Dopo l’ennesimo bombardamento che ha colpito la popolazione civile nella capitale Khartoum, le Nazioni Unite affermano che il Paese africano sta per precipitare in un conflitto totale che "potrebbe destabilizzare l'intera regione". In quasi tre mesi di scontri tra l’esercito e le milizie ribelli si sono registrati circa 3 mila morti; sabato un bombardamento nel distretto di Omdourman ha provocato la morte di 22 civili, molti dei quali donne, e un gran numero di feriti.
Questa ennesima strage ha indotto l’Onu a lanciare un monito circa la deriva dello scontro tra fazioni verso una guerra civile su vasta scala che può destabilizzare l’intera regione. In quasi tre mesi di conflitto, sono stati registrati oltre 3 mila morti, un bilancio che molti analisti considerano sottostimato. Inoltre, quasi tre milioni di sudanesi sono stati costretti a lasciare le loro case, tra questi sfollati più di 600 mila sono andati all'estero, principalmente in Egitto e in Ciad, mentre le Nazioni Unite denunciano un aumento di abusi e violenze sui civili e in particolare contro le donne.
Bloccata la transizione democratica
I combattimenti sono iniziati il 15 aprile scorso, diciotto mesi dopo che i due generali contendenti (Abdel-Fattah Burhan e le Forze di supporto rapido e il rivale Mohammed Hamdan Dagalo) avevano condotto un colpo di stato militare nell'ottobre 2021 che ha rovesciato un governo di transizione civile sostenuto dall'Occidente.
La guerra ha trasformato la capitale Khartoum e altre aree urbane in tutto il Paese in campi di battaglia. Lunedì 10 luglio l'assistente del segretario di Stato americano per gli affari africani, Molly Phee, si recherà ad Addis Abeba per incontrare i leader africani e civili sudanesi su come porre fine al conflitto in Sudan ma gli sforzi diplomatici per fermare i combattimenti si sono finora rivelati inefficaci.
Anche un conflitto tribale
A sostenere la violenza anche il fatto che i ribelli stiano sfruttando l’odio di alcune tribù del Darfur contro l’esercito regolare. Invece le tribù di etnia araba sono schierate con l’esercito per cui alla base del conflitto c’è anche del risentimento tribale.
Sul piano politico l’esercito è supportato dagli islamisti e anche per questo l’Egitto non è intervenuto in suo sostegno e invece nelle aree controllate dai ribelli sono presenti mercenari della Russia che ha interessi in Sudan perché si approvvigiona dell’oro delle miniere presenti in quelle aree.
La presenza della Chiesa
Un missionario italiano, intervistato da Vatican News, racconta che “In questo momento uno dei fronti più caldi della guerra è la città di Omdurman, un enorme distretto urbano alle porte di Khartoum, che l’esercito regolare cerca di strappare al controllo dei ribelli. Il vescovo e la maggior parte dei religiosi di Khartum – specifica il missionario - si sono trasferiti per motivi di sicurezza a Port Sudan, mentre a Kosti nel sud e a El Obeid nell’ovest i vescovi e il clero sono rimasti al loro posto e questo è un grande segno di speranza. A Khartoum resiste una comunità di salesiani che tiene aperto un centro dove celebrano la Messa, accudiscono bambini senza famiglia e distribuiscono cibo alla popolazione”. In questo contesto di guerra i civili hanno bisogno di tutto a partire da cibo e acqua.
La testimonianza di un missionario