Riccardo Benotti: Viaggio nella vita religiosa

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Quando ho ricevuto l’invito del dott. Benotti, che ringrazio nuovamente e pubblicamente per avermi coinvolto, l’ho accettato molto volentieri e con molto interesse, ma anche con un pizzico di volontà di fare polemica: perché intervistare esclusivamente superiori di Ordini e congregazioni maschili?

Devo dire subito che l’autore ha disarmato ogni mio intento bellico precisando, in modo direi persino lusinghiero, che – sono sue parole – «l’universo vasto ed operoso della vita consacrata femminile merita un approfondimento a parte»! di fronte al semplice viaggio nella vita consacrata maschile, noi donne siamo un universo… vi prego di registrarlo!

Il viaggio che l’autore ci propone all’interno della vita religiosa è davvero un viaggio interessante, riuscito molto bene, e lo è per numerose ragioni. In primo luogo, perché rappresenta un bel dono alla vita consacrata al termine di un anno ad essa dedicato ed appena concluso, e che nel suo svolgimento si è rivelato complesso, anche per la coincidenza, come afferma p. Glenday, con altri rilevanti eventi ecclesiali.

Su questo sfondo, mi sembra che l’interesse sincero, la singolare competenza e la grande attenzione con cui Benotti, che è un laico, si avvicina al mondo dei religiosi sia un segno confortante della rilevanza ecclesiale che la vita religiosa ha e che l’anno ad essa dedicato voleva mettere particolarmente a fuoco.

In secondo luogo, il viaggio che l’autore ci propone è coinvolgente, non solo per la scrittura curata e bella, capace di mettere a disposizione del lettore, senza alcuna pesantezza, interessi e ricordi personali degli intervistati insieme ad intuizioni molto importanti per il futuro della vita consacrata e a temi teologici di particolare spessore. È coinvolgente anche perché il punto di osservazione di Benotti è davvero privilegiato: gli intervistati sono a capo di Ordini importanti, diversi per storia, origine, carisma e perciò in grado di dare un’idea della ricchezza variegata della vita consacrata maschile nella Chiesa. Allo stesso tempo, trattandosi di superiori generali, cioè di uomini chiamati a governare, il loro sguardo è carico di una conoscenza particolare, che abbraccia spazi e tempi diversissimi: a questi religiosi sono affidati Ordini e congregazioni presenti in tutti i continenti, e che pertanto mettono insieme culture diverse e diverse interpretazioni della vita consacrata, Ordini e istituti costituiti da generazioni che si differenziano sempre più velocemente tra loro.

Vorrei sottolineare ulteriormente la peculiarità del punto di osservazione scelto dall’autore, un punto di vista privilegiato, dicevo, perché costituito dagli uomini che governano gli Ordini e che, quindi, li conoscono da più prospettive. Proprio per questo, l’autore avrebbe potuto indulgere sugli aspetti scandalistici, insistere sulle problematiche che hanno segnato recentemente la vita consacrata, soprattutto maschile, come la pedofilia e l’omosessualità o una gestione economica rivelatasi a volte dolorosamente fallimentare.

Invece, le sue domande sono coraggiose, ma non sono curiose; piuttosto, lasciano sempre trapelare stima per la vita religiosa, interesse sincero e rispetto, e più che sugli aspetti scandalistici, si concentrano ed insistono su orizzonti di grande respiro, come il senso della missione o l’importanza della comunità. D’altro canto, va detto che anche le risposte dei superiori generali sono altrettanto coraggiose, sincere, lo si avverte, e lasciano a loro volta trasparire una grande apertura, una capacità di mettersi a nudo che è già una forma importante di dialogo e di incontro con il nostro tempo.

Ancora una sottolineatura riguardo al punto di osservazione privilegiato: credo non sia stato facile fermare 14 superiori generali così occupati, anzi, vorrei sapere come è riuscito a farlo!

Gli intervistati sembrano tutti testimonial dei programmi mille miglia, nel senso che trascorrono gran parte del loro tempo in viaggio per il mondo: questa attività costituisce sicuramente una parte importante di quel servizio che il superiore generale è chiamato ad assicurare al proprio istituto, garantendo il più possibile la sua presenza e vicinanza a tutte le componenti della propria famiglia; tuttavia proprio questo continuo viaggiare, pur così importante e giustificato, contribuisce a diffondere quella visione per la quale la vita consacrata appare molto spesso come un’organizzazione in cui il compito dei superiori sembra assumere toni manageriali.

Invece, proprio dalle parole di questi superiori generali traspaiono un anelito e una consapevolezza che vanno con insistenza nella direzione opposta: non a caso, ad esempio, p. Arrondo sottolinea il rifiuto di considerare l’Ordine dei Fatebenefratelli una holding, p. Artime mette in guardia dal rischio di trasformarsi in una Ong, mentre p. Peloso richiama continuamente l’impegno degli Orionini a non cedere al secolarismo della carità; molto più, però, la consapevolezza che traspare e a cui si viene continuamente ricondotti leggendo il libro è quella di una vita che trova la propria ragione d’essere nella sequela, nella passione per Cristo, nell’amore per Lui che porta sempre con sé anche la capacità di vivere relazioni profonde e una vera amicizia con tutti.

Dove conduce il viaggio intrapreso da Benotti? O in altri termini quale immagine di vita consacrata emerge da questo viaggio? A me sembra che l’immagine di vita consacrata che se ne ricava è intrisa di speranza, capace di guardare con coraggio al futuro, senza tuttavia nascondersi le preoccupazioni, che pure ci sono.

Vorrei riassumere le ragioni della speranza e le motivazioni per cui preoccuparsi in quattro parole, due di speranza, relazioni e bellezza, e due di preoccupazione, superficialità e calo numerico.

Anzitutto la speranza, legata alle relazioni e alla bellezza.

Se c’è una dimensione su cui mi sembra convergano tutte le interviste è proprio quella che riconosce un’importanza determinante alle relazioni, che nelle pagine del libro si declinano come amicizia, ospitalità, dialogo, serietà della vita comunitaria. La vita consacrata si riscopre sempre più attraversata dall’esigenza di intessere relazioni, di dialogare.

L’esigenza di costruire relazioni vere si misura anzitutto nella vita comunitaria, di cui tutti ribadiscono l’importanza; certo, se ne riconosce anche la complessità, che a volte è vera e propria difficoltà, ma non si mette mai in dubbio il potenziale di bellezza e di ricchezza condivisa che essa mette a disposizione dei religiosi.

La vita comunitaria tratteggiata nel libro è una vita concreta, semplice, reale, che ha bisogno di fede, come precisa fr. Turù Rofes, aggiungendo che altrimenti le comunità sarebbero piuttosto case di scapoli, o che ha bisogno di conversatio morum, di conversione nella comunità, come sostiene p. Lepori, ma che soprattutto ha bisogno di momenti sinceri di incontro, nella semplicità dei gesti quotidiani. È particolarmente toccante, ad esempio, quanto racconta l’abate primate Wolf, ricordando la parola discreta ma incisiva di un monaco anziano della sua comunità che, non sentendolo più suonare il flauto, dopo la sua elezione ad abate di s. Ottilien, gli chiese di tornare a farlo perché, aggiunse: «Fa bene alla comunità».

Ma la capacità di stringere relazioni vere e profonde non si ferma all’interno delle comunità: dalle parole delle interviste emerge lucidamente l’esigenza di imparare l’arte del condividere, dell’ospitare o, come afferma p. Kulüke, del mettersi in cammino con la gente. E se p. Perry può esclamare che le amicizie sono la meraviglia della sua vita, p. Cadoré, da parte sua, usa un’immagine davvero suggestiva per sintetizzare il carisma del suo Ordine, i domenicani, affermando che l’arte della predicazione, a cui essi devono mirare, è l’arte dell’amicizia con il mondo, perché lo scopo dell’Ordine non è altro che consentire la conversazione tra Dio e gli uomini.

Una dimensione particolare di questa ricchezza relazionale che la vita religiosa è chiamata a vivere e a costruire intorno a sé riguarda il rapporto con i laici. Su questa dimensione Benotti torna immancabilmente in ogni intervista, e fa bene a farlo, mi sia consentito dirlo, non solo perché coinvolge direttamente lui e il mondo ecclesiale che egli rappresenta, ma anche perché in questo modo egli ha fatto emergere un aspetto che è davvero il novum della vita consacrata del nostro tempo. Il rapporto dei laici con la vita consacrata si radica senza dubbio nella sua tradizione millenaria, come ricorda p. Perry riferendosi al mondo francescano, che ha un Ordine laicale in qualche modo voluto già dallo stesso Francesco d’Assisi; anzi, alcuni Ordini sono in se stessi laicali, come i Maristi o i Fatebenefratelli, per i quali l’eccezione sono i sacerdoti.

Eppure il rapporto con i laici è davvero uno dei cantieri di novità per la vita consacrata oggi e Benotti ha il merito di lasciarlo trasparire con immediatezza dalle parole delle interviste, facendo affiorare una serie di idee fondamentali, tra le quali spicca la necessità di riconoscere ai laici una soggettualità ben definita anche nel rapporto con la vita consacrata. Essi non sono solo l’oggetto della pastorale, ma anche soggetto dell’evangelizzazione, secondo Cadorè; partner e collaboratori, non solo dipendenti, precisa Artime. Perciò è necessario operare un cambiamento di mentalità che permetta di riconoscere accanto alla necessità di formare i laici, quella di formarsi con i laici, come precisa p. Millan Romeral, di arrivare a forme di condivisione superando definitivamente la tentazione di vedere in essi una possibilità di supplenza, così la chiama p. Glenday, vale a dire una soluzione a portata di mano di fronte alla diminuzione delle vocazioni.

L’altra parola di speranza è bellezza. Ma quale bellezza? Con un po’ di sorpresa, la realtà a cui più spesso viene associata nel libro l’idea di bellezza sono i voti. Anche in questo caso, non si può non rimanere colpiti dalla chiarezza con cui l’autore porta i superiori generali ad esprimersi su questo aspetto. Certo, lo fa anche riguardo alla missione della vita consacrata, alle periferie verso cui essa costantemente si orienta. Ma i voti sono percepiti in tutta la loro problematicità: non sono solo difficili da comprendere, anzi, quasi impossibili per il nostro tempo, ma sono una vera e propria sfida per l’autenticità della vita consacrata. Non è un caso, infatti, che le domande opportunamente provocatorie che tornano nelle interviste sono: «la povertà vi spaventa? Come vivete i voti? Si è mai spaventato per l’impegno assunto con i voti? È difficile mantenersi casti, poveri, obbedienti?».

Si ha quasi l’impressione che nel maneggiare questo tema, per così dire, l’autore ne avverta tutta la delicatezza o forse meglio la grandezza, e poiché sa bene che questa grandezza è affidata alla fragilità degli uomini e del loro quotidiano, provi un senso di inquietudine.

Per questo mi sembra che ciò che dicono i superiori riguardo ai voti sia davvero una parola di speranza: nonostante non si neghi o non si nasconda la difficoltà che la fedeltà ai voti comporta, tuttavia non è questa difficoltà a prevalere nelle risposte, ma piuttosto tutta la bellezza della vita evangelica che i voti custodiscono. Al termine della lettura, si rimane colpiti proprio da questa idea, ripetutamente ribadita: riguardo ai voti, per usare le parole di p. Kerhuel, la questione non è se siano facili o difficili, ma se danno gioia. E i voti la danno, perché parlano di libertà, bellezza e felicità.

Passando ora a qualche considerazione sulle preoccupazioni che attraversano le pagine del libro, vorrei dire che sono rimasta molto colpita dal fatto che vi è una parola ricorrente, nelle risposte dei superiori generali, attorno alla quale si condensa la loro fondamentale preoccupazione e questa parola è superficialità. Mi sorprende perché forse mi sarei aspettata un’analisi più centrata sul problema delle strutture, dell’uso del denaro, degli scandali che hanno causato un forte dolore perché, come dice con franchezza p. Orvañanos, «sono avvenuti a casa nostra, sono avvenuti a causa nostra». Questi riferimenti si trovano sicuramente nelle domande e nelle risposte, ma a me ha colpito molto il fatto che la vera, condivisa preoccupazione sia piuttosto un’altra, e cioè la superficialità dilagante anche nella vita consacrata, la povertà interiore, la vita vuota, senza orizzonti, dove ciò che conta è soprattutto la possibilità di disporre di informazioni su tutto, e non la cura della profondità spirituale.

Anzi, sembra persino che questa preoccupazione sia maggiore di quella che riguarda il calo numerico, le vocazioni che continuano a diminuire. Certo, si ammette che il problema c’è. P. Millan Romeral, ad esempio, sottolinea che a causa del calo numerico c’è il rischio che la vita comunitaria perda vigore; P. Peloso rileva che la diminuzione dei numeri a volte ha come conseguenza un calo di autostima. Ma tutti potrebbero ritrovarsi tranquillamente nelle parole di p. Glenday che, con una risposta lapidaria di particolare efficacia risolve la questione: «Non perdo il sonno per questo» e aggiunge, citando Agostino: «Attrarre è l’arte di Dio».

Il nodo è proprio qui: non è che non vi sia preoccupazione per il calo numerico e per la scarsità di vocazioni, e tale preoccupazione costituisce una spinta a dare uno sguardo serio alla testimonianza evangelica della vita consacrata. Ma più forte della preoccupazione è la speranza, è la consapevolezza che la fecondità non dipende dai numeri ma dalla qualità, come dice chiaramente p. Valdir de Castro. Ciò che prevale, in definitiva, è uno sguardo capace di continuare a sperare, perché sa, sono parole di p. Orvañanos, che Cristo, anche se dorme, è sempre sulla barca.

Dicevo all’inizio che il viaggio che Benotti ci propone è un bel viaggio, un viaggio che fa bene a tutti perché fa emergere non solo che la vita consacrata può ancora svegliare il mondo, se si mantiene sveglia, ma che anche il mondo in fondo desidera essere svegliato, perché ha sete di infinito, ha sete di quegli ideali di bellezza e di libertà che la vita consacrata è ancora capace di testimoniare.

Perciò, grazie davvero all’autore per averlo saputo dire con tanta chiarezza.

Fonte: Radio Vaticana

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