In questo secondo video, prodotto dall’Agenzia Fides, possiamo conoscere una delle comunità che il papa Francesco incontrerà in Mongolia e il cammino fatto dai Missionari si sono aperti cammino in questa piccola comunità.

Secondo l’ultimo censimento, ci sono meno di 20mila abitanti a Arvajheer. In quel piccolo centro abitato della Mongolia, 400 chilometri a sud della Capitale, i missionari e le missionarie hanno iniziato la loro opera apostolica giusto venti anni fa. Prima di allora, in quella regione non esisteva alcuna traccia di presenza della Chiesa cattolica.

Dal “nuovo inizio” della missione di Arvajheer prende le mosse il quarto video-reportage prodotto per l’Agenzia Fides da Teresa Tseng Kuang yi in vista del viaggio di Papa Francesco in Mongolia (31 agosto-4 settembre). Le immagini, il materiale d’archivio e le testimonianze inedite condensate nel video suggeriscono in maniera semplice e spiazzante a quali sorgenti di grazia attinge l’avventura missionaria vissuta in Mongolia negli ultimi decenni.

Arvajheer - spiega il Cardinale Giorgio Marengo, missionario della Consolata e oggi Prefetto apostolico di Ulaanbaatar, dopo essere stato per lungo tempo parroco nella piccola cittadina mongola del centro-sud - «è stata per me veramente la missione in prima linea», perché «un conto è la realtà della Capitale, un conto è la provincia, La campagna». I primi missionari e missionarie giunti a Arvajheer i missionari e le missionarie si lasciano alle spalle «quel po’ di certezze» che avevano acquisito nei primi tempi di presenza in Mongolia, per «aprirci di nuovo alla novità totale». Lì si riparte, si ri Poi il cammino si è dipanato in «una semplice testimonianza di vita con i più piccoli, con i più poveri». E cosi «è nato anche il desiderio da parte di alcune persone di avvicinarsi alla fede»

Nel video-racconto, le testimonianze di missionarie e missionari come padre James Mate, suor Magdalene Maturi e suor Theodora Mbilinyi affiorano quasi involontariamente i tratti distintivi di ogni autentica opera apostolica: la concretezza, la immanenza alla ordinarietà della vita dei popoli, l’umiltà gioiosa di chi riconosce che la missione di toccare e cambiare i cuori delle persone non è merito suo, ma opera di un Altro. «Niente è grande di quello che facciamo, solo l’amicizia e le piccole cose che possiamo fare con loro» si schermisce suor Theodora, che aggiunge subito di sentirsi «benedetta» perché le cose che ha visto a Arvajheer non sono quelle che solo «studiamo nei libri», ma sono «una cosa reale e viva».

Fatti e incontri reali e vivi - questo traspare dal video-reportage da Arvajheer - possono accompagnare nel tempo le vite dei missionari e delle missionarie, configurandole a Cristo. L’assimilarsi docile a Cristo è il segreto della fecondità di ogni autentica avventura missionaria. Non per volontarismo in cerca di visibilità attraverso imprese roboanti, ma lungo la via di una fedeltà grata e quotidiana. «Se pensiamo alla vita di Nostro Signore sui 33 anni che ha trascorso su questa terra» dice nel video-reportage il Cardinale Marengo «i primi trent'anni sono stati nell’anonimato di Nazaret. Poi tre anni di ministero e tre giorni di Passione, morte e Resurrezione». La vita dei missionari - annota il Prefetto di Ulaanbaatar -sembra spesso muoversi lungo «falsariga», con il succedersi di tante giornate «magari non così significative, almeno così sembra», ma vissute nella fedeltà al rapporto con Cristo. Cercando di costruire relazioni con gli altri come Gesù faceva coi suoi amici e discepoli. «E poi, dentro questo tessuto di vita, il Signore costruisce tutto il suo mistero di amore per le persone a cui noi siamo inviati». Non serve inventare strategie missionarie e «avere grandi progetti a tavolino», mentre conviene«aprirsi a quello che la realtà ci dice giorno per giorno». Così le persone possono accorgersi che «al di là delle nostre povere vite c'è un messaggio di amore, di misericordia che poi le tocca e che eventualmente le fa muovere verso la fede».

La gratitudine testimoniata dai battezzati mongoli, quelli che per primi sono stati mossi e attirati alla fede alla fede in Cristo, attesta come Cristo continui a esercitare la sua preferenza per i poveri e i piccoli. Nel video-reportage, gli anziani sposi Perlima e Renani raccontano la gioia di andare a messa e le preghiere con cui chiedono ogni giorno a Dio di proteggere le loro vite e anche il loro bestiame. Confidano di aver incontrato la piccola comunità cattolica in Mongolia in un tempo in cui con i loro quattro figli «la vita era molto difficile», non c’era lavoro e «non avevamo cibo tutti i giorni». Ma aggiungono che da allora, ogni sera, anche quando c’era poco da mangiare, «riconoscevamo di essere ricchi dell'amore di Cristo». 

APPROFONDIMENTO

I Missionari e le Missionarie della Consolata hanno organizzato due momenti di preghiera e di approfondimento in occasione del Viaggio Apostolico di papa Francesco in Mongolia (1-4 settembre), paese in cui la famiglia della Consolata è presente da 20 anni.

L’iniziativa prenderà il via il 31 agosto alle 20:30 presso il Santuario del Beato Allamano in corso Ferrucci 18, dove i Missionari e le Missionarie animeranno una veglia di preghiera per accompagnare il viaggio del papa verso Ulaanbataar, la capitale della Mongolia. Preghiere, canti e testimonianze permetteranno conoscere la risposta del popolo mongolo allo stile del “Vangelo sussurrato” che caratterizza la presenza della famiglia Consolata in Mongolia.

Il 1 settembre  alle 18 nella Sala dei Popoli del Polo Culturale (via Cialdini 4) luogo simbolo dell’incontro e del confronto tra le culture, verranno proposte alcune testimonianze moderate da Federica Bello, giornalista de “La Voce e il Tempo”. L’incontro del 1 settembre sarà fruibile anche in streaming sul Canale Youtube del CAM.

«Guardate a Lui e sarete raggianti». Il versetto del Salmo 34 è stato scelto come motto episcopale dal Vescovo Giorgio Marengo, missionario della Consolata e Prefetto apostolico di Ulaanbaatar, creato Cardinale da Papa Francesco nel Concistoro del 27 agosto agosto 2022. Guardando le immagini e ascoltando le parole del secondo video-reportage prodotto per l’Agenzia Fides da Teresa Tseng Kuang yi in vista del viaggio di Papa Francesco in Mongolia (1-4 settembre), il versetto-motto sembra cogliere la cifra intima della vita e dell’avventura missionaria di padre Marengo in Mongolia. Un’avventura in cui le gioie prevalgono in sovrabbondanza sulle fatiche, sulle difficoltà e sullo spettacolo delle proprie povertà. «Io –confessa il Prefetto di Ulaanbaatar fin dai primi passaggi del video– sono grato che il Signore abbia voluto mandarmi qui».

La «gioia più bella» è l’aver contemplato l’operare della grazia nel tempo, l’aver visto come «al di là di tutte le nostre difficoltà e le nostre povertà, il Signore si apriva la strada nel cuore di queste persone, che poi hanno deciso di affidarsi a lui». Il contemplare come poi «il Signore guidava la vita di queste persone, in maniera misteriosa e molto personalizzata. Questa è sicuramente la gioia più bella, accompagnare le persone nel loro cammino di fede».

Nel video-reportage scorrono ricordi e immagini degli inizi: il primo volo preso a 27 anni da Seul per raggiungere Ulaanbaatar («Sentimmo parlare le hostess in mongolo. Dicevo: chissà se un giorno riusciremo anche noi a imparare questa lingua»), la prima messa “pubblica” celebrata in una Ger, la tradizionale tenda mongola («Quello, me lo ricordo come un momento molto, molto bello»).

Il Cardinale Marengo accenna anche alle difficoltà e alle fatiche fatte per entrare nella lingua e nella cultura mongola, con la sua «matrice nomadica» così diversa dalle culture europee «sedentarie», e che si riflette anche nel modo di concepire le abitazioni e nella concezione del tempo: per una cultura nomadica «tutto dev'essere trasportabile, leggero e provvisorio», mentre nelle culture sedentarie c’è sempre la tendenza a «costruire cose che rimangono nel tempo».

Con la chiamata a far parte del Collegio dei Cardinali, padre Marengo fa notare che la sua esperienza di pastore di una piccola comunità ecclesiale locale «si allarga anche un po’ all'universalità della Chiesa, per offrire alla Chiesa universale quello che l'esperienza di una Chiesa missionaria così piccola e così nuova può avere». Il Cardinale missionario parla di un «doppio movimento», con il quale «la particolarità di questa Chiesa» viene vissuta «dentro l'universalità della Chiesa cattolica tutta». Il Cardinale coglie anche la convenienza di favorire uno «scambio» propizio tra «la freschezza della fede in un contesto come quello mongolo»e «la ricchezza della tradizione ecclesiale che ci arriva da Chiese con più lunga esperienza».

Questa è l’occasione propizia che si affaccia sull’orizzonte del prossimo viaggio di Papa Francesco in Mongolia: suggerire a tutti che ogni Chiesa è sempre Chiesa nascente, dipendente in ogni suo passo dalla grazia di Cristo, e non si “costruisce” per forza propria, anche nei posti in cui si sono alzate cattedrali grandiose e sono sorti Imperi cristiani; ogni Chiesa è “pellegrina” sulla scena di questo mondo, «la cui figura passa» (Paolo VI); ogni Chiesa è nomade, come le genti della Mongolia con le loro tende, sempre in cammino verso il compimento dei tempi.

* Gianni Valente. Agenzia Fides 25 luglio 2023

Da Ulan Bator il racconto del card. Giorgio Marengo –scelto da papa Francesco nell’ultimo concistoro– che nella steppa guida una Chiesa nata appena 30 anni fa e conta in tutto 1400 fedeli. 

“Il nostro Natale l’abbiamo cominciato l’8 dicembre. Tutti insieme. Consacrando la Mongolia alla Madonna, davanti alla statua dell’Immacolata ritrovata tra i rifiuti”. È il più giovane cardinale della Chiesa cattolica oggi, ma non solo per i suoi 48 anni. Giorgio Marengo, missionario italiano della Consolata, prefetto apostolico di Ulan Bator, è il volto di una Chiesa –quella della Mongolia– nata appena trent’anni fa. Un piccolo gregge che in un Paese immenso conta in tutto 1400 fedeli, dispersi tra le diverse comunità. Ma che qualche settimana fa si sono ritrovati insieme nella capitale per un gesto che ha illumionato il tempo del Natale.

“La statua dell’Immacolata –racconta p. Marengo dai -20 gradi di Ulan Bator– venne trovata una decina di anni fa in una discarica del nord della Mongolia. A scoprirla fu una donna non cristiana, madre di 11 figli, che aveva qualche contatto con le suore di Madre Teresa. Rovistando nella spazzatura scaricata dal camion, come fanno i poveri a ogni latitudine, si è trovata davanti uno strano involucro di stoffa: aprendolo ha scoperto questa bellissima statua in legno dell’Immacolata, alta 62 cm, molto fine. Senza sapere che cosa fosse se l’è portata a casa dicendo: questa bella signora è voluta venire da me… finché le suore, tornando a farle visita, l’hanno vista e le hanno saputo da dove provenisse”.

Per alcuni anni la statua è rimasta nell’ufficio parrocchiale locale. “La sua origine io stesso l'ho conosciuta solo l’anno scorso –continua il card. Marengo– e a quel punto ho pensato: 'la Madonna ci vuole dire qualcosa'. Sono andato sul posto e ho incontrato la signora cje l'aveva ritrovata. Poi il 25 marzo, nella festa dell’Annunciazione e d’accordo con la comunità, abbiamo traslato ufficialmente la statua a Ulan Bator con l’idea di intronizzarla nella cattedrale, in modo che sia più conosciuta e venerata da tutti”.

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Celebrazione dell'imposizione del mando all'immagine di Maria

Così si è arrivati alla celebrazione dell’8 dicembre, che è stata accompagnata anche da un altro gesto significativo. “Abbiamo invitato tutti i nostri 1400 cattolici a inviarci un pezzo di stoffa particolarmente significativo per loro accompagnandolo con una frase, una preghiera. Con quelli abbiamo tessuto un manto che abbiamo offerto alla Vergine, con la presentazione delle nostre preghiere”. 

La Mongolia sta vivendo un momento abbastanza delicato, nelle ultime settimane il Paese è stato scosso dalle proteste per la corruzione nella vendita del carbone. “Questo furto qui è sulla bocca di tutti il risentimento è accentuato dal fatto che il Paese non naviga affatto in acque tranquille a livello economico, la gente si sente derubata. Il governo ora ha annunciato norme per una maggiore trasparenza nelle imprese a partecipazione statale, ma la crisi è stata forte”. Quanto alla guerra tra Russia e Ucraina, l'effetto principale qui è stato l'afflusso dei russi in fuga, in particolare dalla vicina Buriazia. "Ma per molti la Mongolia è stato solo un luogo di transito, da cui raggiungere poi altri Paesi", racconta il cardinale.

* Giorgio Bernardelli ha pubblicato questo articolo su "Asia News"

Lettera dalla Mongolia

Carissimi Amici e Amiche eccoci con il nostro abituale appuntamento con le notizie dei Missionari e delle Missionarie della Consolata della Mongolia. 

Gli effetti della pandemia di Covid19 e anche la guerra che interessa la Russia, nostro paese vicino, stanno scuotendo tremendamente la vita quotidiana e proiettano ombre e preoccupazioni su quel che potrebbe succedere domani; per questo è forte la speranza che la pace sia ripristinata per tutti.

Malgrado tutto siamo sempre grati per il vostro generoso aiuto che ci permette di svolgere il nostro apostolato con amore e umiltà e così raggiungere le persone a noi affidate: i vostri gesti di solidarietà mettono incessantemente sorrisi sui volti di innumerevoli mongoli e, a loro nome, vorremmo dire Grazie. 

Per quanto riguarda la Chiesa Cattolica in Mongolia, quest’anno 2022 è stato benedetto dalla nomina a Cardinale del nostro carissimo Vescovo Giorgio Marengo. Che immensa grazia, per questa giovane Chiesa Cattolica, avere come guida il cardinale più giovane del mondo!

In questa lettera vogliamo spendere due parole su Ulaanbaatar perché questa città, oltre ad essere il cuore politico, amministrativo ed economico del paese, è un po’ lo specchio nel quale si riflettono tutte le caratteristiche di questa nazione. I dati ufficiali parlano di una popolazione che conta approssimamene 1,3 milioni di abitanti, ciò significa un po’ meno della metà di tutta la popolazione. Abitare qui è il sogno di tanta gente giovane e meno giovane perché la capitale offre i servizi che tutti ricercano: le migliori scuole e università, i migliori ospedali, i migliori alberghi, una maggior possibilità di trovare impiego, anche i migliori svaghi. In questa urbe è giunta la maggior parte della migrazione interna del paese e si notano anche le evidenti stratificazioni socioeconomiche tipiche dei paesi post comunisti: l’ostentazione della ricchezza accanto a vasti quartieri popolari impoveriti. Negli ultimi vent’anni la nazione ha visto crescere in modo significativo il suo PIL come conseguenza dello sfruttamento dei suoi immensi giacimenti minerari, ma deve ancora  fare i conti con una più equa distribuzione della ricchezza generata.

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In questa città, più che altrove, si osserva il conflitto fra modernità e tradizione: è fragile l’equilibrio culturale fra il bello del passato che non si vuole perdere e i vantaggi della modernità contemporanea che tutto assorbe. Ecco perché i missionari e le missionarie della Consolata hanno voluto essere presenti in una zona popolare al nord di questa città capitale: vogliamo stare dentro questa rapida evoluzione culturale per capirne tutti gli elementi e accompagnare i nostri giovani in questo accidentato percorso.

Cosa è successo a Ulaanbaatar in questi mesi? Prima di tutto bisogna ricordare l’arrivo di tre nuovi giovani missionari che vengono per ampliare il nostro gruppo: Sr. Francesca dall’Italia; P. Patrick dal Kenya e P. Maximilian dal Tanzania. Tutti i nuovi arrivati si sono iscritti al corso di lingua Mongola all’università statale e saranno impegnati nello studio per almeno due anni. A loro un benvenuto e un augurio per una lunga permanenza.

Poi, sorpassata la grande crisi del Covid19, dobbiamo costatare che la vita in città ha ripreso il suo corso e con quella anche il nostro centro giovanile ha riaperto le sue attività con il doposcuola, la formazione, le uscite pedagogiche e lo sport nel nuovo campo di pallacanestro.

Ad Arvaikheer, la piccola comunità cristiana continua il suo cammino di fede con grande speranza; noi sosteniamo, accompagniamo e incoraggiamo i cristiani a vivere quotidianamente la fede che hanno abbracciato per mezzo del catechismo e impegnandoli in varie attività come Chiesa. Abbiamo partecipato a numerose attività organizzate in diversi periodi dell’anno dalla Chiesa Cattolica Mongola che celebra il suo trentesimo anniversario. 

La Giornata dei lavoratori e la Settimana pastorale sono state una occasione per riflessione sulla nostra vita cattolica e per valutare il livello di verità e profondità della nostra fede: i frutti di tali attività si vedono quando condividono la loro fede alle loro stesse famiglie in maggioranza non Cristiane.

L’asilo per i bambini, i doposcuola, le docce pubbliche, il Progetto Donna, il gruppo degli alcoolici anonimi sono le attività sociali che ci permettono avvicinare le famiglie. Quest’anno siamo stati in grado di distribuire carbone e legna ai bisognosi, specialmente durante la lunga e rigida stagione invernale, poiché alcuni di loro non possono permetterselo.

A Kharkhorin, continuiamo a intensificare le nostre relazioni per aprire la strada al dialogo interreligioso che davvero vale la pena in questo paese ricco di patrimoni religiosi e culturali. Abbiamo anche dato ospitalità quest’anno a due archeologi italiani di Torino che sono venuti in Mongolia (in particolare nel Museo di Kharkhorin) per svolgere le loro ricerche. La nostra comunità è sempre ospitale e ogni visita rafforza l’amicizia con tante persone la cui presenza e vicinanza diventa fonte di incoraggiamento.

Carissimi Amici e Amiche, anche se siete fisicamente distanti da noi, il vostro sostegno ci incoraggia ad andare avanti sempre servendo il regno di Dio presente anche in questo  popolo Mongolo. In questi giorni ci stiamo avvicinando alle feste del Natale; l’Emmanuele, Dio con noi, possa portare abbondanti doni di grazia nei vostri cuori e nelle vostre famiglie. A tutti voi un Buon Natale e un nuovo anno 2023 pieno di Pace.  

Potete seguirci sul sito QUI

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Domenica 28 agosto, nella casa generalizia delle Missionarie della Consolata, le due famiglie fondate da Giuseppe Allamano si sono riunite attorno a Mons. Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulaanbaatar, nominato cardinale da papa Francesco nel concistoro del giorno precedente. 

Tantissimo di famiglia consolata c’era in questa celebrazione: il calice che era appartenuto all’Allamano e che conservano le Missionarie della Consolata; la festività e la varietà culturale e continentale dei missionari e degli amici presenti; la decorazione della mitra proveniente da quella di Mons. Torasso, il primo vescovo dei Missionari della Consolata in Colombia, morto a soli quarantasei anni nella difficile geografia delle terre del Caquetá.

Nella sua riflessione Mons. Giorgio, illuminato dalle letture della 22 domenica del tempo ordinario (ciclo C), ha ricordato aspetti che appartengono all’insegnamento del Fondatore, alla tradizione dell’Istituto e sono una chiara indicazione su come essere Cardinale missionario. Ve la offriamo a continuazione.

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Il nuovo cardinale con alcuni missionari della Consolata originari di vari paesi africani

Che avrebbe potuto dire il nostro Fondatore se avesse visto un suo figlio, missionario della Consolata, diventare Cardinale?  La Parola di Dio di questa domenica può rispondere a questa domanda e ci propone tre criteri che non sono affatto lontano dalla spiritualità di Giuseppe Allamano e devono essere presenti nella vita del Cardinale Missionario della Consolata.

La prima lettura del libro del Siracide para in modo eloquente dell’umiltà. “Quanto più sei grande, tanto più fatti umile perché ai miti Dio rivela i suoi segreti” (cf. Sir 3,18-19), in cambio la condizione dei superbi è descritta come misera. Gesù è stato colui che per primo ha preso l’ultimo posto; come dice San Paolo, se vogliamo vantarci lo dovremo fare perché lui ci ha chiamati ma non per nessun altro motivo. Anche il vangelo tocca lo stesso argomento quando dice che i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi sono i primi invitati al banchetto del Regno (cf Lc 14,13)... e noi siamo quei poveri che sono i privilegiati del vangelo. L’umiltà quindi non può mancare nella vita del missionario della Consolata e nemmeno in quella del cardinale Missionario della Consolata.

La seconda lettura, una bellissima pagina tratta della lettera agli Ebrei, la voglio leggere in chiave eucaristica perché ci manifesta un aspetto molto tipico della vita del Missionario e Missionaria della Consolata. L’autore di questo scritto dice  che “non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità” (Eb 12,18), quelle sono manifestazioni potenti e misteriose del Dio dell’Antico Testamento, ma “vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente... a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova” (cf Eb 12,22-24). Non dimentichiamo che quando ci avviciniamo all’eucaristia ci stiamo avvicinando a Gesù in persona. Quello che i nostri occhi vedono sono i segni umili e  poveri del pane e del vino nel quale Gesù si fa realmente presente alla nostra vita quotidiana. Lui lo fa rispettando fino a tal punto la nostra libertà che in quei segni diventa piccolo e quasi invisibile. 

Giuseppe Allamano tutto questo l’aveva nel cuore: l’eucaristia è il fine della missione, perché come meta abbiamo la costruzione di una comunità convocata attorno alla Cena del Signore, ma è anche il principio perché nell'eucaristia trova la sua origine la missione come testimonianza, carità e giustizia.

Giuseppe Allamano voleva che i suoi missionari fossero eucaristici perché dall’Eucaristia nasce il servizio verso i più poveri e l’annuncio del vangelo nei tanti contesti nei quali siamo chiamati a evangelizzare. Anche questo è un criterio valido per il cardinale Missionario della Consolata.

Poi viene il testo del vangelo di Luca che forse non ha bisogno di spiegazioni perché stabilisce in modo lampante la logica di tutto il vangelo: i nostri posti sono gli ultimi e non i primi. “Non metterti al primo posto ma vai a metterti all’ultimo perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato” (cf Lc 14,8-11). La logica del vangelo, che è molto diversa da quella del mondo, si vive stando nell’ultimo posto e non nel primo. E questo vale per tutti noi Missionari della Consolata, anche per il cardinale.

Il Signore conclude questo testo questa frase: “(al tuo banchetto) invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; sarai beato perché non hanno da ricambiarti” (Lc 14,13-14). Spesso nella vita finiamo sempre per fare qualche calcolo del tipo “se sono una persona buona e onesta ho diritto almeno a qualcosa... se faccio un gesto di carità mi dovranno almeno dire grazie”. Un famoso poeta mongolo, morto non molti anni fa, Dashbalbar, scrisse questo verso in una poesia titolata “sii come il cielo”: “qualunque cosa ti succeda, sia che ti applaudano o ti insultino, tu sii amplio come il cielo”. 

Nella nostra vita missionaria ciò che domina non è il calcolo ma la gratuità: uno dei segni più coerenti con la logica del vangelo dove tutti siamo figli dello stesso Padre “che fa sorgere il suo sole su cattivi e buoni, e fa piovere su giusti e ingiusti” (cf Mt 4,45).

Gli esempi di chi vive secondo la logica del vangelo li abbiamo a casa nostra, nei nostri santi, il beato Giuseppe Allamano e le beate Irene e Leonella. Nei diari di Leonella si riporta una frase che dice: “ma quando potrò fare un gesto di gratuità pulito, senza attendere niente in cambio?”... e lo Spirito l’ha plasmata e alla fine è stata così somigliante al Cristo da versare il suo sangue mescolandolo anche con quello delle sue guardie del corpo che erano di fede mussulmana; morendo ha detto tre volte perdono. 

Nella tradizione orientale i santi sono chiamati “i somigliantissimi” perché assomigliano in tutto e per tutto a Gesù. La vocazione missionaria ci mette nella condizione degli apostoli e ci porta dove il vangelo non è ancora conosciuto. La dobbiamo essere una chiesa umile, eucaristica, ultima fra gli ultimi e costruita secondo la logica del vangelo. Dobbiamo essere “somigliantissimi”; santi come diceva il Fondatore.

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