Per ogni servizio, il Rapporto contiene statistiche e commenti con cui si cerca di raccontare la presenza di migranti forzati che da gennaio a dicembre 2014 sono entrati in contatto con l’Associazione. La crisi economica continua a colpire in modo particolare i più vulnerabili; anche persone che da tempo avevano intrapreso un percorso di autonomia sono state costrette a rientrare nel circuito dell’assistenza. Sempre numerose, tra le persone incontrate, le vittime di tortura, per la maggior parte provenienti da Paesi africani.

Il documento, oltre a presentare un resoconto di un anno di attività del Centro Astalli, vuole essere poi uno strumento per capire quali sono le principali nazionalità dei rifugiati che giungono in Italia per chiedere asilo. Quanti di loro riescono a ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o la protezione umanitaria. Quanti hanno rischiato la vita affrontando viaggi per mare o per terra ai limiti della sopravvivenza per giungere in Europa. Il Rapporto annuale 2015 descrive il Centro Astalli come una realtà che, grazie agli oltre 400 volontari, si adegua e si adatta ai mutamenti sociali e legislativi di un Paese che stenta a dare la dovuta assistenza a chi, in fuga da guerre e persecuzioni, cerca di giungere in Italia in cerca di protezione.

Ad arricchire la pubblicazione di quest’anno le vignette di Mauro Biani e i commenti al Rapporto di Mario Calabresi, Enrico Letta ed Enzo Bianchi. A chiudere il Rapporto il testo integrale del colloquio “Le frontiere dell’ospitalità” tra padre Adolfo Nicolás, preposito generale della Compagnia di Gesù e padre Federico Lombardi, direttore Sala Stampa della Santa sede.

Aumentano le domande d’asilo in Italia, ma molti non si fermano

Più nel dettaglio, ciò che emerge dal testo dell’associazione è che, per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale, le persone costrette alla fuga nel mondo hanno superato largamente la soglia dei 50 milioni (a metà del 2014 se ne registravano già 56,7). Le gravi crisi umanitarie in corso, prima fra tutte la Siria, hanno fatto crescere il numero delle persone che cercano protezione in Europa. Le domande presentate in Italia sono state 64.886, con un aumento del 143% rispetto all’anno precedente.

Tra le nazionalità maggiormente rappresentate non compaiono né la Siria, né l’Eritrea, che pure sono i primi due Paesi di origine dei 170.757 migranti arrivati in Italia via mare (rispettivamente 39.651 e 33.559 persone). Anche nel 2014, dunque, molti migranti forzati non si sono fermati in Italia, ma hanno proseguito il loro viaggio verso i Paesi del nord Europa. Una parte rilevante delle persone che si sono rivolte all’ambulatorio erano rifugiati “in transito”, che si fermano solo poche settimane a Roma, vivendo in strutture di accoglienza temporanea o in ripari di fortuna presso le stazioni ferroviarie.

Cresce il sistema di accoglienza, ma l’integrazione resta problematica 

Sempre lo scorso anno si è dovuto far fronte, poi, all’alto numero di arrivi reperendo molti posti in poco tempo, ancora una volta attraverso procedure straordinarie. È però da sottolineare che è stato anche compiuto un importante sforzo di programmazione verso un sistema di accoglienza unitario e con una capienza proporzionata al numero di arrivi prevedibile in base alla media degli ultimi anni: lo SPRAR è stato ampliato fino a 22.000 posti, si prevede nell’anno in corso di arrivare a 40.000 e auspichiamo che possa in un prossimo futuro raggiungere la quota di 60.000 posti, adeguata alle necessità effettive.

Nessuna novità invece rispetto alla programmazione di misure di accompagnamento all’integrazione per i titolari di protezione internazionale, nonostante ci siano alcune sperimentazioni positive. La questione dell’inserimento nel mondo del lavoro e dell’effettiva esigibilità dei diritti sociali, specialmente nel primo periodo di permanenza in Italia, richiede invece riflessione e impegno da parte di tutte le istituzioni competenti, attraverso una cabina di regia in grado di costruire soluzioni concrete e di renderle accessibili.

Al termine del periodo previsto per l’accoglienza i rifugiati si trovano a dover far fronte bruscamente a tutte le necessità, in un contesto in cui trovare lavoro è complicatissimo a causa della crisi e il mercato immobiliare è pressoché inaccessibile. Anche persone che possono contare su un reddito devono ricorrere a soluzioni di fortuna: subaffitti, affitti in nero senza alcuna garanzia o occupazioni.

Il fenomeno dei rifugiati che a Roma vivono in grandi edifici occupati in condizioni igienico-sanitarie proibitive continua ad essere preoccupante per dimensioni e non può essere risolto con interventi episodici. Nel 2014 il Centro Astalli, anche attraverso progetti di accompagnamento specifici che prevedevano l’erogazione di contributi economici, ha cercato di sostenere concretamente il difficile percorso verso l’autonomia di alcuni titolari di protezione internazionale.

Le famiglie rifugiate fanno ancora più fatica  

Se per un singolo il percorso verso l’autonomia è difficile, quando si hanno dei figli da mantenere le sfide si moltiplicano. Particolarmente critica è la situazione dei nuclei familiari numerosi e di quelli monoparentali. La permanenza all’interno dei centri resta di almeno 12 mesi, ma anche dopo l’uscita la precarietà continua ad accompagnare queste famiglie, che non possono contare su reti di sostegno informali, parentali o amicali. Problematiche del tutto simili interessano quei titolari di protezione internazionale che affrontano le procedure per il ricongiungimento familiare. Al termine di procedure lunghe e costose, la famiglia ricongiunta si trova di fatto sola ad affrontare una situazione del tutto nuova, dal punto di vista economico, ma anche psicologico.

I bisogni dei più vulnerabili rischiano di rimanere senza risposta

Le persone in situazioni di particolare fragilità – vittime di tortura, violenza intenzionale o abusi sessuali – che nel corso dell’anno sono state accompagnate dal Centro Astalli attraverso l’azione coordinata del servizio medico e dello sportello legale sono state complessivamente 556, equamente divise tra uomini e donne. Il compito più difficile resta l’emersione della vulnerabilità. Il disagio di queste persone è spesso silenzioso e rischia di essere sottovalutato o ignorato del tutto.

La risposta delle strutture preposte resta insufficiente e, nei dolorosi casi di rimpallo tra enti diversi a cui talora assistiamo, sono paradossalmente i più vulnerabili che rischiano di rimanere tagliati fuori dall’assistenza. Speriamo che le linee guida a cui il Ministero della Salute sta lavorando e a cui siamo stati chiamati a dare il nostro contributo concorrano a migliorare la situazione.

Contro la paura, più conoscenza e occasioni di incontro

Il difficile contesto internazionale, gli allarmi continui che arrivano dai media, ma anche la preoccupazione per la crisi economica e l’aggravarsi delle tensioni sociali sono fattori che rischiano di alimentare pregiudizi, valutazioni superficiali e allarmismi ingiustificati sulle migrazioni forzate e di portare a vere e proprie discriminazioni nei confronti degli stranieri e dei musulmani in particolare. Promuovere un’informazione corretta e una maggiore consapevolezza e serenità rispetto a questi temi è da sempre l’obiettivo delle attività di informazione, sensibilizzazione e comunicazione del Centro Astalli, che nel 2014 hanno conosciuto un nuovo impulso.

Oltre 24.000 studenti sono stati coinvolti nei progetti didattici sul diritto d’asilo e sul dialogo interreligioso in 13 città italiane e alcuni progetti specifici sono stati realizzati per moltiplicare le opportunità di incontro e di approfondimento a Roma e nel Lazio. A maggio 2014, più di 100 iscritti hanno partecipato al corso di formazione La protezione impossibile – L’accesso al diritto d’asilo in Europa, tre incontri nei quali si è parlato delle politiche europee sull’asilo e della necessità di creare canali umanitari per permettere a quanti fuggono da guerre e persecuzioni di giungere in sicurezza in Europa, un tema che oggi, alla luce delle continue stragi di rifugiati nel Mediterraneo, si ripropone in tutta la sua urgenza.

Chi chiede asilo lo chiede a te

La campagna annuale “Chi chiede asilo lo chiede a te” vuole sottolineare l’importanza di un cambiamento culturale che ponga al centro i valori dell’accoglienza e della solidarietà, indirizzando i comportamenti dei singoli cittadini e politiche nazionali ed europee. Quotidianamente, per tutto l’anno, abbiamo toccato con mano che sono sempre numerose le persone che scelgono di dedicare tempo, energie, competenze e professionalità ai richiedenti asilo e rifugiati: nel 2014, nelle 8 città in cui il Centro Astalli opera (Roma, Palermo, Catania, Trento, Vicenza, Napoli, Milano, Padova) ben 446 volontari hanno reso possibili, con il loro impegno, i servizi descritti in questo Rapporto. Molto significativa è anche la disponibilità di più di 15 ordini di Roma che nel corso del 2014 si sono rivolti al Centro Astalli per pensare insieme un progetto di accoglienza per i rifugiati. In un anno circa 20 tra uomini, donne e nuclei familiari sono stati accolti nelle cosiddette “comunità di ospitalità” all’interno di case religiose. Si tratta di progetti di seconda accoglienza, in cui i rifugiati sono accompagnati costantemente nel percorso verso l’autonomia da un gruppo di volontari, che svolgono anche il ruolo di facilitatori nei rapporti con la comunità che accoglie.

Fonte http://www.altrodadire.org/

 

Le nostre responsabilità

  • Lug 16, 2024
  • Pubblicato in Notizie

Il nostro tempo continua ad essere funestato dalla tragedia, dalle stragi. Assistiamo impotenti, spettatori, forse colpiti da un sussulto di ribellione, di colpevolezza e da un sentimento di pietà, in una platea d’indifferenza, di ipocrisia, di crudeltà consapevole di fronte alla spaventosa catena di eccidi di massa (genocidi), praticati e generati.

Il problema all’origine di questo esodo - inedito per i numeri e per le caratteristiche - è fondamentalmente causato dal crescente divario fra ricchezza e povertà. Il divario crescente fra Paesi ricchi e Paesi poveri, eredità del colonialismo anche economico, legato ai conflitti e ad altri fattori che conosciamo, è un problema gigantesco. Per tentare di risolverlo dovremmo mettere in discussione, con tempi piuttosto lunghi, un sistema politico-economico planetario. Oggi, grazie alle nuove tecnologie di comunicazione, in qualunque villaggio sperduto dell’Africa, del Medio Oriente o di altre zone povere del mondo, arrivano notizie e informazioni, e si conosce il tenore di vita dei Paesi cosiddetti sviluppati. La modernizzazione ha portato a una relativa velocità di spostamento, aprendo anche ai migranti la possibilità di un viaggio, il cui triste esito è sotto i nostri occhi.

Il Mediterraneo è ormai una catacombe, una fossa comune di tanti miserabili che pensavano di liberarsi dall’orrore della morte della guerra e l’hanno trovata in fondo al Mare nostrum; il nostro tempo ci costringe ad essere testimoni di una nuova apocalisse (sopportare l’insopportabile), significato distorcente rispetto a quello della tradizione cristiana di “rivelazione” della “speranza. Noi non possiamo di dire che non sapevamo. La storia futura sarà “giudice severa” della nostra consapevole inerzia.

Scrive Claudio Magris sul Corriere (20 aprile): “Ogni volta la tragedia è più grande — e lo sarà sempre più — e ogni volta si dice, mentendo in buona fede a se stessi, che si è raggiunto il colmo. E che è vicino il momento in cui si volterà pagina, proprio perché è intollerabile che continui questo crescendo di orrori. Invece con ogni probabilità continuerà, se non accadrà qualche radicale e inimmaginabile cambiamento nella situazione e nella politica mondiali. La pietà, l’indignazione e lo sgomento del mondo — di noi tutti — si accenderanno, sinceri e inutili, a ogni nuovo episodio di barbarie. Ma forse sempre meno, perché ci si abitua a tutto e proprio il ripetersi delle orrende e criminose tragedie renderà più assuefatte e meno reattive le coscienze”

Scrive Roberto Saviano su “la Repubblica” (20 aprile 2015): “ Il Mediterraneo trasformato in una fossa comune. Oltre novecento morti. Morti senza storia, morti di nessuno. Scomparsi nel nostro mare e presto cancellati dalle nostre coscienze. È successo ieri, un barcone che si rovescia, i migranti — cioè persone, uomini, donne, bambini — che vengono inghiottiti e diventano fantasmi. Ma sappiamo già che succederà anche domani. E tra una settimana. E tra un mese. Spostando la nostra emozione fino all’indifferenza. Ripeti una notizia tutti i giorni, con le stesse parole, gli stessi toni, anche accorati e dolenti, e avrai ottenuto lo scopo di non farla ascoltare più. Quella storia non avrà attenzione, sembrerà sempre la stessa. Sarà sempre la stessa. “Morti sui barconi”. Qualcosa che conta per gli addetti ai lavori, storia per le associazioni, disperazione invisibile. Adesso, proprio adesso, ne stiamo parlando solo perché i morti sono 900 o forse più: cifra smisurata, disumana. Se ha ancora senso questa parola.

Continuiamo a non sapere nulla di loro, ma siamo obbligati a fare i conti con la tragedia. Fare i conti: perché sempre e solo di numeri parliamo. Fossero mancati due zeri al bollettino di morte non l’avremmo neppure “sentita”. Perché ormai è solo una questione di numeri (o dettagli drammatici come “migranti cristiani spinti in mare da musulmani”) che fa la differenza. Non per i singoli individui, non per le sensibilità private, ma per la comunità che dovremmo rappresentare, che dovrebbe rappresentarci”.

Scrive Ilvo Diamanti su “la Repubblica” ( 20 aprile 2015):”Dobbiamo avere pietà di noi. Oltre novecento persone morte in un barcone, in viaggio dalla Libia verso la Sicilia. Sparite in fondo al mare. Insieme ad altre migliaia, vittime di molti altri naufragi. Accomunate e travolte dalla stessa disperazione. Che spinge ad affrontare il mare “nemico” per sfuggire alla fame, alla miseria, alla violenza. Oggi: alla guerra. Più che di “migrazione”, si tratta di “fuga”. Anche se noi percepiamo la “misura” della tragedia solo quando i numeri sono “smisurati”. Salvo assuefarci anche ad essi. Ed è questo, come ho già scritto, che mi fa più paura. L’abitudine. La distanza da una tragedia che, invece, è a due passi da noi. La tentazione di “piegarla” e di “spiegarla” in chiave politica. Per guadagnare voti. Eppure le migrazioni sono un fenomeno ricorrente. Tanto più e soprattutto in fasi di cambiamento e di trasformazione violenta (in ogni senso), come questa.... l’unico modo per fermare i disperati che, a migliaia, si dirigono verso le nostre coste — e, a migliaia, muoiono nel viaggio. Ostaggi di mercanti di morte. L’unico modo possibile per respingerli, per tenerli lontani da noi: è chiudere gli occhi. Fingere che non esistano. Rinunciare alla compassione verso gli altri. Non avere pietà di noi stessi.”

Ancora Ferruccio Sansa su “il Fatto Quotidiano” del 20 aprile 2015: “Poveri bambini, povere donne, poveri uomini. Povera gente: salpa, muore per raggiungere un’Europa. E scopre che non c’è. Com’è irraggiungibile la salvezza, non soltanto perché il mare allontana la riva e la fa sfumare in miraggio. È anche l’Europa - di aspirazioni, ideali, cultura - che sfuma all’orizzonte. Si ritira. I parametri da rispettare, i diktat della Germania, l’arroganza della troika: no, non è questo che ci allontanerà definitivamente dall’Europa. Ma questo, alla fine, davvero la porterà ad affondare come i barconi degli immigrati. Un paese, un’unione di popoli e uomini, non può reggersi soltanto su parametri economici. Non sono i punti di pil che scaldano il cuore degli uomini, li fanno agire. È la solidarietà, la sensazione di condividere un destino comune. La consapevolezza che nessuno sarà lasciato solo. Sono anni, troppi, che l’Europa, l’Europa del Nord, ha voltato la faccia dall’altra parte di fronte alla tragedia degli uomini (per una volta, per favore, non distinguiamoli tra profughi e clandestini) che a migliaia cercano di raggiungere le nostre coste. Basterebbe un decimale del pil per salvarli. Sarebbe sufficiente qualche sacrificio in più per un intervento serio. Strutturale. Invece niente. Adesso arriverà il tempo del dolore, della commozione, magari sinceri. Poi trascoloreranno in disagio, senso di colpa. Alla fine tutto tornerà come prima, non basterà il triste primato della tragedia: 700 morti. Ce ne dimenticheremo noi cittadini... Davvero la sorte dei settecento migranti - così tanti che ormai non riesci più nemmeno a immaginare un volto, degli occhi, una vita per ognuno - coinciderà con quella dell’Europa. Se qualcosa dovesse nascere, non sarebbero morti in vano. Per i tanti che spingono ancora sull’altra sponda del Mediterraneo. Ma ugualmente per noi europei. Se invece, ancora una volta, nulla dovesse seguire alla commozione, l’Europa diventerebbe un miraggio davvero irraggiungibile. Si allontanerebbe definitivamente, per gli uomini dei barconi. Ma soprattutto per noi: non è questa l’Unione di cui vogliamo fare parte”

Non posso non riportare la bellissima preghiera laica di Erri de Luca:
Mare nostro che non sei nei cieli
e abbracci i confini dell'isola e del mondo sia benedetto il tuo sale
e sia benedetto il tuo fondale
accogli le gremite imbarcazioni
senza una strada sopra le tue onde pescatori usciti nella notte
le loro reti tra le tue creature
che tornano al mattino
con la pesca dei naufraghi salvati
Mare nostro che non sei nei cieli all'alba sei colore del frumento
al tramonto dell'uva di vendemmia, Che abbiamo seminato di annegati più di qualunque età delle tempeste tu sei più giusto della terra ferma
pure quando sollevi onde a muraglia poi le riabbassi a tappeto
custodisci le vite, le visite cadute come foglie sul viale
fai da autunno per loro
da carezza, da abbraccio, da bacio in fronte di padre e di madre prima di partire

Infine il grido di dolore di Papa Francesco di domenica 19 alla fine dell’Angelus “Stanno giungendo in queste ore notizie relative ad una nuova tragedia nelle acque del Mediterraneo. ... Esprimo il mio più sentito dolore di fronte a una tale tragedia .. Rivolgo un accorato appello affinché la comunità internazionale agisca con decisione e prontezza, onde evitare che simili tragedie abbiano a ripetersi. Sono uomini e donne come noi, fratelli nostri che cercano una vita migliore, affamati, perseguitati, feriti, sfruttati, vittime di guerre; cercano una vita migliore. Cercavano la felicità... Vi invito a pregare in silenzio, prima, e poi tutti insieme per questi fratelli e sorelle. “

Concludo con una mia riflessione insistente e inquietante, come credente, sul brano Matteo 25, 31 – 46: Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, .. davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a

quelli che saranno alla sua destra: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi». Allora i giusti gli risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?». E il re risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato». Anch'essi allora risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?». Allora egli risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me». E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Davide Turoldo ne fa una trasposizione poetica:

Quando il figlio dell’uomo verrà.

Chiunque tu sia, o giusto, non piangere, e quanti avete diviso il pane,

l’acqua, la sorte con tutti i poveri.. Per voi saranno le dolci parole:

“Voi, benedetti del Padre, venite...” Oh, quanti certo neppure sapevano D’essere dentro il Regno, già salvi!

Oh quanti invece pensavano di sentirsi dentro, gente che per lui avevano suonato il flauto, gente che diceva di sapere tutto di lui,

quanti si troveranno ad essere fuori!..

O Re severo che non sia così di noi!

Non sia così con noi! Questo grido deve interrogarci! Noi in quale sponda ci troviamo; a destra con i giusti o su quella dei “maledetti”? Ci sentiamo solidali con i poveri, i miseri, con le vittime dell’oppressione e dell’ineguaglianza, consapevolmente o inconsapevolmente, prodotta da noi che ci “sentiamo dentro? Siamo disposti a restituire la giustizia a chi l’abbiamo tolta? Siamo disponibili all’ascolto del loro grido, sappiamo unirci alla loro preghiera, farci partecipi della loro legittima domanda di giustizia?

Papa Francesco ci ricorda che la preghiera è un grido, un grido che dà fastidio, fastidio perché disturba la nostra quiete. I poveri sono fastidiosi , quando ci chiedono un pezzo di pane e un po’ di pasta. Ricordiamoci del Vangelo che la preghiera è un accorato ricorso al cuore di Dio verso di noi «E così Gesù ci insegna a pregare, è la preghiera dei bisognosi». I bisognosi, quelli veri, sono nel cuore di Dio. Chi li soccorre fa opera di misericordia . La vera preghiera cristiana è fondata sulla promessa , la promessa della salvezza, che Dio assicura ai giusti “ Sui poveri e sui giusti si fonda la speranza del mondo, essi sono operatori di pace e di giustizia, perché la loro preghiera è “bisognosa ed è sicura perché sincera e umile”, perché, per essi. il Signore può fare quello che loro chiedono. Questa è la Speranza dei giusti .

Fonte: http://www.meicmarche.it/

A few days ago, we received the sad news of the death of many people in the Mediterranean sea, who were trying to cross from Libya to different parts of Europe through Italy. It was of course not the first time we were hearing such devastating news. The “problem of the immigrants” is real all over the world. It is an issue of people running away from their countries to other countries looking for a better life, almost making the centuries old saying “North or South, East or West, home is best” appear a falsity. Even as the world continue fuming about the immigrants from Africa and Middle east into Europe, or from Mexico to America, the truth of the matter is that immigration of people did not start yesterday. We know from history that hundreds of thousands of people moved from Europe to the America between 17th and 19th century, and especially after the world war I and II. At that time, immigration was happening from the north hemisphere of the world to the southern hemisphere of the world, but today people seem to be moving more from the southern hemisphere to the northern hemisphere. The preoccupation of the Europeans are genuine, as was those of the people who received them in America after the world war I and II. The number of the immigrants in Italy for example says it all. In the province of Rome alone there are more than 380 thousand immigrants, 250 thousand of whom live in the county of Rome, making 10% of the population of those who live there. Among them, the average age of the immigrants is 37.2 years, while that of the Italians is 44.4 years. Of the immigrants living in Rome 52% are women. This obvious has socio-economic impacts. The sheer number of the immigrants requires some form of structured way of dealing with them, otherwise the whole issue of thousands of people coming in and going out of a country could also be a security issue.

The most interesting thing is that just as people are running away from their countries due to difficult situation today, so it was after the first world war and the second world war. Europe was poor and everybody was trying his best to look for a greener pasture. The big question now is: has the immigration of people become bad because it involves Africans and Arabs? What is disturbing is that while the Europeans were running away from situations they had created themselves in their own countries, Africans and the Arabs are running away from situation created by the Europeans and their western allies. If I may ask for example, who is to blame for the chaos in Libya if not those invaded the country and brought down its government? Why is there chaos in Iraq? Is it not because of the invasion of America? Even those who say that people are running away from Africa due to non-functional governments that have failed to take care of their people, should also ask themselves why are the governments not functioning. Is it not because of the powerful multinational corporations that pull economic and political strings in the poor countries? Aren’t most of these multinational corporations either European or American? This is another way of saying Europe and America can’t wash their hands off the problems facing the world, and particularly Africa, Arabian countries and Asian countries. Through colonisation, they built their now strong economies by using mineral resources of the now poor countries, and today through open market (supported by globalisation) they continue manipulating and destroying the lives of the people in poor countries unabated.

Of course it would be unfair to claim that all the problem of the world are tied to Europe or America. However, before dismissing the claim, it would be better we look into it again. With more and more people dying in the Mediterranean ocean every few days, it would be important to ask ourselves why hasn’t the problem been solved up to now? Or is it just impossible to stop the trend? I don’t think so! The truth is that there is no political will. In fact, the truth is that someone senior somewhere must be benefiting from all what is happening. The issue of immigrants from Africa and Middle East to Europe cannot be separated from human trafficking. The victims part with thousands of Euros to be facilitated to reach Europe “for a better life.” The question is who is behind the whole movement. Who owns the boats for example, and why is it difficult to apprehend them? In other words, just as drug trafficking and arms trafficking, human trafficking is a huge business. This means that if the world wants to stop the increasing deaths of innocent and desperate people in the Mediterranean ocean then someone must go for those behind the transportation.

In addition, although many people in Europe feel that the migrants are complicating their lives by taking away their jobs, in truth, the economy of some of the countries in Europe is highly intertwined with the immigrants issue – or better highly intertwined with the exploitation of the immigrants. An example. If an Italian firm wants to employ some persons, if it employs Italians, the Italian government will demand good wage, say 1000 Euro and benefits. The option some firms is always to employ immigrants who will accept anything for the wage and without benefits for survival. That way the firms lower their cost of production and maximizes their profits. Then there are those organisations that receive money from the government in the name of offering hospitality to the immigrants. Some offer sub-standard services, while in truth pocketing millions from the state. In other words, although the presence of the immigrants appears to be hated and disliked, there are many who are benefiting from the desperate situation. This is another way of saying, if truly the problem of the immigrants has to be solved, the world must be ready to deal with the underlying issues behind it. At the same time the world will have to be ready for a socio-economic and political revolution since the present status quo is founded on inequality in the society and the struggled to survive of the down trodden.

From this view of things, if the status quo if founded on the oppression of the rights of the down trodden, and if the Church has to stand firm for the poor as our Lord Jesus Christ demanded, then it is clear that not only is the mission of the Church far from over, but also that the Church cannot ignore any effort for a socio-economic and political revolution in the world. This explains why the care of immigrants has to continue being at the centre of the pastoral program in Italy. This also explains why we, the Consolata missionaries in Italy, have made it one of our pastoral options in Torino. At present we are making our contribution to the immigrants through the parish Maria Speranza Nostra which is located at the periphery of Torino, through chaplaincy of the Latin American community in Torino and through the Ecumenical Group of Torino, which is a group of the English speaking African protestants under our care. May the Good Lord inspire world leaders to come up with tangible and transforming solutions to the problems of the immigrants.

 

Oscar Romero, dejo una huella profunda en la Iglesia Latinoamericana  y mucho mas en el pueblo Salvadoreño

La comunidad  Salvadoreña residente en el Piemonte y en Turin se congrego el dia Domingo 22 de Marzo en la Iglesia de San Joaquin, en donde la comunidad o capellania Latinoamericana se reune todos los Domingos para celebrar la Eucaristia y compartir juntos los valores de Latinoamerica.....

Los Salvadoreños por iniciativa propia, quisieron compartir, costumbres, folklor, tradiciones , estilo y forma de vivir su cultura y fe......
Dieron a conocer la figura MONSENOR OSCAR ARNULFO ROMERO.......vida, compromiso y testimonio....

La comunidad Salvadoreña en Turin son cerca de 300 personas.....muchos de ellos conocieron personalmente al Martir y Beato Romero.....

DESPUES....el 24 de Marzo en el SANTUARIO DE LA CONSOLATA, celebramos la vigilia y Eucaristia por todos los martires , resaltando la figura del Beato Mons. ROMERO.....
Fue una celebracion, profunda, sentida y  preparada por la comunidad Latina.....
Mons. Carlo Ellena, Obispo emerito del Brazil fue el celebrante principal, con  presencia del Superior Regional  Miguel Angel y muchos misioneros de la Consolata, como tambien muchos sacerdotes de la Arquidiocesis...

Lo mas  sobresaliente fue la presencia de los inmigrantes, los Salvadoreños y muchisimas personas venidas de diferentes paises de America Latina....

Pudimos Constatar Que Monseñor Romero Sigue Vivo En La Mente Y En El Corazon Del Salvador Y De America.....

 

Sono ormai più di 70 anni che i Missionari e le Missionarie della Consolata sono presenti qui a Martina. Oltre tutto le Missionarie e i Missionari martinesi sparsi nel mondo sono tanti. Per la gente è normale ogni anno celebrarne la festa.

Lo schema della celebrazione, pubblicizzato da una locandina, potrebbe sembrare ripetitivo, visto che avviene da anni, ma ogni volta è “fresco”, come una cosa nuova!

Nella chiesa parrocchiale di S. Francesco, a due passi dalla nostra casa, ci siamo preparati assieme alla gente con un triduo. “Non voglio che i missionari e le missionarie siano persone tristi e scontente. La tristezza offusca la mente e debilita la volontà. Voglio persone di vera gioia“ Con queste e altre parole del Beato le Dame Missionarie del nostro gruppo hanno esordito il Rosario Missionario meditato la prima sera, continuando poi gli altri giorni su “l’Amore e la Misericordia di Dio, la speranza, la confidenza e la carità…” La Santa Messa di Giovedì, Venerdì e Sabato, presieduta dal Superiore della Comunità P. Angelo Baruffi, ha offerto l’occasione per diverse testimonianze missionarie.

La prima sera toccò a Suor Giovanna Geronimo, Missionaria della Consolata, martinese e parrocchiana di San Francesco in partenza per l’Amazzonia Brasiliana, ci ha parlare della santità del P. Fondatore a livello pratico ed esistenziale.  

La seconda sera ci fu la testimonianza, molto gradita e attesa, del nostro seminarista Accolito, Danstan Balayangaki Mushobolozi, tanzaniano di origine, qui a Martina per l’anno di servizio. Lui è stato santo alla grande, non un santo qualsiasi ma un grande santo e voleva che anche i suoi figli fossero santi”. Ha concluso la sua testimonianza con delle domande: Tutti i missionari e missionarie che sono stati qui a Martina, sono stati tutti dei santi anche loro? Da quando sono arrivati i missionari, qui ci sono stati dei cambiamenti in meglio? Come sarebbe stata la nostra chiesa senza i missionari? Perché, da quello che ho capito io - per il nostro Fondatore - una chiesa senza missionari santi, sarebbe un po’come una cucina senza cipolla! ”.

La terza sera ci fu la testimonianza di una coppia di animatori del nostro Centro per la formazione missionaria di adolescenti e giovani. “Dopo un inaspettato riavvicinamento a Dio trascinato da Annalisa, sono venuto a conoscenza delle parole del Beato Giuseppe Allamano “Siate Straordinari nell’ordinario”. Sono parole che ci hanno dato un senso alla vita che conduciamo ora … e presa per mano da Danilo, ci spingono a continuare ad alimentare nel futuro il fuoco della missione”.

Domenica sera, 15 febbraio vi fu la solenne concelebrazione eucaristica presieduta dall’animatore missionario, il P. Tarcisio Foccoli.

La chiesa di San Francesco era addobbata a festa con fiori, bandiere delle diverse nazioni e del gruppo Dame Missionarie accanto all’immagine del Beato Allamano. L’animazione liturgica, affidata ai giovani dei tanti gruppi che frequentano il nostro Centro, con canti e danze hanno suscitato la curiosità e l’entusiasmo dell’assemblea. Presenti anche Don Ciro Santopietro, Direttore del Centro Missionario Diocesano con due segretari laici e il P. Claudio dei Missionari Saveriani, nostri vicini di casa, residenti a Taranto. La gente, amici e simpatizzati delle Missioni, presente in chiesa era una folla.

Siamo grati al parroco don Luigi De Giorgio che con gioia e gratitudine verso i missionari e le missionarie della Consolata ci ha concesso di vivere un’esperienza gioiosa con spirito di famiglia nella parrocchia nata con i Missionari e dove è sempre vivo l’amore per le missioni.

Martedì 17 febbraio, (martedì grasso!) come ormai da tradizione molta gradita ai Sacerdoti di Martina Franca, noi e le nostre sorelle, ci siamo riuniti per festeggiare il nostro Beato con una quarantina tra parroci e sacerdoti della Vicaria, con l’arcivescovo Filippo Santoro. Alle ore 12 tutti insieme nella cappella della Casa dedicata al Beato Allamano abbiamo pregato l’Ora Media. Il Vescovo ci ha sottolineato l’importanza di questo ritrovarsi insieme come presbiterio locale nel ricordo di un grande Sacerdote come il Beato Allamano, proprio per ricreare e vivere la fraternità sacerdotale. E’ seguita l’agape fraterna caratterizzata (oltre che da un menu graditissimo agli ospiti) da interventi gioiosi dell’Arcivescovo e di alcuni parroci. L’agape è terminata con il taglio della torta su cui era incisa la “dolce” foto a colori dell’Arcivescovo con la scritta “Benvenuto tra noi”.

Preziosissima e di grande dono la collaborazione per la cucina e il servizio a tavola delle nostre Dame missionarie, sempre così pronte, generose e attente per i Missionari: a ognuna di loro la nostra sincera gratitudine.

A conclusione abbiamo offerto a tutti i presenti, una quarantina, il libro “La lectio divina secondo il beato Allamano”

Chiudiamo queste celebrazioni nella speranza che i messaggi di questi giorni facciano crescere l’amore per le Missioni e l’entusiasmo per le vocazioni missionarie che a Martina Franca non sono mai mancate.

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