“Ai politici che, come Salvini, dicono “rimandiamoli a casa” chiederei di venire qui, di stare tra i migranti un giorno o due, di osservare i lividi, le ferite e poi tornare a parlare guardandoli negli occhi”: suor Teresina Santin , missionaria scalabriniana, una vita tra i migranti, parla chiaro e duro, senza mai perdere la calma.
La MISNA l’ha contattata a Siracusa, dove assieme a due consorelle e il sostegno della diocesi locale, assiste i migranti che sopravvivono ai viaggi sulle ormai tristemente note ’carrette del mare’. Una presenza missionaria “non tanto per essere in prima linea, ma per abitare nella Chiesa locale, con il popolo siracusano e con i migranti – racconta – perché è vero che chi lascia tutto e parte, o addirittura porta con sé in viaggi terribili i propri cari, è alla disperazione. Ma significa anche che ha una gran fiducia e un amore per la vita vissuta con dignità”.
Dignità è una parola che riaffiora spesso nella conversazione con questa missionaria, che prima di Siracusa si è occupata di accogliere i migranti alla frontiera tra Brasile, Paraguay e Argentina e poi ancora in Africa.
“Sono diventata un po’ migrante anche io” scherza, anche se ammette che oggi “è un giorno difficile reso più duro dal fatto che arrivano notizie di nuove vittime migranti, dall’Austria alla Libia”.
Come tutti gli operatori umanitari in prima linea per gestire l’accoglienza e gli sbarchi in Sicilia, anche lei ci conferma che la maggior parte degli arrivi, qui, sono costituiti da cittadini sub-sahariani, eritrei, sudanesi, egiziani, gambiani e nigeriani. I siriani, gli afghani – ormai è noto a chi segue i flussi migratori con attenzione - preferiscono altre rotte, meno pericolose anche se più care.
“Chi parte dalla Libia è esposto ad ogni sorta di pericolo. Dalle violenze agli stupri e come se non bastasse, è oggetto di razzismo. La loro vita vale in base a quello che pagano, per i trafficanti, e loro sono quelli che pagano di meno” dice. “La scorsa settimana un gruppo di ragazze mi ha detto: siamo felici perché noi non siamo state violentate. I nostri amici ci hanno protetto. La gioia sui loro volti era indescrivibile, poiché è una forma di tortura a cui pressoché nessuna sfugge”.
Ma le storie di chi è sopravvissuto al viaggio sono fatte per la maggior parte di paura, botte, violenza.” A volte passano giorni prima che una persona riesca a parlare o a raccontare cosa gli è successo – dice la religiosa – Ma anche sopravvivere a chi non c’è più è dura e vedere gli occhi che luccicano di chi ce l’ha fatta, il sorriso timido quando capiscono di essere in salvo è una gioia senza prezzo”.
Le missionarie si occupano anche di insegnare l’italiano e aiutare i migranti a inserirsi nel contesto sociale: “La parte più facile forse è all’arrivo, quando sono tutti lì. Poi il tempo passa e questa gente viene dimenticata, abbandonata a sé stessa. È lì che la nostra azione diventa più importante”.
Oltre a Siracusa, le scalabriniane, suore missionarie di San Carlo Borromeo, gestiscono altri due centri d’accoglienza, a Lamezia Terme e Reggio Calabria. “Noi non facciamo differenza tra migranti e rifugiati, la cosa non ci riguarda. Per noi sono solo persone che hanno bisogno del nostro aiuto. Seguiamo la parola di Gesù: Ero straniero e mi avete accolto”.