Le alture del Golan nuova frontiera dello scontro tra sunniti e sciiti

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Nella striscia delle alture del Golan che si incuneano tra Siria e Libano (l’area è occupata da Israele dal 1967, dalla guerra dei Sei giorni) si sta giocando una delle partite più delicate a livello planetario.

A metà dicembre si sono registrati nuovi spostamenti di truppe del Califfato, che premono nell’area di Quneitra, a ridosso della zona controllata da Israele. Tre gruppi jihadisti locali (Shuhada al-Yarmouk, le Brigate Abu Mohammed al-Tilawi e Bayt al-Maqdis), in lotta con il regime di Bashar al Assad nel Golan meridionale, hanno giurato fedeltà ad Abu Bakr al Baghdadi, il leader dello Stato Islamico. Il cui peso crescente, sul piano militare, avrebbe messo in grave difficoltà l’esercito regolare siriano ormai stretto tra due fuochi.

In soccorso delle truppe di Assad stanno dispiegandosi le forze degliHezbollah, che ormai da tempo sono attive anche in Siria e Iraq per contrastare il Califfato islamico (senza mai dimenticare la loro ragion d’essere essenzialmente anti-israeliana).

Per rafforzare il peso militare delle truppe pro-Assad nel Golan, accanto agli Hezbollah libanesi sono entrati in scena negli ultimi giorni anche milizie sciite di provenienza afghana e pachistana. Secondo le fonti dell’intelligence israeliana si tratterebbe di almeno 2 mila uomini, che si aggiungono ad altrettanti combattenti Hezbollah presenti a ridosso di Quneitra. Tra gli afghani il gruppo principale è costituito dagli hazara, fuggiti in Iran per scampare dalla persecuzione dei talebani. Ciascuno di questi miliziani riceverebbe per il proprio impegno militare 500 dollari al mese.

Seppur occasionata dal contrasto allo Stato islamico (di osservanza sunnita), la ragione strategica della presenza di queste milizie sciite, appoggiate dall’Iran, avrebbe secondo Israele ben altra finalità: quella cioè di stringere il Golan in una cintura saldamente nelle mani degliHezbollah e dunque sotto il controllo del regime di Teheran. Una prospettiva, anche in virtù del possibile rischio nucleare, che non fa dormire sonni tranquilli ai vertici militari d’Israele.

Che la situazione stia diventando sempre più intricata (e incandescente), lo testimoniano le infiltrazioni dello Stato Islamico in Giordania, lo sbarco in massa delle truppe del califfo nella Libia sempre più allo sbando e l’aggressività dei gruppi fondamentalisti nel Sinai, dove secondo i servizi egiziani si starebbero riorganizzando cellule terroristiche pronte a colpire, congiuntamente e in un attacco preordinato, Egitto e Israele. Tra gli obiettivi sensibili, ci sarebbe addirittura il Canale di Suez. Ma anche il Cairo sarebbe nell’agenda del terrore, a maggior ragione dopo la dura reazione militare dell’esercito di al-Sisi allo sgozzamento di 21 cristiani copti a Sirte, in Libia. Sulle sponde del Nilo la minaccia maggiore sembrerebbe provenire dalla formazione palestinese Hamas, bandita in Egitto e al cui interno in molti non nascondono le proprie simpatie per il Califfo nero. Il movimento, che controlla la Striscia di Gaza, sembrerebbe aver stretto una sorta di alleanza con una nuova formazione salafita denominataAgnad Misr (Soldati dell’Egitto), all’interno della quale sarebbero confluiti membri del Jihad egiziano e appartenenti ad al-Qaeda.

Ad aggravare ulteriormente la situazione, le notizie diffuse il 10 gennaio dal settimanale tedesco Der Spiegel, secondo il quale proprio il regime siriano starebbe per dotarsi di ordigni nucleari, con l'aiuto dei pasdaran iraniani e delle milizie sciite Hezbollah, che controllerebbero un impianto segreto sotterraneo situato a soli due chilometri dal confine libanese, a Qusayr. Secondo il settimanale tedesco, che cita fonti dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, Assad sarebbe rimasto in possesso di 50 tonnellate di uranio naturale che, se arricchito, potrebbe essere sufficiente per costruire da tre a cinque bombe atomiche. Un progetto al quale starebbero lavorando ingegneri nucleari della Corea del Nord.

Forse i tempi non sono immediati, ma la prospettiva di una Siria potenza nucleare potrebbe rimettere in discussione il quadro strategico della regione e disegnare scenari per ora inimmaginabili.

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