Da Istanbul ad Assisi, dervisci rotanti nella culla del francescanesimo

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Lascia oggi l’Italia, per rientrare in Turchia, un’insolita comitiva composta da una dozzina di uomini, per metà frati francescani e per metà musulmani dervisci. Due gruppi distinti, accomunati da un’amicizia duratura, resa possibile dalla presenza a Istanbul dei sei religiosi della Fraternità francescana internazionale per il dialogo ecumenico e interreligioso. Legami che affondano le radici in alcuni aspetti comuni del messaggio dei due mistici – praticamente contemporanei – che furono all’origine delle rispettive esperienze religiose: Jalâl âlDîn Rûmî (anche noto come Mevlana, 1207-1273) e Francesco d’Assisi (1181-1226).

Anche per questo ai frati di Istanbul è parso naturale invitare un gruppo di dervisci, guidato dal maestro Nail Kesova a venire in Italia, per recarsi ad Assisi, culla del francescanesimo. Il breve viaggio non poteva che partire da Roma, dove i dervisci hanno anche preso parte il 15 aprile all’udienza generale di Papa Francesco in piazza San Pietro.

La sera prima uno speciale momento di preghiera interreligiosa si era svolto presso la Pontificia Università Antonianum. L’evento è stato replicato ieri sera, 17 aprile, alle 18 ad Assisi nel convento della Porziuncola a Santa Maria degli Angeli, come ideale conclusione del viaggio in Italia. Come ci spiega fra Marcelo Cisneros della comunità di Istanbul, la preghiera si è svolta nel refettorio antico del convento e si è articolata in tre distinte fasi: l’introduzione con alcuni brani eseguiti dai musicisti dervisci; poi la preghiera dei frati con testi e canti tratti dalla tradizione francescana; infine la preghiera danzante dei dervisci rotanti, secondo il rito del sema.

Nel testo che segue, fra Gwenolé Jeusset - un altro dei membri della comunità francescana di Istanbul già noto ai nostri lettori per la rubricaIslamo Christiana, che ha firmato per lungo tempo sul bimestraleTerrasanta – ci aiuta a meglio comprendere i punti di contatto tra le intuizioni del santo assisano e del mistico sufi.

Rûmi e san Francesco, due mistici fuori dal comune

Nato nel 1207 nel Khorasan, in Afghanistan, Jalâl âl Dîn Rûmi prende moglie nel 1226, l’anno in cui il Poverello d’Asssisi torna alla Casa del Padre. Pur non appartenendo alla stessa generazione, sono stati contemporanei per quasi vent’anni. È ciò che ho raccontato a un gruppo appena sbarcato a Istanbul insieme alla loro guida. Durante il giro, la guida turca ha rincarato la dose: Rûmi e Francesco, ha affermato, si sono incontrati. È così che sono nati i fioretti. Rimanendo più aderenti alla storia, è possibile scorgere dei punti in comune: in primo luogo il fatto che entrambi, ciascuno a modo suo, sono partiti all’incontro dell’altro.

Rûmi, da adolescente, vagò a lungo dal nativo Afghanistan fino all’attuale Turchia, attraverso la Persia, e deviando per la terra del Profeta. Il padre, noto per la sua cultura coranica, alla fine fu invitato dal sultano di Konya, il che consentì alla famiglia un po’ di stabilità nell’antica Iconio (citata negli Atti degli Apostoli), dove convivevano ebrei, cristiani e musulmani. L’uomo morì pochi anni dopo: Rûmi non aveva che 24 anni. Eppure fu a lui che chiesero di prenderne il posto. L’esodo spirituale di Rûmi - poeta, giurista, teologo musulmano, e mistico sufi - d’ora in poi sarà nelle sue amicizie, oltre i confini della propria fede.

Francesco d’Assisi è nomade per scelta. Raggiunge l’Egitto nel 1219, l’anno in cui la famiglia di Rûmi inizia a fuggire dalle orde mongole. Va verso quei musulmani di cui si dicevano cose tanto terribili. Ricevuto a Damietta dal nipote del Saladino, a partire dal suo cuore nutrito del Vangelo scopre una nuova via per la Missione, fatta di presenza e di rispetto. Deve aver pensato che la testimonianza del Vangelo può e deve essere vissuta gratuitamente fin nelle periferie della Chiesa, così care al primo Papa che porta il suo nome.

***

La preghiera e l’amore aprivano all’alterità il frate minore e il grande poeta. È stupendo constatare fino a che punto due mistici appartenenti a due mondi rivali condividessero, senza saperlo, valori comuni. Mi soffermerò su tre aspetti.

  1. Dio creò il mondo per amore

Francesco canta e danza la fratellanza con la natura e tra gli uomini: «Lodato sii, mio Signore, con tutte le tue creature, specialmente per messer fratello sole, il quale è luminoso e ci illumina. E lui è bello e radioso, pieno di splendore: di te, o Altissimo, è il simbolo. (…) Lodato sii, mio Signore, per quelli che perdonano per il tuo amore e che sostengono infermità e tribolazioni. Beati quelli che le sosterranno in pace perché da te saranno incoronati».

«Senza amore, il mondo sarebbe privo di vita», diceva Rûmi. Come i pianeti sono il simbolo della grandezza della creazione, folle di Dio si mette a danzare. Suo figlio organizzerà la confraternita dei discepoli rendendo in qualche modo sistematico il sema, il rito dei dervisci rotanti. La veste marrone abbandonata al momento della danza vuole significare l’abbandono dell’ego, mentre nell’abito bianco si sale verso Dio, un braccio al cielo per implorare la propria grazia e l’altro verso terra perché il discepolo non è un ricettacolo ma un canale verso la moltitudine dei fratelli, credenti o no. 

  1. La fratellanza al di là delle frontiere religiose

Una volta, Rûmi rientrò di notte dopo una giornata trascorsa fuori città. Passò vicino al monastero greco-ortodosso. Stupendosi di non vedere alcuna luce all’interno della chiesa, i vicini gli dissero che i monaci, ormai troppo poveri, non potevano più permettersi l’olio per le lampade. Si preoccupò subito, allora, di procurar loro il combustibile necessario. Visitava spesso i monasteri, e questo in modo particolare.

Francesco, tornato ad Assisi, è convinto che lo Spirito Santo suggerisca ad alcuni confratelli di partire e di andare a vivere tra i musulmani, e nella sua Regola aggiunge: «I frati poi che vanno fra gli infedeli, possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani...» (Regola non bollata XVI,5-6).

  1. Il gioioso passaggio della morte

Alcuni giorni prima del suo ritorno al Padre, Francesco aggiunge un’ultima strofa al Cantico di frate sole: «Lodato sii, mio signore per sorella morte, dalla quale nessun uomo vivente può sfuggire. Guai a coloro che moriranno in peccato mortale. Beati coloro che troverà nella tua santissima volontà perché la morte dell’anima non arrecherà loro danno».

Rûmi muore il 17 dicembre 1273; questo evento è chiamato «la notte di nozze». Si racconta che i musulmani di Konya dicevano di aver perduto il loro novello Maometto e che volevano seppellirlo da solo, ma gli ebrei e i cristiani protestarono perché avevano perso il loro Mosè e il loro Gesù. Non leggiamoci alcun sincretismo, ma solo la poesia orientale che esprime la venerazione per un essere fuori dal comune. Costui ha lasciato queste righe che fanno pensare che Dio, nella sua casa, non ha difficoltà a far danzare insieme degli esseri al di là di ciò che hanno colto del suo mistero: «Quando, il giorno della mia morte, porteranno la mia bara, non credere che piangerò su questo mondo. (…) Quando mi affiderai alla terra, non dire: Addio! Ciò che sembra un tramonto, in realtà è un’alba. (…) Quale seme fu piantato e non crebbe? (…) Quale secchio fu immerso nell’acqua senza uscirne tracimante? Poiché da questo lato la mia bocca è chiusa, la aprirò dall’altro, perché al di là dello spazio risuoni il mio grido di vittoria!».

Fonte Terrasanta.net 

 

Last modified on Wednesday, 22 April 2015 18:15

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