Mons. Giovanni Battista Ressia (1850-1933), originario da una famiglia di contadini di Vigone (TO), fece i primi studi fino alla filosofia tra i Tommasini del Cottolengo. Entrato nel seminario diocesano di Torino nel 1868, divenne compagno di classe dell’Allamano, al quale fu legato da sincera amicizia. Ordinato sacerdote nel 1873, dopo il biennio di perfezionamento nel Convitto Ecclesiastico, fu viceparroco a Bra e poi segretario del Vescovo di Pinerolo. Nel 1880 conseguì la laurea in teologia, divenendo professore in seminario. In seguito, fu nominato parroco di Bricherasio (TO) e nel 1897 venne ordinato vescovo per la diocesi di Mondovì.
Il Ressia sostenne l’Allamano in tutte le sue iniziative, specialmente per la fondazione dei due Istituti Missionari. La commemorazione dell’Allamano fu tenuta da Mons. Ressia, il 23 marzo 1926, durante il solenne funerale di “trigesima” nel santuario della Consolata. È sempre commovente rileggere questo discorso commemorativo, anche perché fu pronunciato in quel santuario da dove pareva che l’Allamano non si fosse mai allontanato. Lo pubblichiamo integro, certi che da esso appare da quanto affetto e da quale ammirazione fosse circondato l’Allamano da vivo e da morto.
LA COMMEMORAZIONE DELL’ALLAMANO 1926
di Mons. Giovanni Battista Ressia
«È Gesù, che lontano da Betania e nascosto nelle solitudini di Gerico, annunziava agli Apostoli la morte di Lazzaro con queste tre parole: Amicus noster dormit – l’amico nostro dorme. Parole che solo furono intese bene, quand’Egli, giunto al sepolcro del morto da quattro giorni, lo richiamava a vita con la stessa facilità con cui avrebbe svegliato un dormiente. Per Lui la morte non è che un sonno, onde l’Amicus noster dormit. Parole che poi tanto consolarono le sorelle Marta e Maria e il popolo piangente con esse; parole che traversarono i secoli gettando luce divina sopra i sepolcri cristiani e consolarono quanti piangono un loro caro defunto. Il morto vive; chi dorme si sveglierà.
L’ho ricordato a me stesso quell’Amicus noster dormit, quando il 16 febbraio, vigilia del Pulvis es (Mercoledì delle Ceneri) mi giunse un telegramma ad annunciarmi la morte tua, o carissimo Canonico Giuseppe Allamano, mio compagno di Seminario e di Sacerdozio, modello a tutti di virtù e di opere sante. E Voi, devoti della Consolata, che l’aveste per tanti anni a Rettore ed angelo buono; Voi sacerdoti, amici e cooperatori, che lo avvicinaste ogni giorno partecipando ai suoi pensieri e al suo amore; Voi specialmente Figli e Figlie del cuor suo, generati da Lui alle Missioni d’Africa, da chi voi potreste aspettare un conforto se non dal Consolatore divino, da Gesù?
Venga egli perciò anche a noi, qui, in questa vera Betania dove tanti lo amano e stanno pregando attorno a questo monumento di morte, e ci ripeta la sua parola consolatrice: Amicus noster dormit. Sì, il Can. Allamano fu un vero amico di Gesù, un amico nostro, un amico che si è addormentato nel Signore. Perché non consolarci?
L’amico di Gesù
Sappiamo che l’amicizia importa una certa eguaglianza e rassomiglianza, con una reciproca comunicazione di beni. Ma quis ut Deus? Egli l’infinito e noi un atomo, un nulla piano di miserie e di peccati. Però l’amore vince tutto; e Dio superando ogni distanza si abbassa fino al nostro nulla per imprimere in noi nella creazione la sua immagine e rassomiglianza, ed apparire nella redenzione come uno di noi in similitutinem carnis peccati (Rom VIII,3): tutto per comunicarci i suoi doni, e per ricevere corrispondenza di amore. È la grazia, l’amicizia tra Dio e noi; onde la parola di Gesù: Voi sarete i miei amici se farete quanto vi comando; e quell’altra detta in piena confidenza nell’ultima Cena agli Apostoli: Jam non dicam voi servos, sed amicos meos... perché quanto seppi ed ebbi dal Padre mio tutto a voi ho confidato (Giov. XV,15). - Un santo Sacerdote, ecco un vero amico di Gesù.
Nessun dubbio che tale sia stato il Can. Allamano prima e dopo l’ordinazione sacerdotale; lo direi anzi un Beniamino di Gesù, un sacerdote suo prediletto. Aveva da pochi giorni vestito l’abito chiericale, e per sette anni divisi con Lui e con gli altri compagni di corso la vita nella scuola, nello studio, nelle ricreazioni e passeggi, nelle opere di pietà. Egli era il nostro modello per il fervore nella preghiera, per le comunioni frequenti, per l’attenzione ai professori, per l’applicazione allo studio, per la pazienza e amabilità con noi, per l’obbedienza, per lo splendore dell’angelica virtù. Non lo vidi mai turbato o irrequieto, sempre in pace, amato da tutti. - Perciò nessuno di noi fece le meraviglie al vederlo ben presto dai Superiori addetto al servizio della sacristia e dell’altare, né quando, l’ultimo anno teologico, ci fu dato a Prefetto di Cappella, cioè il primo di tutti i chierici del Seminario. Si sapeva da tutti che il più vicino al cuore di Gesù, il più amico suo era l’Allamano, cui nessuno avrebbe osato paragonarsi.
Non so tuttavia se altri godesse come me delle sue confidenze. Pareva preferirmi perché di carattere a Lui più contrario, e più bisognoso della sua carità. Ed ho potuto così scoprire anche meglio le industrie sante con le quali restituiva a Gesù le grazie ricevute; nel che sta appunto il segno dell’amicizia: la reciproca comunicazione dei beni. Mi diceva adunque un giorno: Che fortuna per noi! Possiamo farci molti meriti col fare tutto e sempre alla presenza del Signore e per amor suo; il piccolo diventa grande ... Era la dottrina di S. Paolo: Sive manducatis, sive bibitis, ect... [ ... ] e mi spiego ora perché il mio compagno fosse sempre così raccolto, silenzioso, puntuale, scrupoloso nelle cerimonie di chiesa, fervoroso in tutte le opere di quella pietà che ad omnia utilis est, promissionem habens vitae quae nunc est et futurae (1 Thim. IV,8). - Oh, avessi saputo approfittare de’ suoi consigli, non sarei tanto povero davanti a Dio! Ma voi, giovani, fatene tesoro, e beati voi se saprete restare sotto lo sguardo di Dio, operare per amor suo e vivere cos’ nella sua grazia. Egli non si lascia mai vincere in generosità con le anime che sanno darsi senza riserva.
Venne intanto il giorno della nostra ordinazione sacerdotale (6 giugno 1873). Il Diacono Allamano per mancanza di età dovette attendere a settembre, e toccò a me celebrare la prima Messa in Seminario, e distribuire la prima comunione. Sicché il primo cui diedi Gesù venuto allora nelle mie mani, fosti tu, Diacono Allamano! E ricordo la commozione reciproca quando poco dopo ti avanzasti coi chierici di camerata a baciarmi le mani. - Tre mesi dopo anch’egli era inginocchiato ai piedi dell’Arcivescovo Mons. Lorenzo Gastaldi, che gli ripeteva in nome di Gesù: Non dicam vos servos, sed amicos meos: e si alzava Sacerdote con nella mano destra l’ostia e il calice, nell’altra le chiavi del cielo, sulle labbra la parola di Gesù, e nel cuore l’amore di lui e delle anime.
Lo rividi cinquant’anni dopo, qui, a quell’altare (della Consolata), circondato dai compagni superstiti, da beneficati, da amici, da popolo devoto, pel suo giubileo sacerdotale. Aveva la fronte coronata di bianchi capelli, ma in tutto era ancora lui, raccolto, devoto, maestoso, preciso nelle cerimonie, e ripeteva a ragione: Entrerò all’altare di quel Dio che rallegra la mia giovinezza.
L’amico nostro
Col salire al Sacerdozio l’amico di Gesù era diventato anche Amicus noster (amico nostro) ... delle anime per le quali consumerà la vita. Sognava come ognuno de’ suoi compagni di passare dal Convitto Ecclesiastico ad una Vicecura in qualche paesello, sotto esperta guida per iniziare la sua carriera. Ne fece breve prova edificando e attirandosi tutti i cuori; ma l’obbedienza lo richiamava presso il Seminario a continuare l’opera dell’indimenticabile Canonico Soldati, nell’ufficio delicatissimo di Direttore dei Chierici; ufficio che aveva del Censore di disciplina, ma più del Padre spirituale. Agli insegnanti il coltivare le intelligenze, al direttore di plasmare i cuori e preparare le anime al Sacerdozio. Se qui si trovasse chi allora gli era stato suddito, dica qual Angelo buono incontrò nel Teol. Allamano, qual padre amoroso a provvederlo in tutte le necessità, qual tenera madre a compatirlo e consolarlo! Trovò quasi un altro Gesù che preparava i Discepoli all’Apostolato. E il Direttore era felice nella carica assegnatagli dall’obbedienza.
Altri disegni aveva su di lui la Provvidenza Divina. Si facevano sentir vivi in quei giorni nuovi bisogni in Torino e nella vasta Archidiocesi. La città andava febbrilmente dilatandosi e migliorandosi nelle sue condizioni, mentre il Santuario della Consolata, cuore dell’antico Piemonte e sì caro ai Principi ed al popolo, deperiva quasi abbandonato, ed era per di più senza il suo Rettore. L’Archidiocesi poi lamentava da qualche anno che il giovane clero non trovasse più all’ombra del Santuario quella direzione pratica che, iniziata dal Guala con il Convitto Ecclesiastico, proseguita dal Servo di Dio il Cafasso e poi dal Bertagna, aveva per tanti anni portato a singolare altezza il clero Piemontese. Un ultimo soffio di rigorismo aveva disertato quel nido e dissipati come nel Getsemani i nuovi Apostoli. Il duplice caso pesava sul cuore di tutti, ma più del Teol. Allamano, che di Mons. Bertagna era conterraneo e che del Cafasso era per di più nipote da parte di madre e ne portava il nome di Giuseppe. Il Don Cafasso pregava certamente dal cielo; ed ecco cessare, quasi improvvisamente, ogni vento contrario. «Va, disse un giorno una voce misteriosa a Francesco d’Assisi, va e ripara la mia chiesa». Andò, ristorò prima la chiesa di S. Damiano; poi la chiesa delle anime con la istituzione di tre Ordini religiosi.
“Va alla Consolata e ripara” disse la obbedienza all’Allamano. Ed eccolo in giovane età già Rettore qui, dove una pena gli stringe il cuore, un pensiero lo assilla del continuo. “Ripara, ripara”. La decisione è presa. Non ostante gravissime difficoltà finanziarie e tecniche ... e dopo pochi anni ecco ristorato e ampliato il Santuario, ricco di ori e marmi, servito da santo e numeroso clero, frequentato dalla città al Piemonte, tornato alla sua vita di prima Basilica e trono degno della Regina e Madre, Consolatrice degli afflitti. Mancavano tuttavia i Paggi d’onore, i messi da spedire attorno, onde riparare il tempio morale delle anime comprate a prezzo di sangue divino. Ed ecco l’altro miracolo: il Convitto Ecclesiastico presto si riapre, i giovani sacerdoti di nuovo attorno alla Sede della Sapienza, e il Rettore ne sarà per anni anche Maestro di Conferenza pratica e modello di virtù. Egli avrà un personale scelto che lo aiuta; e il popolo cristiano canterà presto il suo ringraziamento alla Consolata per il regalo di giovani sacerdoti esperti e zelanti nel condurre le anime al cielo.
Dopo tali conquiste poteva il Can. Allamano l’Amicus noster dire a sé stesso: “Basta”. Ma il fuoco non dice basta mai; o si dilata o si spegne. - Quando l’Apostolo prediletto terminò la missione speciale di assistere la Madre di Gesù assunta in cielo, diventò Missionario ed Apostolo dell’Asia Minore, Evangelista del mondo. L’Allamano, custode del Santuario di Maria e della sua Corte, sente anch’egli il bisogno dell’Apostolato. Fin da chierico aveva sognato le Missioni e chiesto di recarsi a Genova nel Collegio Brignole Sale. Impedito allora dai Superiori, provvisto ora alle più gravi necessità, ecco il tormento della sua giovinezza. Ne soffre ed ammalato, ma invierà falange di giovani missionari e missionarie sotto lo stendardo della Consolata a illuminare e consolare i negri dell’Africa, loro porterà la luce e la civiltà cristiana, aprirà un campo vastissimo a quanti desiderano glorificar Dio e salvare le anime dei più infelici fra i nostri fratelli. - Già è pronta la Casa delle missioni col suo Statuto; sono aperte le porte ai generosi che primi salpano i mari e s’inoltrano fra terre bruciate dal sole e fra anime abbrutite dal vizio. Dal Cottolengo, così devoto alla Consolata e beneficato dal ven. Cafasso, ottiene le prime suore che, vere madri di carità, col sacrifizio anche della vita preparano i cuori e attirano le benedizioni di Dio. Pochi anni dopo ecco i Missionari e le Missionarie della consolata occupare nel continente nero ben quattro vastissime regioni illustrando insieme al mondo la Chiesa Cattolica e la patria italiana.
Ed ora non basta forse, o Amico? Sì, ma desiderava ancora di dare un Protettore celeste alle sue Opere. Chi dal cielo aveva ispirate queste opere e sostenute le sue forze fisiche e morali nel compierle? Per lui nessun dubbio che fosse il proprio zio materno, il Giuseppe Cafasso che tutti dicevano santo, che stabilì il Convitto su forti basi, e il Santuario della Consolata frequentò con amore. Non mancavano le prove dei miracoli o verranno. Perché dunque non collocarlo sugli altari? Lo volle con fiducia e vi riuscì. Or fa un anno Torino, Castelnuovo e il Piemonte erano in S. Pietro a Roma, per l’apoteosi di quel santo Sacerdote, gemma del Clero italiano e gloria delle nostre popolazioni. Era presente il nipote Can. Giuseppe Allamano, che al canto del Te Deum, come rapito, fissò a lungo gli sguardi nella figura gloriosa del Neo Beato; ma quando li abbassò, i suoi occhi erano pieni di lacrime, il suo volto pallido e sfinito, mentre egli mormorava forse come Gesù: Pater, opus consummavi quod dedisti mihi ut faciam (Joan. XVII,4). Preparò ancora le feste solenni dello scorso luglio, lo rividi una seconda volta in ottobre alle Conferenze dell’Episcopato Piemontese, e mi salutava accennando alla nostra vecchia carcassa tenuta su per miracolo ... e più non ci siamo incontrati quaggiù. Era l’ultimo addio. L’Amico di Gesù e l’Amico nostro stava per addormentarsi nel bacio del Signore.
L’amico dorme
Oh pregate, Voi tutti, conoscenti, amici, figli suoi! Fermatela quella mano che che si avanza per chiudere i suoi occhi col sonno della morte! Che pena per Torino e per il Piemonte all’annuncio della sua grave malattia! Quante suppliche e lacrime in questo Santuario perché il Rettore venisse ancora conservato! Che giorni di angoscia, che notti lunghe!... Ma per parte dell’infermo quanta rassegnazione alla divina volontà! Quali parole di esortazione e di conforto ai piangenti! E quanti sguardi e baci al suo Crocifisso! - Alle ore quattro del 16 febbraio, mentre il mondo preparava le sue ultime pazzie carnevalesche, alla vigilia delle Sacre Ceneri, Egli, il Can. Giuseppe Allamano, dopo aver per 52 anni offerto sugli altari il divino Sacrificio della Croce, sulla croce di un misero lettuccio, in povera cella di questo Convento consumava il sacrifizio di sua vita, e anch’egli Obdormibit in Domino.
Chi nel visitare la salma in quella stanzuccia o nella camera ardente fra pochi lumi e sotto lo sguardo del Beato Cafasso; ... nell’osservare l’aureola dei bianchi capelli, i lineamenti del volto immutati, le bianche mani stringenti una corona e il Crocifisso, tutto in un’atmosfera di santità e di pace, che non ha ripetuto a sé stesso: Amicus noster dormit? – Suora, questo morto non fa paura; e sono tutti così i morti? R. Sì, quando la loro anima è già in paradiso. Mamma, perché tanti fan toccare le medaglie e corone al Canonico? R. Perch’egli è un santo (Cronaca del giorno). E il popolo di Torino non ha detto anche la sua parola, come quello di Roma alla morte di S. Cirillo, venuto dalla Slavonia a dar conto al Papa della sua Missione? Vi morì, ma il trasporto suo, più che il funerale di un morto, parve il trionfo di un Santo. E vox populi, vox Dei.
Quanta fiducia che l’anima grande del nostro amico addormentandosi quaggiù abbia aperto gli occhi alla luce del cielo! Che le tante sue virtù e opere buone, le croci che incontrò sempre per via rassegnato fino all’ultima della morte, gli abbiamo presto aperto le porte del paradiso! - Egli però insegnava essere quasi impossibile ad un’anima camminare per il turbinio polveroso del mondo ed andarsene esente, mentre l’occhio di Dio trova macchie anche nella luce del sole. - Raccomandava fino all’ultimo di non dimenticarlo, ma di pregare per lui, mentre egli avrebbe pregato poi sempre per i suoi amici e figli. Perciò anche questo sacrificio di trigesima per il suo riposo, e le preghiere e le lacrime vostre, o ammiratori, amici e figli del Can. Allamano. E Voi, Eccellenza, raccogliete queste lacrime e preghiere, presentatele alla divina Misericordia per lui; instate, battete alle porte del cielo, importunate Gesù, perché l’anima dell’amico suo e nostro, arrivata a quelle porte ed affamata di lui, sia presto concesso il pane dell’eterna vita (Luc. XI). Che se già quest’anima fosse in cielo, vadano i nostri suffragi a quelle dei due compagni di Seminario che da pochi giorni lo seguirono; o vadano all’anima del grande Card. Cagliero, suo concittadino e gloria della Chiesa. Ma tu, o Canonico Allamano, non dimenticare poi quanti rimasero quaggiù desolati a piangere; e prega anche per chi depose, soffrendo, un sì misero fiore sulla tua tomba; e tieni lontano da lui la minaccia evangelica: Erano due che lavoravano nello stesso campo: Unus assumetur et alter relinquetur (Matth. XXIV,40)».