Dal 2003 i missionari e le missionarie della Consolata operano in Mongolia.
La Mongolia è un paese asiatico vasto cinque volte l'Italia, ma con soltanto tre milioni e mezzo di abitanti (2,2 persone per chilometro quadrato), la metà dei quali risiede a Ulaanbaatar, una capitale fredda e inquinata, ma anche ricca di musei.
Per il paese conta molto la sua posizione geografica. La Mongolia - infatti - è priva di uno sbocco al mare. Confina a Nord con la Russia e a Sud e a Est con la Cina, due paesi che ne hanno segnato - spesso in modo negativo - la storia. Prima dell'arrivo di Cina e Russia, il paese aveva però conosciuto i fasti dell'Impero fondato da Gengis Khan nel 1206, eroe indiscusso di tutti i mongoli.
Circa tre quarti della superficie della Mongolia sono costituiti da steppe e praterie, che ospitano ben 71 milioni di animali: pecore, capre, bovini (tra cui gli yak), cavalli, ma anche - in particolare, nel deserto del Gobi - cammelli. Gli animali sono allevati da pastori nomadi, noti anche per l'originalità delle loro tende mobili conosciute con il nome di «gher». Oggi i nomadi sono circa il 30 per cento della popolazione mongola.
Le fedi religiose più diffuse sono lo sciamanesimo e il buddhismo tibetano (di cui - è bene ricordarlo - il Dalai Lama è il massimo rappresentante). Per il resto, la minoranza kazaka segue l'Islam. Mentre il cristianesimo è la religione dell'1,3 per cento della popolazione. I cattolici mongoli sono guidati dal cardinale Giorgio Marengo, IMC, prefetto apostolico di Ulaanbaatar e da un gruppo di missionari e missionarie.
Occorre peraltro sottolineare che soltanto nel 1990, con la nascita della Mongolia democratica, per i cittadini mongoli è tornata la libertà di espressione religiosa.
Per un approfondimento di tutto questo qui potete trovare il reportage di Paolo Moiola, redattore della rivista Missioni Consolata.
* Padre Jaime Patias, IMC, Ufficio per la Comunicazione
Il rapporto Sipri sulle prime 100 industrie delle armi nel mondo
La guerra in Ucraina e la crisi in Medio Oriente. Ma anche le minacce della Corea del Nord. Per non parlare dell’assertività cinese nell’Asia-Pacifico. Sono questi i principali fattori ad aver trainato l’acquisto di armi nel 2023, secondo un rapporto dello Stockholm international peace research institute (Sipri), pubblicato il 2 dicembre.
Il think tank svedese ha conteggiato per il 2023 vendite di armi e servizi militari per 632 miliardi di dollari per le sole prime 100 aziende produttrici nle mondo, con un aumento del 4,2% rispetto al 2022.
Grandi numeri a parte, la spartizione delle commesse mette in luce piccoli assestamenti, in particolare un graduale ribilanciamento delle transazioni tra gli esportatori asiatici.
A guidare la classifica globale (ormai dal 2018) sono sempre le aziende statunitensi, con una quota di mercato del 50%, mentre i cinesi si posizionano al secondo posto (16%), seguiti dai produttori di Regno Unito (7,5%) e, un gradino sotto, a pari merito, fornitori militari di Francia e Russia, ciascuna con una quaota del 4%.
Sebbene la graduatoria non presenti ancora grandi elementi di novità, sotto traccia sono tuttavia riscontrabili alcune tendenze anticipatrici di quelli che probabilmente saranno i futuri sviluppi del settore.
Tra tutti spicca un dato: le aziende della Repubblica popolare cinese (Rpc) hanno registrato la crescita dei ricavi (103 miliardi di dollari) più bassa degli ultimi quattro anni (+0,7%). Un risultato che il rapporto Sipri attribuisce al rallentamento dell’economia cinese, a fronte di una crescita costante delle vendite nei mercati esteri. Il motivo, come spiega un ricercatore del think tank svedese, è che molti produttori militari in realtà guadagnano dal settore civile, mai uscito completamente dalla crisi pandemica. Con entrate per 20,9 miliardi di dollari (+5,6%), Aviation industry corporation of China (Avic) si è classificata all’ottavo posto nella lista del Sipri, diventando il più grande produttore di armi della Cina. Segno dell’importanza crescente ottenuta dal comparto aerospaziale.
(Stoccolma, 2 dicembre 2024) I ricavi delle vendite di armi e servizi militari da parte delle 100 maggiori aziende del settore hanno raggiunto i 632 miliardi di dollari nel 2023, con un aumento in termini reali del 4,2% rispetto al 2022, secondo i nuovi dati pubblicati oggi dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI). Foto: Flickr/Bryan William Jones
Mentre la Cina arranca, altri esportatori asiatici guadagnano terreno.
Nonostante Corea del Sud (+1,7%) e Giappone, (+1,6%) abbiano ancora quote di mercato complessivamente molto contenute, i due paesi sono in rapida rimonta. Complici le tensioni regionali nella penisola coreana e nel Mar cinese meridionale, ma anche un maggiore protagonismo internazionale di Tokyo e Seul al fianco degli Stati Uniti. Le vendite delle aziende giapponesi (10 miliardi di dollari) hanno beneficiato del progressivo incremento del budget militare del Paese, che sta spingendo le Forze di autodifesa ad aumentare gli ordini dopo decenni di basso profilo.
Dalla fine della Seconda guerra mondiale, obblighi costituzionali autoimposti costringono il Giappone a «rinunciare all’uso della forza come mezzo per risolvere le controversie internazionali». Fattore che per decenni ha spinto Tokyo ad appoggiarsi all’alleato americano. Salvo ora dover rivedere la sua posizione difensiva come deterrente davanti alle provocazioni missilistiche di Pyongyang (Corea del Nord) e all’espansionismo regionale di Pechino.
Nel suo rapporto, il Sipri ha notato «un importante cambiamento nella politica di spesa militare» da quando, nel 2022, il governo dell’ex premier Fumio Kishida ha destinato alla difesa il budget più consistente dalla fine del secondo conflitto mondiale (47 miliardi di dollari) con un incremento previsto fino al 2% del Pil entro il 2027. Lo stesso livello dei paesi Nato.
Se nel caso delle aziende giapponesi a fare da traino sono le vendite interne, per i produttori sudcoreani la crescita dei ricavi (11 miliardi di dollari) va ricondotta principalmente alle esportazioni. Soprattutto per quanto riguarda gli ordini di artiglieria terrestre. Con la guerra in Ucraina alla clientela della Corea del Sud – oltre all’Australia – si è aggiunto un numero sempre maggiore di paesi europei. La Polonia, ad esempio, ha comprato da Seul carri armati, aerei da attacco leggeri e obici semoventi K9.
Secondo la Top 100 del Sipri, le forniture delle aziende militari sudcoreane e giapponesi hanno riportato una crescita rispettivamente del 39% e del 35%. A fare meglio è stata solo la Russia che, con un aumento del 40%, ha registrato l’incremento maggiore a livello globale.
* Alessandra Colarizi, Rivista MC. Originalmente pubblicato in: www.rivistamissioniconsolata.it
Nelle nostre presenze in Asia “le persone che incontriamo possono essere cristiane, non cristiane, fedeli di altre religioni, per esempio, i buddisti o fedeli del buddismo won, di altre religioni autoctone in Corea. Però ciò che è fondamentale non sono le opere o quello che facciamo, ma è soprattutto il fatto di stare con le persone e quindi, parlare con le persone, aprirci a loro e lasciare che loro si aprano a noi”.
Queste le parole di padre Diego Cazzolato, missionario della Consolata, che opera in Corea del Sud da 36 anni. In questa intervista rilasciata all’Ufficio per la Comunicazione a Roma, il missionario originario di Biadene - Treviso - riassume la sua esperienza di missione nel Centro di Dialogo Interreligioso a Daejeon e parla dell’evangelizzazione unita alla promozione umana portata avanti dal gruppo di 21 missionari della Consolata nella sette comunità presenti in Corea, Mongolia e Taiwan.
“Noi cerchiamo di incontrare le persone, soprattutto le persone che non sono cristiane. Naturalmente non sempre si parla di Gesù o di Cristo, ma si condivide la vita, si condividono i problemi, si ascoltano l’opinione, si dà opinione, insomma cerchiamo di diventare amici. Questo è la cosa più importante direi della missione in Corea”, spiega padre Diego.
L’apertura dell’Istituto Missioni Consolata all’Asia è stata “profetizzata” dal Fondatore, San Giuseppe Allamano: “Io non lo vedrò, ma forse andrete nel Giappone, nella Cina, nel Tibet...”. Ma la concretizzazione di questo sogno viene prospettato dal VII Capitolo Generale (1981) ed approvato dal VIII Capitolo il 12 Giugno 1987.
I primi quattro Missionari (Diego Cazzolato, Paco Lopez, Luiz Carlos Emer e Alvaro Yepes) partirono per la Corea il 18 gennaio di 1988 e furono accolti nella diocesi di Incheon dal vescovo mons. William J. McNaughton.
Nel 2003, in comunione con le Missionarie della Consolata, la presenza in Asia venne arricchita dall’apertura in Mongolia, dove l’Istituto è presente con il suo lavoro nel campo del primo annuncio e della formazione della chiesa locale. Un riconoscimento del lavoro missionario svolto in quel Paese arriva con la nomina di monsignor Giorgio Marengo, IMC, a vescovo, prefetto Apostolico di Ulaanbaatar nel 2021 e poi nominato cardinale da Papa Francesco nel 2022.
Seguendo le indicazioni date dal Capitolo Generale del 2011 (Cfr. Atti XII CG, 47), l’Istituto, il 20 settembre 2014, ha aperto una nuova presenza presso la Diocesi di Hsinchu, nell’isola di Taiwan.
Il 21 marzo 2016, i Missionari della Consolata che operano nella tre Paesi asiatiche sono state riunite nella nuova Regione Asia, con sede ufficiale a Incheon (Corea del Sud). L’attuale Superiore è il padre Clement Gachoka.
* Padre Jaime C. Patias, IMC, Ufficio per la Comunicazione.
Non appena abbiamo saputo la data della canonizzazione del nostro Fondatore, il nostro Superiore Regionale, padre Clement Gachoka, è andato visitando i vescovi delle tre diocesi della Corea del Sud in cui operiamo come Missionari della Consolata, per dare la bella notizia e anche per accordare in ogni diocesi una data per poter celebrare degnamente una messa solenne di ringraziamento.
Il vescovo della diocesi di Daejeon ha scelto per la celebrazione la data dell’8 dicembre, Solennità dell’Immacolata, e così proprio ieri, abbiamo avuto il nostro grande evento.
Il luogo prescelto per la celebrazione è stata la parrocchia di Jon-min-dong, il cui attuale parroco, padre Byeon Yun Chui Damiano, è stato missionario in Mongolia per vari anni, e conosce bene i nostri missionari di quel Paese. Lui si è subito detto entusiasta dell’iniziativa e davvero ha fatto tutto quanto in suo potere per accogliere questo evento nella sua parrocchia e facilitarci al massimo le cose.
Il Superiore della Regione Asia, padre Clement Gachoka, si rivolge all'assemblea durante la Messa
Una volta stabiliti data e luogo della celebrazione abbiamo cominciato a pensare alla preparazione. E qui sono venute alla luce le caratteristiche dei coreani quando c’è da fare qualcosa insieme: organizzazione, suddivisione delle responsabilità, serietà nell’attuazione delle stesse.
I membri del nostro Gruppo Amici IMC non sono certo stati un’eccezione, e ci ha fatto bene al cuore vedere con quanta passione, senso di partecipazione, e gioia si siano dedicati a preparare la festa, fin nei minimi dettagli: dalla tradizionale offerta di un mazzo di fiori al vescovo, al momento del suo arrivo in parrocchia per la celebrazione… fino al momento della benedizione finale alla fine del pranzo per gli invitati. Passando per la meticolosa attenzione a come disporre davanti all’altare il quadro grande di San Giuseppe Allamano, fino agli striscioni da appendere all’ingresso della parrocchia e nel grande salone dove si sarebbe tenuto il pranzo. E senza tralasciare il modo migliore di consegnare ad ogni persona che sarebbe venuta alla messa il libretto sulla vita dell’Allamano, con il santino-ricordo, e, all’uscita, il regalino-ricordo che avevamo preparato.
Insomma, ognuno aveva qualcosa da fare, e tutti hanno svolto il proprio compito, piccolo o grande che fosse, con attenzione ed amore. Siamo davvero fieri del nostro Gruppo di Amici!
Un altro dato che ci ha riscaldato il cuore è stato vedere la partecipazione delle più diverse realtà della diocesi e della Corea in generale. Mentre la partecipazione dei sacerdoti diocesani è stata molto ridotta (ma si sapeva già, essendo domenica…), i religiosi/e hanno invece risposto molto bene.
C’erano suore di varie comunità, religiosi dei Salesiani, dei Francescani Missionari (un Istituto radicato qui a Daejeon); i Focolarini consacrati; diversi rappresentanti dei Neo catecumenali… e non mancava neppure un nutrito gruppo di Migranti, appartenenti alla locale comunità cattolica dei Migranti “Moyse”, i quali non sanno il coreano, ma hanno partecipato bene lo stesso, fino alla fine. Tutta questa partecipazione ci ha dato la piacevole e grata sensazione di essere ben “radicati” nel tessuto ecclesiale locale!
Il vescovo, Mons. Kim Jong-su Agostino (foto), ha fatto una bella omelia, ripercorrendo le varie tappe della vita di San Giuseppe Allamano, e mettendo in risalto i vari aspetti della sua santità: dall’obbedienza ai suoi vescovi, alla costante ricerca della volontà di Dio, fino alla grande passione missionaria. La gente ascoltava con grande attenzione, e poteva avere la riprova di quanto il vescovo andava dicendo, nel libretto sull’Allamano che avevano ricevuto all’entrare in chiesa.
Alla fine, tutti abbiamo visto un breve video, sempre sulla vita di San Giuseppe Allamano, e abbiamo ascoltato il coro della parrocchia cantare “O Consolata”, in coreano, con grande solennità!
Anche il pranzo si è svolto bene, con grande gioia. Avevamo previsto un centinaio di partecipanti, ma alla fine sono stati abbastanza di più. Poco male, perché l’impresa di catering alla quale ci eravamo affidati aveva fatto le cose con parecchia abbondanza, e non è mancato niente a nessuno.
Alla fine i saluti, gli abbracci, gli arrivederci… e il gran lavoro delle nostre signore per rimettere a posto ogni cosa. Sono davvero ammirabili!
E così abbiamo ringraziato con gioia il Signore per la santità del nostro Fondatore. Ci rimane nel cuore la certezza che adesso lui è un po’ più conosciuto ed amato anche nella nostra diocesi di Daejeon. Come non rendere grazie al Signore anche per questo?
* Padre Diego Cazzolato, IMC, missionario in Corea del Sud.
Il 21 settembre è stata celebrata la festa per i dieci anni di presenza dei Missionari della Consolata a Taiwan. Le celebrazioni si sono svolte con una messa nella parrocchia del Sacro Cuore di Gesù, a Hsinchu, gestita dai missionari dal 2017.
Era il 12 settembre del 2014, quando tre missionari atterravano all’aeroporto Taoyouan di Taipei. Iniziava così l’avventura dell’istituto fondato da Giuseppe Allamano a Taiwan. I tre erano i padri Eugenio Boatella (Spagna), Mathews Odhiambo Owuor (Kenya) e Piero de Maria (Italia).
Oggi i missionari sono sette. Alcuni sono partiti e altri sono arrivati. Padre Jasper Kirimi, keniano, arrivato nel 2017, è l’attuale coordinatore dei missionari della Consolata a Taiwan. Con lui a Hsinchu, lavora padre Caius Moindi, anch’esso keniano.
I padri Bernado Kim (Corea) e Antony Chomba (Kenya) hanno preso in carico la parrocchia san Joseph di Xinpu, una città vicina a Hsinchu, mentre il padre Emanuel Temu (Tanzania) segue da alcuni mesi la parrocchia di Xinfong, la terza gestita dai missionari della Consolata a Taiwan. I padri Thiago Giacinto da Silva (Brasile) e Pablo Souza Martin (Argentina) stanno attualmente studiando la lingua cinese.
La celebrazione dei dieci anni ha visto la partecipazione del vescovo di Hsinchu, monsignor John Baptist Lee e del pro-chargé d’affaires della Nuziatura apostolica di Cina, Taipei, monsignor Stefano Mazzotti.
Nella lunga omelia, il vescovo Lee ha esordito dicendo: «Oggi è un giorno di gioia nel quale celebriamo dieci anni di contributi e sacrifici dei Missionari della Consolata nella diocesi di Hsinchu. Non si tratta di un periodo lungo nella storia della chiesa di Taiwan, ma una volta arrivati in questa terra ci si scontra con grandi sfide e difficoltà e la Consolata, affrontandole, ci ha manifestato la grazia di Dio. Carente di vocazioni, la diocesi di Hsinchu è molto grata alla generosità della Consolata nell’aiuto al lavoro pastorale».
Monsignor John Baptist Lee, vescovo di Hsinchu
Il vescovo ha poi sottolineato come sia cambiata l’origine dei missionari: «Il Dicastero per l’evangelizzazione in Vaticano ha visto un grande numero di missionari africani lavorare in Europa, invertendo la regola per cui i missionari arrivati dal vecchio continente andavano a predicare in Africa. Adesso la buona notizia è che li vediamo arrivare in direzione di Taiwan, nella diocesi di Hsinchu».
Monsignor Lee ha chiesto ai cristiani locali di «lavorare con i missionari, supportarli e aiutarli nei bisogni della missione». Perché, ha detto rivolgendosi a loro: «dopotutto, ognuno di voi è un missionario ed è vostro dovere partecipare all’evangelizzazione, vivendo a pieno la sinodalità».
Padre Jasper Kirimi, arrivato nel 2017, è il coordinatore dei missionari nel paese, dopo la celebrazione e la festa di condivisione ci dice: «è stato emozionante. In primo luogo, perché ho visto questi video con le testimonianze dei missionari che hanno lavorato qui (video di saluto e augurio sono stati mostrati dopo la messa, nda). Ho lavorato con tutti ed è passato un bel po’ di tempo. Quando io sono arrivato, non pensavo di stare tanto così, perché era davvero dura. Imparare questa lingua e la cultura così diversa. Invece sono ancora qui. In secondo luogo, la partecipazione oggi è stata davvero importante. Io penso che la gente sia venuta anche per la Consolata. Questo vuol dire che c’è un nuovo riferimento che aggrega i cristiani di Taiwan ed è proprio la Consolata. Giuseppe Allamano, che sta per diventare santo, penso che non abbia mai immaginato di arrivare fino a questa terra».
Padre Jasper conclude: «Taiwan è molto diversa da Africa e America Latina. Noi siamo qui per imparare un nuovo modo di fare missione».
Una delegazione dei missionari della Consolata dalla Mongolia, con padre Dieudonné Mukadi Mukadi (congolese), e dalla Corea, con i padri Pedro Han Kyeong Ho (coreano) e Clement Kinyua Gachoka, superiore della Regione Asia, è venuta a Taiwan per l’occasione.
Secondo padre Clement: «Siamo la presenza più giovane nella diocesi. Dal 2014 a Taiwan sono passati undici missionari della Consolata, che voglio ringraziare tutti per l’apporto che hanno dato. È una presenza giovane, che ha affrontato tante sfide: la lingua, la cultura, la fatica ad adattarsi. Dall’altra parte c’è stata la perseveranza che hanno avuto e la collaborazione con la chiesa di Hsinchu, a tutti i livelli. La celebrazione dei primi dieci anni ci dà la speranza, che nonostante le sfide, le difficoltà e le paure, il cammino andrà avanti e la presenza sarà significativa».
Pensando al Beato Giuseppe Allamano, Clement ci dice: «Siamo a un mese dalla canonizzazione e poco più di un anno dai cento anni della sua scomparsa. Penso che sia contento e ci guardi con orgoglio e stima, perché vede che stiamo camminando nella via dei sogni che lui aveva per la missione. Questo ci incoraggia a dare delle risposte alle sfide attuali della chiesa di Hsinchu».
Dopo la celebrazione la festa è continuata ed erano presenti anche i parrocchiani di Xinpu e Xinfong, oltre che diversi amici e membri di congregazioni venute anche dalla capitale Taipei.
* Marco Bello, direttore della rivista Missioni Consolata, da Hsinchu (Taiwan) con l’aiuto di Lucia Ku (per traduzioni).
Video di saluto inviato dal Consigliere Generale, padre Mathews Odhiambo Owuor, uno dei tre primi missionari ad arrivare in Taiwan nel 2014