmando quello che chiamarono "il patto delle catacombe". Impegnati in una Chiesa povera, per i poveri e con i poveri, stavano delineando una Chiesa latinoamericana, al servizio dell'essere umano "amerindiano-afro-latino", con la sua storia, le sue caratteristiche, i suoi bisogni e le sue specifiche potenzialità. Una Chiesa con un volto proprio, in comunione e partecipazione tra tutte le Chiese particolari o locali e con l'intera Chiesa cattolica.

Il Dipartimento delle Missioni del Celam (Consiglio Episcopale Latinoamericano) è stato creato nel 1966. Nel 1971 si è riunito a Iquitos (Perù) e alla fine pubblica un documento importante con rispetto alla ricezione del tema missionario legato all'Amazzonia nel quale si dice: “la Chiesa decide di diventare essa stessa amazzonica; solidale con questi popoli ai quali è stata inviata; incarnata nelle loro culture, riti, ministri e strutture. Con strutture di maggiore unità, si propone di essere il lievito di quella comunione cristiana che si realizza nella carità" (Iquitos 32).

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Questa proposta comportava il ripensamento e la riconfigurazione del volto ecclesiale e della visione del mondo cristiano alla luce delle culture locali: "spetta a noi scatenare questo processo con un'evangelizzazione incarnata e assistere la comunità in un atteggiamento di vero dialogo nel quale la comunicazione dell'esperienza di fede è assicurata dalla forza delle espressioni culturali" (Iquitos 47).

Per la prima volta nella tradizione ecclesiale latinoamericana, un'area o un territorio socioculturale specifico veniva considerato come un luogo teologico: "i popoli che vivono nella conca amazzonica possiedono una personalità propria, con caratteristiche comuni, che si manifestano come segni della volontà unificatrice di Dio in questa zona" (Iquitos 30). Si chiede che questo territorio o area socio-culturale non venga trattato come "appendice di una Chiesa nazionale", ma come espressione della "unione che Dio ha germinalmente depositato in questa geografia" (Iquitos 31).

In quanto luogo teologico, “l'evangelizzatore non adatta la liturgia, non seleziona i simboli rituali e tanto meno crea la liturgia della comunità. Sono i credenti che, interagendo in comunità, reinterpretano collettivamente il loro sistema religioso tradizionale alla luce del fatto salvifico di Cristo, formulano la loro professione di fede e la loro teologia. Questo porterà alla creazione di un nuovo sistema liturgico" (Iquitos 47). (cfr. Rafael Luciani, Reconfigurar la identidad y la estructura eclesial a la luz de las Iglesias Locales, in Rev. Medellín, CEBITEPAL, vol. XLVI n. 179, p. 505-507).

Nel 2007, i vescovi riuniti nella V Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano hanno ripreso la Proposta di Iquitos e hanno invitato a pensare a nuove forme ecclesiali regionali nei seguenti termini: "il popolo di Dio si costruisce come comunione di Chiese particolari e, attraverso di esse, come scambio tra culture". In questo quadro, i vescovi e le Chiese locali esprimono la loro sollecitudine per tutte le Chiese, specialmente quelle più vicine, riunite in province ecclesiastiche, conferenze regionali e altre forme di associazione interdiocesana all'interno di ogni nazione e tra i Paesi di una stessa regione o continente" (Aparecida 182; 475).

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Mons. Joaquin Pinzón, vescovo del Vicariato di Puerto Leguizamo - Solano con Papa Francesco

Questo sentimento ecclesiale è ripreso da Papa Francesco in Querida Amazonia (97) e concretizzato nella Conferenza ecclesiale amazzonica - Ceama.

Futuro nella speranza

Vivere costruendo il presente con pazienza, responsabilità, rispetto, creatività e perseveranza, farà avanzare il futuro di questa Chiesa dal volto amazzonico, che sta già germogliando.

* Padre Salvador Medina, IMC, missionario in Colombia.

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Cappella della Consolata a Puerto Leguizamo

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