La chiesa in uscita nei nostri istituti missionari

Pubblicato in Missione Oggi

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Spesso tra noi nelle nostre riunioni e condivisioni parliamo della missione, ci chiediamo sul ad gentes oggi, ci domandiamo come possiamo continuare ad essere fedeli al nostro carisma affidatoci dal Fondatore. Vi presento qui una piccola e semplice riflessione per stimolare l’approfondimento e la ricerca.

Una delle affermazioni più chiare e decise di Evangelii Gaudium riguarda la spinta ad essere chiesa in uscita. “La Chiesa ‘in uscita’ è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano” (EG 24). “La Chiesa ‘in uscita’ è una Chiesa con le porte aperte” (EG 46). È una bella espressione utilizzata da papa Francesco per richiamare ad un movimento nuovo: non ripiegarsi su di sé, non essere assorbiti in questioni unicamente interne e di tipo organizzativo.

Il movimento di uscita invita a porre al centro l’orizzonte del regno di Dio che sta crescendo ed è piccolo seme in questo mondo e nella storia. È una spinta a rivolgersi agli altri e ad ascoltare le chiamate di Dio che giungono nell’incontro.

Questo invito riprende e dà nuovo impulso al rinnovamento della riflessione sulla missione attuato a partire dal Vaticano II. Il modello delle missioni (al plurale) indirizzate a coloro che non avevano incontrato Cristo, i cosiddetti pagani o le genti, costituiva il riferimento principale nel considerare il movimento di uscita della chiesa: le attività missionarie erano quindi intese più come un’azione organizzativa in cui portare qualcosa all’altro. E spesso nella storia ciò è stato confuso con una attività colonizzatrice dal punto di vista culturale e politico.

L’espressione della missione (al singolare) ad gentes, utilizzata dal Concilio da un lato intende valorizzare l’apertura presente nel dinamismo missionario, d’altra parte ne individua le radici profonde nella vita della Trinità. Secondo tale prospettiva la chiesa è missionaria non solo perché compie azioni rivolte all’esterno, ma essa è per natura missionaria, in quanto generata dalla missione di Dio. Sorge dall’invio che ha la sua fonte nel Padre e vive nella corrente di vita della missione del Figlio e dello Spirito.

In tale riflessione sulla missione è racchiuso un significativo spostamento dell’accento: dalla considerazione delle missioni in termini di attività e organizzazioni attuate dalla chiesa, ad una visione più profonda e teologica. L’attività missionaria della chiesa è frutto ed espressione di una missione proveniente da Dio Trinità. La vita stessa della chiesa sorge dalla missione del Figlio e dello Spirito mandati dal Padre per compiere un unico disegno di salvezza che coinvolge il cosmo e l’umanità. E lo Spirito è all’opera fin dalla creazione, e agisce nei cammini dei popoli. C’è chi ha espresso questo passaggio in una sintetica affermazione: non la chiesa ha una missione ma la missione, propria di Dio Trinità, ha una chiesa.

Ci si può domandare oggi, nel tempo del pluralismo delle culture e delle religioni come queste intuizioni possano essere ripensate nell’attuale contesto. Esse richiamano ad un movimento di uscita in cui vi sia consapevolezza che lo Spirito di Dio agisce nelle culture, nelle religioni e nei percorsi dei popoli ed è presente nella vita del cosmo.

Particolarmente significative mi sembrano le proposte che aprono ad una rivisitazione del nostro modo di pensare l’uscita: uscire implica riscoprire che la chiesa è piccolo seme ordinato al regno di Dio, e coltivare stima e attenzione per i diversi percorsi culturali e religiosi dei popoli. Uscire è faticoso percorso di crescita per scoprire la missione tra i popoli (inter gentes), in mezzo a contesti sociali diversi, imparando a parlare i linguaggi dell’altro. Uscire è anche occasione per scorgere che la missione può attuarsi solamente insieme (cum gentibus), con gli altri, nella disponibilità ad ascoltare oggi la chiamata evangelica e l’eredità della tradizione insieme a quell’autentico magistero che proviene dalla vita dei poveri, dall’esperienza di coloro che appartengono a tradizioni religiose diverse, spogliandosi di un’attitudine di disprezzo verso l’altro e del sentimento di superiorità e autosufficienza.

L’invito ad essere chiesa in uscita può essere motivo per vivere la missione, movimento che viene da Dio, in termini di ospitalità. Ospiti si diventa nell’offrire accoglienza, nel fare spazio perché l’altro sia riconosciuto e stimato, quando si dà tempo all’ascolto e a conoscere. Si è ospiti anche quando si è disponibili a ricevere accoglienza, nell’apprezzamento della casa e delle persone che s’incontrano e valorizzando tutto ciò che nella vita dell’altro è motivo di crescita e di esempio (si pensi alla presenza di piccole comunità cristiane in situazione di minoranza).

Umiltà e ascolto sono attitudini proprie di una presenza ospitale. In tal senso il dialogo, che si può attuare a diversi livelli e in varie modalità, costituisce oggi un elemento essenziale della missione. La sfida del tempo del pluralismo è quella a camminare insieme verso l’orizzonte del regno di Dio, centro dell’agire e della missione di Gesù.

Sarebbe interessante studiare insieme possibili percorsi che potrebbero aiutare anche il nostro Istituto a mettersi in sintonia con questo movimento della missione nel pensiero e nelle azioni.

*p. Stefano Camerlengo è superiore Generale dei Missionari della Consolata

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