Cosa succede in Colombia?

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Da una settimana, la maggior parte delle principali città della Colombia sta vivendo momenti di estrema tensione e la scintilla che ha acceso tutto è stata una riforma fiscale controversa e fortemente regressiva, dichiarata come necessaria per affrontare i costi della pandemia. 

Seppur è vero che il deficit fiscale della Colombia da tempo aveva bisogno di una correzione di rotta per evitare il default dello stato quello che ha fatto inferocire gli animi è stata la decisione politica presa, quasi senza consultazioni politiche, dall’attuale governo di Iván Duque: caricare sulla già provata classe media lavoratrice e sui più poveri i costi della nuova riforma.

Da una parte si sarebbe allargata sensibilmente la base di coloro che avrebbero dovuto cominciare a pagare tasse suoi loro redditi da lavoro dipendente e dall’altra i prezzi di un buon numero di prodotti e servizi basici, che assorbono la maggior parte del reddito dei più poveri, prima esenti, avrebbero cominciato a pagare un IVA del 19%. E tutto questo in uno dei paesi più diseguali dell’America Latina dove le grandi imprese e i capitali finanziari avrebbero continuato ad avare uno dei regimi fiscali meno onerosi dell'America Latina. Per concludere era anche previsto spendere circa il 60% del nuovo gettito fiscale per l’acquisto di aerei da combattimento necessari per modernizzare la forza aerea e far fronte all'instabile vicino Venezuela che negli ultimi anni ha fatto una operazione analoga con la sua forza aerea.

La gente è scesa in piazza in massa nella maggior parte delle città del paese, ma la risposta politica maldestra e arrogante, che ha fin da subito accusato i manifestanti di essere una sinistra rivoluzionaria oltre che infiltrata dai gruppi ribelli delle Farc, alla fine ha sviluppato la violenza che ha preso il sopravvento sulle strade. 

Incoraggiati dall'ex presidente Uribe che in un trino, poi rimosso da Tweeter, invitava la forza pubblica a ricorrere alle armi quando fosse stato necessario, persone armate non meglio identificate hanno infiltrato le manifestazioni provocando, aggredendo, ferendo e persino uccidendo prima di dileguarsi impunemente contando anche con l’indifferenza della forze dell’ordine. In mezzo a tutto questo disordine la risposta dei battaglioni antisommossa è stata così violenta e generalizzata che ha finito anche per colpire anche ONG e persino istituzioni internazionali, come l’ONU, che stavano monitorando la situazione sul campo.

Alla fine la riforma è stata ritirata e il ministro delle finanze che l'aveva proposta si è dimesso, ma lo sciopero, che stava gradualmente diventando più organizzato nelle sue richieste e rivendicazioni, non è ancora revocato finché non ci sia una chiara volontà di dialogo, una totale cessazione della violenza e una risposta non solo alla riforma fiscale ma anche a una lista molto più consistente di richieste. 

Il comunicato del Centro di Ricerca ed Educazione Popolare (Cinep), che potete leggere a continuazione, denuncia a chiare lettere il dramma di questi giorni.

Garanzie per la vita e il diritto alla protesta.

Di fronte alla situazione che sta vivendo il popolo colombiano, il Centro di Investigazione ed Educazione Popolare (CINEP) esprime la sua indignazione e disagio per le gravi violazioni dei diritti umani che sono state commesse contro la popolazione in diverse parti del paese dal 28 aprile scorso.

Da quel giorno, la Colombia sta vivendo una serie di mobilitazioni di massa contro tutta una serie di riforme (come la fiscale, sanitaria e pensionistica) con le quali il governo di Iván Duque intende risolvere il deficit fiscale frutto di diversi fattori e che da qualche anno sta crescendo in modo consistente. (…)

La repressione e la criminalizzazione del diritto alla protesta sociale in Colombia non è una pratica eccezionale. Prima delle ultime anche le giornate di protesta iniziate il 21 novembre 2019, quelle del 9 settembre 2020 sono state duramente represse dalle forze di sicurezza. La molteplicità degli eventi e delle vittime provocate in varie parti del paese rende difficile avere una quantificazione esatta di ciò che sta accadendo in tempo reale; tuttavia, le denunce pubbliche e la circolazione di video e audio rendono evidente la violazione sistematica dei diritti umani contro la popolazione che esercita il suo diritto di protesta, e anche contro chi non partecipa alle mobilitazioni.

Sono state denunciate diverse gravi violazioni dei diritti umani: esecuzioni extragiudiziali con armi da fuoco contro adulti e minori, detenzioni arbitrarie, sparizioni, abusi sessuali sulle donne, ferite dovute all'uso di gas lacrimogeni o altri tipi di armi usate dalle forze di sicurezza contro i manifestanti, l'uso di ambulanze per detenere e torturare i manifestanti al loro interno, l'uso di gas lacrimogeni scaduti con effetti tossici e aggressioni contro i detenuti che sono costretti a cancellare i filmati dei loro telefoni cellulari con le prove delle aggressioni.

Ci sono anche azioni deliberate per ostacolare il lavoro dei difensori dei diritti umani e della stampa: sono stati arrestati e i loro giubbotti e carte d'identità sono stati sequestrati; persino la missione di verifica composta da organizzazioni locali e personale delle Nazioni Unite è stata colpita il 3 maggio a Cali, una delle città più colpite dalla repressione.

Il governo vuole giustificare la repressione generalizzata e la militarizzazione delle città alludendo all'esistenza di azioni qualificate come "vandalismo" o "terrorismo", come l'incendio di veicoli, il saccheggio del commercio e gli attacchi ingiustificati contro la polizia. Tuttavia, le aggressioni della Forza Pubblica non sono applicate solo contro i presunti autori di questi atti, ma anche contro coloro che protestano pacificamente. Allo stesso modo, persistono dubbi sull'origine delle armi e sul finanziamento di questo tipo di gruppi che si infiltrano nelle proteste.

Tenendo presente che questo tipo di azioni barbare contro il popolo sono inammissibili in uno stato di diritto e in un regime democratico:

1. Esortiamo il presidente della Repubblica di Colombia, Iván Duque Márquez, come comandante supremo delle forze militari e di polizia, a cessare la repressione sistematica e indiscriminata con metodi antiterroristici contro i cittadini che protestano e che esercitano il legittimo diritto alla protesta sociale. Che i crimini non restino impuniti.

2. Chiediamo con enfasi al governo colombiano di riconoscere la sofferenza del popolo che è dovuto scendere in piazza per chiedere la garanzia dei suoi diritti umani e fondamentali al cibo, alla salute, all'educazione, al lavoro e alla vita. Perciò, invece di prendere in considerazione misure come lo stato di agitazione interna, che limitano ulteriormente i diritti, si dovrebbero offrire meccanismi per un vero dialogo con vari settori del popolo colombiano che hanno il diritto di essere ascoltati e di cercare soluzioni efficaci alle loro giuste richieste.

3. Chiediamo alla comunità internazionale, alle organizzazioni cooperanti e al corpo diplomatico di fare un appello enfatico e diretto al governo nazionale affinché cessi immediatamente la dura repressione che il popolo colombiano sta subendo, e di promuovere e accompagnare spazi di dialogo per garantire che le giuste richieste dei cittadini siano soddisfatte.

4. Al nostro popolo, che possa contare sul nostro sostegno nel rivendicare i suoi diritti. Siamo solidali con la sofferenza delle vittime di questa repressione. Facciamo appello alla speranza che un paese più giusto sia possibile e dove protestare non ci costi la vita.

Centro di Ricerca ed Educazione Popolare

Colombiani in Piazza San Pietro domenica 9 maggio. La bandiera al contrario in segno di protesta

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