Nella Festa della Presentazione del Signore e nella Giornata mondiale della vita consacrata, Francesco presiede la Messa nella Basilica vaticana alla presenza di circa 5.500 fedeli, in particolare sacerdoti, religiose e religiosi: è importante coltivare la vita interiore e non adeguarsi "allo stile del mondo"

Simeone, "uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele" e Anna, che "non si allontanava mai dal tempio", riconobbero nel Bambino, che Maria portava in braccio, il Messia a lungo atteso. Sono loro, Simone e Anna, i protagonisti del brano del Vangelo dell'odierna Festa della Presentazione del Signore, popolarmente nota come Candelora, in cui si celebra la XXVIII Giornata Mondiale della Vita Consacrata istituita da san Giovanni Paolo II nel 1997. Prendendo esempio da loro, al centro della riflessione di Papa Francesco alla Messa presieduta alle 17.30 nella Basilica vaticana, c'è un atteggiamento controcorrente al nostro tempo: l'attesa. "Sorelle, fratelli, coltiviamo nella preghiera l’attesa del Signore - afferma Francesco nell'omelia - e impariamo la buona 'passività dello Spirito': così saremo capaci di aprirci alla novità di Dio".

“Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore (Lc 2,22)”

Le candele nel buio e l'accensione della luce 

Nella basilica non illuminata, i fedeli, in maggioranza consacrate e consacrati appartenenti a diverse congregazioni, comunità e istituti religiosi, tengono in mano le candele accese come il Papa, che le benedice. Lungo la navata centrale i sacerdoti concelebranti avanzano in processione. Il cardinale João Braz de Aviz, prefetto del Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, asperge con l'incenso l'altare. Quindi la basilica si illumina. La luce è simbolo di Cristo, luce delle genti e salvezza per il mondo. La Giornata Mondiale della Vita Consacrata vuol essere un occasione di preghiera e di ringraziamento per questa particolare chiamata di Dio.

Perseverare nell'attesa

"Ci fa bene guardare a questi due anziani pazienti nell’attesa, vigilanti nello spirito e perseveranti nella preghiera", afferma Francesco dando inizio all'omelia: Simeone e Anna sono due anziani, ma hanno conservato il cuore giovane, nonostante fatiche e delusioni "non hanno mandato in pensione la speranza" e hanno mantenuto viva l'attesa del Signore.

Fratelli e sorelle, l’attesa di Dio è importante anche per noi, per il nostro cammino di fede. Ogni giorno il Signore ci visita, ci parla, si svela in modo inaspettato e, alla fine della vita e dei tempi, verrà. Perciò Egli stesso ci esorta a restare svegli, a vigilare, a perseverare nell’attesa.

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Religiose e religiosi alla Messa

Guai scivolare nel "sonno dello spirito", afferma il Papa, e "archiviare la speranza". E si domanda: siamo ancora capaci di vivere l'attesa o siamo troppo presi da noi stessi e dalle nostre attività? Non corriamo il rischio di "trasformare anche la vita religiosa e cristiana nelle tante cose da fare e tralasciando la ricerca quotidiana del Signore?". E ancora: quanto contano le possibilità di successo nella nostra programmazione della vita personale e comunitaria, invece che la dedizione "al piccolo seme che ci è affidato", sapendo aspettare i tempi di Dio?

La trascuratezza della vita interiore

La capacità di attendere, prosegue il Papa, è spesso ostacolata in particolare da due fattori: il primo è "la trascuratezza della vita interiore": 

È quello che succede quando la stanchezza prevale sullo stupore, quando l’abitudine prende il posto dell’entusiasmo, quando perdiamo la perseveranza nel cammino spirituale, quando le esperienze negative, i conflitti o i frutti che sembrano tardare ci trasformano in persone amare e amareggiate.

Non è bello vedere una "faccia scura" in una comunità, osserva Francesco, ma la gioia e lo stupore degli inizi si alimentano "con l’adorazione, con il lavoro di ginocchia e di cuore".

L'adeguamento allo stile del mondo

Il secondo fattore è "l’adeguamento allo stile del mondo che finisce per prendere il posto del Vangelo". Il Papa parla della pretesa del "tutto e subito" che caratterizza le nostre società, dell'attivismo che ci domina, del consumismo e divertimento cercato a tutti i costi e del silenzio bandito nelle nostre giornate. E avverte: 

Facciamo attenzione, allora, perché lo spirito del mondo non entri nelle nostre comunità religiose, non entri nella vita ecclesiale e nel cammino di ciascuno di noi, altrimenti non porteremo frutto. La vita cristiana e la missione apostolica hanno bisogno che l’attesa, maturata nella preghiera e nella fedeltà quotidiana, ci liberi dal mito dell’efficienza, dall’ossessione del rendimento e, soprattutto, dalla pretesa di rinchiudere Dio nelle nostre categorie, perché Egli viene sempre in modo imprevedibile.

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Alcuni religiosi presenti in basilica

La "buona passività dello Spirito"

Il Papa riporta una frase della mistica francese Simon Weil: "Desiderare Dio e rinunciare a tutto il resto: in ciò soltanto consiste la salvezza", invitando le consacrate e i consacrati a imparare "la buona passività dello Spirito" per essere aperti "alla novità di Dio". Così il passato si apre al futuro, ciò che è vecchio in noi diventa capace di accogliere il nuovo. E' un passaggio non facile, riconosce il Papa, ma necessario e, citando un brano scritto dal cardinale Carlo Maria Martini, conclude: 

Non è facile infatti che il vecchio che è in noi accolga il bambino, il nuovo […]. Accogliere il nuovo: nella nostra vecchiaia, accogliere il nuovo. La novità di Dio si presenta come un bambino e noi, con tutte le nostre abitudini, paure, timori, invidie – pensiamo alle invidie, eh? –, preoccupazioni, siamo di fronte a questo bambino. Lo abbracceremo, lo accoglieremo, gli faremo spazio?". 

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Fonte: Vatican News

Messaggio di Francesco al presidente del Forum Economico mondiale iniziato il 16 gennaio, con la partecipazione di circa 3 mila rappresentanti del mondo della politica e dell’economia: “In mezzo a violenza e aggressività, essenziale che Stati e imprese si uniscano nella promozione di modelli di globalizzazione lungimiranti ed eticamente validi, subordinando la ricerca del potere e del guadagno individuale al bene comune della famiglia umana”

Popoli che muoiono di fame, lavoratori sotto o mal pagati, bambini analfabeti, uomini e donne privi di cure mediche o di un tetto sopra la testa. Com’è possibile ancora tutto questo nel 2024? Non è retorica ma un interrogativo cruciale quello che il Papa pone ai circa 2.800 capi di Stato, rappresentanti di governo, amministratori delegati, presidenti di consigli di amministrazione e inviati di organizzazioni internazionali di 120 Paesi, riuniti nel comune svizzero di Davos per la 54.ma edizione del World Economic Forum. A loro il Pontefice ricorda la “responsabilità morale” che deriva dal ruolo detenuto nella “lotta contro la povertà”, nel raggiungimento di “uno sviluppo integrale per tutti i nostri fratelli e sorelle”, nella “ricerca di una coesistenza pacifica tra i popoli”.

Com’è possibile che nel mondo di oggi si muoia ancora di fame, si venga sfruttati, si sia condannati all'analfabetismo, si manchi di cure mediche di base e si rimanga senza un tetto?

Un mondo lacerato dalle sofferenze umane

Il Papa invia un messaggio al fondatore e presidente esecutivo del Forum, Klaus Schwab. Il testo è stato letto dal cardinale ghanese Peter Appiah Turkson, presidente delle Pontificie Accademie delle Scienze e delle Scienze sociali, nel corso dei lavori - avviati ieri, 16 gennaio – che, scrive Francesco, si svolgono in un “clima di instabilità internazionale molto preoccupante”.

Davanti agli occhi c’è infatti “un mondo sempre più lacerato, in cui milioni di persone - uomini, donne, padri, madri, bambini - i cui volti sono per lo più sconosciuti, continuano a soffrire, non da ultimo per gli effetti di conflitti prolungati e di guerre vere e proprie”. Queste sofferenze - rimarca il Papa, ripetendo la stessa riflessione condivisa con il Corpo Diplomatico nell’udienza del 9 gennaio – sono aggravate dal fatto che “le guerre moderne non si svolgono più solo su campi di battaglia ben definiti, né coinvolgono solo i soldati”.

In un contesto in cui sembra non essere più rispettata la distinzione tra obiettivi militari e civili, non c'è conflitto che non finisca in qualche modo per colpire indiscriminatamente la popolazione civile

Affrontare le ingiustizie alla base dei conflitti

Speranza del Papa è che le discussioni durante l’evento a Davos tengano conto della “urgente necessità di promuovere la coesione sociale, la fratellanza e la riconciliazione tra gruppi, comunità e Stati, per affrontare le sfide che abbiamo davanti”.

Prima tra queste sfide è la pace. Quella a cui i popoli anelano “non può che essere frutto della giustizia”, afferma il Pontefice. Di conseguenza, per raggiungerla non serve solo “mettere da parte gli strumenti di guerra”, bensì “affrontare le ingiustizie” alla base dei conflitti. Anzitutto la fame, “che continua ad affliggere intere regioni del mondo, mentre altre sono segnate da un eccessivo spreco di cibo”.

Lo sfruttamento delle risorse naturali continua ad arricchire pochi, lasciando intere popolazioni, che sono i naturali beneficiari di queste risorse, in uno stato di indigenza e povertà

Come ignorare poi “il diffuso sfruttamento di uomini, donne e bambini costretti a lavorare per bassi salari e privati di reali prospettive di sviluppo personale e di crescita professionale”? 

Modelli di globalizzazione lungimiranti ed eticamente validi

Tali fenomeni non riguardano solo alcuni Paesi ma il mondo intero perché, sottolinea Papa Francesco, il processo di globalizzazione ha ormai dimostrato chiaramente “l’interdipendenza delle nazioni e dei popoli del mondo”. E questo ha “una dimensione fondamentalmente morale, che deve farsi sentire nelle discussioni economiche, culturali, politiche e religiose che mirano a plasmare il futuro della comunità internazionale.”

In un mondo sempre più minacciato dalla violenza, dall’aggressività e dalla frammentazione, è essenziale che gli Stati e le imprese si uniscano nella promozione di modelli di globalizzazione lungimiranti ed eticamente validi, che per loro natura devono subordinare la ricerca del potere e del guadagno individuale, sia esso politico o economico, al bene comune della nostra famiglia umana, dando priorità ai poveri, ai bisognosi e a coloro che si trovano nelle situazioni più vulnerabili.

Il ruolo di imprese e finanza

Il Papa concentra infine lo sguardo sul mondo delle imprese e della finanza che oggi operano in contesti economici sempre più ampi, dove “gli Stati nazionali hanno una capacità limitata di governare i rapidi cambiamenti delle relazioni economiche e finanziarie internazionali”. Proprio per questo motivo le imprese devono essere “sempre più guidate non solo dalla ricerca di un giusto profitto, ma anche da elevati standard etici”, soprattutto nei confronti dei Paesi meno sviluppati che “non dovrebbero essere alla mercé di sistemi finanziari abusivi o usurari”.

Sviluppo autentico e globale, pena il regresso in aree di progresso

Ciò che serve, secondo il Papa, è uno sviluppo “autentico” e “globale”, “condiviso da tutte le nazioni e in ogni parte del mondo”; pena “il regresso anche in aree finora segnate da un costante progresso”. Allo stesso tempo, “è evidente la necessità di un’azione politica internazionale” che si concretizzi in “misure coordinate” proprio per perseguire efficacemente gli obiettivi di pace e sviluppo.

È importante che le strutture intergovernative siano in grado di esercitare efficacemente le loro funzioni di controllo e di indirizzo nel settore economico, poiché il raggiungimento del bene comune è un obiettivo che esula dalla portata dei singoli Stati, anche di quelli dominanti in termini di potenza, ricchezza e forza politica

Inoltre, scrive Papa Francesco, le organizzazioni internazionali sono chiamate a “garantire il raggiungimento di quell’uguaglianza che è alla base del diritto di tutti a partecipare al processo di pieno sviluppo, nel rispetto delle legittime differenze”.

Riprendere lotte e conquiste del passato

Da qui l’invito ad ogni nuova generazione a “riprendere le lotte e le conquiste delle generazioni passate, puntando sempre più in alto...”. Perché “la bontà, insieme all’amore, alla giustizia e alla solidarietà, non si raggiungono una volta per tutte, ma devono essere realizzate ogni giorno”.

Fonte: Vatican News

Ho provato a riflettere sui dieci anni di pontificato di Papa Francesco e soprattutto adesso, alla vigilia di un capitolo, come Papa Francesco può aiutare i missionari. Scrivendo e ripensando agli atteggiamenti missionari di Papa Francesco mi sono venuti dieci punti, un possibile decalogo che potremmo anche collegare a un altro, frutto della riflessione missionaria di Mons. Castro, che anni fa aveva scritto il decalogo missionario di Giuseppe Allamano.

1. La missione è al centro dell’annuncio della chiesa. Cuore e fondamento di tutto. Papa Francesco ci ha aiutato a recuperare il cuore di tutto quel che significa essere chiesa, se la chiesa non è missionaria non è chiesa. Noi come missionari questo l’abbiamo sempre predicato ma forse per la prima volta e in modo così chiaro e diretto un papa lo dice. Lui ci sta ricordando l’essenziale e il carisma che abbiamo.

2. La periferia è al centro. Papa Francesco sicuramente ha il merito di dare spazio alle periferie, alle periferie umane e non soltanto geografiche. Le porta al centro dell’attenzione della chiesa e questo è qualcosa di grande anche per noi. Per esempio, nel cammino di preparazione al Capitolo abbiamo visto che in qualche occasione l’eccessiva preoccupazione per il tema economico ci può far dimenticare il motivo per cui siamo nati, quindi la preoccupazione per gli ultimi, i più abbandonati, i poveri. è importante questo richiamo che il Papa ci fa... la periferia è il centro della chiesa e del vangelo. Non può essere il contrario. Se con il capitolo vogliamo rivisitare il nostro carisma e la nostra identità questo è un aspetto importante che non possiamo dimenticare. I missionari Ad Gentes dovranno essere sempre in prima linea nelle periferie.

3. I poveri sono i protagonisti della missione e della chiesa. Questo il Papa lo dice sempre anche se non è facile realizzarlo. Una Chiesa e un Istituto in uscita al primo posto non devono mettere al centro le sue preoccupazioni ma le preoccupazioni dei poveri. Non si tratta soltanto di fare qualcosa per i poveri o vivere con i poveri ma vivere insieme ai poveri.

4. La missione è da realizzare insieme ed è quella di Gesù. Non siamo noi i protagonisti della missione ma è Gesù e la missione non si fa da soli ma si fa insieme. Sono due parole fondamentali che stanno dietro la rivitalizzazione sulla quale abbiamo lavorato in questi anni. Se non ci convertiamo dentro e non ci convertiamo a Gesù Cristo... che missionari siamo? E tutto lo dobbiamo fare insieme. Nei nostri documenti appare in continuazione che abbiamo uno stile spesso molto individualista... di questo dobbiamo convertirci perché, oggi più che mai, la missione va fatta insieme e in nome di Cristo, la missione è di Gesù, non la nostra.

5. Dare importanza a tutti, cominciando dai più piccoli e indifesi. Papa Francesco ha un grande dono, quella di mettere tutti a suo agio per poter dire la propria, ogni genere di persone. Tutti con lui hanno uno spazio, spesso chiama persone che non si aspettano una telefonata del Papa, è disposto a incontrarsi con tutti e a tutti fa capire che sono importanti. Questo è fondamentale anche per noi. Nella memoria di tante persone che hanno conosciuto il Fondatore si ricorda che lui era assolutamente e totalmente presente a ogni incontro, al centro sempre la persona con la quale lui si trovava, chiunque lui fosse.

6. La riforma della chiesa si comincia da fuori e non da dentro. Papa Francesco ha capito che cominciare una riforma in Vaticano era un po’ come perdere tempo e allora ha cominciato a muovere la chiesa dalle periferie, da fuori, dalla sinodalità che implica l’impegno di tutti... cose che poi si riversano positivamente all’interno e anche nelle sfere può alte. Mi pare interessante questa prospettiva.

7. Non possiamo adagiarci sul fatto che “si è sempre fatto così”. Papa Francesco questo l’ha predicato molte volte e in tutti i modi. È una frase rivoluzionaria e lo ancora di più se pensiamo che viene da un Papa che oggi ha già una certa età. Nella Chiesa, nell’Istituto, nelle comunità e anche nella nostra vita personale spesso andiamo avanti un po’ per inerzia, perché abbiamo fatto sempre così. Un capitolo deve interrogare profondamente queste dinamiche se si presentano nella vita di un Istituto.

8. Francesco ha messo l’onestà e la trasparenza al primo posto. Non parla da Papa o con una autorità che possa nasconde i problemi che ci sono, è una persona assolutamente onesta e trasparente e vuole che anche la chiesa sia così, disposto ad accettare con umiltà tutte le conseguenze del nostro peccato. Nelle Conferenze Pre-Capitolari l’ho detto molto spesso. Dobbiamo avere chiara la nostra visione e la nostra missione ma senza nascondere o occultare i problemi che fanno parte della nostra storia attuale. Per cambiare dobbiamo riconoscere i problemi; un capitolo non servirebbe a niente se non è una occasione anche per dirci i problemi con onestà e trasparenza. Questo è stato detto anche del Fondatore, un uomo coerente e integro.

9. La missione è affidata anche a noi, persone consacrate per la missione. La qualità dei protagonisti della missione è evidente nell’insegnamento di Papa Francesco. Anche noi non dovremmo essere degli “zitelli” dediti alla missione, persone amorfe o mediocri, ma siamo dei consacrati per la missione, e questo lo dicono chiaramente anche le nostre Costituzioni. Non sarà certamente facile, faremmo magari molta fatica a vivere sempre con quella qualità che la missione richiede, ma verso quello siamo invitati a camminare.

10. La gioia della missione. Vediamo un papa che ha dei problemi, che ha l’onestà di affrontarli, ma poi lo si vede sprizzare gioia da tutti i pori. Contento della scelta che ha fatto, della vocazione che ha, della vita che vive... e questo è una cosa importante per tutti e con maggior ragione per dei missionari. A volte ci troviamo con delle persone che non sai come fare per ricaricarle. Invece dobbiamo essere missionari contenti della nostra vocazione senza tanti rimpianti e senza tanti piagnistei. Missionari gioiosi ed entusiasti della nostra vocazione alla missione.

* P. Stefano Camerlengo è Superiore Generale dei Missionari della Consolata

10 comandamenti missionari di Giuseppe Allamano

Sono passati dieci anni da quel momento indimenticabile in cui il nuovo Vescovo di Roma chiese a quello che sarebbero stati suoi parrocchiani di pregare per lui prima di impartire la sua benedizione alla città e al mondo.

Francesco è un papa argentino, gesuita e con il nome del santo di Assisi. È un papa di molte "prime volte", che ha invitato a “fare casino”, che sogna una primavera ecclesiale e pontificia. Parlare di questo papa significa molto spesso tessere un “noi” perché la sua eredità mette in movimento molte persone e intreccia tante storie come le fibre che formano un cesto.

E a proposito dell’Amazzonia? Cosa è cambiato tra il 2013 e il 2023 per quanto riguarda l'evangelizzazione delle persone che occupano questo spazio che è garante della vita della nostra grande Casa Comune? Penso che potremmo riassumere tutto questo in 10 punti:

 1. Nuovi percorsi

L'Amazzonia non è solo il cuore biologico del pianeta. È anche un laboratorio ecclesiale di esperienze in cui si stanno cuocendo al fuoco sacro del Vangelo nuovi modi di incarnare la buona notizia del Regno di Dio e di muoversi verso un'Ecologia Integrale, come ha proposto l'Assemblea del Sinodo dei Vescovi per la regione panamazzonica.

La dimensione locale e regionale del camminare insieme nell’Amazzonia ha avuto e avrà profonde implicazioni universali in aspetti che toccano la vita di chiesa, la pastorale, la cultura e l’ecologia del nostro Pianeta blu. 

2. Cultura dell'incontro

Coerentemente con la sua personale forma di intendere la chiesa che deve essere missionaria, aperta, non autoreferenziale e più simile a un ospedale da campo che a un castello medievale, Papa Francesco ha optato per le persone più fragili e vulnerabili, quelle che abitano uno dei biomi più minacciati della Terra.

I popoli amazzonici sono a serio rischio di estinzione a causa dei cambi climatici e dell’occupazione delle loro terre che li rende vittime di predazioni di ogni tipo con forti indici di discriminazione ed esclusione. Proprio con queste comunità ancestrali il Papa ha stabilito un canale di dialogo, valorizzando la loro saggezza, riconoscendo la loro dignità e promuovendo scenari per rendere visibili le loro particolari interpretazioni del mondo. 

3. Ascoltare la biodiversità

Il famoso metodo pastorale "vedere, giudicare, agire" è stato valorizzato dalla dinamica "ascoltare, discernere, rispondere". Il significato del cammino sinodale è precisamente quello di "camminare assieme" verso quelle periferie geografiche ed esistenziali dei luoghi che abitiamo. Nel caso esemplare dell'Amazzonia contempliamo le meraviglie della creazioni e ascoltiamo amorevolmente i vari gruppi etnici nel quali Dio si compiace e si rivela.

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4. Territori che parlano

Precisamente per la sua varietà etnica e culturale l'Amazzonia non è una “natura” senz’anima o un deposito di "risorse naturali"; non è una dispensa che rifornisce il consumo malsano delle società industrializzate; non è una massa forestale che svolge la funzione di mitigare l'impatto dei gas serra.

Dio, uno e trino, preziosa comunità di amore infinito (Laudato Sii 246), naviga, cammina e abita anche la foresta; in Lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo. Grazie all’impegno di tante persone, del papa, delle chiese locali amazzoniche, questa immensa regione è passata da "periferia" a "centro" non solo a livello socio-economico e politico, ma anche in una prospettiva spirituale e teologica. L'Amazzonia è un santuario, una cattedrale, una basilica, dove ogni Eucaristia viene celebrata anche sull'altare del mondo e della storia e dove tutto diventa condivisione: la manioca, la fauna, la flora, i sogni, il cielo e il suolo.

 5. I quattro grandi sogni

Papa Francesco, come San Giuseppe, é al servizio dei sogni del Dio che custodisce la vita, dà nome alla salvezza e libera da ogni male e pericolo. Quando, in “Querida Amazonia”, propone i suoi quattro sogni (sociale, culturale, ecologico ed ecclesiale) non usa solo un linguaggio tecnico, ma anche poesia e immagini simboliche, per suggerire che il sogno ecclesiale va sempre di pari passo con i sogni sociali, culturali ed ecologici. Una Chiesa dal volto amazzonico sarà possibile solo vivendo un'ecologia integrale e una visione sacra del territorio dove i riti sono in armonia con i miti, la scienza con la coscienza, la credenza con la coerenza. 

6. Ciò che è amato

Il Sinodo dell'Amazzonia non ha prodotto solo un messaggio ma tutto un processo e un modo di fare chiesa in cui il recupero della relazione affettiva con il territorio è fondamentale. Tutti assieme come chiesa, in rete, cerchiamo di "amazzonizzare" la Chiesa, la società e lo Stato. Non si tratta evidentemente di fare assumere a tutti una identità amazzonica: sappiamo che esistono molte altre culture. Ma dall’Amazzonia vogliamo imparare a vivere sobriamente, in armonia, senza distruggere l'habitat e scoprendo in esso la presenza sacra.

L'Amazzonia non è un oggetto ma un soggetto; è un tutt’uno connesso; è la nostra casa comune.

 7. Un'arca multicolore

Grazie alle pioniere Reti Ecclesiali Territoriali di Ecologia Integrale, l'Amazzonia ha ispirato una mistica che ci porta a vivere la missione evangelizzatrice della Chiesa in modo sinodale. Nell’Amazzonia è nata la REPAM (Rete ecclesiale pan-amazzonica) ma dopo di lei sono venute al mondo la Rete Ecclesiale Ecologica del Mesoamerica), la Rete Ecclesiale del Gran Chaco e dell'Acquifero Guarani), la REBAC per il bacino del Congo, la RAEON in Asia e Oceania.

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8. Narrazione della conversione personale

Se l’evangelizzazione oggi va di pari passo con la lode, come ci insegna la Laudato Sii, non c'è modo di lodare il Signore senza rendere amazzonico e fraterno, secondo i criteri della Fratelli Tutti. Nella vita e la testimonianza cristiana assumono un ruolo importante, oltre alla cura di se stessi e degli altri esseri umani, anche quella di tutte le altre creature che sono nostre sorelle perché provengono dalla mano amorevole del Creatore.

Lo stesso Papa Francesco ha confessato che, durante la Conferenza dei Vescovi dell'America Latina e dei Caraibi svolta ad Aparecida (2007), gli è stato difficile capire perché i vescovi brasiliani insistessero tanto sull'Amazzonia, fino a quando gli scienziati che lo hanno consigliato nella stesura della Laudato Sii e l'esperienza di contatto con la saggezza dei popoli nativi gli hanno fatto comprendere con il cuore il valore del bioma amazzonico e la proposta di vita buona che, da secoli, i custodi della foresta amazzonica hanno assunto.

9. Sfide al dialogo

Vivere insieme su un terreno comune dà anche il tono alle pratiche che favoriscono la pace e la non violenza. In modo simile a come San Francesco d'Assisi cercò il sultano musulmano Al Kamil ai suoi tempi, Francesco, il Vescovo di Roma, ha cercato il dialogo con altre fedi e spiritualità. Questo atteggiamento rappresenta un'enorme sfida per migliorare la comunicazione tra la chiesa, le altre confessioni cristiane, i governi, i popoli che rimangono nascosti in un isolamento volontario, gli scienziati e gli accademici.

Con crudo realismo, dobbiamo assumere che la Dottrina sociale della Chiesa da sola non trasforma la realtà. Essa richiede processi pastorali inculturati che si manifestano in comunità piene di vita.

10. Traboccante misericordia

Il nonno bianco, come alcuni abitanti dell'Amazzonia chiamano Papa Francesco, ha costruito un ponte di dialogo tra le generazioni.  Da buon pontefice - cioè da costruttore di ponti - si è preoccupato di rivendicare il valore degli anziani, così emarginati nella civiltà occidentale. Questo è particolarmente significativo per le culture amazzoniche, perché convalida un aspetto fondamentale del loro modo di vivere e propone un cambiamento di paradigma nelle relazioni interpersonali.

Alla base di questo modo di percepire il mondo c'è l'esperienza di un Dio traboccante di misericordia e amore che ci invita a ripristinare i sacri legami di fratellanza e a vivere la gioia della comunità.

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Dopo anni le parole pronunciate da Papa Francesco a Puerto Maldonado in Perù e alla presenza dei popoli originari dell’Amazzonia, quando è stato compiuto il primo passo sinodale, sono ancora straordinariamente attuali: "Amate questa terra, sentitela come vostra. Annusatela, ascoltatela, ammiratela. Innamoratevi di questa terra, Madre di Dio, impegnatevi e curarla e difenderla. Non usarla come un semplice oggetto usa e getta, ma come un vero tesoro da godere, da far crescere e da trasmettere ai vostri figli. Ci affidiamo a Maria, Madre di Dio e Madre nostra, e ci mettiamo sotto la sua protezione. Dio onnipotente, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo vi benedica".

* Alirio Cáceres Aguirre è un diacono permanente, eco-teologo, manager ambientale ed educatore. Articolo pubblicato in REPAM.

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