Beato Allamano: Padre Amatissimo

All'inizio del Triennio sul Beato Allamano, offriamo questa prima riflessione di P. Francesco Pavese, in consonanza con quanto le nostre due Direzioni Generali ci hanno proposto, scegliendo il protettore per gli anni 2024-25-26. La paternità dell'Allamano ci è particolarmente cara come lo fu per i nostri primi Missionari e Missionarie. Dal Cielo continui a guidarci e proteggerci. Buon anno nuovo a tutte e a tutti.

I missionari e le missionarie di Castelnuovo don Bosco.

“PADRE AMATISSIMO”

SIGNIFICATO DELLA PATERNITÀ DEL FONDATORE

 A cura della Postulazione Generale

La paternità dell’Allamano

Per la festa del Fondatore di quest’anno propongo alcune riflessioni sulla sua “paternità”. Sono idee semplici che fanno sempre del bene a noi, ma che quest’anno possiamo anche proporre alla gente che ci conosce e che festeggia con noi il nostro “Padre”.

Prendo l’ispirazione da un messaggio che il Camisassa ha scritto alle suore in vacanza a S. Ignazio, alla vigilia del suo onomastico, per scusarsi di non potere essere presente, essendosi dovuto fermare a Torino «stante l’assenza del Sig. Rettore (m’è scappata la parola: leggete Padre amatissimo)». Per le missionarie l’Allamano non è il “Rettore”, ma il “Padre amatissimo”. Questa è la convinzione del Camisassa, che coincide con quella dei figli e delle figlie dell’Allamano.

Non è significativo che il Camisassa chiamasse l’Allamano per lo più con il nome di “Padre”, senza l’articolo? Il Camisassa, sia pure con una certa titubanza, pensa di partecipare in qualche misura della paternità del Fondatore. Ecco come si è espresso scrivendo dalla fattoria di Nyeri, il 18 luglio 1911 ad un gruppo di giovani suore, dopo la loro vestizione: «Mie buone figliuole, permettete che io pure vi chiami con questa dolce parola, detta a sei di voi con tanta bontà e tenerezza , come mi scrivete, dal nostro venerato Padre nel bel dì della loro vestizione. Certo che non ho diritto di chiamarvi mie figlie, ma pur qualcosa come un padre putativo vostro vorrei pur esserlo […]». È certo che il Camisassa è entrato in pieno nel clima di famiglia voluto dal Fondatore, in modo non indipendente, ma a seguito di lui.

Coscienza della propria paternità spirituale

Il Fondatore, proprio perché era convinto dell’origine soprannaturale dell’Istituto, si è assunto tutta la responsabilità, non solo di fondarlo, ma anche di accompagnarlo nella crescita. In questa risposta coerente alla propria vocazione si colloca la sua coscienza di essere “padre” di due famiglie missionarie. Lo ha espresso con semplicità e convinzione in diverse occasioni. Sia sufficiente rileggere quanto, nel 1904, ha scritto al gruppo dei missionari in Kenya mettendoli al corrente delle feste centenarie del santuario, per assicurarli di averli ricordati: «Lasciai in certo modo da parte le altre mie attribuzioni per non ricordare che la mia qualità di padre di questa nuova Famiglia».1

Un padre che educa

In forza di questa paternità spirituale, il Fondatore era convinto di dover formare missionari e missionarie conforme al progetto che lo Spirito Santo gli aveva suggerito. Ecco la ragione delle sue numerose insistenze sullo “spirito”. Per circostanze contingenti, ha dovuto difendere la genuinità del suo spirito fin dai primi anni della fondazione. È classico il suo intervento del 2 marzo 1902: «La forma che dovete prendere nell’Istituto è quella che il Signore m’ispirò e m’ispira, ed io atterrito dalla mia responsabilità voglio assolutamente che l’Istituto si perfezioni e viva di vita perfetta».2 È pure classico l’altro intervento nella conferenza del 18 ottobre 1908, quando, parlando della responsabilità che i superiori hanno di formare missionari, concluse: «lo spirito lo dovete prendere da me».3 Non si contano gli interventi a questo riguardo, anche alle suore. Sono molto esplicite le parole scritte il 7 settembre 1921 a sr. Maria degli Angeli superiora in Kenya: «Io desidero, e tale essendo il mio dovere, pretendo, che viviate nello spirito che vi ho infuso».4 Più di così!

Un padre che ama teneramente

Come padre, l’Allamano ha manifestato un tenero affetto per i figli e le figlie. Viveva per loro, come ha confidato scrivendo al p. Filippo Perlo nei primi anni della 5missione in Kenya: «Tante e tante cose a tutti i miei cari missionari, pei quali soli ormai vivo su questa terra. La mia paterna benedizione mattino e sera su tutti […]».6 Ha pure pronunciato parole così intense che ci impressionano ancora oggi: «Il Signore avrebbe potuto scegliere un altro a fondare questo Istituto, uno più capace, con maggiori doti, con più salute, ma uno che vi amasse più di me…non credo».

Un padre che propone il massimo

Proprio perché voleva un mondo di bene ai suoi figli e figlie, l’Allamano non si è accontentato di proporre loro l’impegno missionario, già arduo in se stesso, ma l’ha proposto nella “santità della vita”, chiedendo loro di essere tutti di “prima qualità”. E la ragione della sua continua richiesta di santità era soprattutto di carattere apostolico: «Qualcuno crede che l’essere missionario consista tutto nel predicare, nel correre […]; no, no! Questo è solo il fine secondario: santifichiamo prima noi e poi gli altri. Uno tanto più sarà santo, tante più anime salverà»7; «Dobbiamo prima essere buoni e santi noi, dopo faremo buoni gli altri; altrimenti, non saremo buoni né per gli altri, né per noi»8 Il “prima santi e poi missionari” si inserisce in questo tipo di ragionamenti.

Un padre che corregge

E neppure si è tirato indietro quando è stato necessario richiamare, direttamente o tramite i suoi collaboratori, ad un impegno superiore, come ha fatto abitualmente. Per esempio, ecco le parole scritte alle suore appena dopo un anno dal loro arrivo in Kenya:

«Mentre come padre so compatire l’umana fragilità, non posso, né intendo che si vada avanti con questo spirito. […] Perdonatemi questo sfogo paterno, che stimai necessario per rimettere tutte in carreggiata.[…]. Vi benedico di gran cuore».9 Anche su questo aspetto il Camisassa ha saputo collaborare con il Fondatore, come risulta da una lettera a sr. Margherita de Maria: «Persuaditi che la volontà di Padre è volontà di Dio.[…]. Mi rincresce aver dovuto scriver un po’ forte, ma è proprio Padre che volle così».10

Un padre che comunica se stesso

Un aspetto molto interessate della paternità del Fondatore è il seguente: come educatore, oltre ad offrire concetti e principi, ha saputo comunicare se stesso, cioè la propria esperienza interiore. Quasi senza accorgersene, indicava come lui stesso procedeva sul cammino della santità. Questa è stata la sua grande forza di educatore. Ecco perché uno dei giovani di allora ha lasciato scritto, riferendosi alle sue conferenze domenicali: «Prima della sue parole, aspettavamo lui». Con semplicità paterna ha spiegato questo suo metodo agli allievi appena tornato dagli esercizi spirituali: «Ebbene che cosa vi ho portato? Vi ho portato dello spirito, un deposito di spirito, e sapete che cos’è? Qualche buon pensiero che a me ha fatto più impressione e lo porto a voi. […] E così, nelle prediche, meditazioni, esami, con tutto insomma, pensava facendomi buono io, pensava anche a voi. Per voi e per me. Perché non voglio essere solo un canale, ma anche conca. […] Così i buoni pensieri, prima per me, e poi anche penso a voi. I buoni pensieri che hanno fatto effetto a me, lo facciano anche a voi»11.

Un padre che tiene la famiglia riunita

Infine, la paternità del Fondatore ha fatto crescere nell’Istituto lo spirito di famiglia. Chi non ricorda le sue numerose raccomandazioni al riguardo? Lo spirito di famiglia doveva essere vissuto prima con lui, che era il padre, e poi tra di noi che siamo diventati fratelli e sorelle a motivo della stessa vocazione e della paternità dell’Allamano. La conseguenza sul piano dell’azione apostolica è stata che i suoi figli e figlie dovevano essere capaci di lavorare “insieme” e non ognuno per conto proprio. L’ideale dell’unità nell’Istituto era per l’Allamano un punto fermo, intoccabile, quasi un sogno. Rileggiamo le parole pronunciate in occasione della partenza di missionari: «Vedete la consolazione che si prova a partecipare a questa famiglia […]. E anche se si deve andare in un altro luogo… il luogo è una materialità, è niente l’essere piuttosto in un posto che in un altro…Siamo tutti missionari, siamo tutti insieme, facciamo tutti una cosa sola, come se fossimo tutti qui, tutti al Kenya, tutti al Kaffa, tutti all’Iringa»12. Per lui, un Istituto di missionari deve essere e operare “tutto dappertutto”!

E la ragione di questa unità va cercata nella nostra identità missionaria. L’Allamano immaginava il suo Istituto come un “corpo” apostolico, ben compatto. Lo ha chiesto tante volte ai suoi fin dai primi anni. Basta rileggere quanto ha scritto ai missionari del Kenya nella lettera circolare del 2.10.1910: «Altro carattere del lavoro di missione è la concordia. L’unione di mente e di cuore mentre rende leggera la fatica, fa la forza ed ottiene la vittoria.».13 Lo aveva già riconosciuto, cinque anni prima, rallegrandosi perché la Santa Sede aveva riconosciuto la buona organizzazione e l’unità di azione nelle nostre missioni: «L’unità d azione poi è specialmente merito vostro, perché avete saputo uniformarvi pienamente alle direzioni ricevute».14

Un padre perenne

La paternità del Fondatore è perenne. L’ispirazione che ha ricevuto e trasmesso non si è interrotta con la sua morte, perché lo Spirito è perenne! L’Allamano era cosciente di conservare la propria paternità anche dal cielo. Lo ha detto in diverse occasioni, in senso di incoraggiamento e di aiuto, ma anche di richiamo. Sia sufficiente risentire queste parole pronunciate in tempi e in circostanze diverse: «Quando io sarò poi lassù, vi benedirò ancora di più: sarò poi sempre dal pugiol [balcone]»15; «Siate buoni anche dopo la mia morte, perché se no chiederò al Signore di venire dal balcone del Paradiso, e vi manderò delle bastonate».16Quando noi faremo il cinquantenario io dal Paradiso vi assisterò; sarà un cinquantenario pieno di meriti»;17 «Dal cielo vi guarderò, e se non farete bene, vi manderò tante umiliazioni finché non rientrerete in voi tessi”»;18 «Dal Paradiso manderò dei fulmini se vedo che mancate di carità».19 «Per il bene che mi volete, dovete essere contenti che io vada in Paradiso a riposarmi. Farò di più là che di qua…farò, farò».20

La nostra risposta al padre

In parole semplici e schematiche può essere questa: conoscerlo sempre di più e farlo conoscere agli altri; confrontarsi con lui nella vita e proporre la sua spiritualità alle persone che ci sono vicine; sentirlo vivo e presente, pregarlo e suggerire l’efficacia della sua intercessione a quanti collaborano con noi o che serviamo nel ministero. L’Allamano non lascia indifferenti: ci coinvolge e può coinvolgere molte altre persone. L’esperienza dice che anche i laici, quando riescono avvicinare in modo adeguato l’Allamano, sanno apprezzarlo e, in certo senso, lo sentono anche loro “padre”. La paternità del Fondatore non è circoscritta dai confini dell’Istituto.

NOTE:
1 Lett., IV, 276.
2 Conf. IMC, I, 15; si noti che queste parole sono del suo manoscritto. Cf. anche 136-137
3 Conf. IMC, I, 273.
4 Processus Informativus, IV, 220; Lett., IX/1, 140.
5 Processus Informativus, IV, 494.
6 Lett., IV, 23-24.
7 Conf. IMC, I, 249-250. Ricordiamo come abbia modificato di suo pugno il testo del Direttorio del 1910: «Gli alunni […] abbiano sempre di mira […] di farsi santi e di rendersi idonei a salvare molte anime» in «[…] e così di rendersi idonei», sottolineando il legame tra santità e apostolato.
8 Conf. IMC, I, 279.
9 Lett., VI. 683.
10 Arch. IMC.
11 Conf. IMC, II, 634.
12 Conf.IMC, III, 499.
13 Lett., V, 410.
14 Lett., IV, 456.
15 Conf. MC, II, 482.
16 Processus Informativus, II, 526,
17 Conf. MC, II, 282.
18 Processus Informativus, II, 544.
19 Processus Informativus, II, 874.
20 In TUBALDO I, o.c., 675.

Ultima modifica il Sabato, 06 Gennaio 2024 15:01

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