Per un contributo a Voci dal Sinodo

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La tua esperienza personale nel Sinodo

È stata innanzitutto l'esperienza di un gruppo di lavoro molto stimolante, che rappresentava la diversità ecclesiale, diversità al contempo culturale e pastorale, ed era aperto all'esperienza di una riflessione comune. Al di là delle polarizzazioni pastorali, disciplinari o teologiche (ossia spesso rappresentanti l'ecclesialità) — in molti casi mediatizzate a tutto spiano — l'esperienza è stata che la « sinodalità » è un incessante generare comunione. E si può dire che all'origine di questo generare, si manifesta, appunto, il mistero della misericordia del Dio della Rivelazione biblica.

Al centro di questa ricca esperienza dell'universalità della Chiesa, c'è la consapevolezza ancor più viva della sfida dell'interculturalità all'interno della Chiesa, e di quella dell'ecumenismo in ambito cristiano, anche se mi è sembrato che fosse molto poco presente la problematica del dialogo del cattolicesimo con le Chiese evangeliche.

È stata anche un'esperienza che ha suscitato in me personalmente una certa insofferenza di fronte a questioni di metodo che dovrebbero essere seriamente affrontate. E, di conseguenza, il sogno che possa essere realizzata la volontà del Papa di promuovere la sinodalità a tutti i livelli della Chiesa. Mi sembra che l'esperienza capitolare che facciamo nei nostri Istituti potrebbe dare un contributo: un lavoro di preparazione che fornisce all'assemblea elementi di riflessione e identifica con cura le questioni da trattare; un metodo d'interazione nel dialogo e nella riflessione (e non solo la sovrapposizione di parole individuali o di resoconti di lavori di gruppo, ma metodi di elaborazione di posizioni comuni con il massimo della trasparenza possibile; procedure chiare per propone ed esaminare gli emendamenti; tappe precise per la valutazione e il controllo delle decisione prese ...). Ciò suppone la possibilità da parte nostra di trasmettere, come dopo il Sinodo sull'evangelizzazione, elementi della nostra valutazione e delle tematiche da noi proposte (nell'incontro dei religiosi e delle religiose al Sinodo abbiamo per esempio ricordato : la sinodalità a diversi livelli, il follow up degli orientamenti presi, il governo nella Chiesa e la partecipazione dei laici, i diversi tipi di abuso, la tensione tra dottrina e disciplina ...).

 

Un altro punto : la preoccupazione nel vedere la Chiesa polarizzarsi. In alcuni casi mi sono rammaricato nel vedere ostentate alcune opposizioni: dottrina / pastorale, disciplina / accompagnamento, misericordia / freddo rigore ... Ho avuto più volte l'impressione che se si dedicasse più tempo ad argomentare, da un punto di vista teologico (tenendo dunque conto della storia), le questioni dibattute, sarebbero tutti più liberi nel dialogo. Questa libertà mi sembra essenziale se si vuole evitare che i fedeli siano abbandonati all'arbitrarietà dei pastori o degli operatori pastorali. Alcune posizioni e aperture nella Relatio finale sono, a mio parere, molto promettenti, ma allo stesso tempo lasciano molto spazio al « discernimento » delle situazioni: chi valuterà se quel discernimento è davvero al servizio delle persone e della comunione ?

Come spesso succede quando la Chiesa si esprime, rischiamo di avere uno sguardo troppo negativo sulle culture, sul mondo, sulle realtà— con la pretesa di poterci pronunciare su qualsiasi questione (e si poteva notare, alla lettura della Relatio dell'anno scorso, un rischio di

approssimazione che toglie credibilità)... L'impressione, dunque, che si parli « accanto » ad un mondo al quale si vorrebbe parlare, invece di un mondo nel quale si vorrebbe essere in conversazione. E infine un mondo che non viene guardato con molta benevolenza e fiducia. E del quale non ci si aspetta che sia veramente un luogo teologico, l'occasione di progredire insieme, con la lettura dei segni dei tempi, in un' intelligibilità teologica, e dunque in una teologalità più profonda della pratica.

 

Il punto nodale del Sinodo secondo te

La rilettura di queste tre settimane mi spinge a dare molta importanza alla nozione di Vangelo della famiglia: la famiglia come buona novella in questo mondo e nella Chiesa — da questo punto di vista è opportuno sottolineare la continuità con il Sinodo sull'evangelizzazione (ma in questo caos bisognerebbe insistere anche su una comprensione della Chiesa che, facendosi conversazione, al suo interno e con gli altri, esprima il suo essere « sacramento della salvezza »: ossia proponendo, attraverso l'integrazione nel suo mistero di comunione, di essere con tutti generati nella misericordia per il mondo).

In qualche modo siamo forse stati « accecati » da alcune questioni difficili (e forse nemmeno quelle più pregnanti nella vita delle famiglie) che hanno dominato gli scambi e — per questo? o per influenza reciproca ? — la comunicazione sul Sinodo (con il rischio di non incontrare veramente le preoccupazioni dei fedeli e delle persone): coppie separate, divorziati risposati, difficoltà ad accettare in «economia cristiana» alcuni mutamenti culturali ... Per esempio, sono state affrontate molto poco alcune grandi preoccupazioni delle famiglie: l'educazione dei figli, la solidarietà incondizionata, le rotture e i conflitti all'interno delle famiglie, i mutamenti nell'interazione tra genitorialità e filiazione, l'articolazione contemporanea tra fraternità e attaccamento all'identità, il confronto con la dimensione tragica, il maturare dell'uomo attraverso il fallimento ...

Si può però ipotizzare che se le questioni « dominanti » sono state importanti nei dibattiti

è perché sono paradigmatiche in questo momento preciso della vita della Chiesa.

In effetti queste questioni posso essere interpretate da diversi punti di vista :

esse indicano situazioni pastorali senza via d'uscita, che lo sono anche nel dispiegarsi della dimensione pastorale della dottrina: il paradigma non funziona più, e si potrebbe ipotizzare che sia l'annuncio di un cambiamento di paradigma, una « rivoluzione scientifica » ?

ma se così è, non si tratta di portare soluzioni puntuali (per lo meno non in modo duraturo, per evitare un approccio disciplinare che assuma un'eccessiva pregnanza — anche se è per dispensare ed evitare che gli individui siano troppo assoggettati all'arbitrarietà dei pastori): ne deriva la necessità di pensare nuovamente l'equilibrio della dottrina sacramentaria e la sua articolazione con la pastorale ;

inoltre, in un approccio che sia troppo « particolare», il rischio è di dare una grandissima importanza al polo che « amministra » la misericordia, mentre si dovrebbe consolidare la consapevolezza di una « comunione » che generi nella misericordia, trascinando nella propria economia la vita concreta delle persone (dei credenti e, con loro e tramite loro, delle persone) in una trasfigurazione teologale.

Si è potuta notare questa difficoltà nelle discussioni sulla coscienza morale e sul suo ascolto della Parola della rivelazione e della legge morale: poco spazio è dato all'incertezza, all'affrontare il dubbio di fronte alla dimensione tragica dell' esistenza.

Ma se così è, ci vuole contemporaneamente una riflessione esigente su cosa comporta l'affermare che la Chiesa è « sacramento della salvezza », il che porterebbe d'altronde a non « strumentalizzare» la misericordia (o la grazia) ma a considerarla nel suo essere la vita di Dio, questa vita che « dalle viscere» genera l'umanità nella sua piena capacità di filiazione.

Vuol dire dunque sottolineare che è importante considerare l'insieme delle sfide della famiglia, e dei mutamenti culturali.

Secondo me, dunque la questione nodale di questo Sinodo è stata quella dell'ecclesialità, di una teologia della comunione, attraverso la quale si tratta, per i credenti, di far sentire la buona novella del mistero della salvezza, che assume le realtà del mondo per portarle nel mistero della passione/resurrezione di Cristo. Le famiglie sono, da questo punto di vista, i luoghi di mediazione, gli « spazi transizionali ». In questo le famiglie sono una « buona novella » nel mondo, sono le prime « evangelizzatrici ».

Se così è, è essenziale tener conto del fatto che, nella Chiesa, le tensioni del mondo operano per il bene e per mettere a dura prova. È dunque essenziale superare la tentazione di credere che si possa progredire in comunione esacerbando le tensioni intraecclesiali. Come promuovere dunque la convinzione che abbiamo in comune la dignità di una stessa capacità di comunione ?

 

Il Sinodo e l'USG

Da questo punto di vista, la tradizione « comunitaria » di molte tradizioni di vita consacrata, in diverse forme, potrebbe essere uno stimolo per un simile lavoro.

Esperti in comunione ?

Penso che potrebbe essere il « filo rosso » della nostra riflessione comune.

 

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