In Zimbabwe ha preso il via il 5 settembre 2019 la causa di beatificazione di John Bradburne, missionario laico, francescano secolare di nazionalità britannica, che ha dato la sua testimonianza di fede in mezzo ai lebbrosi di Mutemwa. "La colonia era sporca e la gente era sporca -ricorda chi lo ha conosciuto-. Non c’erano medicine, niente vestiti e la gente aveva fame. Lui si prese cura dei bisogni di tutti: nutrire le persone, lavarle e fasciare le loro piaghe". Nel 1979 si accesero delle polemiche con gli abitanti del villaggio vicino. Bradburne si offrì di mediare, ma gli abitanti del villaggio lo accusarono di essere una spia, perché aveva difeso i lebbrosi. Dopo essersi rifiutato di lasciare lo Zimbabwe per motivi di sicurezza, venne preso e ucciso lungo la strada dagli abitanti del villaggio.

La mia missione in Mozambico è cominciata nell’anno 2011, subito dopo la mia ordinazione. Ricordo che quando ero stato destinato al Mozambico mi era risultato difficile accettare questa destinazione. Sognavo poter lavorare nel mondo indigena in America Latina, dove mi ero formato e che avevo in vari modi frequentato nel corso della mia formazione di base.

Chi mi ha aiutato ad accettare la destinazione e mi ha dato una chiave per impegnarmi alla missione è stato il padre Bonanomi che per anni aveva lavorato con gli indigeni a Toribío e da poco, a causa dell’età e la salute, si era allontanato da quella missione. Lui mi aveva detto una frase che mi ha guidato in tutti questi anni: “non importa dove si trovi la missione, la cosa importante è che tu sappia amare le persone e i popoli che vi troverai... in America latina, in Africa, in Mozambico”.

Con questa luce ho affrontato le vicissitudini, non sempre facili, di questi 12 anni di missione, i miei primi dodici anni.

Quando arrivai in Mozambico la prima missione è stata quella di Maúa dove lavorava da più di trent’anni il famoso padre Frizzi che abbiamo perso in occasione della pandemia. Era il tempo e lo spazio che tradizionalmente si destinava ai missionari che arrivavano per la prima volta in Mozambico. Era il tempo dell’inculturazione, dell’apprendimento della lingua, dello stare zitti per imparare vedendo quel che si muove accanto a noi.

Dopo quell’anno di introduzione alla missione nel Nord del Mozambico Maúa è diventata anche la mia prima missione ed ho trascorso lì i primi quattro anni. Lo schema missionario del padre Frizzi era molto strutturato e non era facile entrarvi... ad ogni modo cercavo di collaborare con le sue orientazioni e il calendario di visita alle comunità ma poi ho anche cercato di trovare spazi pastorali “vergini”, non adeguatamente impegnati dal progetto del padre Frizzi, e la cosa più evidente che ho trovato è stata la pastorale nel variegato e amplio mondo giovanile.

In questo processo ho trovato una solida alleata e generosa collaboratrice in Suor Dalmazia, missionaria della Consolata da anni operante in questo territorio. Insieme abbiamo fatto tante cose come per esempio fondare la prima biblioteca della regione destinata agli studenti. Era impossibile trovare un libro, quasi di qualsiasi tipo. Grazie alla collaborazione di persone e associazione generose del Portogallo... abbiamo ricevuto da la i primi fondi della nostra biblioteca che poi è stata arricchita anche da libri che abbiamo potuto comprare per mezzo di un progetto.

Nella radio comunitaria del villaggio abbiamo aperto un programma il sabato mattina destinato alla formazione e all’evangelizzazione e poi, una cosa importante soprattutto per la gioventù, abbiamo organizzato una bella squadra di calcio che non faceva brutta figura nei tornei regionali.

Questi anni a Maúa sono stati davvero belli. Poi il primo trasferimento alla parrocchia di Lichinga. Quella è stata una esperienza parecchio impegnativa anche perché, a causa di una crisi economica che si stava propagando nella regione, in quel momento me la stavano consegnando quasi totalmente senza fondi. 

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Questa che era una difficoltà importante al principio di questo impegno alla fine è diventata una occasione di crescita persona e anche comunitaria. Comunitariamente si trattava di aiutare la comunità a diventare responsabile della parrocchia, delle sue strutture, dei suoi servizi che erano per tutti. Ricordo che il tempo parrocchiale era sporco, con il tetto fatto a pezzi, bisognoso di urgenti manutenzioni e riparazione. L’abbiamo fatto con l’impegno di tutti, per una volta non è stato necessario mettersi a cercare sussidi, fondi e collaborazione fuori la comunità ma li abbiamo trovati dentro e questo cammino ha contribuito non poco a rafforzare la comunità parrocchiale.

Poi è stata anche una occasione di crescita personale. Bisognava cercare fonti di mantenimento, più concretamente un lavoro. io lo trovai, grazie alla collaborazione del padre Álvaro López, nell’università della  cattolica del Mozambico dove ho cominciato ad insegnare.

Un altro processo importante che abbiamo fatto e che ha fatto crescere la parrocchia e la comunità locale dei missionari della Consolata è stata la creazione di un collegio di istruzione privata alla portata delle economie delle famiglie della zona. C’era una casa che apparteneva alla comunità molto grande ma in disuso. Si era cercato di affittarla ma nessuno si mostrava interessato in quella struttura che era troppo grande per tante cose... e allora noi stessi le abbiamo dato nuova vita .

Dopo un po’ di lavori di ristrutturazione quella è diventato un collegio che è nato nel 2020 con 45 studenti (tra l’altro nato con la pandemia che ci ha obbligato a chiudere dopo solo 5 mesi di funzionamento) ma che oggi sta già ospitando 267 studenti. Quando si è cominciato c’era solo la prima elementare, poi ogni anno si aggiungeva un nuovo gruppo... e adesso sono quasi complete le classi elementari. Per il 2025 il progetto prevede raggiungere i 500 studenti dividi in corsi mattutini e pomeridiani. Anche quello certamente un impegno importante ma che ci ha fatto crescere e ci sta portando poco a poco sulla strada dell’autosufficienza economica che è necessaria per il nuovo volto della missione oggi. I tempi sono ormai maturi.

Cari fratelli e sorelle! Per la Giornata Missionaria Mondiale di quest’anno ho scelto un tema che prende spunto dal racconto dei discepoli di Emmaus, nel Vangelo di Luca (cfr 24,13-35): «Cuori ardenti, piedi in cammino». Quei due discepoli erano confusi e delusi, ma l’incontro con Cristo nella Parola e nel Pane spezzato accese in loro l’entusiasmo per rimettersi in cammino verso Gerusalemme e annunciare che il Signore era veramente risorto. Nel racconto evangelico, cogliamo la trasformazione dei discepoli da alcune immagini suggestive: cuori ardenti per le Scritture spiegate da Gesù, occhi aperti nel riconoscerlo e, come culmine, piedi in cammino. Meditando su questi tre aspetti, che delineano l’itinerario dei discepoli missionari, possiamo rinnovare il nostro zelo per l’evangelizzazione nel mondo odierno.

1. Cuori ardenti «quando ci spiegava le Scritture». La Parola di Dio illumina e trasforma il cuore nella missione.

Ed ecco, «mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro» (v. 15). Come all’inizio della vocazione dei discepoli, anche ora nel momento del loro smarrimento, il Signore prende l’iniziativa di avvicinarsi ai suoi e camminare al loro fianco. Gesù infatti è la Parola vivente, che sola può far ardere, illuminare e trasformare il cuore.

Oggi come allora, il Signore risorto è vicino ai suoi discepoli missionari e cammina accanto a loro, specialmente quando si sentono smarriti, scoraggiati, impauriti di fronte al mistero dell’iniquità che li circonda e li vuole soffocare. Perciò, «non lasciamoci rubare la speranza!» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 86). Il Signore è più grande dei nostri problemi, soprattutto quando li incontriamo nell’annunciare il Vangelo al mondo, perché questa missione, in fin dei conti, è sua e noi siamo semplicemente i suoi umili collaboratori, “servi inutili” (cfr Lc 17,10).

Esprimo la mia vicinanza in Cristo a tutti i missionari e le missionarie nel mondo, in particolare a coloro che attraversano un momento difficile: il Signore risorto, carissimi, è sempre con voi e vede la vostra generosità e i vostri sacrifici per la missione di evangelizzazione in luoghi lontani. 

2. Occhi che «si aprirono e lo riconobbero» nello spezzare il pane. Gesù nell’Eucaristia è culmine e fonte della missione.

I cuori ardenti per la Parola di Dio spinsero i discepoli di Emmaus a chiedere al misterioso Viandante di restare con loro sul far della sera. E, intorno alla mensa, i loro occhi si aprirono e lo riconobbero quando Lui spezzò il pane. L’elemento decisivo che apre gli occhi dei discepoli è la sequenza delle azioni compiute da Gesù: prendere il pane, benedirlo, spezzarlo e darlo a loro. Ma proprio nel momento in cui riconoscono Gesù in Colui-che-spezza-il-pane, «egli sparì dalla loro vista» (Lc 24,31). Questo fatto fa capire una realtà essenziale della nostra fede: Cristo che spezza il pane diventa ora il Pane spezzato, condiviso con i discepoli e quindi consumato da loro. Così Cristo risorto è Colui-che-spezza-il-pane e al contempo è il Pane-spezzato-per-noi. E dunque ogni discepolo missionario è chiamato a diventare, come Gesù e in Lui, grazie all’azione dello Spirito Santo, colui-che-spezza-il-pane e colui-che-è-pane-spezzato per il mondo.

3. Piedi in cammino, con la gioia di raccontare il Cristo Risorto. L’eterna giovinezza di una Chiesa sempre in uscita.

Dopo aver aperto gli occhi, riconoscendo Gesù nello «spezzare il pane», i discepoli «partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme» (cfr Lc 24,33). Questo andare in fretta, per condividere con gli altri la gioia dell’incontro con il Signore, manifesta che «la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 1). Non si può incontrare davvero Gesù risorto senza essere infiammati dal desiderio di dirlo a tutti. Perciò, la prima e principale risorsa della missione sono coloro che hanno riconosciuto Cristo risorto, nelle Scritture e nell’Eucaristia, e che portano nel cuore il suo fuoco e nello sguardo la sua luce. 

L’immagine dei “piedi in cammino” ci ricorda ancora una volta la perenne validità della missio ad gentes, la missione data alla Chiesa dal Signore risorto di evangelizzare ogni persona e ogni popolo sino ai confini della terra. Oggi più che mai l’umanità, ferita da tante ingiustizie, divisioni e guerre, ha bisogno della Buona Notizia della pace e della salvezza in Cristo.  Come afferma l’apostolo Paolo, l’amore di Cristo ci avvince e ci spinge (cfr 2 Cor 5,14). 

L’urgenza dell’azione missionaria della Chiesa comporta naturalmente una cooperazione missionaria sempre più stretta di tutti i suoi membri ad ogni livello. Questo è un obiettivo essenziale del percorso sinodale che la Chiesa sta compiendo con le parole-chiave comunione, partecipazione, missione. Tale percorso non è sicuramente un piegarsi della Chiesa su sé stessa; non è un processo di sondaggio popolare per decidere, come in un parlamento, che cosa bisogna credere e praticare o no secondo le preferenze umane. È piuttosto un mettersi in cammino come i discepoli di Emmaus, ascoltando il Signore Risorto che sempre viene in mezzo a noi per spiegarci il senso delle Scritture e spezzare il Pane per noi, affinché possiamo portare avanti con la forza dello Spirito Santo la sua missione nel mondo.

Ripartiamo dunque anche noi, illuminati dall’incontro con il Risorto e animati dal suo Spirito. Ripartiamo con cuori ardenti, occhi aperti, piedi in cammino, per far ardere altri cuori con la Parola di Dio, aprire altri occhi a Gesù Eucaristia, e invitare tutti a camminare insieme sulla via della pace e della salvezza che Dio in Cristo ha donato all’umanità.

Santa Maria del cammino, Madre dei discepoli missionari di Cristo e Regina delle missioni, prega per noi!

Testo completo in ITALIANO e INGLESE

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L’ultima immagine del noto ciclo pittorico “I Pellegrini di Emmaus” di Jean Marie Pirot, in arte Arcabas, conservato nella chiesa della Resurrezione al Pitturello di Torre de’ Roveri (BG)... «Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme» (Lc 24,33)

In questi giorni è stato con noi, nella Casa Generalizia dei Missionari della Consolata, monsignor Ismael Rueda Sierra, arcivescovo di Bucaramanga. Amico personale di Luis José Rueda Aparicio –arcivescovo di Bogotá e creato cardinale nell’ultimo concistoro convocato da papa Francesco lo scorso 30 settembre– ha voluto essergli vicino nei giorni del concistoro ma ha approfittato della presenza in Roma anche per sbrigare alcune pratiche presso le congregazioni vaticane e una riguardava da vicino i Missionari della Consolata che da anni lavorano nella sua diocesi. Un giorno prima di ritornare in Colombia ci ha dato la notizia di aver ricevuto dal Dicastero del Culto Divino l'autorizzazione a dedicare al Beato Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionari della Consolata, una nuova parrocchia. Gli abbiamo chiesto di raccontarci per che motivo aveva fatto questa richiesta alla congregazione romana.

–Quante parrocchie ha Bucaramanga?

–Sono centodieci in totale, questa sarà la centoundicesima. Un numero curioso e significativo! 

E la verità è che sono molto felice che nella nostra diocesi ci sia una parrocchia dedicata al Beato Giuseppe Allamano. 

Per ottenere il permesso è stato necessario fare un processo abbastanza elaborato; quelli del Dicastero del Culto Divino mi hanno fatto capire che è una cosa insolita, in una chiesa locale, dedicare una parrocchia a un santo, in questo caso un beato, senza che la sua memoria sia presente nel calendario liturgico diocesano.

Tuttavia, nel caso del Beato Giuseppe Allamano mi è sembrato importante, come ho scritto nel decreto di indulto, perché "l'Istituto dei Missionari della Consolata è presente nella nostra Chiesa particolare da oltre 60 anni con una meritoria influenza apostolica e missionaria che ha generato la fondazione di diverse parrocchie nei suoi dintorni, Riteniamo giusto e spiritualmente opportuno che quest'ultima sia intitolata al loro Beato Fondatore".

– Qual è stato il lavoro dei Missionari della Consolata in tutti questi anni?

– Si occupavano della cura delle comunità cristiane in un settore che all'epoca era periferico e nelle vicinanze del vecchio aeroporto della città che si chiamava Gómez Niño. In questo settore la città ha avuto un notevole sviluppo urbanistico e. come spiego nel documento presentato in Vaticano, dalla vecchia parrocchia della Consolata sono nate diverse parrocchie. Oggi abbiamo una intera zona pastorale che porta il nome di Nostra Signora della Consolata e dietro c'è tutto il lavoro dei missionari che hanno servito nella parrocchia madre di tutte, quella della Consolata. È stato notevole l'impegno che hanno messo nella creazione e nella formazione di comunità cristiane e l'influenza positiva e missionaria che hanno avuto nell'arcidiocesi.

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–E nel caso del quartiere di Monterredondo?

–Bucaramanga è costruita su un altopiano che termina in zone scoscese che sembrano avere la forma di dita... La nuova parrocchia si trova su una di queste dita, quella precisamente del quartiere di Monterredondo. Quel settore, che non ha altre possibilità di estendersi a motivo della sua geografia, attualmente ha circa 5000 abitanti, ma lì succede qualcosa che abbiamo visto in altre parti della città: dove prima c'erano case familiari, ora si stanno costruendo condomini. Quindi, a medio termine, è facile prevedere un aumento significativo della popolazione. 

Questo giustifica la presenza di una parrocchia. Dopo che mi è stato presentato il progetto, ho chiesto al Vicario giudiziale, che si occupa dei confini, di determinare il perimetro della nuova giurisdizione e lui lo ha fatto. Pensate un po'! Oggi si fa con il GPS, non indicando strade o avvallamenti come si faceva prima! Ad ogni modo il limite territoriale non è così importante come il lavoro di evangelizzazione che è stato fatto: questa parrocchia è nata quasi adulta. Ha già una chiesa, una casa parrocchiale con opportuni spazi di catechesi e, la cosa più importante, è già composta da comunità cristiane organizzate e consapevoli della loro vocazione missionaria e del loro impegno. Questo lavoro lo dobbiamo ai missionari della parrocchia della Consolata, in particolare al padre Manuel Dias, che per anni ha accompagnato da vicino questo sviluppo comunitario e pastorale, con una presenza che è stata costante, permanente e silenziosa ma allo stesso tempo efficace e ben mirata. 

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–E l'Allamano, perché?

–Ho visto la statua del vostro Fondatore nel cortile della Casa Generalizia: è raffigurato in abito talare! Lui era un sacerdote diocesano, ma con un grandissimo cuore missionario, attento non solo alle esigenze della sua Chiesa locale, ma anche a quelle della Chiesa universale. 

Lo stile dei Missionari della Consolata, attento alle dinamiche pastorali della Chiesa locale, è stato un grande contributo anche per i sacerdoti diocesani e coerente con gli orientamenti che Papa Francesco sta dando. È bello che i sacerdoti diocesani si interessino e offrano parte del loro tempo e della loro vita per la missione "ad gentes". 

La missione è un'esperienza preziosa e non solo per chi ci va. È una occasione per vedere la chiesa che nasce mossa dall’annuncio ma allo stesso tempo è una sfida per niente facile. Quando abbiamo come tabella di marcia della nostra vita l'annuncio del Vangelo di Gesù non sappiamo mai quali sorprese ci aspettano lungo il cammino: dobbiamo essere preparati a tutto e dobbiamo avere fiducia nello Spirito Santo che alla fine è colui che conduce e guida tutto. Questo è ciò che la missione ci insegna molto chiaramente. 

Nel 2016 abbiamo celebrato a Bucaramanga il dodicesimo congresso missionario nazionale; in quell'occasione è nato l'impegno delle arcidiocesi nei confronti dei vicariati apostolici e a noi è stato assegnato il vicariato di Puerto Leguízamo. Considero una benedizione e un privilegio il fatto che questo Vicariato, che è anche affidato alla cura dei Missionari della Consolata, si trovi nel contesto amazzonico. Dopo il Sinodo dell'Amazzonia e la Laudato Si', tutto questo mondo, prima percepito come marginale, è stato messo al centro dell'impegno ecclesiale e ora anche ecologico della Chiesa. Questa presenza in Amazzonia è una proiezione missionaria di prima grandezza che la Chiesa offre alle nostre comunità cristiane locali per incoraggiarle nel loro impegno. 

Dedicando una parrocchia a Giuseppe Allamano riconosciamo che lo spirito missionario, che il Signore ha seminato nel cuore di questo sacerdote diocesano, ha prodotto molti frutti. La parrocchia numero cento undici dell'arcidiocesi di Bucaramanga potrebbe forse essere considerata un frutto molto piccolo, ma in realtà la spiritualità missionaria che l'ha generata e che, da lì, dovrebbe diffondersi, sta proiettando la nostra chiesa diocesana e locale negli orizzonti più recenti e attuali della Chiesa universale.

Ottobre è tradizionalmente conosciuto come il mese del rosario e delle missioni. Per i Missionari e le Missionarie della Consolata, però, questo mese ha anche un altro significato: il 7 ottobre è l'anniversario della beatificazione di Giuseppe Allamano. Domenica 7 ottobre 1990, nella piazza della Basilica di San Pietro a Roma, Papa Giovanni Paolo II lo beatificò insieme ad Annibale Maria di Francia, oggi santo. Da allora sono passati trentatré anni. 

Vale la pena ricordare che una persona viene dichiarata beata al termine di un processo condotto dal Dicastero per le Cause dei Santi in cui si dimostra che ha vissuto la sua vita cristiana in modo eroico ed esemplare. Questo processo è autorizzato dal Santo Padre quando delle persone chiedono di poter venerare pubblicamente un cristiano che considerano esemplare.

Alcune parole dell'omelia di Papa Giovanni Paolo II in occasione della beatificazione del Beato José Allamano

Dio in ogni periodo della storia suscita nella Chiesa determinate persone, perché siano come modelli del popolo di Dio. A tale schiera appartengono i presbiteri oggi proclamati beati: Giuseppe Allamano e Annibale Maria Di Francia.

Il beato Giuseppe Allamano, succedendo al suo zio, san Giuseppe Cafasso, nella direzione del Convitto ecclesiastico della Consolata, ne emulò l’amore verso i sacerdoti e la sollecitudine per la loro formazione spirituale, intellettuale e pastorale, aggiornandola secondo le esigenze dei tempi. Nulla risparmiò perché innumerevoli schiere di sacerdoti fossero pienamente compresi del dono della loro vocazione e all’altezza del loro compito. Egli stesso diede l’esempio, coniugando l’impegno di santità con l’attenzione alle necessità spirituali e sociali del suo tempo. Era radicata in lui la profonda convinzione che “il sacerdote è anzitutto l’uomo della carità”, “destinato a fare il maggior bene possibile”, a santificare gli altri “con l’esempio e la parola”, con la santità e la scienza. La carità pastorale - affermava - esige che il presbitero “arda di zelo per la salvezza dei fratelli, senza porre riserve o indugi nella dedizione di sé”.

Il canonico Allamano sentì come rivolte direttamente a sé le parole di Cristo: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16, 15). E per contribuire a imprimere alla comunità cristiana un tale slancio, pur rimanendo sempre attivo come sacerdote diocesano, fondò prima l’Istituto dei Missionari, e poi quello delle Missionarie della Consolata, perché la Chiesa diventasse sempre più “madre feconda di figli”, “vigna” che dà frutti di salvezza.

Nel momento in cui viene annoverato tra i beati, Giuseppe Allamano ci ricorda che per restare fedeli alla nostra vocazione cristiana occorre saper condividere i doni ricevuti da Dio con i fratelli di ogni razza e di ogni cultura; occorre annunciare con coraggio e con coerenza il Cristo a ogni persona che incontriamo, specialmente a coloro che ancora non lo conoscono. (...)

Rifulgano i nuovi beati quali modelli di santità sacerdotale! Li addita come tali la Chiesa, mentre è in pieno svolgimento l’VIII Assemblea generale del Sinodo dei vescovi, chiamata a esaminare l’importante questione della formazione dei sacerdoti nel nostro tempo.

Come non sottolineare questa provvidenziale circostanza? Mentre, infatti, i padri sinodali ricercano le soluzioni più opportune per un problema così vitale, i nostri beati indicano con chiarezza la direzione verso cui procedere. La loro esistenza, le loro esemplari esperienze apostoliche offrono luce alla ricerca sinodale. Essi ripetono che il mondo, adesso come allora, ha bisogno di sacerdoti santi, capaci di parlare al cuore dell’uomo moderno, perché si apra al mistero di Dio vivente. Ha bisogno di apostoli generosi, pronti a lavorare con gioia nella vigna del Signore.

“Perché andiate e portiate frutto”! Ritorna nella liturgia il richiamo agli operai nella vigna divina, a coloro cioè che sono stati mandati dal Figlio-Redentore, come gli apostoli. A quanti Cristo continua a chiamare e a mandare in ogni tempo e in ogni luogo, come ha chiamato e mandato questi due sacerdoti che oggi la Chiesa ha innalzato agli onori degli altari: il beato Giuseppe Allamano, il beato Annibale Maria Di Francia. Straordinaria missione è stata la loro. Missione che ha richiesto però una profonda maturità di spirito.

Ai santi e ai beati non manca questa maturità, grazie proprio allo Spirito di verità lasciato da Cristo alla sua Chiesa. Grazie allo Spirito di verità si fa cosciente la certezza che il mondo è di Dio; grazie a lui si comprende che la terra è una vigna della quale l’uomo non si può appropriare; la terra gli è stata affidata con il compito di coltivarla e di perfezionarla. È dallo Spirito di verità che provengono questa coscienza e questa certezza: coscienza e certezza piene di amore verso il Creatore e il creato, verso Dio e verso l’uomo.

Rendiamo grazie per tutti coloro che Cristo, il Figlio-Redentore, continua a scegliere perché vadano e portino frutto. E che questo frutto “rinnovi la faccia della terra” (Sal 104, 30)! Amen!

È tempo di ringraziare il Signore

La memoria di questa beatificazione è un momento per ringraziare il Signore: la vita e la santità di Giuseppe Allamano hanno illuminato molti nella Chiesa e ispirato l'evangelizzazione di vari luoghi del mondo.

Ringraziamo per il carisma ad gentes che abbiamo ereditato da lui; la missione è l'identità stessa dei Missionari della Consolata ed è la ragion d'essere della nostra presenza nella Chiesa. 

Ringraziamo anche per il dono dei due istituti missionari che Giuseppe Allamano ha fondato. Essi hanno contribuito enormemente all'evangelizzazione di vari popoli del mondo: hanno dato vita a diverse chiese locali, hanno difeso la vita di innumerevoli popoli e culture, hanno promosso la difesa dell'ambiente, hanno costruito scuole e cliniche per promuovere l'istruzione e la salute dei poveri. 

La spiritualità missionaria del Beato Allamano ha prodotto e continua a produrre innumerevoli frutti di bene.

 

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