Nel lontano 1926, i missionari della Consolata arrivavano in Mozambico nella missione Milulu, nel distretto di Zumbo, al confine con lo  Zambia, oggi territorio della diocesi di Tete eretta nel 1962. La presenza dei figli dell’Allamano in questa missione poi è stata interrotta per lunghi anni.

I nostri missionari sono tornati a Tete soltanto nel 2012 con la nomina di Mons. Ignazio Saure, IMC, come vescovo della diocesi. Nel 2017, Mons. Ignazio Saure è stato nominato arcivescovo di Nampula, e la diocesi di Tete ha avuto il padre Sandro Giancarlo Faedi, IMC, come amministratore diocesano per due anni.

Il 12 maggio 2019, il Signore ha dato al popolo di Tete il suo quinto pastore nella persona di Mons. Diamantino Guapo Antunes, missionario della Consolata, portoghese di origine, che ha scelto come motto per il suo episcopato le parole “Gaudium et spes” (gioia e speranza), un messaggio di grande attualità.

In occasione del quinto anniversario della sua ordinazione episcopale e approfittando della sua visita a Roma, abbiamo intervistato Mons. Diamantino che ci ha parlato del lavoro missionario nella sua diocesi e della situazione nel paese dell'Africa meridionale.

*  Padre Jaime C. Patias e Fr. Adolphe Mulengezi, IMC, Segreteria per la Comunicazione.

Il vescovo di Pemba avverte sul ritorno del terrore jihadista a Cabo Delgado: "Tutte le cappelle sono state distrutte"

In un messaggio inviato alla Fondazione ACN (Aiuto alla Chiesa che Soffre) di Lisbona, il vescovo della diocesi di Pemba, monsignor António Juliasse traccia un quadro drammatico della situazione a Cabo Delgado, nel nord del Mozambico, una regione colpita da gruppi armati che affermano di appartenere a Daesh, l'organizzazione jihadista "Stato Islamico".

Il vescovo parla di una "folla immensa" che fugge disperata per evitare di subire "la stessa sorte di coloro che sono stati decapitati o fucilati" negli attacchi già avvenuti "in decine di villaggi", dove tutte le cappelle cristiane "sono state distrutte".

In un emozionante messaggio di cinque minuti, il vescovo descrive tutta la violenza terroristica che ha colpito ancora una volta Cabo Delgado e che sta causando una nuova tragedia umanitaria nella regione, particolarmente nel distretto di Chiúre, il più popoloso della provincia. "La violenza perpetrata in questo distretto nelle ultime due settimane è stata tale che circa una dozzina di villaggi, alcuni molto popolosi, sono stati presi di mira, con la distruzione di case e istituzioni", spiega il vescovo. "In questi villaggi sono state distrutte tutte le cappelle cristiane. Il punto più alto finora è stato l'attacco a Mazeze, la sede amministrativa del distretto di Chiúre, con la distruzione di molte infrastrutture governative e sociali, oltre che della nostra Missione, che forniva sostegno alla popolazione della regione".

Questi attacchi violenti hanno scatenato il panico, con migliaia di uomini, donne e bambini in fuga per salvare la propria vita dirigendosi in luoghi più sicuri.

Esodo della popolazione

Il vescovo di Pemba parla addirittura di un "dramma della fuga", un "autentico esodo della popolazione". Le immagini video riprese con i telefoni cellulari ed inviate alla Fondazione ACN da alcuni cattolici testimoniano proprio questo dramma. Le immagini mostrano centinaia di persone, molte delle quali hanno già cercato rifugio nella vicina provincia di Nampula che durante la notte camminano frettolosamente lungo i bordi delle strade nella regione di Chiúre. Le persone che stanno fuggendo non solo quelle che sono state prese di mira dagli attacchi jihadisti, ma anche quelle che hanno paura per la presenza dei gruppi armati. "Le popolazioni dei villaggi già ridotti in cenere stanno fuggendo, così come quelle dei villaggi che ora rischiano di essere attaccati. Molti stanno prendendo una strada che sanno dove inizia ma non dove condurrà. Stanno cercando un luogo sicuro. Non so dove lo troveranno... forse [solo] il meno pericoloso", dice il vescovo.

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Dall'inizio degli attacchi a Cabo Delgado, nell'ottobre 2017, si stima che più di 5.000 persone siano morte e più di un milione siano state costrette a fuggire dalla violenza di questi gruppi terroristici, che, come detto, si dichiarano di appartenere a Daesh, l'organizzazione jihadista "Stato Islamico".

Gente triste e disperata

Nel messaggio audio inviato a Lisbona, Mons. António Juliasse parla di volti "attoniti e tristi", di persone "disperate". "Portano un fagotto sulla testa o l'unica bicicletta di famiglia. È tutto ciò che gli è rimasto. Sicuramente la fame, la sete e le malattie arriveranno presto". Sono persone spaventate che fuggono, cercando di salvare la propria vita, per non avere "la stessa sorte di coloro che sono stati decapitati o fucilati". L'intero messaggio è pieno dell'emozione di chi sta assistendo a uno dei momenti più bui della violenza terroristica in Mozambico. Mons. António racconta anche la triste storia di Tina una giovane madre, nipote di un impiegato della Curia diocesana. Tina è fuggita anche lei portando con sé in braccio solo il bimbo appena nato. "Nel caldo e nella polvere, ha bevuto l'acqua che ha trovato, ha avuto diarrea e vomito ed è crollata. Il piccolo è rimasto senza madre, senza colpa e senza pace...".

"Non possiamo stare a guardare senza fare nulla...".

Le parole di Mons. António riflettono la situazione di gravità che stiamo vivendo e sono anche un campanello d'allarme affinché il mondo si renda conto che Cabo Delgado sta vivendo una vera e propria emergenza umanitaria, essendo al centro di una delle più feroci offensive jihadiste del continente africano, ed è dunque necessario venire in aiuto di queste persone spaventate.

"Il rischio più grande è che questi volti vengano dimenticati a causa di altre guerre nel mondo", afferma il vescovo di Pemba. "Non possiamo assolutamente stare a guardare senza fare nulla", aggiunge. Ma la diocesi può fare poco senza l'aiuto del mondo.

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Nel suo messaggio, il vescovo Juliasse chiede ancora una volta di sostenere la Chiesa martire di Cabo Delgado. "Senza la generosità e la condivisione di tutti, non possiamo far fronte alla situazione", e conclude con un ringraziamento speciale a Papa Francesco che domenica (03/03), dopo la preghiera dell'Angelus, ha parlato ancora una volta della violenza terroristica nel nord del Mozambico. "Vorrei cogliere questa occasione per esprimere la mia più profonda gratitudine per la vicinanza di Papa Francesco al popolo del Mozambico e in particolare alla popolazione di Cabo Delgado, durante il suo messaggio dell’Angelus. Il suo discorso è stato per noi come un balsamo, un sollievo immediato, una carezza e un conforto. Accogliamo il suo invito a pregare per la fine delle guerre in tutto il mondo.

* Paulo Aido dell'Agenzia Ecclesia in Portogallo - www.agencia.ecclesia.pt

Dopo l'Angelus, Francesco lancia i suoi appelli alla fine della violenza in Sudan, dove chiede di fermare un conflitto che “ha provocato una gravissima situazione umanitaria”, e nel Nord del Mozambico. Il pensiero all’Ucraina e alla Palestina. Nel pomeriggio l’inizio degli esercizi spirituali con l’invito ai fedeli, in questo tempo di Quaresima e di preparazione al Giubileo, “a dedicare momenti specifici per raccogliersi alla presenza del Signore”

La violenza che da dieci mesi devasta il Sudan e che dilaga in Mozambico, e poi conflitti che insanguinano le altre parti del mondo, come la Palestina e l’Ucraina. Sono questi la dimostrazione che “la guerra è una sconfitta”. Francesco non smette di ripeterlo e lo fa anche oggi, nei saluti dopo la recita dell’Angelus, nella prima domenica di Quaresima.

Non dimentichiamo: la guerra sempre è una sconfitta, sempre. Ovunque si combatte le popolazioni sono sfinite, sono stanche della guerra, che come sempre è inutile e inconcludente, e porterà solo morte, solo distruzione, e non porterà mai la soluzione del problema. Preghiamo invece senza stancarci, perché la preghiera è efficace, e chiediamo al Signore il dono di menti e di cuori che si dedichino concretamente alla pace.

L'appello per il Sudan 

L’appello del Papa è rivolto al Sudan, dove il 15 aprile del 2023 è iniziato un conflitto che vede contrapposti l’esercito sudanese e il gruppo paramilitare conosciuto come RSF, le "Forze di supporto rapido" e che, dice Francesco, “ha provocato una gravissima situazione umanitaria”.

Chiedo di nuovo alle parti belligeranti di fermare questa guerra, che fa tanto male alla gente e al futuro del Paese. Preghiamo perché si trovino presto vie di pace per costruire l’avvenire del caro Sudan.

La violenza in Mozambico

Lo sguardo del Pontefice resta in Africa, si sposta sul Nord del Mozambico, anche questa un’area destabilizzata dalla violenza delle milizie armate.

La violenza contro popolazioni inermi, la distruzione di infrastrutture e l’insicurezza dilagano nuovamente nella provincia di Cabo Delgado, in Mozambico, dove nei giorni scorsi è stata anche incendiata la missione cattolica di Nostra Signora d’Africa a Mazeze. Preghiamo perché la pace torni in quella regione martoriata.

Dedicarsi al raccoglimento

La voce di Francesco si estende dal Sudan e dal Mozambico a tutti gli altri conflitti che insanguinano il continente africano e le altre parti del mondo, come in Europa quello in Ucraina, e quello in Palestina. Nel congedarsi dai fedeli, e salutando i presenti in piazza provenienti da diverse parti del mondo, tra loro anche coltivatori e allevatori, il Papa ricorda che da oggi pomeriggio, inizierà gli esercizi spirituali “con i collaboratori della Curia”, e invita tutti i fedeli “in questo tempo di Quaresima e lungo quest’anno di preparazione al Giubileo, che è Anno della preghiera, a dedicare momenti specifici per raccogliersi alla presenza del Signore”.

* Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano. Fonte: Vatican News

Mons. Osório Citora Afonso, missionario della Consolata, è stato ordinato vescovo questa domenica, 28 gennaio, nell’archidiocesi di Nampula, in Mozambico. La solenne celebrazione eucaristica con il rito dell'ordinazione è iniziata alle 9 ora locale nel padiglione sportivo del Clube Ferroviário, una squadra della città locale. Il nuovo vescovo ausiliare dell’archidiocesi di Maputo ha scelto come motto del suo episcopato "La tua parola è lampada per i miei passi" (Sal 119,105).

Il Cardinale Luiz Antônio Tagle, Pro-Prefetto della Sezione per la Prima Evangelizzazione e le Nuove Chiese Particolari del Dicastero per l'Evangelizzazione a Roma, ha presieduto la celebrazione ed è stato l'ordinante principale di una celebrazione a cui hanno partecipato quasi tutti i vescovi della Conferenza Episcopale del Mozambico. Hanno concelebrato anche un numero considerevole di sacerdoti delle diocesi del nord del Paese e Missionari della Consolata; numerosa la presenza di religiose, fedeli e autorità civili dello Stato e della municipalità della città di Nampula.

20240129Osorio5Il candidato all'episcopato è stato presentato dal padre Sisto Pedro, Superiore regionale dei Missionari della Consolata in Mozambico e durante il solenne rito di ordinazione episcopale, vissuto con grande animazione e gioia, il card. Tagle si è rivolto all'ordinando e a tutta l'assemblea sottolineando alcuni aspetti della missione del vescovo; lui deve essere colui che testimonia con la sua vita la Chiesa di Gesù Cristo.

Ispirandosi alle letture della quarta domenica del Tempo Ordinario, il card. Tagle ha esortato a ravvivare il dono di Dio ricevuto attraverso l'imposizione delle mani. "Il dono che un nuovo vescovo ci assicura è che Dio si prende cura del suo popolo. Caro fratello, monsignor Osorio, come vescovo sarai un segno e uno strumento del fedele servizio di Gesù Cristo a Dio e alla Chiesa. Gesù è e continuerà ad essere il vero Pastore della sua Chiesa. Grazie al dono dello Spirito Santo, siamo diventati suoi ministri, suoi servitori, e quindi ministri e servitori della sua Chiesa e della sua missione. La Parola di Dio –ha sottolineato– ci insegna a seguire e a cercare solo la gloria di Dio”.

Parlando dell'autorità dei profeti e dei ministri, il card. Tagle ha aggiunto: "Sono veri leader solo se servono Dio e la Parola di Dio; se invece servono falsi dei o loro stessi non lo sono e possiamo vedere nel mondo e nella Chiesa gli effetti distruttivi di leader che non sono autentici”. Poi ha ricordato che "il Vangelo ci presenta il più grande di tutti i profeti: Gesù, il Figlio di Dio. Rimanendo fedele a Dio e alla sua Parola, Gesù parla e agisce con autorità" e per quello –ha concluso– il vescovo deve "rimanere sempre umile" nella sua missione.

Al termine delle quasi cinque ore di celebrazione, l'assemblea ha assistito e ascoltato molti messaggi di saluto al nuovo vescovo. Anche il superiore generale dei Missionari della Consolata, padre James Lengarin, ha salutato il nuovo confratello. "Nella nostra vita, e specialmente nell'episcopato, al potere si deve preferire il servizio", ha sottolineato.

Nel suo messaggio, Mons. Afonso ha ringraziato Dio, la sua famiglia e tutti coloro che lo hanno accompagnato in molti Paesi e in vari momenti della sua vita e missione. Allo stesso tempo, ha affidato il suo nuovo ministero alla protezione materna di Nostra Signora Consolata.

 

 Vedi qui il video completo della Celebrazione (Radio e Televisione "Encontro")

Biografia

Osório Citora Afonso, missionario della Consolata, è nato a Iapala, distretto di Ribaue, provincia di Nampula, Mozambico, il 6 maggio 1972. Figlio di Manuel Afonso e Amélia Citora, è il primo di otto fratelli. Dopo un'adolescenza trascorsa nella Cattedrale di Nampula, è entrato nel Seminario della Consolata il 25 gennaio 1991. Ha compiuto gli studi secondari presso il Seminario di Cristo Re e gli studi filosofici presso il Seminario di Sant'Agostino, entrambi a Matola, Mozambico. Dopo un anno di noviziato a Laulane, alla periferia di Maputo, ha emesso i primi voti religiosi come Missionario della Consolata il 30 dicembre 1997.

Gli studi teologici li ha compiuti a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) ed è stato ordinato sacerdote il 3 novembre 2002.

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Ha lavorato nelle missioni della Repubblica Democratica del Congo, dove ha ricoperto i seguenti incarichi e compiuto ulteriori studi: vicario parrocchiale ed economo della parrocchia di St Hilaire a Kinshasa (2002-2005); consigliere regionale per la regione del Congo (2005-2006); licenza in Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma (2006-2010); studi presso la Hebrew University di Gerusalemme (2008-2009) e l'École Biblique et Archéologique di Gerusalemme (2010-2011); è stato membro del Consiglio della Casa Generalizia di Roma (2008-2010). È stato collaboratore locale della Nunziatura apostolica a Kinshasa (2011-2013); formatore ed economo del Seminario teologico di Kinshasa (2011-2013).

Successivamente, in Italia, ha lavorato nell'Animazione missionaria nelle diocesi di Vittorio Veneto e Treviso (2014-2016) ed è stato anche Superiore della Casa Milaico di Treviso (2014-2016). Consigliere regionale per l'Italia, ha lavorato in parrocchia e presso il Seminario Teologico Internazionale di Braveta (Roma) come formatore.

Mons. Osório Afonso parla e scrive correntemente portoghese, francese, italiano, emakhuwa, lingala e conosce inglese e spagnolo. Ha studiato anche le seguenti lingue bibliche: ebraico, greco, latino, aramaico e copto.

Negli ultimi sei anni ha lavorato presso il Dicastero vaticano per l'Evangelizzazione, sezione per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari.

* Padre Paulo da Conceição Mzé, IMC, è originario del Mozambico e Superiore regionale in Brasile.

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La mia missione in Mozambico è cominciata nell’anno 2011, subito dopo la mia ordinazione. Ricordo che quando ero stato destinato al Mozambico mi era risultato difficile accettare questa destinazione. Sognavo poter lavorare nel mondo indigena in America Latina, dove mi ero formato e che avevo in vari modi frequentato nel corso della mia formazione di base.

Chi mi ha aiutato ad accettare la destinazione e mi ha dato una chiave per impegnarmi alla missione è stato il padre Bonanomi che per anni aveva lavorato con gli indigeni a Toribío e da poco, a causa dell’età e la salute, si era allontanato da quella missione. Lui mi aveva detto una frase che mi ha guidato in tutti questi anni: “non importa dove si trovi la missione, la cosa importante è che tu sappia amare le persone e i popoli che vi troverai... in America latina, in Africa, in Mozambico”.

Con questa luce ho affrontato le vicissitudini, non sempre facili, di questi 12 anni di missione, i miei primi dodici anni.

Quando arrivai in Mozambico la prima missione è stata quella di Maúa dove lavorava da più di trent’anni il famoso padre Frizzi che abbiamo perso in occasione della pandemia. Era il tempo e lo spazio che tradizionalmente si destinava ai missionari che arrivavano per la prima volta in Mozambico. Era il tempo dell’inculturazione, dell’apprendimento della lingua, dello stare zitti per imparare vedendo quel che si muove accanto a noi.

Dopo quell’anno di introduzione alla missione nel Nord del Mozambico Maúa è diventata anche la mia prima missione ed ho trascorso lì i primi quattro anni. Lo schema missionario del padre Frizzi era molto strutturato e non era facile entrarvi... ad ogni modo cercavo di collaborare con le sue orientazioni e il calendario di visita alle comunità ma poi ho anche cercato di trovare spazi pastorali “vergini”, non adeguatamente impegnati dal progetto del padre Frizzi, e la cosa più evidente che ho trovato è stata la pastorale nel variegato e amplio mondo giovanile.

In questo processo ho trovato una solida alleata e generosa collaboratrice in Suor Dalmazia, missionaria della Consolata da anni operante in questo territorio. Insieme abbiamo fatto tante cose come per esempio fondare la prima biblioteca della regione destinata agli studenti. Era impossibile trovare un libro, quasi di qualsiasi tipo. Grazie alla collaborazione di persone e associazione generose del Portogallo... abbiamo ricevuto da la i primi fondi della nostra biblioteca che poi è stata arricchita anche da libri che abbiamo potuto comprare per mezzo di un progetto.

Nella radio comunitaria del villaggio abbiamo aperto un programma il sabato mattina destinato alla formazione e all’evangelizzazione e poi, una cosa importante soprattutto per la gioventù, abbiamo organizzato una bella squadra di calcio che non faceva brutta figura nei tornei regionali.

Questi anni a Maúa sono stati davvero belli. Poi il primo trasferimento alla parrocchia di Lichinga. Quella è stata una esperienza parecchio impegnativa anche perché, a causa di una crisi economica che si stava propagando nella regione, in quel momento me la stavano consegnando quasi totalmente senza fondi. 

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Questa che era una difficoltà importante al principio di questo impegno alla fine è diventata una occasione di crescita persona e anche comunitaria. Comunitariamente si trattava di aiutare la comunità a diventare responsabile della parrocchia, delle sue strutture, dei suoi servizi che erano per tutti. Ricordo che il tempo parrocchiale era sporco, con il tetto fatto a pezzi, bisognoso di urgenti manutenzioni e riparazione. L’abbiamo fatto con l’impegno di tutti, per una volta non è stato necessario mettersi a cercare sussidi, fondi e collaborazione fuori la comunità ma li abbiamo trovati dentro e questo cammino ha contribuito non poco a rafforzare la comunità parrocchiale.

Poi è stata anche una occasione di crescita personale. Bisognava cercare fonti di mantenimento, più concretamente un lavoro. io lo trovai, grazie alla collaborazione del padre Álvaro López, nell’università della  cattolica del Mozambico dove ho cominciato ad insegnare.

Un altro processo importante che abbiamo fatto e che ha fatto crescere la parrocchia e la comunità locale dei missionari della Consolata è stata la creazione di un collegio di istruzione privata alla portata delle economie delle famiglie della zona. C’era una casa che apparteneva alla comunità molto grande ma in disuso. Si era cercato di affittarla ma nessuno si mostrava interessato in quella struttura che era troppo grande per tante cose... e allora noi stessi le abbiamo dato nuova vita .

Dopo un po’ di lavori di ristrutturazione quella è diventato un collegio che è nato nel 2020 con 45 studenti (tra l’altro nato con la pandemia che ci ha obbligato a chiudere dopo solo 5 mesi di funzionamento) ma che oggi sta già ospitando 267 studenti. Quando si è cominciato c’era solo la prima elementare, poi ogni anno si aggiungeva un nuovo gruppo... e adesso sono quasi complete le classi elementari. Per il 2025 il progetto prevede raggiungere i 500 studenti dividi in corsi mattutini e pomeridiani. Anche quello certamente un impegno importante ma che ci ha fatto crescere e ci sta portando poco a poco sulla strada dell’autosufficienza economica che è necessaria per il nuovo volto della missione oggi. I tempi sono ormai maturi.

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