“Il missionario nella comunità, la nostra missione ad gentes, l’organizzazione e l’economia per la missione”, sono questi i temi più importanti per continuare il percorso di evangelizzazione fatto dai missionari della Consolata in Africa”, spiega il padre Erasto Colnel Mgalama nel  presentare il Documento finale dell’Assemblea continentale tenuta in Tanzania dopo il XIV Capitolo Generale.

Nel video che pubblichiamo di seguito, il Consigliere generale per l'Africa sottolinea che il cuore dei temi che guideranno la missione dell’istituto nel sessennio è “il missionario nella comunità”. Questo è anche, “il cuore del XIV Capitolo generale che ci invita a una profezia radicale. Siamo consacrati per la missione vivendo come una famiglia in comunità”. In questo senso, secondo padre Erasto, una domanda fondamentale è: “il nostro stile di formazione aiuta a formare missionari che possono vivere nella comunità?”

Dunque il tema centrale contiene tre movimenti:

L’identità: questo “aspetto sarà sottolineato in modo diverso in ogni cultura nelle circoscrizioni in cui lavoriamo.

La formazione: la nostra consacrazione “richiede un costante rinnovamento spirituale e un impegno personale attraverso una profonda vita di preghiera, al fine di vivere veramente per Dio e solo per Dio”.

Il carisma: “Siamo inviati a servire per fare risplendere l'amore di Dio nel mondo, e in particolare nella vita dei poveri e di coloro che vivono ai margini della società a causa delle disuguaglianze e delle ingiustizie”. In questo senso, è importante incoraggiare la non violenza come stile e mezzo  per riprendere l’impegno per la Giustizia, la pace e l’integrità del Creato - GPIC).

Vedi qui il video con il messaggio di padre Erasto Mgalama (Realizzazione: SGC)

Il nostre ad gentes

Nel continente africano abbiamo già presenze tradizionali che durano nel tempo e in queste missioni dobbiamo avere una “presenza qualificata e qualificante”. Ciò significa che, oltre il lavoro nelle parrocchie “dobbiamo spronare la Chiesa locale ad abbracciare la dimensione ancora più profonda, l’impegno per la missione,  altrimenti, perderemmo la nostra identità missionaria”.

La prima parte del Documento finale dall'assemblea tenutasi in Tanzania nel dicembre 2023, presenta “la nostra presenza storica nel continente africano. La seconda parte, a sua volta, presenta la storia e la realtà del continente. La terza parte parla del lavoro svolto dalle commissioni continentali e dalle circoscrizioni che hanno evidenziato le priorità, frutto della riflessione di tutti i missionari”.

Questi e tanti altri aspetti del cammino che l'Istituto dovrà fare nel sessennio si trovano nel Documento che dovrebbe essere conosciuto da tutti i missionari che operano nei diversi paesi dell’Africa.

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Partecipanti alla XII Conferenza regionale IMC in Tanzania. Foto: Paulino Madeje

A nome della Direzione Generale, il padre Erasto Mgalama invita tutti i missionari studiare il Documento nelle Conferenze di Circoscrizione e nelle comunità locali. “Il nostro impegno è quello di contestualizzare le decisioni del XIV Capitolo generale nella realtà del Continente”.

* Padre Jaime C. Patias e Fratel Adolphe Mulengezi, IMC, Segretariato per la Comunicazione.

Pubblichiamo la cronaca della visita in corso della Direzione Generale in Costa d'Avorio da parte del Vice Superiore Generale, padre Michelangelo Piovano e dei Consiglieri Generali, i padri Erasto Mgalama e Mathews Odhiambo Owuor.

Scopo della visita era la partecipazione dei membri della Direzione alla Conferenza della Delegazione e la visita di tutte le comunità IMC nel Paese.

Padre Matteo Pettinari, allora superiore delegato, aveva già inviato tutto il programma, ma come è stato pubblicato, due giorni dopo, il 18 aprile, il Signore lo ha chiamato a sé a seguito di un mortale incidente stradale mentre viaggiava per andare a San Pedro per ultimare la preparazione della Conferenza e poi accoglierci ed accompagnarci nella vista alle missioni.

Tutto l’Istituto ne ha appreso la notizia con grande dolore assieme alla sua famiglia accogliendo con fede questa volontà e piano di Dio che solo in cielo un giorno comprenderemo. Tutti: la famiglia, i missionari e la gente che lo ha conosciuto sono grati per questa vita donata in modo instancabile per la missione in Costa d’Avorio.

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Necessariamente sono così cambiati anche i nostri piani perché la Conferenza della Delegazione non si è più potuta fare a causa delle tristi circostanze.

Abbiamo così iniziato a visitare i missionari nelle loro comunità e, in ognuna di esse, troviamo accoglienza, spirito di famiglia e tanto amore e dedicazione per la missione.

Il nostro viaggio è iniziato da Abidjan, dove siamo stati accolti da Padre John Baptist e dalla comunità del Seminario con i cui membri abbiamo avuto dei bei momenti di dialogo e di condivisione.

Con lui, lunedì 22 aprile, siamo poi partiti per la Missione di Marandallah arrivando quasi di sera accolti da padre Wema Meta e da padre Isac Josè Manuel. Il mattino dopo visitiamo il Centro Pastorale, la chiesa e il Centro di Salute, vera opera di consolazione per la gente del posto. Un po’ ovunque la gente si ricorda di tanti missionari passati in questa e altre missioni.

Dianra Village e Procure

Proseguiamo poi per Dianra Village e Procure dove ci accolgono padre Stefano Camerlengo, arrivato qui da pochi mesi, e padre Celestino Marandu, vice superiore della Delegazione. Incontriamo anche lo zio di padre Matteo che da novembre si occupa del laboratorio di biologia del Centro Sanitario Giuseppe Allamano.

Il giorno dopo, arrivano da San Pedro, padre Raphael Ndirangu, amministratore della Delegazione e padre Ariel Tosoni, animatore missionario e vocazionale. Entrambi hanno lavorato vari anni a Dianra ed in questo momento particolare potranno dare il loro valido aiuto. Rimaniamo a Dianra per tre giorni.

Nei giorni in cui siamo rimasti in questa missione molte persone, singolarmente o in gruppo, vengono a salutarci e a portare le loro condoglianze dimostrando il grande amore che avevano per padre Matteo.

Al mattino celebriamo con loro la messa e alla sera si recita il Rosario presso la grotta della Consolata; è sempre un forte momento di preghiera. Anche con i missionari abbiamo momenti di condivisione, dialoghi e offriamo il nostro incoraggiamento per il lavoro pastorale e missionario che dovrà essere portato avanti.

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Recita del Rosario presso la grotta della Consolata

Visitiamo anche la chiesa di Dianra Village, inaugurata da pochi mesi con splendide pitture che sono una vera e propria catechesi. Con la guida del dottore responsabile del Centro Sanitario vistiamo questa bella opera di consolazione per la gente che comprende i reparti di maternità, prevenzione, consulte mediche, degenza e uno studio dentistico. Che l’Allamano, a cui è intitolato il Centro, possa continuare a sostenerlo con l’aiuto e la collaborazione di tanti come fino ad ora lo ha sostenuto il nostro padre Matteo.

Missione di Sago

Venerdì 26 aprile partiamo per la missione di Sago nella Diocesi di San Pedro a sud del Paese. Vi arriviamo dopo un viaggio di 16 ore e con qualche difficoltà nell’ultimo tratto a causa della strada che è in brutte condizioni. Ci accoglie padre Gregory Cyprian Mduda che da otto anni lavora in questa missione con padre Celestino Marandu. Il giorno seguente ci porta a vedere la piantagione di Palme da olio, una delle risorse e un investimento della Delegazione, alla quale padre Gregory si dedica con passione, capacità ed una buona amministrazione, oltre a tutto il lavoro pastorale che con padre Celestino fanno in questa missione.

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Visita alla piantagione di Palme da olio nella missione di Sago 

Alla sera abbiamo avuto un incontro e momento di convivio con il consiglio pastorale ed il giorno seguente abbiamo partecipato alla messa domenicale della comunità animata da una bellissima corale. Abbiamo poi anche visitato la nostra scuola primaria.

Ringraziamo il Signore anche per questa bella parrocchia di Sago, la prima in Costa d’Avorio dedicata alla Consolata, dove i nostri missionari hanno iniziato a lavorare nel 1997. Da qui proseguiremo il nostro viaggio verso San Pedro e Grand Zattry.

* Padre Michelangelo Piovano, IMC, Vice superiore generale.

«Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24).

“Il sacerdote è più di tutto l'uomo della carità, ed egli è prete assai più a vantaggio dei suoi fratelli che di se stesso.” (Beato Giuseppe Allamano)

Il nostro caro Padre Matteo Pettinari ci ha lasciato, una vita generosa spazzata via in pochi istanti. Nel pomeriggio del 18 aprile verso le 14 e 30, ha avuto un terribile incidente stradale contro un autobus di linea a Niakara nel nord della Costa d’Avorio dove viveva da missionario da 13 anni.

Padre Matteo, 42 anni, dei quali 17 di professione religiosa e 13 di sacerdozio, nella prefettura di Dianra, era punto di riferimento per l’intera popolazione.

Papa Francesco all’angelus di domenica 21 aprile ha così commentato: "Con dolore ho appreso la notizia della morte, in un incidente, di padre Matteo Pettinari, giovane missionario della Consolata in Costa d'Avorio, conosciuto come il "missionario instancabile", che ha lasciato “una grande testimonianza di generoso servizio”.

Una vita spesa per gli ultimi della Costa d’Avorio, vissuta con energia e vitalità. Non si è mai risparmiato, si è dedicato soprattutto alla costruzione di una Chiesa e di un Centro Sanitario, riferimento per tanta gente della Regione e tanta vicinanza e carità con tutti.

"Quello che l’Africa mi ha insegnato – aveva detto anni fa in un’intervista – è vivere la vita non a partire dai problemi che ci sono o che non ci sono, che potrebbero esserci o non esserci, ma dalle relazioni che comunque sempre sono il sale, la gioia, la ricchezza del quotidiano. Io amo dire quando sono a Dianra che abbiamo mille problemi ma mille e uno soluzioni, nel senso che le difficoltà, le crisi, la precarietà di ogni tipo non possono determinare lo stile con cui si affrontano le giornate".

Era un missionario vero, buono, un cristiano, che divorava la Parola di Dio e non si è mai stancato di spezzarla per tutti. Cercava di aiutare tutti e il tempo non gli bastava mai perché doveva sempre correre ad aiutare e servire. Era sempre il primo a fare la sua parte a servire e amare fino alla fine, a sorridere al prossimo. Una signora l’ha definito: “un missionario senza religione”, perché era sempre pronto ad aiutare tutti senza guardare a quale confessione religiosa appartenesse.

Punto di riferimento era e resta anche a Monte San Vito (Ancona) dove tutta la sua famiglia è conosciuta e apprezzata.

La famiglia ha deciso di lasciare il suo corpo a Dianra Village, nella “sua missione” dove ha offerto la sua vita affinché continui ad essere punto di riferimento, guida sicura, porto di speranza.

Lo ricordiamo con affetto ed amicizia, facciamo fatica a capire il piano di Dio, ma sappiamo che Dio conosce il perché.

Grazie Signore perché ce lo hai donato e perché è stato un grande missionario, ora lo hai chiamato te lo affidiamo, che dal cielo continui ad accompagnarci e si prenda cura di tutti noi che lo abbiamo conosciuto ed amato quaggiù.

* Padre Stefano Camerlengo, imc, missionario in Costa d’Avorio.

Il missionario della Consolata italiano padre Matteo Pettinari, quarantaduenne, nato a Chiaravalle (Ancona) e cresciuto a Monte San Vito, è deceduto nel pomeriggio del 18 aprile 2024, a causa di un grave incidente stradale avvenuto a Niakara, villaggio dell’area centro nord della Costa d’Avorio, quando l’auto che lui guidava si è scontrato con un autobus di linea. Padre Matteo lascia il padre Pietro, la sorella Francesca, il fratello Marco e cinque nipoti. La mamma Roberta è mancata tre anni fa.

Il Papa Francesco, durante i saluti dopo il Regina Caeli, nella domenica del Buon Pastore (21 aprile), ha voluto ricordare la figura del missionario generoso: «Con dolore ho appreso la notizia della morte, in un incidente, di padre Matteo Pettinari, giovane missionario della Consolata in Costa d'Avorio, conosciuto come il missionario ‘instancabile’ che ha lasciato una grande testimonianza di generoso servizio» - ha detto il Pontefice, invitando a pregare per la sua anima.

Un missionario con lo spirito dell’Allamano

Sul terribile incidente che ha causato la morte di padre Matteo, preziosa è la testimonianza di padre Stefano Camerlengo che, dopo aver terminato il suo mandato come Superiore Generale, era stato destinato, pochi mesi fa, alla Costa d’Avorio e proprio con padre Matteo erano insieme responsabili della parrocchia di Dianra.

In un messaggio attraverso whatsapp (domenica 21 aprile) ha condiviso con noi quegli ultimi momenti vissuti insieme a padre Matteo. «Davanti a una persona giovane, buona e un missionario instancabile, come ha detto il Papa Francesco, non ci sono altre parole da aggiungere. Uno vuole vivere questo momento nel silenzio, come ho detto questa mattina alla nostra gente in chiesa; silenzio nella comunione tra di noi, nella fraternità e nella preghiera», dice padre Stefano e poi racconta cosa era successo giovedì 18 aprile, quando padre Matteo ha avuto il tragico incidente, sulla strada che, attraversando il Paese, collega il Nord con la capitale Abidjan, sulla costa atlantica.

«Di fronte a un triste evento come questo cosa impariamo? - si chiede padre Stefano -. Sono situazioni che non hanno risposta e che capiremo solo quando saremo con il Signore. Abbiamo davanti una persona buona e generosa che si è donata, un missionario della Consolata con lo spirito dell’Allamano: amore e passione per la gente, voglia di promozione umana per fare crescere le persone; oltre a una grande intelligenza che gli ha permesso di essere aperto a tutti e amico di tutti. Celebriamo la morte di un uomo che, come buon pastore, si è speso per le sue pecore che conosceva, con la preoccupazione anche per quelle che non stavano nell’ovile e le cercava. Credo che questo sia il ricordo più bello di padre Matteo».

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«In comunione fraterna, preghiamo il Signore per il suo riposo eterno e che, per intercessione della Madonna della Consolata, conceda a noi e alla sua famiglia consolazione e pace. Imploriamo per lui dalla misericordia di Dio la luce della Risurrezione» - si legge nella nota pubblicata venerdì 19 aprile dal Superiore generale, padre James Lengarin e dal segretario imc, padre Pedro Louro.

La notizia ha lasciato una grande tristezza per l’improvvisa scomparsa del giovane missionario, pieno di energia e molto attivo nella missione in Costa d'Avorio, dove lavorava dal 2011 e, nel 2022, era divenuto Superiore Delegato per l’Istituto. «Nel grande dolore, ci ancoriamo alla speranza della risurrezione, testimoniata in modo splendido dalla vocazione e dalla vita di Padre Matteo» - rende noto dalla Diocesi di Senigallia la sua comunità di origine con cui manteneva stretto rapporto con progetti in favore della popolazione ivoriana. Attraverso i social, aggiornava sui progressi e gli aiuti che arrivano per la missione.

«Sei volato in cielo ed ora con mamma vegliate su di noi. Il tuo ricordo sarà sempre nel mio cuore e nessuno potrà portarmelo via» - ha scritto su Facebook la sorella Francesca, postando una foto del fratello Matteo in missione, con una bimba in braccio.

Diversi mezzi di comunicazione in Italia hanno riportato notizie e messaggi di cordoglio. Un punto di riferimento era a Monte San Vito padre Matteo, a cui era molto legato e dove tutta la sua famiglia è conosciuta e apprezzata. «La comunità di Monte San Vito – ha scritto il Comune - si stringe profondamente addolorata attorno alla famiglia Pettinari per l’improvvisa perdita di Padre Matteo. Ogni iniziativa in programma verrà rinviata a data da destinarsi» – ha affermato il sindaco Thomas Cillo -. Solo una grande fede può dare spiegazioni a certi eventi e per chi rimane c’è solo immenso dolore».

Amava la preghiera e la Parola di Dio

Padre Alexander Likono, imc, che ha lavorato con padre Pettinari per 13 anni, lo definisce «un uomo di grande fede che amava veramente la preghiera e la Parola di Dio» - dice e aggiunge - «Anche se arrivava stanco, non lasciava mai il suo impegno di preghiera».

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Padre Matteo Pettinari e  Alexander Likono.

Padre Alexander racconta che insieme avevano organizzato la formazione in Costa d’Avorio, poi avevano lavorato nei centri sanitari di Marandallah e Dianra Villaggio. Padre Matteo è stato il suo Vice superiore per tre anni e recentemente erano nella stessa comunità di Dianra.

«Ricordo la sua passione e il suo entusiasmo per la missione, la sua energia e il desiderio di donarsi completamente per il regno di Dio, la salvezza e il benessere di tutte le persone. Era un vero figlio dell’Allamano e della Consolata. Abbiamo perso un missionario molto intelligente e capace di fare tante cose con precisione e ordine. Era un guerriero della missione» - ricorda padre Alexander.

Altre caratteristiche in lui erano il dialogo e l'amicizia. «Padre Matteo era amato da tutti: dai vescovi, preti, confratelli, religiosi e religiose, autorità civili e tradizionali, dai cristiani e anche dai non cristiani. Aveva un cuore grande capace de vedere i bisogni degli altri, facendo il possibile per aiutarli. Sempre era disponibile, anche quando era stanco, o ammalato» - assicura padre Alexander.

Una chiesa per mostrare la bellezza della fede

Presenti dal 2002 nella diocesi di Odienné (Nord della Costa d’Avorio), in zona musulmana e animista, i Missionari della Consolata accompagnano oggi la crescita della Chiesa locale, arricchendola con edifici per l'istruzione e ospedali sanitari. Nel 2019, a Dianra Village è stata inaugurata la nuova chiesa parrocchiale dedicata a san Joseph Mukasa, uno dei martiri d’Uganda, nato nel 1860, martirizzato nel 1885 e proclamato santo nel 1964. Completata dopo tre anni di lavori, la chiesa è umile, ma bella e fa parte del “Progetto pietra rossa’. «Se qualcosa deve parlare di Dio, allora deve parlare il linguaggio di Dio, che è la comunione», aveva detto padre Pettinari all'architetto-capo del progetto di costruzione della chiesa, Daniela Giuliani. Lo raccontava lei stessa in una intervista del febbraio 2023 a L'Osservatore Romano. Parole di incoraggiamento, quelle del religioso, che sono state di grande ispirazione per l'architetto, che proviene dalla sua stessa diocesi: «Padre Matteo mi ha insegnato la via della Chiesa».

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Chiesa parrocchiale dedicata a san Joseph Mukasa a Dianra Village

Nel Dossier sulla Costa d’Avorio, appena pubblicato sulla rivista Missioni Consolata (aprile 2024), padre Matteo così aveva raccontato la missione: «Insieme alle persone con cui condividono questa meravigliosa avventura, i missionari visitano i villaggi per l’annuncio del Vangelo, si aprono alle ricchezze delle culture che li accolgono, realizzano progetti educativi (alfabetizzazione serale e scolarizzazione) e di appoggio all’economia domestica (microcredito per donne e apicoltura). Sperimentano lo stupore della fraternità interreligiosa di cui è intessuto il loro quotidiano e, inoltre, amministrano un centro sanitario che oggi fornisce diversi servizi: dispensario, maternità, studio dentistico, laboratorio analisi, centro trasfusioni, salute mentale, accompagnamento di persone sieropositive e affette da tubercolosi, centro nutrizionale e telemedicina in cardiologia».

Proprio come desiderava il Fondatore, il Beato Allamano, i missionari «annunciano il Vangelo con opere di promozione umana. La sensibilità e lo sforzo per sviluppare un’evangelizzazione “inculturata”sono confluiti nella costruzione della chiesa di Dianra Village, secondo padre Matteo, «per dire la bellezza della fede»-  come spiega nel suo articolo. «Questa chiesa è un’ulteriore testimonianza fatta architettura e arte, capace di parlare della bellezza di Dio e della vita nuova in Cristo a chiunque la contempli (…). La sfida di inculturazione che abbiamo raccolto in questo spazio liturgico crediamo possa raccontare la sfida della missione stessa nel mondo».

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Breve biografia

Padre Pettinari, dopo un periodo nel seminario di Ancona (Italia), era entrato nell’Istituto dei Missionari della Consolata, dove aveva concluso la sua formazione. Al termine dell'anno di noviziato a Bedizzole (BS), la professione dei voti temporanei, il 27 agosto 2006. Si era poi specializzato in teologia biblica a Madrid, in Spagna. Prima dell'ordinazione sacerdotale, dal 2007 al 2009 aveva svolto uno stage pastorale a Sago, in Costa d'Avorio, Paese che aveva mparato ad amare, scegliendolo poi, più tardi, nel servizio missionario.

Ritornato a Madrid, aveva fatto la professione perpetua l’8 dicembre 2009; ordinato diacono il 28 febbraio 2010, era diventato sacerdote l'11 settembre 2010 nella cattedrale di Senigallia. Da allora aveva trascorso 17 anni di professione religiosa e 13 di sacerdozio.

Dopo un periodo di animazione missionaria in Europa, nel 2011 era stato inviato in Costa d'Avorio, Paese che già conosceva e dove ha trascorso la maggior parte della sua vita missionaria, in particolare a Sago, San Pedro e Dianra Village.

Qualche anno fa, in un’intervista a “La voce misena”, periodico della diocesi di Senigallia, padre Matteo aveva detto: «Quello che l’Africa mi ha insegnato è di vivere la vita non a partire dai problemi che ci sono o che non ci sono, che potrebbero esserci o non esserci, ma dalle relazioni che, comunque e sempre, sono il sale, la gioia, la ricchezza del quotidiano. Io amo dire quando sono a Dianra - aggiungeva - che abbiamo mille problemi, ma mille e una soluzione, nel senso che le difficoltà, le crisi, la precarietà di ogni tipo non dovrebbero condizionare lo slancio con cui si affrontano le giornate».

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La presenza di consolazione in Costa d’Avorio

L’Istituto della Consolata è presente in Costa d'Avorio dall’inizio del 1996. Attualmente lavorano nel Paese 14 missionari nelle diocesi di Odienne e di San Pedro e nell’archidiocesi di Abidjan. Le comunità imc sono in totale sei (San Pedro, Abidjan, Dianra, Grand-Zattry, Marandallah e Sago). La comunità formativa di specializzazione, ad Abidjan, accoglie cinque studenti professi.

L’impegno per la consolazione ha preso forma in alcune opere: la scuola primaria di Sago (2007), i centri sanitari di Marandallah (2007) e Dianra Village (2012), il microcredito per donne e apicoltura a Dianra e Marandallah (2013). A partire dal 2023, a San Pedro, funziona un Centro di Animazione e Spiritualità Missionaria, promozione vocazionale, mediazione culturale e formazione giovanile.

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Padre Matteo ha partecipato attivamente a questa storia di consolazione. Nella domenica del Buon Pastore e celebrando la 61ª Giornata Mondiale di preghiera per le Vocazioni, siamo grati a Dio per il dono della sua vocazione religiosa e missionaria. Siamo anche riconoscenti alla sua famiglia per aver ‘regalato’ un figlio alla missione della Chiesa nel mondo e per la presenza arricchente di padre Matteo nella nostra famiglia Consolata.

Il nostro “missionario instancabile” che ha creduto nella Risurrezione e nella vita eterna, e ha compiuto la sua missione come sacerdote religioso della Consolata possa contemplare in eterno la luce di Cristo Risorto e intercedere per noi.

* Padre Jaime C. Patias, IMC, direttore del SGC.

Il 6 aprile 1994 iniziava la mattanza nel paese africano che causò la morte di un milione di persone.

“Ci sarà mai una cifra esatta sugli eccidi, sui feriti, sui profughi, sugli orfani che il dramma del Ruanda ha lasciato sul terreno dell’Africa? Le dimensioni sono quelle di una grande tragedia, ma incalcolabile non è soltanto il numero delle vittime. È inquietante chiedersi fin dove e, soprattutto, fino a quando questi semi di violenza continueranno ad avvelenare i percorsi di una necessaria riconciliazione”. Gli angosciosi interrogativi li poneva il Cardinale Jozef Tomko, Prefetto dell’allora Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, in un intervento pubblicato dall’Agenzia Fides e dall’Osservatore Romano nel giugno 1995, nel primo anniversario dell’assassinio dell’Arcivescovo di Kigali, Vincent Nsengiyumva, e dei Vescovi di Kabgayi, Thaddee Nsengiyumva, e di Byumba, Joseph Ruzindana, uccisi il 5 giugno 1994 insieme a dieci sacerdoti che li accompagnavano nella visita alle popolazioni sconvolte dalla violenza omicida. I loro nomi si aggiungevano ad un lungo elenco di sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi, novizie, operatori pastorali uccisi nel Paese africano.

Dal 6 aprile 1994, quando venne abbattuto l’aereo su cui viaggiavano i Presidenti del Ruanda e del Burundi, colpito da un missile nei cieli della capitale ruandese Kigali, al 16 luglio 1994, secondo la connotazione cronologica accettata, si compie in Ruanda il genocidio dei tutsi e degli hutu moderati. Il movente fondamentale fu l’odio razziale verso la minoranza tutsi, che costituiva l’élite sociale e culturale del Paese. Le cifre ufficiali diffuse all’epoca dal governo ruandese parlano di 1.174.000 persone che persero la vita in 100 giorni, uccise con machete, asce, lance, mazze. Altre fonti citano un milione di morti. Lo sterminio terminò, almeno ufficialmente, nel luglio 1994 con la vittoria militare del Fronte patriottico ruandese, sulle forze governative, espressione della diaspora tutsi. Lo strascico di violenze e vendette razziali proseguì comunque ancora a lungo.

Il Cardinale Tomko, nel suo intervento l’anno seguente alla tragedia, citava “oltre due milioni di persone, vale a dire quasi un terzo della popolazione, attualmente al di là dei confini del Paese. I profughi ammassati nei campi - in particolare nello Zaire (attuale Repubblica democratica del Congo) - sono l’immagine di un doppio dramma: quello dei diritti e della dignità negata, e quello di una nazione mutilata”. Il Prefetto del Dicastero Missionario indicava quindi la riconciliazione come “la sola possibilità di salvezza, il nome della speranza a cui tutto il popolo ha diritto. E in una prospettiva di questa natura, emerge in pieno il vastissimo ruolo che spetta alla Chiesa”.

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La chiesa della Santa Famiglia a Kigali, in cui furono perpetrati massacri nella guerra civile del 1994. Foto: Adam Jones

“Un contributo peculiare in tale direzione proviene dall’operato dei missionari, considerati tra i pochi soggetti al di sopra delle parti nella tragedia che insanguina il Paese, in grado di portare avanti senza cedimenti il processo di pacificazione” evidenziava ancora il Cardinale Tomko. A pochi mesi dall’eccidio, più di sessanta si erano reinsediati nei precedenti luoghi di apostolato, “in mezzo alle popolazioni stremate dalla fame, dalle ferite e dalle malattie”, oltre ad essere impegnati nello stabilire collegamenti tra i profughi nei Paesi vicini e le autorità ruandesi per garantire loro il rientro in patria in condizioni di sicurezza e dignità.

Nella rete di riconciliazione tessuta dalla Chiesa, un secondo apporto fondamentale è stato fornito dai Seminari, la cui vita in Ruanda è particolarmente fiorente. Intorno alla Chiesa locale poi, “si mobilitano in molti per alleggerire il peso che essa deve portare. La solidarietà e l’aiuto spirituale, morale e non solo manifestatole, sono un segno eccellente di quell’universalità di cui parlano già gli Atti degli Apostoli”.

Nel primo anniversario “dell’orribile tragedia ruandese”, i membri della Conferenza episcopale del Ruanda pubblicarono “un messaggio di partecipazione e di conforto” all’intero popolo ruandese, che porta la data del 30 marzo 1995. “La Chiesa cattolica del Ruanda, così come tutto il Paese, è stata provata per la perdita di un gran numero dei suoi figli. Essa condivide il dolore di quanti si sono confrontati con ogni tipo di sventura: genitori a cui sono stati strappati i figli per essere uccisi, orfani, vedove, feriti, handicappati, sfollati, rifugiati nei campi, traumatizzati; in una parola tutti quelli che si sono trovati davanti l’orrore in tutte le sue forme. La Chiesa condivide la sofferenza di tutti costoro: fa sue le loro lacrime, il loro dolore, i loro lamenti e le loro suppliche, nella misura delle sue possibilità li accompagna nelle loro diverse situazioni”.

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Foto di alcune delle vittime del genocidio conservate nel museo della memoria a Kigali. Il museo è stato aperto nel 2004 in occasione del decimo anniversario dall’inizio del genocidio.  Foto: Corbis via Getty Images.

I Vescovi ruandesi, un anno dopo i massacri, auspicavano una degna sepoltura di tutte le vittime della guerra, dichiarandosi favorevoli “all’erezione di segni memoriali in ricordo dei defunti”. Come sempre “la Chiesa continua a pregare per i defunti” assicuravano, invitando tutti “a mobilitarsi per inumare degnamente i resti delle vittime che si trovano ancora sulle colline... Chiediamo insistentemente che le cerimonie di inumazione dei resti delle vittime della tragedia ruandese siano esenti da tutti quei gesti e da quelle parole che hanno provocato e aggravato il conflitto”.

Nella conclusione del messaggio, i Vescovi ribadivano “la condanna e la disapprovazione per i massacri ed il genocidio che ha segnato l’anno trascorso”, quindi esortavano “tutti coloro che amano la pace, ad ostacolare e combattere ogni progetto che possa portare al ripetersi di una tale tragedia. Questa è una legge assoluta di Dio: tutti vogliono che la loro vita sia rispettata, ognuno dunque rispetti la vita degli altri e agisca di conseguenza”.

La Via Crucis del popolo ruandese vissuta nel cuore della Chiesa

La tragedia vissuta dal popolo ruandese ha coinciso con un avvenimento storico per la Chiesa del Continente, che avrebbe dovuto riempirla di gioia e speranza: la Prima Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, sul tema “La Chiesa in Africa e la sua missione evangelizzatrice verso l'anno 2000: 'Sarete miei testimoni' (At 1,8)”. Indetta da Papa Giovanni Paolo II già nel 1989, venne celebrata in Vaticano dal 10 aprile all’8 maggio 1994, nel quadro dei Sinodi continentali sul tema dell’evangelizzazione in preparazione al Grande Giubileo dell’Anno 2000. L’eco dei tragici eventi che insanguinavano il Ruanda risuonò e si amplificò in modo particolare nel cuore della Cristianità, dove i rappresentanti dei Vescovi di tutto il continente africano erano riuniti attorno al Successore di Pietro, che non si stancava di invocare riconciliazione e pace.

Il 9 aprile 1994, in un primo messaggio indirizzato alla comunità cattolica del Ruanda, Papa Giovanni Paolo II supplicò “di non cedere a sentimenti di odio e di vendetta, ma a praticare coraggiosamente il dialogo e il perdono”. “In questa tragica tappa della vita della vostra nazione - scrisse il Papa - siate tutti artefici di amore e di pace”.

Nella solenne cornice della Messa di apertura dell’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Africa, celebrata in San Pietro domenica 10 aprile 1994, cui ovviamente non parteciparono i Vescovi del Ruanda, il Papa espresse profonda preoccupazione per il Paese africano, “tormentato da annose tensioni e da sanguinose lotte”. Durante l’omelia ricordò in particolare “il popolo e la Chiesa ruandesi, provati in questi giorni da una impressionante tragedia, legata anche alla drammatica uccisione dei Presidenti del Ruanda e del Burundi. Con voi, Vescovi, condivido la sofferenza di fronte a questa nuova catastrofica ondata di violenza e di morte che, investendo questo diletto Paese, ha fatto scorrere in proporzioni impressionanti, anche il sangue di sacerdoti, religiose e catechisti, vittime di un odio assurdo”. Facendosi portavoce dei 315 partecipanti al Sinodo, e “in spirituale comunione con i Vescovi del Ruanda che non hanno potuto essere oggi qui con noi”, il Pontefice lanciò un appello per fermare i violenti. “Con voi elevo la mia voce per dire a tutti: Basta con queste violenze! Basta con queste tragedie! Basta con queste stragi fratricide!”

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Fronte comune delle associazioni per il ricordo del genocidio tutsi in Ruanda. Foto: Licra memoire

Anche dopo la recita del Regina Coeli di quella stessa domenica, Papa Giovanni Paolo II richiamò l’attenzione sul paese africano: “Le tragiche notizie che giungono dal Ruanda suscitano nell’animo di tutti noi una grande sofferenza. Un nuovo, indicibile dramma, l’assassinio dei Capi di stato di Ruanda e Burundi e del seguito; il Capo del governo ruandese e la sua famiglia trucidati; sacerdoti, religiosi e religiose uccisi. Ovunque odio, vendette, sangue fraterno versato. In nome di Cristo, vi supplico, deponete le armi! Non rendete vano il prezzo della Redenzione, aprite il cuore all’imperativo di pace del Risorto! Rivolgo il mio appello a tutti i responsabili, anche della comunità internazionale, perché non desistano dal cercare ogni via che possa essere argine a tanta distruzione e morte”.

I lavori del Sinodo per l’Africa, il primo nella storia della Chiesa, furono inevitabilmente contrassegnati, oltre che dallo studio e dal dibattito indicati dall’Instrumentum laboris, anche dalle tragiche notizie che via via giungevano dal Ruanda. Il 14 aprile il Santo Padre celebrò la Santa Messa “per il popolo rwandese” e i membri del Sinodo lanciarono un “appello pressante” per la riconciliazione e per i negoziati di pace. Nel messaggio, firmato a nome di tutti dai tre Presidenti delegati del Sinodo (i Cardinali Francis Arinze, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-Religioso; Christian Wiyghan Tumi, Arcivescovo di Garoua, Camerun, e Paulos Tzadua, Arcivescovo di Addis Abeba, Etiopia), i padri Sinodali si dissero “profondamente rattristati per i tragici avvenimenti” e si rivolsero “a tutti coloro che sono coinvolti in questo conflitto, perché facciano tacere le armi e pongano fine alle atrocità ed alle uccisioni”.

Ai ruandesi chiesero di “camminare insieme e di risolvere i loro problemi con la discussione”, ai singoli individui ed alle organizzazioni presenti in Africa o fuori dall’Africa, di “usare la loro influenza per portare il perdono, la riconciliazione e la pace in tutto il Ruanda”.

Fonte: Agenzia Fides

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