Il 24 gennaio scorso, nella Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna con sede a Cagliari, si è svolta la dissertazione pubblica della tesi di dottorato in Teologia Morale dello studente Marco Placentino dal titolo: "MARTIRIO: DONO PER POCHI O VOCAZIONE DEI FIGLI DI DIO? Una rilettura eucaristica alla luce degli Scritti della Beata Martire Leonella Sgorbati".

Alla difesa era presente una piccola delegazione di Missionarie della Consolata, tra cui sr. Renata Conti, Postulatrice, e sr. Maria Luisa Casiraghi, Superiora Regionale.

Marco Placentino è un ragazzo sardo di 32 anni, di professione insegnante, che nella sua ricerca ha scelto di approfondire la vicenda umana e spirituale della Beata Leonella, rileggendola attraverso la prospettiva cristologico-filiale inaugurata da Padre Tremblay, teologo redentorista. Il lavoro, summa cum laude probatus , sarà pubblicato e noi lo aspettiamo con impazienza.

20240203Leonella120240203Leonella1Marco è un ragazzo sensibile ed entusiasta dei suoi studi, del suo lavoro e della sua fede. Nel testo e nella presentazione è emersa chiaramente tutta la passione con cui si è accostato all'esperienza di sr. Leonella e con la quale ha letteralmente sviscerato i suoi Diari e i suoi numerosi scritti, e che lo ha guidato nell'interpretazione teologica di tutta la sua esistenza, culminata col martirio quale ultimo atto della sua conformazione a Cristo.

Non si tratta dunque solamente di uno sforzo accademico ma di una vera e propria immersione e partecipazione nell'esperienza del dinamismo conformante dell'Eucarestia, che trasforma il culto in vita, nella prospettiva filiale del mistero Pasquale di Cristo, Inviato del Padre. La vita morale altro non è, in questa luce, che il vivere coerentemente il Vangelo, lasciando che il "Figlio sia libero in me di amare" (sr. Leonella), e amare fino alla fine.

Il martirio, allora, è il naturale evolversi di una vita donata, il frutto maturo della vita conformata al Figlio, e "la pienezza dell'umano", secondo l'espressione di p. Tremblay.

Ecco che sr. Leonella diventa ICONA per il popolo somalo: icona perché impregnata di divinità, icona perché manifestazione del vero volto di Dio. L'espressione in odium Fidei, in questa cornice, appare limitante, perché è sempre l'Amore che precede.

Un'Appendice mariana è dedicata a "La Consolata, via di filiazione eucaristica", divenuta figlia nel suo Figlio, chiamata a vivere la Croce fino a risorgere con Lui.

Per noi è stato commovente ascoltare il nome di sr. Leonella risuonare in una facoltà come oggetto di indagine teologica e vedere apprezzata la sua semplice, profonda, gioiosa e luminosa testimonianza, insieme a quella del nostro carisma missionario ad gentes e della missione della Chiesa.

«Se il mio corpo e il Suo sono una cosa sola, se il mio sangue e il Suo sono una cosa sola, allora è possibile essere sempre dono d’amore per tutti. Sempre, in ogni momento… Allora è possibile testimoniare sempre che Lui c’è e ci ama» (Suor Leonella)

* Sr. Alessandra Pulina, Missionaria della Consolata.

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CONCLUSIONE DELLA FASE DIOCESANA DEL PROCESSO DI BEATIFICAZIONE E CANONIZZAZIONE DEI MARTIRI DI CHAPOTERA, DIOCESI DI TETE (MOZAMBICO).

Il 12 agosto, presso il Santuario diocesano di Zobuè, diocesi di Tete, si è svolta la cerimonia di conclusione della fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione dei Servi di Dio João de Deus Kamtedza e Sílvio Alves Moreira, sacerdoti Martiri di Chapotera.

Il processo è iniziato il 20 novembre 2021 con il giuramento dei membri della commissione d'inchiesta nominata dal Vescovo di Tete. Questa commissione, dal gennaio 2022 al giugno 2023, ha interrogato i testimoni che hanno conosciuto i Servi di Dio durante la loro vita e hanno informazioni sul loro martirio e sulla loro reputazione.

Dopo la raccolta di tutte le testimonianze, compresa la documentazione d'archivio, è stato preparato un dossier ben documentato sulla vita e il martirio dei due Servi di Dio (1500 pagine) che è stato consegnato dal Vescovo di Tete in scatole sigillate al responsabile della Nunziatura Apostolica in Mozambico, Mons. Paul Anthony, che lo invierà al Dicastero per le Cause dei Santi a Roma.

I Servi di Dio don João de Deus Kamtedza e Sílvio Alves Moreira, come ha sottolineato Mons. Diamantino Guapo Antunes nell'omelia della Messa di chiusura del processo diocesano, sono stati buoni pastori, hanno sofferto con il loro popolo, hanno sempre cercato la pace e la riconciliazione. Hanno messo le loro qualità umane e spirituali al servizio di Dio e degli uomini, vivendo il loro ideale missionario. Sono stati assassinati il 30 ottobre 1985 nei pressi della residenza missionaria di Chapotera, Missione di Lifidzi, in Angonia. I loro corpi sono stati ritrovati il 4 novembre e sono stati sepolti nel cimitero di Vila Ulongwe lo stesso giorno. Padre João de Deus Gonçalves Kamtedza, mozambicano, era nato ad Angonia, nella provincia di Tete (Mozambico), l'8 marzo 1930. È entrato nel Seminario dei Gesuiti nel 1948 e ha professato i voti religiosi nel 1953 a Braga (Portogallo). È stato ordinato sacerdote nella Missione di Lifidzi il 15 agosto 1964. Si è dedicato con tutto il cuore alla missionarietà del suo popolo, prima e per molti anni nella Missione di Msaladzi, poi nella Missione di Fonte Boa e a Satémwa. Era un uomo dinamico, intelligente, saggio, accogliente, impavido, gioioso, comunicativo e un grande apostolo. Amava il suo popolo, la sua cultura e la sua lingua. Alla fine del 1983, padre João de Deus Kamtedza fu trasferito a Chapotera per evangelizzare e assistere pastoralmente le missioni di Lifidzi e Chabwalo.

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Padre Sílvio Alves Moreira è nato a Rio Meão-Vila da Feira (Portogallo) il 16 aprile 1941. È entrato nel Seminario dei Gesuiti nel 1952 e ha professato i voti religiosi nel 1959. Ha studiato teologia all'Università Cattolica di Lisbona tra il 1968 e l 1972.  È stato ordinato sacerdote a Covilhã (Portogallo) il 30 luglio 1972. Ha iniziato il suo lavoro missionario nella diocesi di Tete, presso il Seminario di Zobuè e successivamente nella parrocchia di Matundo. Nel 1981 è stato trasferito a Maputo, lavorando principalmente nella parrocchia di Amparo, a Matola. Nel settembre 1984 è tornato nella diocesi di Tete, venendo assegnato a Satemwa, missione di Fonte Boa, e poi a Chapotera, missione di Lifidzi. Don Sílvio era un uomo libero, intelligente, coraggioso e intraprendente, che viveva con entusiasmo e gioia le fatiche e i rischi che la vita missionaria comporta.

Alla cerimonia che ha concluso la fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione hanno partecipato molte centinaia di cattolici provenienti da tutte le parrocchie della diocesi di Tete che hanno preso parte al pellegrinaggio diocesano a Zobuè. È stata una giornata molto bella.

* Mons. Diamantino Guapo Antunes è Missionario della Consolata e vescovo di Tete

 

Il 3 giugno, nella chiesa cattolica, si celebra la memoria dei martiri dell'Uganda. Sono 22 martiri cristiani cattolici che furono arsi vivi per ordine del re Mwanga II del regno di Buganda tra il 15 novembre 1885 e il 27 gennaio 1887. Per la maggior parte di loro il luogo del martirio fu Namugongo dove attualmente è costruita la basilica in suo onore.

Furono beatificati nel 1920 da papa Benedetto XV e canonizzati il 18 ottobre 1964 da papa Paolo VI. Essendo loro i primi santi canonizzati nell'Africa sub-sahariana, il loro sangue è diventato il seme fecondo del cristianesimo in Africa. In Uganda si celebra una festa nazionale; il loro martirio ha avuto un ruolo enorme nell'unificazione del Paese, nella promozione dell'ecumenismo e del dialogo interreligioso.

La loro influenza sull'evangelizzazione in Africa.

Poiché sono stati i primi martiri riconosciuti dalla Chiesa nell'Africa sub-sahariana, la loro testimonianza ha avuto un impatto significativo sulle società di tutto il continente e la loro influenza può essere evidenziata nei seguenti aspetti:

Una nuova era del cristianesimo nel continente africano. A questo proposito Papa Paolo VI disse: “Questi martiri africani aprono una nuova era, non intendiamo certo di persecuzioni e lotte religiose, ma di rigenerazione cristiana e civile. Il sangue di questi martiri è la primizia di questa nuova era africana” (Omelia in occasione della canonizzazione. 18 ottobre 1964). Al momento del suo martirio, la fede cristiano-cattolica non esisteva da molto nell'Africa sub-sahariana. Nel caso dell'Uganda, i missionari d’Africa, conosciuti con il nome di “padri bianchi” per il colore della loro tonaca, non erano da tempo insediati nel Paese: erano arrivati in Uganda nel febbraio 1879 e avevano subito avviato l'evangelizzazione fra i nobili della corte del re Mwanga II. Martiri furono alcuni dei suoi primi catecumeni e il primo martirio avvenne il 15 novembre 1885 quando San Giuseppe Mukasa Balikuddembe fu condannato a morte.

Il motore della sua testimonianza nell'evangelizzazione. Tutti i martiri sono massimi testimoni della fede in Gesù Cristo. Il martirio è la coerenza più profonda tra professione di fede e vita quotidiana e suggella definitivamente la vita dell'uomo configurata con la vita di Cristo. Nel martirio è un vero battesimo di sangue e si compie in modo reale ciò che nel battesimo avviene in modo sacramentale e simbolico: morire insieme a Cristo per risorgere con Lui (Rm 6, 3-11). Sia in Uganda che nel resto del continente africano, la loro testimonianza di Cristo è stata di inestimabile valore, un seme fecondo per l'evangelizzazione del continente africano.

Le vocazioni autoctone. La Chiesa in Uganda e in varie parti dell'Africa crebbe notevolmente in poco tempo dopo l'arrivo dei primi missionari. In Uganda nel 1913 furono ordinati i primi sacerdoti indigeni dell'allora vicariato di Masaka e il 29 ottobre 1939 il papa Pio XII consacrò il primo vescovo: il padre Joseph Kiwanuka del clero di Masaka. In Kenya i primi sacerdoti cattolici autoctoni furono ordinati nel 1927 nell'allora vicariato di Nyeri e la Chiesa della Tanzania produsse il primo cardinale africano: Mons. Laureano Rugambwa che fu nominato da papa Giovanni XXIII nel 1960.

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Altri martiri del continente africano. Dopo di loro, l'elenco dei martiri africani si è allungato in diverse parti del continente. Vogliamo ricordare, ad esempio, il Beato Isidoro Bakanja, martire congolese beatificato il 24 aprile 1994; il Beato Cipriano Iwene Tansi della Nigeria, beatificato il 22 marzo 1998; i Beati Daudi Okelo e Jildo Irwa, catechisti e martiri ugandesi, beatificati il 20 ottobre 2002. Infine le Serve di Dio Luisa Mafu e le sue Compagne Catechiste e i martiri di Guiúa in Mozambico.

Conclusione

Tertulliano disse nell'anno 197 dopo Cristo che "il sangue dei martiri è il seme dei cristiani". Infatti, la testimonianza di fede in Gesù Cristo dei martiri ugandesi è stata un motore di evangelizzazione in varie parti dell'Africa. Loro oggi sono patroni in molte istituzioni educative, istituti di catechesi e province ecclesiastiche. Dei 22 Carlos, Matia e Kizito sono i più riconosciuti: nel 1934 papa Pio XI nominò Carlos Lwanga patrono dei giovani dell'Africa cristiana; Matia Mulumba è patrono dei catechisti e delle famiglie, e Kizito è patrono delle scuole dell'infanzia e primarie.

In paesi come Uganda, Congo, Kenya, Tanzania, Rwanda, è molto comune trovare in quasi ogni famiglia persone con il nome dai martiri ugandesi.

* Lawrence Ssimbwa è missionario della Consolata e lavora con la popolazione afro della diocesi di Bueventura in Colombia.

L'arcivescovo, assassinato mentre celebrava la Messa.

Oscar Romero, nato a El Salvador nel 1917, fu ordinato sacerdote nel 1942 e nel 1977 Paolo VI lo nominò arcivescovo di San Salvador, in un contesto politico di forte repressione, soprattutto nei confronti delle organizzazioni contadine. L'assassinio del sacerdote gesuita Rutilio Grande è considerato il momento della "conversione" di Romero, che iniziò allora a denunciare la repressione, la violenza dello Stato e lo sfruttamento imposto dai settori politico-militare ed economico, sostenuta dagli Stati Uniti.

La vita di questo discepolo missionario di Gesù Cristo è stata segnata dalla sua incondizionata fedeltà al Vangelo. Come uomo di Chiesa, divenne il grande araldo della fede e l'ammirevole maestro della verità. Le sue omelie, predicate in modo semplice ma profondo, rafforzavano e incoraggiavano il popolo nella sua speranza e denunciavano coraggiosamente le ingiustizie commesse. 

Molto famosa quella del Sabato Santo 1979 nella quale diceva, a proposito del martirio: "Grazie a Dio, abbiamo pagine di martirio non solo nella storia del passato, ma anche nel presente. Ci sono sacerdoti, religiosi, catechisti, umili contadini che sono stati uccisi o perseguitati per essere fedeli all'unico Dio e Signore. Anch'io ho ricevuto spesso minacce di morte. Devo dirvi che come cristiano non credo nella morte senza resurrezione. Se mi uccidono, io risorgerò nel mio popolo salvadoregno. Come pastore, sono obbligato a dare la mia vita per coloro che amo, che sono tutti salvadoregni, così come per coloro che mi uccideranno. Se riusciranno a portare a termine le loro minacce, d'ora in poi offrirò il mio sangue a Dio per la redenzione e la resurrezione del Salvador".

L'arcivescovo Oscar Romero fu assassinato mentre celebrava la Messa il 24 marzo 1980 per aver difeso i poveri. Fu ucciso "per odio verso la fede" per volere della giunta militare che dominava il Paese. Papa Francesco lo ha beatificato il 23 maggio 2015 e canonizzato il 14 ottobre 2018 insieme a Papa Paolo VI e ad altri tre Beati.

Un giorno per ricordare i missionari martiri

Dal 1993, il 24 marzo è stato scelto per celebrare ogni anno la "Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei martiri missionari". Nell'anno 2022, secondo le informazioni raccolte dall'Agenzia Fides, sono stati uccisi nel mondo 18 missionari: 12 sacerdoti, un religioso, tre religiose, un seminarista, un laico. Negli ultimi 20 anni, dal 2001 al 2021, sono stati uccisi in tutto il mondo 526 operatori pastorali, tra cui 5 vescovi.

Sant'Oscar Romero, vescovo e martire, ci ricorda che l'opzione della Chiesa per i poveri e gli ingiusti non è una questione secondaria, ma è il cuore dell'identità cristiana, della sequela di Gesù, del vero significato della missione.

*Padre Jaime C. Patias, IMC, Consigliere Generale per l'America

Se penso a mio marito Luca, la persona che è stato, come è vissuto e anche come è morto...devo dire che in lui hanno prosperato e si sono conservati tanti valori che aveva ricevuto fin da bambino. Lui frequentava l'oratorio ed è cresciuto in un ambiente sano.

Luca non è nessun santo, anche lui aveva i suoi piccoli e grandi difetti, era una persona normale ma dotato di una umanità davvero grande, era quello il suo massimo valore. 

Quando decise di impegnarsi in una carriera diplomatica -quello era sempre stato il suo sogno- non ha mai rinunciato a vivere fino in fondo le cose che aveva imparato fin da bambino. Per lui fare l'ambasciatore significava non lasciare mai indietro nessuno in qualsiasi parte del mondo, in qualsiasi situazione. Le attività diplomatiche erano la sua missione e le viveva con lo stesso entusiasmo dei missionari che, per esempio, aveva conosciuto numerosi in Congo.

L'umanità è la sua eredità. Non ha fatto cose straordinarie ma era straordinario al momento di fare il suo dovere, con precisione, con attenzione, con un grande spirito di servizio.

Nella mia religione islamica il martire è colui che diventa testimone di vita. Se Luca fosse ancora in vita forse non saremmo qui a parlare di lui, ma adesso che non è più fra noi diventa testimone credibile di quei valori che ha vissuto e che servono per fare di questo mondo una casa più accogliente. 

La vita è un dono prezioso e bisogna difenderla in ogni modo ma per chi come Luca la sa dare diventa un dono ancora più prezioso, un modello, un testimone, un martire appunto, che può ispirare il cammino di tutti.

Con Luca sono morte due persone, l'autista era di religione islamica e anche lui ha lasciato una famiglia, ma sono oggi i nostri testimoni che ci animano a non arrenderci.

*Zaquia Seddaki è la vedova dell'ambasciatore italiano Luca Attanasio, ucciso in Congo nel 2021 Presidente e fondatrice dell'associazione "Mama Sofia" voluta per difendere il valore della pace e dare voce a chi non ha voce.

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