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«È Mio Dovere Segnalare La Santità Del Cafasso»

«Ho introdotto questo processo, posso dire, non tanto per affezione o parentela, quanto per il bene che può produrre l’esaltazione di questo uomo, affinché quelli che leggeranno le sue virtù, divengano bravi sacerdoti, bravi cristiani e voi bravi missionari» (Conf. IMC, I, 192).

Durante la discussione della causa lo si sentì dire: «Io, come parente, dovrei neppure occuparmene, e non è questo lo spirito che mi spinge; io lo faccio come rettore del convitto per cui, essendo succeduto a lui nell’insegnamento e nella direzione del clero, è mio dovere segnalare al clero le virtù e la santità del Cafasso e fare quanto sta da me perché Egli possa risplendere a loro coll'aureola che si merita» (Can. Nicola Baravalle, Testimonianza).

«Se fosse perché è mio zio, non farei tutto questo; ma per la gloria di Dio e dei santi si fa questo ed altro» (Sr. Chiara Strapazzon MC, Testimonianza).

«Nessun motivo umano mi induce alle mie deposizioni, ma unicamente la gloria di Dio e il bene delle anime» (Can. Allamano Giuseppe, Deposizione al processo del Cafasso).

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Svelato il documento con cui anticamente si certificava l'avvenuto pellegrinaggio di fedeli a Roma. Gli Archivi Vaticani e la Biblioteca Apostolica lo riportano alla luce realizzandone la replica fedele e ufficiale.

Dopo mille anni viene nuovamente svelato il documento con cui anticamente sicertificava l'avvenuto pellegrinaggio di fedeli a Roma: la "placchetta del pellegrino" (Testimonium), documento storico che ora, in occasione del Giubileo straordinario, gli Archivi Vaticani e la Biblioteca Apostolica riportano alla luce realizzandone la replica fedele e ufficiale.

La presentazione è in programma mercoledì 20 gennaio 2016 nella Chiesa romana dei Santi Bartolomeo e Alessandro dei Bergamaschi. Lorena Bianchetti, alla presenza del cardinale Raffaele Farina, presidente della Pontificia Commissione referente sull'Istituto per le Opere di Religione, e mons. Jean-Louis Brugues, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, coordinerà l'evento di presentazione della realizzazione della replica fedele del "documento metallico" di cui si era praticamente persa memoria, e che ha accompagnato e protetto il ritorno in patria di migliaia di fedeli. Il suo originale è custodito oggi nell'archivio del medagliere della Biblioteca Apostolica Vaticana.

"La replica - sottolinea la Biblioteca Vaticana - rappresenta un eccezionale prodotto ufficiale realizzato per il Giubileo della Misericordia, e ridiventa oggi simbolo della tradizione spirituale cristiana e prezioso ricordo del pellegrinaggio a Roma". 

 In occasione del Giubileo della Misericordia torna, dopo oltre 500 anni, il "Testimonium", la placchetta che dal 12.mo al 16.mo secolo portava con sé ogni pellegrino: era l'antico "lasciapassare" che dimostrava la veridicità del pellegrinaggio e che, nel lungo cammino dei pellegrini garantiva loro l'ospitalità nei conventi e negli ostelli lungo la via. L'originale in bronzo è custodito nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Oggi i pellegrini possono procurarsene una copia. A Roma la presentazione dell'iniziativa. Il servizio di Marina Tomarro

Una piccola placchetta di piombo raffigurante i Santi Pietro e Paolo, cucita solitamente sui mantelli. Era il "Testimonium", il simbolo che portavano gli antichi pellegrini che dopo mesi di pericoloso cammino, finalmente giungevano a Roma per visitare le tombe dei due Apostoli. E proprio in occasione del Giubileo della Misericordia questo simbolo viene riproposto ai tanti fedeli che arrivano nella città eterna per vivere questo grande evento della Chiesa. Ascoltiamo mons. Jean Louis Bruguès, archivista bibliotecario di Santa Romana Chiesa: 

– Secondo me questa placchetta è l’illustrazione della fedeltà: naturalmente alla fede, è la sua prova concreta, fisica. Ma è anche fedeltà alla storia. Dunque noi vogliamo rendere omaggio alle generazioni precedenti che hanno voluto fare questo viaggio così pericoloso.

– Chi sono i pellegrini di oggi?

– Coloro che fanno il viaggio con una tonalità speciale; dunque il desiderio di rendere visita a Cristo naturalmente ma tramite la vicinanza di coloro che l’hanno conosciuto: gli Apostoli, la Vergine, i Santi, che per noi sono le vetrine della santità di Dio.

– Cosa rimane del pellegrinaggio, secondo lei?

– Una purificazione, una conversione, cioè il desiderio di cambiare vita, di amare di più Dio e il prossimo.

E i "Testimonium" si diffusero a Roma e negli altri Santuari europei frequentati dai pellegrini intorno al XII secolo, per poi scomparire verso il XVI. Erano un lasciapassare importante per ricevere ospitalità gratuita lungo il cammino e ottenere aiuto in caso di bisogno. Ma sulla loro storicità ascoltiamo il commento di Giancarlo Alteri, conservatore emerito del Medagliere della Biblioteca Vaticana:

– Questa placchetta ha un’importanza storica. È una manifestazione della fede che i pellegrini avevano arrivando a Roma attraverso questi pellegrinaggi. È una cosa importante e anche storica anche dal punto di vista numismatico perché è un qualcosa che precede la nascita delle medaglie devozionali: da questa placchetta, successivamente, saranno fatte poi le medaglie devozionali che adoperiamo tuttora e la medaglistica papale. Ma soprattutto è una testimonianza di fede.

 

Fonte: http://www.gdp.ch/

 

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Seoul, Washington e Tokyo “pronte a tutto” per fermare il nucleare coreano

Fonte: AsiaNews

Dopo una giornata di frenetiche consultazioni i governi di Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti hanno annunciato che “lavoreranno insieme per fermare a ogni costo il nucleare nordcoreano”. A loro si unisce il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che, all’unanimità, ha condannato il presunto quarto test atomico del regime guidato da Kim Jong-un e ha annunciato il lancio di nuove sanzioni contro il Paese. Tuttavia l’effettiva capacità nucleare di Pyongyang deve essere ancora confermata.

Alle 10 del mattino (ora locale) di ieri, il governo della Corea del Nord ha annunciato tramite la televisione di Stato di aver effettuato con successo un test su un ordigno a idrogeno. Un sisma di magnitudo 5.1 è stato rilevato nei pressi del sito nucleare di Punggye-ri subito dopo la detonazione. Oltre a essere più potente di una normale bomba atomica, la tecnologia bellica a idrogeno potrebbe essere montata su missili di portata inferiore al normale che il regime possiede da anni.

Secondo la Casa Bianca, però, le “analisi iniziali” indicano che nel suo ultimo test nucleare la Corea del Nord non ha usato una bomba all'idrogeno, come sostenuto dal regime. Gli esperti americani continuano a studiare la situazione, ma il portavoce della Casa Bianca Josh Earnest ha spiegato che “non si è verificato nulla nelle ultime 24 ore che possa cambiare la nostra valutazione delle capacità nucleari della Corea del Nord”. Tuttavia, ha sottolineato il Segretario di Stato John Kerry, “quello della Corea del Nord è un atto altamente provocatorio”.

Diversi esperti internazionali hanno sottolineato che la magnitudine del sisma “è troppo limitata” per essere stata generata da un ordigno a idrogeno, ma molti altri fanno notare che tutto dipende dalle dimensioni della testata. Tetsuo Sawada, docente al Tokyo Institute of Technology, ritiene “molto difficile giudicare soltanto dal grado rilevato. Molto dipende da come la bomba è stata posizionata sotto terra, e soprattutto da quanto è grande”.

Il governo di Seoul, guidato dalla conservatrice Park Geun-hye, ha annunciato di aver limitato gli ingressi nel parco industriale inter-coreano di Kaesong. Qui diverse aziende del Sud fanno lavorare decine di migliaia di operai del Nord, nell’unico caso di collaborazione bilaterale nella penisola. Il complesso è inoltre una importante fonte di denaro contante per i nordcoreani e per il loro governo. L’esecutivo ha anche annunciato la “possibilità” di riprendere le operazioni di propaganda contro il regime: queste sono state fermate alla fine del 2015 nel tentativo di rilassare la tensione bilaterale.

Il primo ministro nipponico Shinzo Abe ha condannato con “la massima forza possibile” il test nucleare, definito “una minaccia diretta alla sicurezza del Giappone”. Questa mattina, inoltre, ha telefonato al presidente americano Barack Obama per “concordare una linea comune in seno alle Nazioni Unite” per rispondere alla minaccia: “E’ necessario mandare un messaggio molto forte alla Corea del Nord e fare in modo che la smetta con queste provocazioni”. 

Fonte: Radio Vaticana

Un appello di preghiera perché la situazione in Corea del Nord è difficile e tutti devono essere consapevoli che “con le armi nucleari non arriverà la pace”, perché “il Signore, re della storia, aiuti ad aprire i cuori dei politici”. A lanciarlo dalla diocesi coreana di Daejeon è mons. Lazzaro Heung-Sik You, presidente della Commissione giustizia e pace dei vescovi coreani, reagendo così al nuovo test nucleare compiuto ieri dal governo di Pyongyang, questa volta – a detta della Corea del Nord – con la bomba a idrogeno, il più potente degli ordigni atomici. 

Mons. You: no al nucleare e si al dialogo politico
Il vescovo cattolico - riferisce l'agenzia Sir - conferma che ieri nella penisola coreana si è sentita la scossa di terremoto ma che “il popolo coreano ha fatto esperienza molte volte di queste situazioni” e quindi sta reagendo con “calma” alla nuova situazione di crisi. E aggiunge: “Il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon desiderava fare una visita in Corea del Nord, ma questa cosa rompe il filo del dialogo e rende la pace più lontana. Invece di favorire il processo di credibilità reciproca, crea più tensione”. Il vescovo lancia un appello perché “non si giochi con il nucleare e si intraprenda sempre il dialogo politico”.

Solo il Signore può muovere i cuori dei politici
“Oggi ho pregato – racconta mons. You – perché tutti sapessero che con le armi nucleari non arriverà la pace. Solo con il dialogo reciproco si può trovare la linea giusta per convivere insieme. In questo senso sento molto forte l’Anno della Misericordia, avere misericordia nella verità”. Che significa per la Corea? “Significa – risponde il vescovo – trovare quello che ci accomuna: siamo figli della stessa famiglia, parliamo la stessa lingua, siamo fratelli che vivono sperati nel Nord e nel Sud. Solo mettendosi nella posizione dell’altro, si può intraprendere il cammino del dialogo verso la pace. La situazione in Corea del Nord non è facile. Non so dove sia la via della pace. Solo il Signore, che è il re della storia, lo sa. Quindi solo Lui può muovere i cuori dei politici. Noi preghiamo il Signore perché aiuti ad aprire i cuori dei politici”. (R.P.)

 

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"Sappiamo che tutti i tempi sono stati difficili per l'evangelizzazione e per la Chiesa": con questa frase il neo Arcivescovo di Barcellona, Sua Ecc. Mons. Juan José Omella, ha presentato il nuovo piano pastorale della Conferenza Episcopale Spagnola (CEE), che guiderà le attività della Chiesa nel corso dei prossimi quattro anni. Il documento, intitolato "La Chiesa in missione al servizio del nostro popolo", propone una serie di iniziative per "ravvivare la vita cristiana dei credenti e offrire in modo accattivante il dono della fede ai non credenti".

I Vescovi partono da una valutazione dura e realistica della situazione della Chiesa in Spagna con le conseguenze sociali "di un laicismo bellicoso contro la religione". "Dovremmo essere ciechi per non vederlo" ha detto Sua Ecc. Mons. Adolfo Gonzalez Montes, Vescovo della diocesi di Almeria, nel corso della conferenza stampa che si è svolta ieri, 16 dicembre, a cui ha partecipato anche il Vescovo di Guadix, Sua Ecc. Mons. Gines Garcia Beltran, e il Segretario generale della CEE, padre José Maria Gil.
Il documento è di 54 pagine, con una introduzione, due parti e una conclusione. Come ha spiegato Mons. Omella, il piano pastorale mira a che "nessuno ci strappi la gioia del Vangelo e della missione", perché "il messaggio di Gesù è eccitante". Non è, quindi "una strategia per imporre la religione alla nostra società, ma per condividere la gioia del Vangelo" sfruttando "l'impulso che viene dallo stesso Papa Francesco".

 

Fonte: Agenzia Fides

 

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Conferenza stampa di presentazione di un Documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo in occasione del 50.mo anniversario di “Nostra aetate”, 10.12.2015

 

Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la conferenza stampa di presentazione di un nuovo Documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo dal titolo “Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili” (Rm 11,29). Riflessioni su questioni teologiche attinenti alle relazioni cattolico-ebraiche in occasione del 50º Anniversario di Nostra aetate (n. 4).

Intervengono l’Em.mo Card. Kurt Koch, Presidente della Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo; P. Norbert Hofmann, S.D.B., Segretario della Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo; Rabbi David Rosen, International Director of Interreligious Affairs, American Jewish Committee (AJC), Jerusalem (Israel) e il Dr. Edward Kessler, Founder Director of the Woolf Institute, Cambridge (United Kingdom).

Intervento del Card. Kurt Koch

Mercoledì 28 ottobre di quest’anno, secondo il desiderio di Papa Francesco, è stata organizzata un’udienza generale del tutto speciale, perché nello stesso giorno, cinquant’anni prima, veniva promulgata la Dichiarazione “Nostra aetate” del Concilio Vaticano Secondo. A tale udienza hanno assistito anche numerosi rappresentanti di altre religioni. La loro presenza si spiega per il fatto che il testo conciliare ha segnato una svolta nell’atteggiamento della Chiesa cattolica verso le altre religioni e va dunque inteso come un plaidoyer a favore del dialogo interreligioso. La celebrazione del 50º anniversario di “Nostra aetate” ha avuto luogo dal 26 al 28 ottobre scorso, con una grande conferenza internazionale presso la Pontificia Università Gregoriana. Le oltre quattrocento persone ivi presenti hanno poi assistito all’udienza papale del 28 ottobre, che ha dunque rappresentato il culmine della commemorazione. In tale occasione, il Santo Padre ha sottolineato l’importanza del dialogo interreligioso e della collaborazione tra le varie religioni davanti ai gravi problemi ed alle grandi sfide del tempo presente: “Il mondo guarda a noi credenti, ci esorta a collaborare tra di noi e con gli uomini e le donne di buona volontà che non professano alcuna religione, ci richiede risposte effettive su numerosi temi: la pace, la fame, la miseria che affligge milioni di persone, la crisi ambientale, la violenza, in particolare quella commessa in nome della religione, la corruzione, il degrado morale, le crisi della famiglia, dell’economia, della finanza, e soprattutto della speranza”.

Per la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, la ricorrenza di questo anniversario è una buona occasione per presentare un nuovo documento, che riprende i principi teologici del quarto punto di “Nostra aetate”, li amplia e li approfondisce, laddove essi interessano le relazioni tra la Chiesa cattolica e l’ebraismo. Se è vero che, nel corso della storia della Chiesa, non sono mancate dichiarazioni ufficiali in merito all’ebraismo o alla convivenza tra cattolici ed ebrei, è altrettanto vero che “Nostra aetate” (n. 4) presenta, per la prima volta, la decisa posizione teologica di un Concilio nei confronti dell’ebraismo. La dichiarazione ricorda espressamente le radici ebraiche del cristianesimo. Gesù e i suoi primi discepoli erano ebrei, segnati dalla tradizione ebraica del loro tempo; solo in tale contesto è dunque possibile comprenderli correttamente.

Il documento che oggi desidero presentare s’intitola “Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili. Riflessioni su questioni teologiche attinenti alle relazioni cattolico-ebraiche”. Si tratta di un documento esplicitamente teologico, che intende riprendere e chiarire le questioni che sono affiorate negli ultimi decenni nel dialogo ebraico-cattolico. Prima di questo testo, nessun altro documento di stampo teologico in senso stretto era stato pubblicato dalla nostra Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo. I tre documenti precedenti riguardavano piuttosto tematiche concrete, utili al dialogo con l’ebraismo da un punto di vista essenzialmente pratico.

Accennando brevemente alla storia della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, desidero ricordare che essa fu istituita dal beato Papa Paolo VI il 22 ottobre del 1974. L’anno stesso della sua fondazione, la Commissione della Santa Sede pubblicò, il 1° dicembre 1974, il suo primo documento ufficiale, intitolato “Orientamenti e Suggerimenti per l’Applicazione della Dichiarazione Conciliare Nostra aetate (n. 4)”. L’obiettivo principale ed innovatore di questo documento era quello di avvicinarsi all’ebraismo per conoscerlo nel modo in cui esso si auto-concepisce. Il documento intendeva principalmente occuparsi del modo in cui “Nostra aetate” (n. 4) può essere tradotta nella pratica adeguatamente, nei diversi contesti. A distanza di undici anni, il 24 giugno 1985, la Commissione della Santa Sede ha pubblicato un secondo documento intitolato “Circa una corretta presentazione degli Ebrei e dell’Ebraismo nella Predicazione e nella Catechesi della Chiesa cattolica”. Seppure il testo sia già connotato esegeticamente e teologicamente, esso ha uno stampo prevalentemente pratico: s’incentra infatti sul modo in cui l’ebraismo viene presentato nella predicazione e nella catechesi cattoliche. Un terzo documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo è stato presentato al pubblico il 16 marzo 1998. Esso si occupa della Shoah ed è intitolato “Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah”. Questo documento è stato soprattutto voluto dai nostri partner ebrei, data l’importanza che la tragedia della Shoah riveste nella loro lunga storia di persecuzioni.

Rispetto a questi tre primi documenti, il documento presente ha un carattere ed un orientamento ben diversi. Il contesto che ha fornito la giusta occasione per la sua redazione è già stato menzionato: il 50º anniversario della promulgazione di “Nostra aetate” (n. 4). Qual è però la ragione che ha motivato la sua stesura? Cosa si prefigge questo documento?

Il preambolo sottolinea che non si tratta di un documento ufficiale del Magistero della Chiesa cattolica, ma di un documento di studio della nostra Commissione, il cui intento è quello di approfondire la dimensione teologica del dialogo ebraico-cattolico. Il documento non vuole dunque presentare affermazioni dottrinali definitive, ma fornire uno spunto ed un impulso per ulteriori discussioni teologiche. Un importante obiettivo di Papa Francesco e della nostra Commissione è infatti l’approfondimento del dialogo religioso e teologico tra ebrei e cattolici. Già “Nostra aetate” (n. 4) aveva menzionato questioni teologiche che richiedevano un’ulteriore riflessione. Ed è precisamente a questa riflessione che il presente documento vuole apportare il proprio contributo. Esso invita i teologici e, più in generale, tutti coloro che sono interessati al dialogo ebraico-cristiano a recepire, a considerare e a discutere i vari punti esposti nel documento.

Il documento si articola intorno a sette sezioni: 1. Breve storia dell’impatto di “Nostra aetate” (n. 4) nel corso degli ultimi 50 anni; 2. Lo statuto teologico speciale del dialogo ebraico-cattolico; 3. La rivelazione nella storia come “Parola di Dio” nell’ebraismo e nel cristianesimo; 4. La relazione tra Antico e Nuovo Testamento e tra Antica e Nuova Alleanza; 5. L’universalità della salvezza in Gesù Cristo e l’alleanza mai revocata di Dio con Israele; 6. Il mandato evangelizzatore della Chiesa in relazione all’ebraismo; 7. Gli obiettivi del dialogo con l’ebraismo.

Nella prima sezione, viene esposta brevemente la storia del dialogo ebraico-cattolico negli ultimi cinquant’anni, sintetizzata al n. 10 con le seguenti parole: “In questo arco di tempo, molto è stato realizzato; dalla contrapposizione di una volta si è passati ad una proficua collaborazione, dal potenziale di conflitto ad un’efficiente gestione dei conflitti, da una coesistenza contrassegnata dalle tensioni ad una convivenza solida e fruttuosa. I legami di amicizia sviluppatisi negli anni hanno dimostrato la loro robustezza ed hanno permesso così di affrontare insieme persino temi controversi senza il rischio di arrecare al dialogo un danno permanente.” Queste parole corrispondono a quanto affermato da Papa Francesco durante l’udienza generale del 28 ottobre: “Una speciale gratitudine a Dio merita la vera e propria trasformazione che ha avuto in questi 50 anni il rapporto tra cristiani ed ebrei. Indifferenza e opposizione si sono mutate in collaborazione e benevolenza. Da nemici ed estranei, siamo diventati amici e fratelli”. A testimonianza di questo aspetto, la prima sezione menziona le attività e le iniziative intraprese dagli ultimi tre Pontefici nel campo del dialogo ebraico-cattolico, come pure quelle della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, sulle quali non è possibile soffermarsi nel dettaglio.

La seconda sezione, da un punto di vista teologico, ripete in realtà un concetto non nuovo, ovvero il fatto che il cristianesimo deriva dall’ebraismo, ha radici ebraiche e può essere compreso adeguatamente soltanto tenendo presente tale contesto. Gesù nasce, vive e muore come ebreo; anche i suoi primi discepoli e gli apostoli, quali colonne della Chiesa cristiana, si situano in continuità con la tradizione religiosa ebraica del loro tempo. Tuttavia, Gesù la trascende, poiché, secondo la fede cristiana, egli non può essere considerato soltanto come ebreo, ma anche e soprattutto come Messia e Figlio di Dio. Il documento afferma pertanto: “La differenza di fondo tra ebraismo e cristianesimo consiste nel modo in cui si ritiene di dover valutare la figura di Gesù. Gli ebrei possono vedere Gesù come un appartenente al loro popolo, un maestro ebraico che ha sentito di essere chiamato in modo particolare ad annunciare il Regno di Dio. Il fatto però che il Regno di Dio sia venuto con lui quale rappresentante di Dio è al di fuori dell’orizzonte ebraico di attese messianiche” (n. 14). Anche se l’ebreo Gesù è percepito in maniera diversa da cristiani e da ebrei, da un punto di vista teologico si può tuttavia parlare, per quanto riguarda le relazioni tra cristiani ed ebrei, di un legame di parentela strettissimo e imprescindibile. Il documento descrive infatti il dialogo tra ebrei e cristiani con le seguenti parole: “Pertanto, solo con le dovute riserve, il dialogo ebraico-cristiano può essere definito ‘dialogo interreligioso’ in senso stretto; si dovrebbe piuttosto parlare di un tipo di ‘dialogo intra-religioso’ o ‘intra-familiare’ sui generis” (n. 20).

La terza sezione si occupa della rivelazione nella storia come “Parola di Dio”. Sia ebrei che cristiani credono che il Dio di Israele si è rivelato attraverso la sua Parola, offrendo così agli uomini un insegnamento su come vivere in maniera riuscita nel giusto rapporto con Dio e con il prossimo. Questa Parola di Dio è individuabile per gli ebrei nella Torah; per i cristiani, essa si è incarnata in Gesù Cristo (cfr. Gv 1,14). Al riguardo, Papa Francesco ha affermato: “Le confessioni cristiane trovano la loro unità in Cristo; l’ebraismo trova la sua unità nella Torah. I cristiani credono che Gesù Cristo è la Parola di Dio fattasi carne nel mondo; per gli Ebrei la Parola di Dio è presente soprattutto nella Torah. Entrambe le tradizioni di fede hanno per fondamento il Dio Unico, il Dio dell’Alleanza, che si rivela agli uomini attraverso la sua Parola. Nella ricerca di un giusto atteggiamento verso Dio, i cristiani si rivolgono a Cristo quale fonte di vita nuova, gli Ebrei all’insegnamento della Torah” (Discorso ai membri dell’International Council of Christians and Jews, 30 giugno 2015).

La quarta sezione verte sul rapporto tra Antico e Nuovo Testamento e tra Antica e Nuova Alleanza. “Per il fatto che l’Antico Testamento è parte integrante dell’unica Bibbia cristiana, vi è un senso di appartenenza profondamente radicato ed un intrinseco legame tra ebraismo e cristianesimo” (n. 28). Certamente, i cristiani interpretano le Scritture dell’Antico Testamento in modo diverso rispetto agli ebrei, poiché l’evento di Cristo rappresenta per loro la nuova chiave d’interpretazione per comprenderle. Sant’Agostino riassume così questo concetto: “L’Antico Testamento si mostra nel Nuovo, mentre il Nuovo è nascosto nell’Antico.” E Papa Gregorio Magno definisce l’Antico Testamento “profezia del Nuovo“ (cfr. n. 29). I cristiani partono fondamentalmente dal presupposto che l’arrivo di Gesù Cristo quale Messia era già contenuto nelle profezie dell’Antico Testamento. Alla luce di questa “concordia testamentorum”, ovvero dell’imprescindibile concordia tra i due Testamenti, si comprende anche il rapporto del tutto speciale tra Antica e Nuova Alleanza: “L’Alleanza offerta da Dio a Israele è irrevocabile… La Nuova Alleanza non revoca le precedenti alleanze, ma le porta a compimento… Per i cristiani, la Nuova Alleanza in Cristo è il punto culminante delle promesse di salvezza dell’Antica Alleanza ed, in tale misura, non è mai indipendente da essa. La Nuova Alleanza ha per base e fondamento l’Antica, poiché è il Dio di Israele che stringe l’Antica Alleanza con il popolo di Israele e rende possibile la Nuova Alleanza in Gesù Cristo” (n. 27). Va dunque tenuto presente che può esserci soltanto un’unica storia dell’alleanza tra Dio e il suo popolo, e che Dio ha sempre rinnovato la sua alleanza con il suo popolo Israele. In questo quadro s’iscrive anche la Nuova Alleanza, seppure essa si ponga in un rapporto speciale con le precedenti: “La Nuova Alleanza, per i cristiani, non è né l’annullamento né la sostituzione, ma il compimento delle promesse dell’Antica Alleanza” (n. 32).

Nella quinta sezione viene menzionata la spinosa questione di come comprendere il fatto che gli ebrei sono salvati senza che essi credano esplicitamente in Gesù Cristo quale Messia di Israele e Figlio di Dio. “Poiché Dio non ha mai revocato la sua alleanza con il suo popolo Israele, non possono esserci vie o approcci diversi alla salvezza di Dio… Confessare la mediazione salvifica universale e dunque anche esclusiva di Gesù Cristo fa parte del fulcro della fede cristiana tanto quanto confessare il Dio uno e unico, il Dio di Israele che, rivelandosi in Gesù Cristo” (n. 35). “Dalla confessione cristiana di un’unica via di salvezza non consegue, però, che gli ebrei sono esclusi dalla salvezza di Dio perché non credono in Gesù Cristo quale Messia di Israele e Figlio di Dio… Dio ha affidato a Israele una missione unica e non porterà a compimento il suo misterioso piano di salvezza rivolto a tutti i popoli (cfr. 1 Tm 2,4) senza coinvolgere il suo ‘figlio primogenito’ (Es 4,22)… Il fatto che gli ebrei abbiano parte alla salvezza di Dio è teologicamente fuori discussione, ma come questo sia possibile senza una confessione esplicita di Cristo è e rimane un mistero divino insondabile” (n. 36).

Ad un’altra tematica spinosa si riferisce la sesta sezione: quale deve essere l’atteggiamento dei cristiani sulla questione dell’evangelizzazione in relazione agli ebrei? Al riguardo, troviamo nel documento le seguenti affermazioni: “La Chiesa deve dunque comprendere l’evangelizzazione rivolta agli ebrei, che credono nell’unico Dio, in maniera diversa rispetto a quella diretta a coloro che appartengono ad altre religioni o hanno altre visioni del mondo. Ciò significa concretamente che la Chiesa cattolica non conduce né incoraggia alcuna missione istituzionale rivolta specificamente agli ebrei. Fermo restando questo rifiuto -per principio- di una missione istituzionale diretta agli ebrei, i cristiani sono chiamati a rendere testimonianza della loro fede in Gesù Cristo anche davanti agli ebrei; devono farlo però con umiltà e sensibilità, riconoscendo che gli ebrei sono portatori della Parola di Dio e tenendo presente la grande tragedia della Shoah” (n. 40).

Infine, nella settima sezione, sono enunciati, da un punto di vista cattolico, gli obiettivi del dialogo ebraico-cattolico, che non erano ancora mai stati espressi in un documento in modo così esplicito. Naturalmente, l’intento principale è quello di permettere a cattolici e ad ebrei di conoscersi e di apprezzarsi in maniera più approfondita. Tra gli obiettivi da perseguire, vi è però anche la collaborazione nel campo dell’esegesi, ovvero dell’interpretazione delle Sacre Scritture, che ebrei e cristiani hanno in comune. E ancora: “Un importante obiettivo del dialogo ebraico-cristiano consiste indubbiamente nell’impegno comune a favore della giustizia, della pace, della salvaguardia del creato e della riconciliazione in tutto il mondo” (n. 46). “Giustizia e pace non dovrebbero comunque essere concetti astratti nel dialogo, ma dovrebbero concretizzarsi in modo tangibile. La sfera sociale-umanitaria offre un ricco campo di attività, poiché sia l’etica ebraica che l’etica cristiana comprendono l’imperativo di assistere i poveri, i deboli e i malati” (n. 48). Il documento aggiunge poi che, nell’ambito della formazione delle giovani generazioni, ci si dovrebbe sforzare di rendere noti i risultati ed i progressi compiuti nel dialogo ebraico-cattolico. Infine, si fa riferimento all’antisemitismo: “Un altro importante obiettivo nel dialogo ebraico-cattolico consiste nella lotta comune contro ogni manifestazione di discriminazione razziale verso gli ebrei e contro ogni forma di antisemitismo” (n. 47).

Con questa breve panoramica sul contenuto del nuovo documento, ho tentato di mettere in evidenza il fatto che il dialogo con l’ebraismo, dopo cinquant’anni, poggia ora su un solido terreno, poiché molto è stato realizzato in questo arco di tempo. Di ciò dobbiamo essere riconoscenti a Dio, senza il cui aiuto non saremmo giunti dove ci troviamo adesso: “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori” (Sal 127,1). Siamo naturalmente grati per ogni sforzo compiuto sia da parte ebraica che da parte cattolica a favore della promozione del nostro dialogo. Altrettanto importante è però ricordare, come sottolinea il documento, che, soprattutto dal punto di vista teologico, siamo solo ad un nuovo inizio: molte questioni rimangono aperte e richiedono un ulteriore studio. Per questo, mi auguro che il presente documento sia ben recepito da tutti coloro che sono impegnati nel dialogo ebraico-cristiano o che ad esso sono interessati, e possa fornire loro uno stimolante spunto per la riflessione, per le conversazioni e per gli scambi futuri.

 

Intervento di P. Norbert Hofmann, S.D.B.

Già per il 40º anniversario della promulgazione della Dichiarazione conciliare “Nostra aetate” si era pensato originariamente di pubblicare un documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo della Santa Sede. Per diversi motivi, questo non è stato possibile nel 2005. Riflettendo in maniera retrospettiva, possiamo dire che è stato meglio aver atteso fino ad oggi, poiché le questioni teologiche presenti nell’attuale documento sono state discusse in maniera dettagliata ed appassionata soprattutto negli ultimi dieci anni.

Il documento non intende assolutamente mettere un punto conclusivo a queste discussioni. Esso vuole essere piuttosto uno stimolo al proseguimento ed all’approfondimento della dimensione teologica del dialogo ebraico-cattolico. La Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo si richiama all’obiettivo che lo stesso Papa Francesco si è posto, ovvero far sì che il dialogo ebraico-cattolico acquisisca una maggiore profondità ed ampiezza dal punto di vista teologico. Ecco delinearsi anche uno dei motivi principali per cui il presente documento viene pubblicato in questo momento: il dialogo teologico tra ebrei e cattolici deve ricevere nuovi impulsi.

È nostro auspicio che i teologi cattolici impegnati da molto tempo nel dialogo ebraico-cattolico accolgano e sviluppino ulteriormente le riflessioni contenute nel documento. Di fatti, il documento si rivolge primariamente a tutti coloro che sono attivi in questo dialogo. Tuttavia, esso può essere utile anche a chi si interessa, più in generale, alle relazioni ebraico-cattoliche.

Il documento è stato elaborato non solo sulla base delle affermazioni di fede cattoliche, ma anche tenendo conto delle posizioni dei nostri partner di dialogo. Ad un certo punto della redazione del documento, sono stati infatti coinvolti anche consultori ebrei ai quali è stato chiesto un parere sull’adeguatezza di quanto esposto nel testo circa l’ebraismo. Nel testo si trovano riferimenti non solo all’Antico ed al Nuovo Testamento, ma anche alla Mishna ed al Talmud. La redazione del documento è durata complessivamente due anni e mezzo, poiché le prime bozze risalgono al 2013. Già Papa Benedetto XVI si era detto favorevole alla stesura di un simile documento, ma soltanto con il “placet” dato da Papa Francesco poco dopo la sua elezione, il lavoro è potuto iniziare.

Fin dall’inizio, c’è stata una stretta collaborazione con la Congregazione per la dottrina della fede, che naturalmente è sempre interpellata quando si tratta di testi teologici in Vaticano. Al riguardo, desideriamo ringraziare di cuore Sua Eminenza il Cardinale Gerhard Müller ed i suoi collaboratori per la loro competenza e disponibilità in questo lavoro congiunto.

Essendo il Cardinale Koch, il Cardinale Müller ed il sottoscritto di madrelingua tedesca, la prima bozza del documento è stata elaborata in tedesco. Un piccolo gruppo di quattro persone, due rappresentanti della nostra Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo e due rappresentanti della Congregazione per la dottrina della fede, hanno preparato la prima versione del documento, prima che venisse tradotto in inglese. Il testo è stato letto da entrambi i cardinali, che hanno proposto alcune modifiche, dopodiché è stata organizzata una consultazione internazionale di consultori della nostra Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo. Questi consultori, sulla base del testo inglese, hanno avanzato suggerimenti per migliorare il documento. Alla luce di tali osservazioni, il testo è stato modificato ed inviato alla Congregazione per la dottrina della fede, la quale, a sua volta, ha interpellato i propri consultori. La versione inglese del documento è stata ulteriormente cambiata tenendo conto di questi suggerimenti. Ciò significa che il documento è il risultato di un lavoro collettivo, a cui molte persone competenti hanno contribuito. A tutte loro siamo sinceramente riconoscenti.

Dopo il nulla osta concesso nel settembre 2015 dalla Congregazione per la dottrina della fede, il testo è stato presentato alla Segretaria di Stato, che, poco dopo, nell’ottobre del 2015, dava il via libera per la pubblicazione. Nel dicembre del 2014, Papa Francesco aveva già dato il suo benestare per la pubblicazione di un documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo per il 50º anniversario della promulgazione di “Nostra aetate” (n. 4).

Il giorno preciso della commemorazione di “Nostra aetate” è stato il 28 ottobre scorso, giorno in cui, cinquant’anni fa, fu promulgata la Dichiarazione dal Concilio Vaticano Secondo. Questo stesso giorno, Papa Francesco ha dedicato l’udienza generale alla Dichiarazione conciliare. Fin dall’inizio era stato deciso di non pubblicare questo documento -che è il quarto documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo- nel quadro delle celebrazioni del 28 ottobre scorso, ma di riservargli un momento a parte, distinto. La prima data possibile era per noi quella odierna, il 10 dicembre, dato che nel mese di novembre stavamo ancora ultimando le traduzioni del testo. Come è stato già detto, il testo originale è in inglese, ma sono disponibili versioni anche in italiano, francese, spagnolo e tedesco.

Alla presentazione del documento, abbiamo invitato oggi due amici ebrei, che sono stati coinvolti anche nel processo di preparazione del testo: il Rabbino David Rosen di Gerusalemme dell’American Jewish Committee ed il Dott. Edward Kessler di Cambridge del Woolf Institute. Mi pare un segno eloquente e positivo il fatto che alla presentazione di questo documento siano presenti anche esponenti ebraici con i quali conduciamo il dialogo ebraico-cattolico. L’opinione pubblica sarà sicuramente interessata a sapere come i nostri interlocutori ebraici accolgono il documento.

Naturalmente, e tengo a ripeterlo, la presente Dichiarazione è un testo cattolico, formulato da una prospettiva cattolica, poiché è normale che, come cristiani credenti, noi affermiamo la nostra identità di fede in maniera chiara anche nel dialogo con l’ebraismo, così come ci aspettiamo che facciano i nostri partner di dialogo ebrei. Soltanto così il rispetto reciproco ed il mutuo apprezzamento potranno crescere, soltanto così potremo conoscerci sempre meglio e diventare insieme una benedizione per gli altri.

 

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