Chiesa in uscita, reportage su vocazioni e religiosi nel mondo

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Quando parliamo di preti, sulla carta, l’Umbria è la regione che sta meglio: ogni mille abitanti, ha diritto a 0,80 sacerdoti. La media nazionale, cioè quella dei preti ogni mille abitanti, si attesta intorno allo 0,53. Poi, appena si alza la testa dalle statistiche e si rimettono i piedi, e gli occhi, sulla realtà, si comprende che la statistica parla bene e razzola male perché il “tasso favorevole” all’Umbria è dovuto alla scarsa popolazione (con la Basilicata, la terra di san Francesco è la regione con il minor numero di abitanti) e alla presenza di un clero anziano. Stiamo parlando dei preti diocesani. 

PRETI DIOCESANI

Nel 2015, il loro numero è sceso ulteriormente tanto da attestarsi sotto le 25.000 unità. A metà Novecento erano il doppio. In un prossimo e immediato futuro le cose andranno peggio anche per ragioni che nulla hanno a che vedere con motivazioni religiose: nel nostro Paese, dal 1993, il saldo demografico tra chi  muore e chi nasce è a vantaggio dei primi. E tra coloro che nascono, si registra una progressiva diminuzione di maschi, a venire al mondo sono in prevalenza bambine. Il trend si è mantenuto costante dal 1993 al 2013. E per la Chiesa, il sacerdozio è riservato ai soli maschi. 

Nel 2014, secondo l’Istat, hanno  di nuovo vinto i bambini: 253.269 maschietti contro 238.852 femminucce. Ma, come si dice, una rondine non fa primavera: difficile che, nei prossimi decenni, la «Chiesa in uscita» di papa Francesco troverà truppe pronte ad iniziare il viaggio.  

Quante divisioni ha il Papa in Italia? Meno di quanto si pensi. Cresce infatti nel nostro Paese la percentuale di parrocchie che, per mancanza di sacerdoti, restano senza prete. Nel migliore dei casi, vengono accorpate ad un’altra o, come capita e sempre più spesso capiterà, restano senza parroco e iniziano un lento declino, destinate per molti giorni a rimanere chiuse.  Le statistiche sono impietose: il 40% dei sacerdoti, che per pensionamento invalidità o decesso lasciano una parrocchia, non viene sostituito. In alcune regioni la situazione è drammatica: nelle Marche e in Piemonte il personale “in uscita” supera di tre volte quello dei confratelli “in entrata”.

Numericamente, quasi la metà del clero diocesano italiano è concentrato nel Nord Italia: in Lombardia e nel Triveneto, entrambe dotate di circa 5.000 sacerdoti, Piemonte ed Emilia Romagna con circa 2.500- 3000 presbiteri. Data però l’età media dei preti, nei prossimi 10 anni la Lombardia subirà una flessione del 20% delle proprie forze ministeriali mentre in Piemonte, con un clero mediamente prossimo ai 67,7 anni di età media, la flessione sarà almeno del 40%. Per mantenere inalterato l’attuale numero di parrocchie dei loro rispettivi territori, data la latitanza di nuove vocazioni, i preti piemontesi dovrebbero esercitare il ministero attivo per 108 anni dopo la loro ordinazione, mentre quelli marchigiani dovrebbero “tenere duro” per 118 anni di sacerdozio ministeriale.

L’Italia delle vocazioni sacerdotali vede in Basilicata e Calabria le regioni più fertili, seguite da Abruzzo, Puglia e Liguria. Quelle dove sembra aver perso ogni attrattiva esistenziale per le nuove generazioni risultano Sardegna, Piemonte, Emilia-Romagna e Toscana. Per strani e poco comprensibili motivi, ci sono regioni (Sicilia, Sardegna, Puglia, Lombardia) che anche se vivono situazioni di penuria pastorale, continuano ad esportare preti verso la Curia Romana e le strutture della Cei, mentre altre (come Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Abruzzo) scelgono di non inviare chierici a far carriera, e anzi preferiscono importarne da regioni e nazioni diverse.

RELIGIOSI

Anche il cielo sopra i conventi italiani dei frati e delle suore non annuncia per nulla il sereno: in meno di 20 anni, i frati sono passati da 30 a 20 mila e le suore da 154 a 89 mila. La loro età media vede il 46% di  ultrasettantenni”: espressione pudica per dire che le comunità, spesso ridotte a due/tre membri, vede novantenni e ottantenni “accompagnati”, spesso, da un “giovane” sessantenne. 

«Perché si lasciano invecchiare così tanto gli Istituti religiosi, Monasteri, Congregazioni, tanto da non essere quasi più testimonianze evangeliche fedeli al carisma fondativo? Perché non si provvede ad accorparli  prima che sia tardi sotto tanti punti di vista? ». Le domande sono state poste da papa Francesco ai vescovi della Conferenza Episcopale Italiana il 18 maggio del 2015, alla fine della loro assemblea plenaria.

Per il momento, le risposte latitano, ma anche in questo campo, la parola che aleggia in tutta la Penisola, dalle Alpi alla Sicilia, è sempre una sola: “ridimensionamento”. Negli anni Settanta, i missionari italiani sparsi nel mondo erano 22.000. 

Nel 2015, erano meno di 5.000, anch’essi molto avanzati in età e fortemente intenzionati a morire nelle Terre dove hanno testimoniato il Vangelo per lunghi decenni. I grandi seminari missionari italiani che, subito dopo il Concilio pullulavano di vocazioni pronte a portare il Vangelo fino agli estremi confini della Terra, sono diventati ormai delle grandi case di riposo e di cura. Tuttavia, il Papa, Pietro, indica alla Chiesa di “andare oltre”.

Dove e come, prima o poi, ce lo dirà lo Spirito. 

Fonte: sanfrancescopatronoditalia.it

 

Last modified on Sunday, 07 February 2016 14:36

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