Pime: “È tempo che il Brasile guardi alla sua missione nel mondo”

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Riaffermazione delle periferie, geografiche e culturali (Amazzonia in primis), come priorità del futuro; scelta di concentrarsi sull’animazione missionaria della Chiesa locale; unificazione in una sola regione d’Istituto delle tre oggi esistenti (due in Amazzonia e una al sud). Questi, in sintesi, i tre risultati principali di un evento – la «Panbrasiliana» – che ha visto riuniti nella capitale del Brasile, per cinque giorni, a fine gennaio, un centinaio di missionari del Pime, a settant’anni esatti dall’arrivo dei primi membri dell’Istituto nel paese.  

Era il lontano dicembre 1946, infatti, quando tre missionari del Pime - Attilio Garré, proveniente dalla Cina, Aristide Pirovano e Giuseppe Maritano - sbarcavano nel porto di Santos. Di lì ad alcuni anni gli ultimi due sarebbero diventati vescovi di Macapá, nell’Amazzonia brasiliana.  

Già, perché nei primi decenni di presenza nella «Terra di Santa Croce» il Pime si concentrò soprattutto nell’istituzione della Chiesa locale, con la fondazione di nuove diocesi e l’apertura di parrocchie e strutture pastorali in varie parti del Brasile (São Paulo, Paraná, Amazonas, Amapá, Rio de Janeiro, Pará Santa Catarina, Mato Grosso do Sul, Minas Gerais e, da ultimo, Sergipe). Col tempo, accanto a questo tipo di impegno se n’è gradualmente affiancato un altro, strettamente legato al Dna dell’Istituto e che in futuro diverrà prevalente: la formazione di vocazioni missionarie e la spinta in direzione dell’ad gentes della Chiesa locale. Se oggi il Brasile è diventato uno dei giganti del mondo – questa l’idea – non può non diventare uno dei Bric anche in campo missionario, con un’ottica finalmente «globale». 

La parabola sopra descritta non è esclusiva del Pime, ma sintetizza quel che è accaduto (in Brasile ma non solo), a diversi istituti missionari che si sono trovati, sotto l’urgenza della storia, a ridefinire il loro ruolo e i loro compiti, una volta terminato il periodo della «plantatio Ecclesiae». Tra l’altro, nel caso del Pime (ma vale anche per altri istituti «cugini») il gruppo dei missionari della prima ora era pressoché esclusivamente italiano, mentre oggi non è più così: un quarto dei presenti all’assemblea di Brasilia, infatti, proveniva dal Brasile, oltre che da continenti extraeuropei.  

Un cambiamento epocale, come ha sottolineato il superiore generale, padre Ferruccio Brambillasca. Cambiamento sancito dal fatto che, ormai non da ieri, diversi membri brasiliani del Pime operano nella missione ad gentes in continenti diversi da quello di origine.  

Un esempio significavo, in questo senso, è quello di monsignor Pedro Zilli, vescovo brasiliano del Pime a Bafatá, in Guinea Bissau, che a Brasilia ha portato la sua apprezzata testimonianza. Zilli non è che la punta di un iceberg, se è vero che la Chiesa del Paraná, nel sud Brasile, ha stretto un gemellaggio con quella di Bafatá, inviando laici e sacerdoti e di recente ha lanciato l’iniziativa delle «20mila Bibbie per l’Africa»: uno dei segni profetici che fa della Chiesa una «comunione itinerante», come ha sottolineato nella prolusione ai lavori della Panbrasiliana il cardinale Claudio Hummes, presidente della commissione episcopale per l’Amazzonia, che ha delineato alcune direttrici importanti per il futuro, sulla base della Evangelii Gaudium e sul documento del Celam di Aparecida.  

Non a caso all’incontro di Brasilia era presente il direttore delle Pontificie Opere missionarie locali, padre Camillo Pauletti, sacerdote diocesano brasiliano, con alle spalle un’esperienza missionaria in Mozambico e in Amazzonia. Ciò ha dato il segno esplicito della volontà del Pime di andare in direzione di un ancora maggiore inserimento dell’istituto nella Chiesa locale, per rendere quella che già oggi è una Chiesa ben strutturata e dinamica sempre più consapevole della sua responsabilità missionaria, anche fuori dai confini nazionali. 

Dalla Panbrasiliana, come detto, sono uscite le linee-guida per il lavoro del Pime nei prossimi decenni, che vede confermata, anzi accentuata, l’opzione preferenziale per i poveri, in linea con la sensibilità ecclesiale latinoamericana. Particolare attenzione, quindi, ai popoli indigeni e alle varie categorie di emarginati (carcerati, migranti, vittime di tratta, senza terra, tossicodipendenti...). 

Il Pime, inoltre, rafforzerà – come detto - l’impegno in Amazzonia (per il cardinale Hummes la «periferia delle periferie»). Ma non solo. Per evangelizzare le grandi metropoli, moderne Ninive, e una cultura sempre più secolarizzata sta per decollare un progetto - chiamato «Umanesimo integrale» – pensato per comunicare i valori del Regno nelle scuole e università, con un linguaggio «laico». 

 

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