XXIV Domenica del tempo ordinario (Anno B). Ma voi, chi dite che io sia?

Pubblicato in Domenica Missionaria

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Disegno di Félix Hernández Mariano

Is 50,5-9;
sal 114;
Giac 2,14-18;
Mc 8,27-35.

Attraverso il Vangelo di oggi Gesù pone ai discepoli una domanda decisiva: «Ma voi, chi dite che io sia?». A questa domanda, posta dal Maestro, risponde Pietro dicendo: «Tu sei il Cristo». Con questa affermazione l'apostolo Pietro riconosce in Gesù il Messia, l'inviato di Dio, colui di cui parlano le Sacre Scritture. Gesù aveva compreso che negli animi degli apostoli e della gente albergava, quale idea di Messia, quella di un liberatore che avrebbe riscattato Israele con la forza e la spada, quella di un capo politico, un rivoluzionario. Per questo motivo Egli chiede loro, di non dire niente a nessuno, di non dire che Egli è il Messia. Questo ordine «di non parlare di lui ad alcuno» è dato affinché nella gente non si accendessero false e sbagliate speranze. L'evangelista Marco dice che «cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere». Il "messianismo" di Gesù, dunque, è differente da come lo intendeva il popolo. Esso coincide con l'esperienza del "Servo sofferente". Il profeta Isaia presenta un misterioso personaggio, di cui descrive le sofferenze e l'abbandono fiducioso in Dio: «Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi» (I Lettura). Queste parole usate dal profeta sono il preludio della passione di Cristo. Gesù, dunque, rivela il significato della sua missione. Egli non è stato inviato per risolvere i problemi terreni d'Israele ma per redimere l'umanità, con la sua sofferenza, prendendo su di sé i peccati del mondo. Prima della risurrezione deve soffrire e morire. Pietro, ascoltando questo discorso che il Maestro faceva apertamente, si fa portavoce di tutti e, «prendendolo in disparte si mise a rimproverarlo». Perché questa reazione? Perché gli apostoli e i discepoli non potevano immaginarsi un servo sofferente. Ciò è motivo di scandalo, di resistenza, di prova, di incomprensione.

Anche noi, molte volte, di fronte alla sofferenza, alle ingiustizie, alla prepotenza dei malvagi, alle incomprensioni, alle umiliazioni, abbiamo paura. La stessa paura di Pietro. Entriamo in crisi. Perché? Perché siamo gente di poca fede.

La risposta di Gesù, però, non si fa attendere. L'evangelista prosegue dicendo che «egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: "Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini"». Sono parole severissime. Gesù ci vuol far capire che non è l'orgoglio che vince bensì l'umiltà. Non è la prepotenza che trionfa bensì la mitezza. Dio non si trova nel divertimento ma nel sacrificio. Non sono le gioie del mondo a darci la felicità: soldi, potere, successo, ma soltanto la carità che spinge a consumarsi per ciò che veramente conta e resta in eterno. Pensiamo alle parole che la Vergine Immacolata, 160 anni fa, alla grotta di Massabielle, disse a santa Bernardette Soubirous: «Io non ti prometto di farti felice in questa vita, ma nell'altra».

Gesù ci invita ad uscire dall'egoismo, perché esso è causa di infelicità. Siamo stati creati ad immagine di Dio, e Dio è Amore. Solo se viviamo la carità saremo felici. San Giovanni Crisostomo dice: «Quando vedi un uomo soffrire, non dire è cattivo. Che sia pagano o giudeo, se ha bisogno della tua misericordia, non esitare!».
L'apostolo Giacomo ricorda che la fede del cristiano si esprime nell'azione, in particolare nel servizio dei fratelli in difficoltà (II Lettura). Una fede che non produce delle opere coerenti non è una vera fede. Al massimo può essere una credenza astratta, una conoscenza che non incide nel vissuto.

Come cristiani siamo chiamati a seguire Gesù, fino alla croce; siamo invitati ad amare e a servire i nostri fratelli.

Papa Francesco nell'Esortazione apostolica Gaudete et exsultate scrive: «Perché tutto nella vita di Gesù è segno del suo mistero, tutta la vita di Cristo è Rivelazione del Padre, tutta la vita di Cristo è mistero di Redenzione, tutta la vita di Cristo è mistero di ricapitolazione, e tutto ciò che Cristo ha vissuto fa sì che noi possiamo viverlo in lui e che egli lo viva in noi» (n. 20).

Ultima modifica il Mercoledì, 08 Settembre 2021 07:20

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