XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C). In qualunque casa entriate, prima dite: pace a questa casa!

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20220627 DMA

Is 66, 10-14;
Sal 65;
Gal 6, 14-18;
Lc 10, 1-12.17-20.

La pace e la consolazione sono al centro della liturgia della parola della XIV domenica del tempo ordinario. Se nella prima Lettura, Dio promette di far scorrere la pace e la consolazione nella città di Gerusalemme, nel Vangelo, Gesù invia i discepoli a portare la pace nelle case perché i discepoli, come l’ha ben detto Paolo nella Lettera ai Galati, sono nuove creature piene di pace e portatori di pace.

Farò scorrere verso Gerusalemme la pace

Il messaggio profetico di Isaia è annunciato mentre la città di Gerusalemme era allo sfascio e alla miseria e il suo popolo, appena tornato in patria, era scoraggiato. Ed ecco che il profeta viene con un messaggio di gioia, pace e di consolazione perché Dio stesso cambierà tutto. Il messaggio del profeta inizia con un triplice invito alla gioia – «Rallegratevi, esultate, sfavillate di gioia…» – con Gerusalemme e per Gerusalemme. Si deve gioire perché Dio stesso farà “scorrere verso Gerusalemme, come un fiume, la pace; come un torrente in piena, la gloria delle genti” e perché Dio stesso consolerà il suo popolo. Infatti, Egli dice che “come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati”. 

In questo contesto, l'ebraico shalom, comunemente tradotto con pace, significa primariamente completezza e integrità, una condizione alla quale non manca nulla. Non significa soltanto l’assenza dei conflitti ma lo shalom indica la pienezza della relazione con Dio divenuta ormai patrimonio universale. Perciò, per vivere nella pace e nella consolazione, come Dio propone, gli abitanti di Gerusalemme sono invitati ritornare a vivere l’amicizia con Dio che è una condizione ineludibile per costruire una convivenza a misura di serenità e di benessere. La pace nasce dunque dalla certezza, nella fede, che siano accolti da Dio come madre: “come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati”. 

L’altro aspetto che merita sottolineatura è che Dio stesso si presenta come madre. Dio ha un animo dolce, sensibile, un animo materno. Egli stesso, come una madre, è il consolatore. Egli vede la tribolazione che mette a repentaglio la vita e si china su di noi per consolarci. Ecco perché Egli afferma che “come una madre consola un figlio, così io vi consolerò”. Al petto di Dio i suoi figli succhiano con delizia il suo essere pace e consolazione e sulle sue ginocchia saranno accarezzati.

Pace a questa casa!

Nella pagina del Vangelo, Gesù è presentato in viaggio, in cammino verso Gerusalemme. Egli indica i compagni di viaggio, quei settantadue discepoli e dà loro le istruzioni necessarie per annunciare la Parola che salva. Loro sono invitati a mettersi in cammino come lui e sono inviati: nel concetto di inviare c’è anche l’idea del viaggio, della partenza, della dispersione, “andate” (10,3). Non sono i popoli che devono incamminarsi verso i discepoli, ma i discepoli che devono correre verso i popoli. Questo modo di pensare la missione accentua fortemente l’idea di universalità e di servizio. I discepoli devono andare; devono rinunciare agli ambiti sicuri e confortevoli dei loro recinti. Il destino del loro camminare è qualunque casa, cioè la sfera del privato, oppure qualunque città, cioè la sfera del pubblico. I discepoli non possono concepire la missione come un’attesa ma devono essere solleciti a muoversi per andare ai popoli. L’inviato non può porsi confini e restrizioni. Deve raggiungere ogni uomo presente nel mondo.

Nell’inviare, Gesù dice ai discepoli: "In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa! ’". I discepoli sono inviati come i messaggeri del Vangelo che recano la pace ad ogni casa. Il dono della pace è il primo annuncio dell’evangelizzatore, perché la pace è pienezza di vita che viene dal Signore della vita, il creatore del mondo. Se c’è qualcuno che riconosce questo dono condividete con lui l’ospitalità che vi offre, dice Gesù, perché entrambi godete della medesima vita che viene da Dio e che vi fa fratelli. Questo è sufficiente per annunciare l’evangelo di Dio. La pace è talmente importante e necessaria per gli uomini che le prime parole di Gesù risorto ai discepoli sono “pace a voi”; loro partiranno senza bisaccia, pane, sandali, denaro... senza cose materiali. Ma avranno con loro il dono della pace.

Nel loro pellegrinaggio missionario i discepoli dovranno cercare casa: in una casa entreranno, troveranno pace, annunceranno e guariranno. La casa è il luogo più vero dove la vita nasce, si vive d’amore e si passa dalla solitudine alla comunione; nella casa è presente la Buona Notizia, anche nei giorni delle lacrime, anche nei figli prodighi e nelle crisi, quando l’amore sembra finito, quando l’anziano perde il senno e la salute. Là dove la vita celebra la sua festa, nella casa, scende la pace come pane e come sale, lì sta come roccia la parola di Dio, che sostiene la casa. I discepoli sono inviati ad ogni casa affinché ogni casa sia Gerusalemme e cioè città di pace.

Il discepolo missionario è un messaggero di pace, è colui che porta la pace ad ogni casa, ad ogni uomo; allora la pace sia il cuore del Vangelo, un cuore che pulsa a partire dalle periferie esistenziali  fino al centro della “città” dell’uomo.  “La pace va costruita artigianalmente, a cominciare proprio dalle case, dalle famiglie, dal piccolo contesto in cui ciascuno vive” (papa Francesco).

Ultima modifica il Giovedì, 07 Luglio 2022 09:16

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