P. Ashenafi Yonas Abebe è arrivato in Polonia nel primo gruppo di missionari della Consolata che hanno raggiunto questo paese. La nostra presenza, decisa nel capitolo del 2005, è iniziata nel 2008, con tre missionari, accompagnati inizialmente dalla Direzione Generale, che hanno dovuto avvicinarsi a una cultura, una lingua lontane da quelle dei loro paesi di origine e i paesi in cui si sono formati. Padre Ashenafi era uno di loro. 

Originario dell’Etiopia y formato negli ultimi anni della teologia in Colombia, appena ordinato  ha accettato la sfida di una missione nuova e così impegnativa. In quella c’è stato quindici anni vivendo le incertezze, i discernimenti, le riflessioni, le scelte che hanno accompagnato il sorgere della comunità dei Missionari della Consolata in quel paese europeo. Oggi una presenza missionaria e significativa per tutti noi. L’abbiamo sentito nella comunità di Roma dove è giunto pochi mesi fa per studiare Storia della Chiesa e prepararsi ad un altro servizio per l’Istituto.

La decisione di aprire in Polonia è stata presa dal capitolo del 2005 e si è cominciato con un gruppo di tre missionari, fra i quali c’ero anch’io, che si è recato in quel paese alla fine del 2008. La data dell’apertura forse non è stata la più fortunata. Sono nato in Etiopia e mi sono formato nell’ultima tappa della mia vita come seminarista in Colombia, quindi al caldo, in paesi abitati da gente solare, come il loro clima. Dalla mattina alla sera siamo “atterrati” in un contesto che non poteva essere più diverso. Per trovare la gente bisognava scavare sotto cappotti, sciarpe e berretti che lasciavano intravedere solo gli occhi che, per motivo della loro storia, guardavano sempre con sospetto tutti gli stranieri. 

È tragica la storia di questa nazione. Convertita al cristianesimo già nel decimo secolo ha fatto sempre da cuscinetto fra due grandi nazioni con antiche tradizioni imperialiste: la nazione tedesca e quella Russia. Imperi che si sono fronteggiati e spesso si sono anche spartiti il territorio della Polonia. Dal 1795, i tempi della rivoluzione francese, fino alla fine della prima guerra mondiale letteralmente sparì dalla carta geografica divisa fra Russia, Prussia e Impero Austro Ungarico. La sua essenza così radicalmente cattolica ha permesso in qualche modo preservare la cultura e le tradizioni indenni dalle contaminazioni dei paesi occupanti di religione ortodossa e protestante. Precisamente per questo motivo la chiesa in Polonia ha una consistenza che non si trova in altre regioni dell’Europa e, può sembrare strano ma è vero, anche i risultati delle ultime votazioni fanno vedere i segni dell’antica spartizione, si vota in modo diverso nelle diverse regioni.

Il gelo che abbiamo percepito nei primi giorni poi poco a poco si è sciolto e al suo posto abbiamo scoperto gesti sorprendenti si solidarietà e vicinanza: famiglie che si facevano in quattro per aiutare, che prestavano la macchina perché noi non l’avevamo, che cominciavano a frequentare anche la nostra cappella, anche quella provvisoria che abbiamo avuto in una tenda che in inverno andava abbondantemente sotto zero... noi chiusi in casa per non congelarci e loro là che recitavano con devozione il santo rosario davanti all’immagine della nostra Consolata. 

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Dobbiamo evidentemente ringraziare i Missionari Comboniani che ci hanno accolto nella loro casa quasi due anni, mentre facevamo i primi passi impegnativi e difficili anche a causa di una lingua niente affatto facile. Ma poi poco a poco abbiamo cominciato ad aprirci spazio soprattutto nel mondo giovanile che, a differenza di quel che succede in altri paesi, vive e anche cerca una spiritualità profonda e spesso esigente. Con loro bisognava preparasi bene, la nostra prima attività “aperta al pubblico” è stata la Lectio Divina e partecipazione annuale al pellegrinaggio Mariano a Czestochowa.  Ne venivano tanti ma se non ti preparavi come dovuto non tornavano più. 

I giovani, sotto tanti punti di vista, sono stati l’attrattivo di questo paese. Bisogna ricordare che fino alla caduta della cortina di ferro (1989) nessuno poteva uscire dalla Polonia e quasi nessuno poteva avere il passaporto... solo i rappresentati del Partito Comunista e le persone in diverso modo legate ad alcuni incarichi nella Chiesa che di fatto hanno contribuito in modo importante al cambio accelerato che è venuto a continuazione, Giovanni Paolo II ne è l’esempio lampante. È arrivato il tempo della democrazia, è arrivato l’ingresso all’Unione Europea e sono stati soprattutto loro, i giovani, quelli che poi sono usciti, hanno fatto fortuna a volte, hanno riportato in patria capitale ed idee... stanno oggi cambiando il paese.

Di giovani ne abbiamo avuti quando ci siamo avvicinati alle parrocchie dove tradizionalmente si celebrano alcuni giorni di esercizi spirituali durante l’avvento e la quaresima una volta all’anno; quando abbiamo aperto la nostra tenda e poi la nostra cappella per le celebrazioni liturgiche; quando siamo stati accolti nelle scuole per raccontare la nostra vita e la nostra missione; quando –questa è stata la mia esperienza personale– sono diventato professore nell’università, insegnante di tradizioni, religione e culture africane preso la Facoltà Orientale della Università di Varsavia; quando ci siamo fatto presenti e abbiamo accompagnato i loro tradizionali pellegrinaggi... che si fanno non con i mezzi di trasporto ma a piedi, macinando chilometri; quando abbiamo offerto loro anche la possibilità di aprirsi a esperienze di volontariato missionario internazionale. Oggi i giovani stanno comunque cambiando: evidentemente sono diventati più europei e simili ai loro coetanei degli altri paesi del continente. Hanno assunto ideali nuovi, vivono sogni davvero diversi da quelli dei loro genitori, si mantengono ancora attaccati alla loro chiesa ma con atteggiamenti più critici, almeno si lasciano interrogare dalla nostra esperienza missionaria e dal nostro modo di essere chiesa, così diverso dal loro e da quello che hanno sempre vissuto.

Noi Missionari della Consolata cosa possiamo portare a questo paese e a questa chiesa così solida, consistente e sotto tanti punti di vista abituata o incluso obbligata ad essere autosufficiente? La risposta è una sola, noi stessi, la nostra ricchezza, la missione.

Di missione parliamo o cerchiamo di parlare tutto il tempo, ci siamo anche avvicinati e facciamo parte delle Pontificie Opere Missionarie e quella collaborazione aiuta non poco la nostra visibilità. Il lavoro è tanto: c’è da scalfire l’idea che la missione sia semplicemente la Giornata Missionaria Mondiale per mezzo della quale si collabora con le chiese lontane delle quali non si sa quasi niente ma che in qualche modo hanno bisogno del nostro aiuto; c’è da cambiare la percezione di cosa sia la chiesa che in Polonia per motivi storici è legata a doppio filo con la nazionalità polacca; dobbiamo anche “vendere” una immagine nuova dello stesso ministero sacerdotale così legato in Polonia a tradizioni sacrosante e così sacralizzato da riti, ruoli e perfino talari.

In questo ci hanno aiutato anche i seminaristi di Roma... loro stanno cominciando ad andare là per esperienze e studi. Anche la loro presenza aiuta ad aprire gli occhi ed aprire il cuore verso una chiesa che non è polacca, ma è cattolica e universale.

Questa missionarietà che vogliamo insegnare, evidentemente, la dobbiamo in qualche modo vivere noi stessi. Per quello abbiamo sempre preso l’occasione che ci è stata offerta di visitare e intervenire anche in chiese limitrofi: nei tre paesi baltici, in Bielorussia e anche in Ucraina. A motivo della guerra, che in Polonia risveglia spettri che non si vogliono affatto ricordare, abbiamo collaborato con la straordinaria solidarietà che ha accolto migliaia di profughi e ha portato conforto a tanti che sono rimasti nel paese sotto il fuoco nemico. Attualmente l’Istituto Missioni Consolata è ancora particolarmente coinvolto con la situazione dell’Ucraina e continua la sua missione di consolazione e aiuto materiale con i missionari presenti in Polonia. Sono due le comunità presenti in Polonia: una a Kielpin vicino a Varsavia e l’altra a Bialystok nei pressi della frontiera con la Bielorussia. I missionari presenti in questo momento sono sei e, curiosamente, di sei paesi diversi: Italia, Kenia, Mozambique, Congo, Argentina e Tanzania. Anche questa è una grande ricchezza che possiamo offrire per una chiesa locale che ha bisogno di far crescere al suo interno la dimensione missionaria della chiesa universale.

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Lettera in occasione del decimo anniversario della visita a Lampedusa

Carissimi, in questi giorni in cui stiamo assistendo al ripetersi di gravi tragedie nel Mediterraneo, siamo scossi dalle stragi silenziose davanti alle quali ancora si rimane inermi e attoniti. La morte di innocenti, principalmente bambini, in cerca di una esistenza più serena, lontano da guerre e violenze, è un grido doloroso e assordante che non può lasciarci indifferenti. È la vergogna di una società che non sa più piangere e compatire l’altro.

Sono trascorsi dieci anni dal viaggio che ho voluto compiere nella comunità lampedusana per manifestare il mio sostegno e la paterna vicinanza a chi dopo penose peripezie, in balìa del mare, è approdato sulle vostre coste. Il consumarsi di sciagure così disumane deve assolutamente scuotere le coscienze; Dio ancora ci chiede: “Adamo dove sei?”, “Dov’è il tuo fratello?” Vogliamo perseverare nell’errore, pretendere di metterci al posto del Creatore, dominare per tutelare i propri interessi, rompere l’armonia costitutiva tra Lui e noi? Bisogna cambiare atteggiamento; il fratello che bussa alla porta è degno di amore, di accoglienza e di ogni premura. È un fratello che come me è stato posto sulla terra per godere di ciò che vi esiste e condividerlo in comunione.

In tale contesto, tutti siamo chiamati ad un rinnovato e profondo senso di responsabilità, dando prova di solidarietà e di condivisione. È necessario quindi che la Chiesa, per essere realmente profetica, si adoperi con sollecitudine per porsi sulle rotte dei dimenticati, uscendo da sé stessa, lenendo con il balsamo della fraternità e della carità le piaghe sanguinanti di coloro che portano impresse nel proprio corpo le medesime ferite di Cristo. 

Vi esorto perciò a non restare imprigionati nella paura o nelle logiche di parte, ma siate cristiani capaci di fecondare con la ricchezza spirituale del Vangelo codesta Isola, posta nel cuore del Mare Nostrum, affinché ritorni a splendere nella sua originaria bellezza.   

Mentre ringrazio ciascuno di Voi, volto radioso e misericordioso del Padre, per l’impegno di assistenza a favore dei migranti, affido al Signore della vita i morti nelle traversate, e volentieri imparto la mia Benedizione, chiedendo per favore di pregare per me.  

Europa, un altro modo per celebrare la festa dei fedeli defunti. Ho avuto l'opportunità di essere invitato da un sacerdote europeo della mia comunità religiosa, ad andare al cimitero e vivere l'esperienza in terra straniera. Quando la persona muore, viene preparata dal servizio funerario, dopo qualche giorno vengono portati in Chiesa, si celebra la messa e alla fine vengono portati per essere seppelliti nel cimitero, dove li seppellisce la struttura corrispondente, una targa viene deposta e l'atto funebre finisce. 

Durante il giorno molti europei si recano ai cimiteri per portare fiori, lampade con batterie ricaricabili e ricordini. Nel cimitero si fanno il segno della croce e vanno alla tomba della persona amata, la pregano e quando lasciano il luogo si fanno di nuovo il segno della croce. È così che si commemora il Giorno dei Morti in Europa.

È necessario che la VITA sia vissuta con tutte le forze fino all'ora della morte. La morte e la risurrezione ci spingono a una riflessione: pensa alla morte, per dare più valore alla vita.

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Anselm Grûn ci racconta l'incontro definitivo: “Quando incontriamo Dio non evaporiamo, ma il nostro nucleo più intimo, la nostra persona, si salverà per sempre”. Sì, solo in Dio risplenderà del suo vero splendore l'immagine originale e non falsificata che Egli ha impresso nell'anima. Nell'Eucaristia celebriamo la morte e la risurrezione di Gesù. La separazione tra vita e morte, tra vivi e morti, tra cielo e terra, è eliminata. Viviamo in comunione con coloro che sono morti prima. Celebriamo il fatto che la morte non può separarci da Dio e non distruggerà la comunione con le persone che amiamo. "L'amore è più forte della morte.".

Nella cultura messicana, con grande gioia, la tradizionale danza della chitarra. La mia città si prepara con mesi di anticipo con la coltivazione del fiore de cempasúchil, con la novena dei fedeli defunti e la tradizionale danza del macho mula e l'altare dei fedeli defunti.

Un incontro con i vivi e i risorti. Il defunto, insieme al Risorto, ci incoraggia e conferma che la morte non ha l'ultima parola.

La teologia cattolica afferma che non c'è la morte: "Chi crede in te, Signore, non morirà per sempre". La Pasqua è il passaggio dalla morte alla vita eterna.

Ricordo la frase di Gabriel Marcel: "Amare qualcuno è dirgli: non morirai mai". Non dimentichiamo di ricordarci di tornare indietro attraverso il cuore. Credo che questo evento ci incoraggi a vivere al 100% nel presente ed adesso.

Da venerdì 8 a domenica 10 gennaio, i missionari che lavorano in Europa nell'ambito dei giovani e dei media si sono riuniti a Fatima per pensare ad alcune linee di sviluppo della pastorale ad gentes. È necessario avere un'idea chiara di cosa significhi, concretamente, essere missionari oggi in Europa, altrimenti ci si perde in mille attività disarticolate, si “spara in tutte le direzioni”, come diceva qualcuno, senza raggiungere alcun obiettivo. L'incontro fa parte di un cammino pensato dall'Istituto per arrivare al Capitolo Generale con alcune proposte per un progetto missionario europeo della Consolata.

In un primo momento i missionari hanno condiviso le attività, i sogni, le fatiche che ciascuna comunità del continente vive, in modo da poter essere di stimolo gli uni per gli altri, poi ci si è messi in ascolto di Carlos Liz, un esperto che lavora nel campo delle indagini di mercato e che ha compiuto, insieme alla sua azienda IPSOS, un'approfondita inchiesta sul mondo giovanile attuale in Portogallo. E' sorprendente scoprire come alcuni luoghi comuni, per esempio il fatto che la religione non eserciti più alcuna attrattiva sulla società contemporanea, in realtà non corrispondano al vero. Il 70% degli intervistati si è detto aperto al discorso religioso e spirituale, dipende poi da chi si dedica all'annuncio essere in grado di intercettare questa disponibilità offrendo cammini significativi ed attraenti. Il mondo contemporaneo, meno affascinato di un tempo dalle grandi ideologie è però assetato di storie. Come missionari che percorrono le strade del mondo cercando di inserirsi in contesti diversi dai loro, che imparano lingue nuove compiendo errori anche buffi, che cercano di porsi al fianco di chi cammina tra gioia e dolore, non siamo certo a corto di storie e avventure. Perché non raccontarle? Perché non rendere testimonianza di un cammino possibile alla ricerca di una vita in pienezza? In un mondo che ha  fatto della possibilità di comunicare una sua caratteristica peculiare potremmo compiere tutti un ruolo più attivo nel condividere con gli altri il fascino della missione. 

Ascoltando Carlos Liz cresceva la volontà di prepararsi più a fondo per servire i giovani di oggi: spesso li si etichetta come incapaci di scelte definitive, mentre invece, forse, hanno la saggezza di sperimentare la bontà di uno stile di vita prima di sceglierlo come proprio, sono dinamici e capaci di molte esperienze; chi desidera stare al loro passo deve imparare ad entrare in questa molteplicità antropologica senza perdere di vista la rotta che si desidera seguire.

Il gruppo che si occupa dei giovani e quello dei media si sono poi ritrovati a discutere prima separatamente e poi in assemblea plenaria per individuare alcune linee guida concrete.

Domenica, tutti insieme si è invece partecipato alla messa in memoria di Carlos Domingos, giovane missionario della Consolata portoghese, morto in Etiopia: la sua passione e competenza missionaria resta a noi di ispirazione, per servire la missione con fedeltà ed entusiasmo.   

Il presente Dossier è stato elaborato dall’Ufficio Immigrazione e dall’Ufficio Europa di Caritas Italiana. Molte delle informazioni sono state rilevate direttamente sul campo dagli
operatori espatriati di Caritas Italiana e dagli operatori delle Caritas Europee coinvolte. I dati e le altre notizie sono di fonti varie: Osservatorio Balcani e Caucaso, UNHCR, OIM, Agenzia Frontex, Repubblica.it, Corriere.it, La Stampa.it

Scarica il Dossier sotto

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