Una rivolta che cresce, tra morti e feriti, con migliaia di persone che protestano contro i brogli elettorali in Mozambico. «In piazza in questi giorni abbiamo visto sia giovani senza futuro né occupazione, ma soprattutto nuove generazioni disorientate, donne e uomini ingannati dalla politica che tanto ha promesso e nulla mantenuto», racconta da Maputo il vescovo ausiliare dell’arcidiocesi della capitale, mons. Osório Citora Afonso, Missionario della Consolata.
Dalle elezioni del 9 ottobre, il Mozambico sta assistendo a una radicalizzazione dei discorsi politici e a una spirale di violenza preoccupante. Infatti, Venancio Mondlane, leader dell’opposizione, ha organizzato diverse proteste a Maputo, contro il governo, a seguito delle controverse elezioni presidenziali dello scorso mese di ottobre.
Mondlane, ex deputato e pastore riformato, aveva inizialmente promesso di guidare una marcia per contestare la vittoria del candidato del partito al governo, Daniel Chapo, che ha ottenuto il 71% dei voti secondo i risultati ufficiali.
Intanto le manifestazioni dei giorni scorsi hanno provocato almeno 24 morti e spinto le autorità a limitare l’accesso a internet. L’Onu e diversi ambasciatori hanno esortato alla calma, mentre il Sudafrica ha chiuso il principale confine terrestre e sconsigliato viaggi in Mozambico.
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Sul tema si sono espressi anche i vescovi cattolici del Mozambico hanno definito le elezioni del 9 ottobre come “fraudolente” e “manipolate” e hanno esortato le autorità a non “certificare una bugia”. Il presidente della conferenza episcopale, l’arcivescovo Inacio Saure, ha lamentato gravi irregolarità, come brogli elettorali e falsificazioni nei risultati, denunciando anche l’assassinio di due leader dell’opposizione prima del voto.
I quattro principali candidati alle elezioni mozambicane del 9 ottobre. Foto: CNE
I vescovi hanno avvertito del rischio di un ritorno alla violenza, invocando pace e giustizia per il Mozambico. Sullo sfondo delle tensioni politiche, la provincia settentrionale di Cabo Delgado continua a soffrire per l’insurrezione islamista, attiva dal 2017, che ha causato oltre un milione di sfollati e migliaia di vittime.
Human Rights Watch ha denunciato la polizia che avrebbe sparato con proiettili veri e di gomma per disperdere la folla, causando numerosi feriti, compresi bambini colpiti da gas lacrimogeni nelle proprie abitazioni. A Chimoio e Gondola, nella provincia di Manica, e a Nampula, diverse persone sono morte per ferite da arma da fuoco, mentre a Maputo le forze di sicurezza hanno lanciato gas lacrimogeni indiscriminatamente nelle case vicine alle proteste. Human Rights Watch ha chiesto un’indagine imparziale sugli episodi di violenza e ha esortato le autorità a garantire il rispetto dei diritti alla libertà di espressione e di assemblea previsti dalla Costituzione.
Gran parte dei mozambicani ha avuto esperienza diretta o indiretta della guerra civile, durata 16 anni fino al 1992. Per questo in molti, a partire dai vescovi e dai preti delle parrocchie del Paese si stanno dimostrando particolarmente apprensivi davanti alla crescente radicalizzazione dei discorsi, senza che all’orizzonte sia visibile una soluzione politica.
Mons. Osório Citora Afonso durante messa nella chiesa di San Giuseppe Allamano a Torino, Italia. Foto: Jaime C. Patias
Eppure è proprio dalla Chiesa locale che molto prima della tornata elettorale, era portato un progetto di sensibilizzazione e informazione delle persone, come racconta mons. Osório Citora Afonso, IMC, nato a Ribaue in Mozambico:
«La comunità cristiana è stata preparata attraverso una nota pastorale dei vescovi della Conferenza Episcopale del Mozambico, del 22 di aprile scorso, in occasione della realizzazione censimento elettorale e anche dell'elezione generale del 9 ottobre. Con questa nota pastorale, firmata dall’Arcivescovo di Nampula e presidente della conferenza episcopale, (CEM), il Missionario della Consolata, mons. Inacio Saure, abbiamo preparato i cristiani ad arrivare a quel momento così importante della vita del popolo mozambicano, consapevoli della loro responsabilità. Per questo motivo avevamo preso la frase biblica del Salmo 106, 3 “Beati coloro che osservano ciò ch'è prescritto, che fanno ciò ch'è giusto, in ogni tempo”. In questa nota, il primo aspetto che, come vescovi, abbiamo sottolineato è quello del camminare insieme, la sinodalità: “Insieme per una nazione più fraterna e democratica».
All'approssimarsi dell'elezione generale, «ci siamo detti», continua il vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Maputo «vogliamo offrire ai fedeli una riflessione che nasce dalle varie lezioni imparate dalle ultime elezioni in Mozambico. E allora abbiamo sottolineato quanto fosse importate camminare insieme per costruire una nazione più fraterna e più democratica. Abbiamo fatto un Appello a tutti coloro che sono coinvolti nel processo elettorale: agli organi elettorali, i partiti politici, i candidati, le organizzazioni della società civile, gli osservatori elettorali, i media e tutti i, i partiti politici, i candidati, le organizzazioni della società civile, gli osservatori elettorali, i media e tutti i mozambicani».
Le manifestazioni in Mozambico hanno provocato almeno 24 morti e spinto le autorità a limitare l’accesso a internet.
Questo documento è stato inviato i cristiani e a tutte le parrocchie nell'aprile di quest’anno, così che avessero diversi mesi per arrivare pronti alle elezioni di ottobre. Purtroppo, però non ha arginato le violente proteste per presunti brogli elettorali. «In questi giorni abbiamo visto in piazza e per le strade abbiamo visto dei mozambicani affamati della giustizia elettorale. Hanno difeso la verità delle urne elettorali che, secondo loro, non erano trasparenti e che c'erano molte frodi. Sono delle generazioni disorientate, donne e uomini che si sentono ingannati dai politici che tanto hanno promesso e nulla mantenuto. Questo li ha portati nelle strade di Maputo, ma anche di grandi città come Beira e Nampula. Queste persone vogliono il cambiamento. La società ha bisogno di un cambiamento, un’alternativa governativa ed un nuovo modello di governo. Dopo 50 anni con lo stesso partito nel potere hanno bisogno di un altro modo di fare governare che risponde alle ansietà dei giovani e che cerca il bene comune, dove i giovani hanno un luogo e un valore nella gestione della nazione», commenta mons. Osório Afonso.
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Che conclude:«Davanti alle atrocità che si vedevano nel dopo elezione, noi i vescovi abbiamo fatto una seconda nota, del 22 ottobre scorso, dove affermavamo: “Chiediamo il rispetto del diritto alla manifestazione politica, ma avvertiamo anche i giovani di non lasciarsi strumentalizzare e trascinare in azioni di vandalismo e destabilizzazione”.
Inoltre, si leggeva che “noi, i vescovi cattolici del Mozambico, chiediamo a tutti coloro che sono direttamente coinvolti in questo processo elettorale e nel conflitto generato di fare l'esercizio del riconoscimento della colpa e del perdono e del coraggio della verità. Il Mozambico non deve tornare alla violenza”, hanno insistito.
Questo messaggio è stato ripetuto da mons. Joao Carlos, Arcivescovo di Maputo e vice-presidente della Conferenza episcopale, la sera del 6 novembre quando si aspettava la giornata del 7 in cui si era programmato una grandissima manifestazione nella capitale: “Evitiamo spargimenti di sangue e violenze. Viviamo questa situazione nei vespri del giubileo dell’Anno Santo che ha come tema: “pellegrini di speranza”. Invitiamo a tutti noi ad essere i pellegrini di speranza in questo Mozambico».
* Originalmente pubblicato in: www.famigliacristiana.it
“Mi ricordo di Dio e gemo, medito e viene meno il mio spirito (...), sono turbato e senza parole”. “Questa preghiera del Salmo 76 è il mio sentimento oggi per quello che sta accadendo in Mozambico dopo le elezioni del 9 ottobre”, ha dichiarato mons. Inácio Saure, IMC, arcivescovo di Nampula, durante la messa celebrata presso la Casa Generalizia IMC a Roma, questo mercoledì 30 ottobre.
Secondo mons. Inácio, presidente della Conferenza Episcopale Mozambicana (CEM), “tutti dicono che il candidato del partito di opposizione Podemos, Venâncio Mondlane, ha vinto le elezioni”. Tuttavia, la Commissione Elettorale nazionale (CNE), presieduta dal vescovo anglicano Carlos Matsinhe, ha annunciato la vittoria di Daniel Chapo, sostenuto dalla Frelimo, il partito al potere dall'indipendenza nel 1975, che, secondo l'organismo, ha ottenuto il 70% dei voti. Al secondo posto è il candidato di Podemos con il 20%, un risultato contestato dal partito che rivendica la vittoria di Venâncio Mondlane con il 53% dei voti. Anche il Movimento Democratico del Mozambico (MDM) e la Resistenza Nazionale Mozambicana (Renamo), ora terzo partito, hanno ritenuto che questi risultati fossero falsificati e li hanno contestati.
I quattro principali candidati alle elezioni mozambicane del 9 ottobre. Foto: CNE
La situazione di stallo ha scatenato un'ondata di manifestazione nelle principali città, con una violenta repressione che ha portato alla morte di almeno 11 persone negli ultimi giorni. Più di 450 persone sono state arrestate, la maggior parte a Maputo, tra cui, secondo il Centro per la democrazia e i diritti umani, minori e persone vulnerabili, alcune senza alcun legame con le manifestazioni.
A Roma, il vescovo Inácio Saure ha partecipato alla Seconda Assemblea del Sinodo sulla sinodalità e alla canonizzazione di San Giuseppe Allamano. In Mozambico “la situazione è grave - ha detto il vescovo - tra il 1° e il 7 novembre Vanâncio Mondlane ha proclamato uno sciopero generale nel paese e temiamo che questo porti ad altre violenze e morti. I politici dicono di voler fare del bene, ma quale bene?”, domandò il vescovo.
“Il nostro Santo Fondatore dice che ‘il bene deve essere fatto bene’. Quindi, chi vuole fare il bene deve farlo bene. Sembra che il partito al potere abbia perso il controllo della situazione. Per questo chiedo di pregare per la pace in Mozambico”. Per mons. Inácio, “l'esperienza del Sinodo è stata una grande grazia, non solo come momento di ascolto, ma anche di formazione alla pratica della sinodalità. Che il messaggio del Sinodo ci aiuti a camminare come Chiesa sinodale”, augura il vescovo prima di rientrare nel suo Paese.
Messa nella Casa Generalizia presieduta da mons. Inácio Saure
Preoccupata per la situazione di violenza, il 22 ottobre la Conferenza episcopale del Mozambico (CEM) ha rilasciato una dichiarazione, firmata da mons. Inácio Saure, in cui afferma: “Condanniamo il barbaro assassinio di due personalità politiche, che ricorda chiaramente altri omicidi di personalità politiche o della società civile, anche legate ai partiti di opposizione, avvenuti all'indomani di precedenti elezioni, con analoghe modalità”. Elvino Dias, avvocato di Venâncio Mondlane, e Paulo Guambe, due oppositori politici, sono stati uccisi la notte del 18 ottobre in un agguato nel centro della capitale, Maputo.
Nel contesto delle elezioni generali, i vescovi affermano che “la Chiesa cattolica, come istituzione, non sostiene candidati e non ha partiti. Ma questo non significa che rinunci al suo impegno politico e sociale, un percorso concreto verso la costruzione di una società più democratica, inclusiva, giusta e fraterna, in cui tutti possano vivere in pace, con dignità e un futuro. Per questo, come voce della Chiesa cattolica, noi Vescovi non possiamo non denunciare questa grave situazione che il paese sta vivendo e la violenza che genera, gettando tutti nel caos”.
Un altro punto evidenziato nel comunicato è l'affluenza alle urne, dove “più della metà dei Mozambicani registrati non si è presentata per esercitare il proprio diritto di voto”. Ciò indica “che la loro volontà, espressa alle urne, non viene rispettata, rendendo inutile l'esercizio di questo importante diritto civico”.
Mons. Inacio Saure durante conferenza stampa il 09 ottobre 2024, giorno delle elezioni in Mozambico, nella Sala Stampa della Santa Sede a Roma
La nota della CEM denuncia “frodi grossolane” come “il riempimento delle urne, la falsificazione di avvisi e tanti altri modi per coprire la verità”, che portano i funzionari eletti a perdere la loro legittimità. “Queste irregolarità praticate impunemente - denunciano i vescovi - hanno rafforzato la mancanza di fiducia negli organi elettorali, nei leader che abdicano la loro dignità e disprezzano la verità e il senso di servizio che dovrebbe guidare coloro ai quali il popolo affida il proprio voto”. “Certificare una menzogna è una frode”.
Il comunicato chiede “il rispetto del diritto a manifestare pacificamente, ma avvertiamo anche i giovani, (la più grande ricchezza nazionale), di non lasciarsi strumentalizzare e trascinare in azioni di vandalismo e destabilizzazione”, situazione che i vescovi avevano già rilevato nella nota pastorale del 16 aprile 2021.
Il messaggio è un forte appello a fermare “la violenza, i crimini politici e la mancanza di rispetto per la democrazia. Abbiano il coraggio di dialogare e di ristabilire la verità dei fatti”.
In conclusione, i vescovi chiedono a coloro che sono coinvolti in questo processo elettorale e nel conflitto che ha generato di “fare del riconoscimento delle colpe, del perdono e del coraggio della verità il cammino che permetterà il ritorno alla situazione normale”.
“Il Mozambico non deve tornare alla violenza! Il nostro Paese merita verità, pace, tranquillità e tolleranza!”
* Padre Jaime C. Patias, IMC, Comunicazione Generale a Roma.
La seconda sessione dell'Assemblea sinodale sulla sinodalità, in corso dal 2 al 27 ottobre 2024 nell'Aula Paolo VI in Vaticano, continua a confrontarsi su temi importanti per una Chiesa dal volto sinodale che riscopre gli principi di “comunione, partecipazione e missione”.
Quasi ogni giorno si tengono conferenze stampa nella Sala Stampa della Santa Sede, dove i giornalisti di tutto il mondo vengono informati sui lavori. Mercoledì 9 ottobre, gli ospiti invitati a discutere i temi legati al cammino sinodale sono stati l'arcivescovo di Nampula e presidente della Conferenza Episcopale del Mozambico, mons. Inácio Saúre, missionario della Consolata; l'arcivescovo di Puerto Montt del Cile, mons. Luis Fernando Ramos e il diacono permanente della diocesi di Gand (Belgio), Geert De Cubber.
Riportiamo gli interventi di Mons. Inacio Saúre in risposta alle domande dei giornalisti.
Cristiane Murray: Questo Sinodo sulla sinodalità porta una grande novità per la vostra Congregazione (i Missionari della Consolata) con il nuovo santo?
Il Sinodo porta anche una grande novità per la famiglia della Consolata, perché il 20 ottobre si celebrerà la canonizzazione di Giuseppe Alamano, il nostro Fondatore che ho imparato a conoscere come seminarista dagli anni ottanta. Nel contesto del Sinodo, il tema stesso di “come essere una Chiesa sinodale missionaria” mi sta molto a cuore come missionario della Consolata, perché il Beato Giuseppe Allamano ha creato due Istituti per la missione ad gentes.
Conferenza stampa mercoledi 9 ottobre 2024 nella Sala Stampa della Santa Sede
Tra i temi discussi dal Sinodo, vorrei sottolineare l'importanza dell'iniziazione cristiana per realizzare un incontro personale con Cristo in un contesto in cui molti giovani lasciano la Chiesa dopo il sacramento della Cresima (confermazione). Ovviamente, questo ci fa capire che la iniziazione cristiana manca di profondità.
Un altro tema affrontato è la condivisione dei doni tra le Chiese. Uno dei temi dell'Instrumentum laboris (del Sinodo) parlava della condivisione dei doni materiali nel contesto di chiese più ricche e altre che sono effettivamente indigenti. Come possiamo raggiungere una condivisione dei doni materiali in una Chiesa sinodale senza trascurare altri aspetti come la condivisione spirituale, teologica e pastorale?
Importante è anche la questione della conoscenza reciproca tra la Chiesa cattolica latina e la Chiesa cattolica orientale, che spesso noi cattolici conosciamo poco e forse gli orientali conoscono poco noi. Nel contesto di una Chiesa sinodale, è stato sottolineato che questo è molto importante per il nostro arricchimento reciproco e la Chiesa orientale ha molto da offrirci in questa condivisione di doni.
Jaime C. Patias: Parlando dello scambio di doni, come il Sinodo potrebbe aiutare a trovare soluzioni in situazioni di conflitti, violenze e guerre in cui intere popolazioni soffrono, come accade oggi a Cabo Delgado (Mozambico) e in altre regioni del mondo?
Penso che la prima cosa che il Sinodo ha l'opportunità di indicare è la conoscenza della realtà. Questa guerra è iniziata nell'ottobre 2017 con pesanti attacchi a villaggi importanti. Ora sembra essere in una fase di stallo perché non abbiamo forti attacchi ai villaggi, ma i piccoli attacchi nei villaggi ci sono ancora e difficilmente vengono riportati. Purtroppo, la sofferenza che questa guerra ha creato è molto presente. La guerra ha causato circa 5.000 morti e 1 milione di sfollati all'interno della Provincia di Cabo Delgado e nelle province vicine come Niassa e Nampula, dove sono arcivescovo.
Mons. Inacio Saure durante conferenza stampa mercoledì 09 ottobre 2024 nella Sala Stampa della Santa Sede
All'inizio ci sono stati molti interventi con la partecipazione di organizzazioni umanitarie per aiutare, ma oggi queste popolazioni sono state praticamente abbandonate alla loro sorte, perché sono viste come persone che sono arrivate e si sono stabilite nelle zone adiacenti, e non sono più viste come sfollati in una situazione di emergenza. Quindi, penso che il Sinodo, conoscendo la realtà, potrebbe dire cosa si potrebbe fare concretamente. La mancanza di informazioni non aiuta le altre Chiese sorelle a raggiungere queste popolazioni sofferenti e bisognose. Finora è stato fatto molto, ma oggi la gente ha bisogno di più.
Anna Tulli (Lanza): Considerando la sua esperienza di missionaria della Consolata, vede un cambio di paradigma nella missione, quando gli europei evangelizzavano il mondo e presto vedremo gli africani evangelizzare un'Europa sempre meno cristiana?
Penso che questa possibilità sia aperta, ma allo stesso tempo la Chiesa in Africa, in particolare in Mozambico, deve affrontare anche il problema dei mezzi finanziari per formare i missionari. Quindi, in questa condivisione di doni, se l'Africa può avere questo sostegno, penso che ci sarà questa possibilità. Recentemente, durante la visita ad limina dei vescovi del Mozambico, abbiamo presentato i progetti per la formazione nei seminari e le difficoltà economiche per realizzarli. Nella mia arcidiocesi, oltre al seminario diocesano propedeutico, abbiamo un seminario interdiocesano di filosofia che non siamo riusciti a completare per mancanza di risorse. Il Santo Padre ci ha promesso un aiuto e questo ci ha messo un po' a nostro agio. Quindi credo in questo cambiamento di paradigma nella missione.
La praticipazione del Papa Francesco nei lavori del Sinodo
Danúbia (Canção Nova): Lei ha parlato di iniziazione cristiana, ha qualche insegnamento del Beato Allamano che possa contribuire a questo processo?
Ho lavorato nella Repubblica Democratica del Congo e ho conosciuto una bella esperienza di iniziazione cristiana da parte del movimento giovanile "Bilenge ya mwinda" (Giovani della luce) che cerca di incorporare elementi della cultura nella vita cristiana, una bella iniziativa. In Mozambico non abbiamo molte iniziative di questo tipo. Per sei anni sono stato responsabile della pastorale giovanile e abbiamo lavorato per creare una pastorale giovanile con i giovani, dai giovani e per i giovani. Penso che questo possa aiutare.
Per quanto riguarda il Beato Giuseppe Allamano, che sarà canonizzato a giorni, lui aveva un motto che mi ha colpito molto: “prima santi e poi missionari”. Direi anche: prima santi e poi cristiani. Ero maestro dei novizi e quando citavo questo motto del Fondatore, i giovani mi prendevano in giro dicendo: “Allora padre, tu sei già santo?”. Io rispondevo: devo avere la propensione alla santità. Questa felice coincidenza della canonizzazione di Giuseppe Allamano nel bel mezzo del Sinodo sulla sinodalità può essere anche un contributo alla Chiesa missionaria.
* Padre Jaime C. Patias, IMC, Segretariato per la Comunicazione.
“Speriamo che le elezioni siano libere ed eque e soprattutto pacifiche” dice all’Agenzia Fides, mons. Inacio Saure, arcivescovo di Nampula, Presidente della Conferenza Episcopale del Mozambico.
Oggi, 9 ottobre, nel Paese dell’Africa australe si tengono le elezioni generali per eleggere il Presidente e il Parlamento. Non si attendono forti sorprese; il Frelimo (Fronte di Liberazione Nazionale) al potere dall’indipendenza nel 1975 dovrebbe conservarlo anche questa volta.
Il Mozambico uscito nel 1992 dalla guerra civile scoppiata nel 1975 si trova da alcuni anni confrontato dalla guerriglia jihadista nella provincia di Cabo Delgago, la più settentrionale del Paese.
Spero innanzitutto che le elezioni siano libere ed eque e soprattutto pacifiche. La preparazione del voto è stata segnata da alcune difficoltà. Sappiamo che vi sono stati dei ritardi e delle problematicità nelle iscrizioni alle liste elettorali, dovuti a questione burocratiche ma forse anche ad altri problemi di carattere politico. Diciamo che non vi era interesse che certe persone si iscrivessero alle liste elettorali. C’è pure una certa stanchezza e delusione da parte degli elettori perché le prime elezioni libere si sono tenute nel 1994, 30 anni fa, e da allora il voto è stato seguito da polemiche e contestazioni.
Noi diciamo sono i jihadisti, ma non credo che siano loro l’unica motivazione di questa guerra. Ci sono le risorse dell’area; il gas in primo luogo, ma non solo: vi sono miniere di minerali strategici come ad esempio la grafite, a Balama, che sono fondamentali per le nuove tecnologie e la transizione energetica. Per questo non sappiamo davvero quale sia la vera causa principale di questa guerra. È soltanto religiosa? Non mi sembra. Dall’altronde il conflitto è esploso più o meno in coincidenza dell’avvio dello sfruttamento del gas naturale.
Conferenza stampa nella Sala Stampa della Santa Sede a Roma, martedì 9 ottobre
Dopo Cabo Delgado, il capoluogo della provincia dove è in atto la guerra, Nampula è la provincia che ha accolto la maggior parte dei rifugiati in fuga dalle violenze. È una sfida perché quella di Nampula è la provincia più popolata del Paese e l’aggiungersi all’improvviso di altre migliaia di persone ha posto dei problemi alle strutture dell’area. Al principio, quando sono iniziati ad arrivare i primi profughi, sono intervenute diverse organizzazioni internazionali per aiutarci. Ma poi gli aiuti si sono fortemente ridotti. Si sono dimenticati di noi e dei più di 6.000 rifugiati ancora accolti a Nampula. All’inizio era fino a 8.000 ma alcuni sono tornati a Cabo Delgado, dove gli sfollati dai villaggi colpiti dall’insicurezza sono ancora tantissimi.
Come Chiesa siamo impegnati al massimo attraverso le nostre Caritas diocesane e nazionale, ad aiutare queste persone. Il problema è che non abbiamo risorse sufficienti tanto più che gli aiuti internazionali sono quasi scomparsi.
Gran parte del Mozambico vive in pace ma c’è il timore che l’instabilità nel nord possa estendersi al resto del Paese alimentata dalla forte povertà, specie dei giovani disoccupati, in particolare nelle città.
Sì soprattutto tra i giovani. Tanti giovani dalla campagne si sono trasferiti nelle città ma non hanno trovato un lavoro. Si tratta tra l’altro di una grande sfida sul piano pastorale. L’ideale sarebbe creare possibilità di formazione professionale per queste persone. La Chiesa da sola non ha mezzi per fare questo. Nella nostra precedente Visita ad Limina, Papa Francesco ci aveva raccomandato di non dimenticare mai i nostri giovani, fornendo loro luoghi di formazione. Nella visita di quest’anno ho fatto presente al Santo Padre le difficoltà che incontriamo nell’aiutare i giovani alla formazione professionale perché come Chiesa mozambicana non abbiamo i mezzi per farlo. Cerchiamo di fare il possibile ma veramente i mezzi sono molto limitati.
Dall’altro canto le scuole cattoliche sono molto apprezzate per la qualità del loro insegnamento. Lo Stato però ha alzato le imposte sulle nostre scuole equiparandole a delle imprese private e che questo ci ha messo in difficoltà.
È una Chiesa vivace. Abbiamo tante vocazioni, i seminari sono pieni. È veramente una grazia. I giovani frequentano la Chiesa in massa. La maggior parte del clero è mozambicana. Abbiamo anche alcuni sacerdoti che vanno a fare il missionario in altri Paesi africani.
Inoltre, il ruolo dei laici è molto importante perché nel 1977 l’assemblea pastorale nazionale aveva deciso di impostare una Chiesa ministeriale ovvero di ministri laici. I catechisti rivestono un ruolo fondamentale soprattutto nei villaggi dove non c’è una presenza fissa di un sacerdote.
Originalmente pubblicato in: Agenzia Fides
Descritto come un missionario di grande semplicità e altruismo, padre Luís Ferraz, è mancato questo sabato, 27 luglio, a Fátima, in Portogallo. Il missionario della Consolata aveva 92 anni, di cui 66 di professione religiosa e 61 di sacerdozio.
“Affidandolo all'infinita misericordia di Dio Padre – diceva una nota dei missionari della Consolata in Portogallo – ci uniamo nella preghiera per il suo riposo eterno, rendendo grazie a Dio per il modo in cui si è consumato nella sua missione di apostolo e missionario della Consolata”.
I funerali hanno avuto luogo mercoledì 31 luglio con una messa funebre nella chiesa dell'ex Seminario della Consolata e la successiva sepoltura nel cimitero di Fatima.
Padre Luís Ferraz era visto come un missionario di grande semplicità e carità: una presenza silenziosa e amichevole nelle comunità in cui viveva. La sua biografia, che presentiamo di seguito, lo testimonia.
Nato a Formigais, Vila Nova de Ourém, il 22 luglio 1932, fece il suo ingresso nella comunità dei Missionari della Consolata in Portogallo il 18 ottobre 1951 e, sei anni dopo, nella Certosa di Pesio (Cuneo), emise la prima professione religiosa il 2 ottobre 1957. Sempre in Italia, a Torino, il 2 ottobre 1960 fece la professione perpetua e poi, nel 1962, venne ordinato diacono. Il 30 marzo 1963 divenne sacerdote.
Padre Luís Ferraz (al centro) festeggia 60 anni di ordinazione sacerdotale con la comunità di Águas Santas, Portogallo
Trascorse i primi tre anni del suo ministero in Portogallo dove si impegnò come professore e assistente a Vila Nova de Poiares e poi come vice parroco e cappellano a Campolide. Nel 1966, padre Luís Ferraz parte per il Mozambico dove trascorse tutti gli anni della sua vita attiva come missionario.
Questi i luoghi dove offrì il suo servizio missionario: al principio lavorò nella diocesi di Inhambane, nella missione di Mavamba (1966-1967); poi si trasferì nell’archidiocesi di Lourenço Marques (Maputo) per lavorare nella parrocchia di São Gabriel a Matola, dove è stato vice parroco (1967-1971), poi parroco di Boane (1971-1972), di nuovo vice parroco a Matola (1973-1975) e parroco dal 1975 al 1981.
La parrocchia di São Gabriel, creata il 2 luglio 1951 dai missionari della Consolata, è la madre della maggior parte delle parrocchie della periferia occidentale di Maputo. Padre Luís ha lavorato in questa parrocchia per quasi 15 anni. Ha vissuto con coraggio il difficile periodo dell'indipendenza del 1975, quando il popolo del Mozambco ha dovuto affrontare molte sofferenze lo stesso che molte famiglie portoghesi, suoi parrocchiani, che dovettero abbandonare il paese.
Seguirono gli anni difficili della rivoluzione marxista-leninista, con le sue innumerevoli restrizioni alla libertà religiosa. Padre Luís ha affrontato questi anni con la collaborazione delle missionarie della Consolata che vivevano a Matola. Nel 1981 l’Istituto consegnò la parrocchia di Matola all’archidiocesi di Maputo e lui fu l'ultimo missionario della Consolata a lavorare in quella parrocchia.
Dal 1981 al 1986 padre Luís fu superiore nella casa regionale e qui svolse l’importante attività di sostegno alle missioni e ai missionari presenti nelle diocesi di Inhambane e Lichinga che in quegli anni di grandi difficoltà avevano bisogno di tutto: ospitalità, viaggi, acquisto di materiali e cibo, ecc.
Nel 1986 tornò a lavorare nella diocesi di Inhambane, questa volta nella parrocchia di Guiúa e nel Centro Catechistico. Insieme a padre Andrea Brevi, riaprì il Centro e la parrocchia, che erano stati chiusi nel 1983 per ordine del governo, riprendendo la formazione delle famiglie dei catechisti. Si è dedicato a questa attività formativa e alla cura pastorale delle comunità cristiane della parrocchia.
Il 13 settembre 1987, il Centro Catechistico fu assaltato dalla Renamo (Resistenza Nazionale Mozambicana). Le famiglie dei catechisti vengono rapite e il catechista Peres Manuel viene ucciso: padre Luís rimane a Guiúa, nonostante la guerra e la violenza che regnava nella zona. Il 9 ottobre 1991 fu trasferito a Mambone come parroco: assieme al padre Amadio Marchiol visse anche lì in un contesto di guerra, con molti pericoli e privazioni.
Il 4 ottobre 1992 fu firmato l'Accordo di pace che pose fine alla guerra civile del Mozambico. Nel 1993, padre Luís fu trasferito da Nova Mambone alla parrocchia di Vilanculos, sempre nella diocesi di Inhambane. Con il padre Alceu Agarez e padre Jaime C. Patias, ha assistito le numerose comunità delle parrocchie di Vilanculos, Mapinhane e Maimelane.
Il 10 novembre 1998 è stato nominato parroco di Vilanculos: ha vissuto un periodo di grande attività pastorale e di promozione umana, in un momento di pacificazione, ricostruzione e consolidamento delle comunità cristiane dopo la dispersione causata dalla guerra.
Nel 2000 è stato trasferito al Seminario Filosofico di Matola come collaboratore nella formazione ed economo e con padre Jaime C. Patias, ha collaborato alla formazione dei futuri missionari della Consolata e ha prestato servizio pastorale alle comunità cristiane delle parrocchie di Liqueleva, Liberdade e Matola fino al 2008.
L'ultimo periodo della missione di padre Luís in Mozambico si è svolto tra il 2009 e il 2015 presso al Seminario dei Missionari della Consolata nella città di Nampula. Questa tappa è stata per lui un grande salto: dal sud del Paese, dove aveva sempre lavorato, si è trasferito al nord, dovendo affrontare tutte le differenze linguistiche e culturali. Come sempre, padre Luís ha dimostrato la sua totale disponibilità, il suo spirito di ubbidienza e di servizio. Si è dedicato al lavoro di manutenzione della casa, alla formazione dei seminaristi e al lavoro pastorale nella parrocchia di Nossa Senhora da Paz.
Dopo 49 anni di passione e dedizione a quella nazione africana, nel 2015 padre Luíz è tornato in Portogallo dove ha vissuto gli anni d'oro della sua vocazione e consacrazione missionaria. Lì è stato assegnato alla comunità di Águas Santas che divenne la sua comunità di riferimento fino alla morte; trascorse questi anni dedicato ai servizi pastorali, alle Messe e alle confessioni.
Era un missionario nel vero e pieno senso della parola. Anche in età avanzata, ha sempre mantenuto un vivo spirito missionario e familiare, essendo attivo nei piccoli compiti quotidiani della comunità, che svolgeva con grande dedizione, la stessa che ha sempre caratterizzato il suo impegno verso Dio, verso il prossimo e verso la missione.
I funerali di padre Luís Ferraz mercoledì 31 luglio a Fátima
Padre Jaime Patias, IMC, attuale Segretario Generale per la Comunicazione a Roma, ha lasciato questa sentita testimonianza:
“Riposa in pace, caro confratello e maestro di bontà, padre Luiz Ferraz, IMC, con il quale ho avuto la grazia di lavorare per cinque anni durante la ricostruzione in Mozambico, prima a Vilankulos e poi nel Seminario Filosofico a Matola, nella grande Maputo. Rimane l'immagine di uno di quegli esseri umani eccezionali, benedetti dalla sua generosità e dal dono di sé, che ha vissuto profondamente una vita serena e lunga sulla terra. Possa ricevere la corona dei giusti da Dio, che ha servito fedelmente, e intercedere per noi! Grazie di tutto!”
* Redazione SGC con informazioni di padre Albino Brás e padre Álvaro Pacheco, IMC Portogallo.