È iniziata nel pomeriggio di questo lunedì 22 gennaio, presso il Seminario della Consolata a Fátima, nel Portogallo, la seconda Conferenza della Regione IMC Europa. La programmazione che durerà fino a sabato 27, è stata posta sotto la protezione della Vergine di Fátima, con l’intercessione del Beato Allamano –all'inizio del triennio a lui dedicato (2024-2026)– e della Fondatrice dell’Istituto, la Madre Consolata.

Partecipano alla Conferenza 51 missionari, una suora missionaria della Consolata e due laici provenienti dalle nazioni in cui siamo presenti nel Continente (Italia, Portogallo, Spagna, Polonia) in rappresentanza di quasi tutte le comunità IMC. È presente anche tutta la Direzione Generale che ha già partecipato alle assemblee post Capitolo Generale dell'America a San Paolo (Brasile) e dell'Africa a Dar es Salaam (Tanzania) e alla Conferenza dell'Asia a Taiwan, secondo il programma sessennale dell'Istituto.

Dopo le parole de benvenuto da parte del Superiore Regionale, P. Gianni Treglia, che ha ringraziato tutti per la presenza e si è congratulato per lo svolgimento di questa seconda Conferenza, il Vice Superiore Generale, P. Michelangelo Piovano, ha fatto una riflessione spirituale per illuminare i lavori programmati.

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Il Vice Superiore Generale, P. Michelangelo Piovano e il Superiore della Regione IMC Europa, P. Gianni Treglia. 

“All’inizio del cammino di questa seconda Conferenza, andiamo all’immagine biblica ed icona che aveva ispirato le due fasi della prima Conferenza svoltasi on line a inizio giugno del 2021 e poi in presenza, qui a Fatima in settembre”, ha ricordato il P. Michelangelo. “L’immagine era quella dei germogli tratta da Isaia 43, 19 “Ecco, io sto per fare una cosa nuova; essa sta per germogliare; non ve ne accorgete? Sì, io aprirò una strada nel deserto, farò scorrere dei fiumi nella steppa”, sottolinea il Vice Superiore Generale e continua: “Assieme alla Parola di Dio vogliamo anche farci ispirare ed illuminare dal nostro Fondatore e da alcuni aspetti emersi maggiormente nel XIV Capitolo Generale. La nostra missione e presenza in Europa è il germoglio di una realtà che è sbocciata, che sta crescendo, ma che non è ancora compiuta, sempre in divenire, nuova e antica, compiuta e imperfetta”. Oggi, si chiede il padre Michelangelo, “quale immagine o icona evangelica potrebbe guidarci in questo momento del cammino dell'Istituto in Europa? Propongo l'icona della nuova famiglia di Gesù, la famiglia che germoglia dalla sua predicazione e che si costituisce attorno a Lui”. Padre Michelangelo ricorda che “il Maestro, apre su una famiglia più grande: quella dei suoi discepoli, quella della Chiesa, quella delle nostre comunità, quella dell'umanità che gli sta attorno”. Anche noi missionari in Europa possiamo riconoscerci “come il germoglio di una famiglia e di una missione, quella nata attorno al carisma del Beato Allamano”.

“Dalle caratteristiche indicate ed espresse da Gesù –prosegue P. Michelangelo– possiamo fare alcune applicazioni anche per la nostra vita e missione in quattro momenti: volgere lo sguardo (senti); sedersi (racconta); ascoltare (risuona); e praticare (sintetizza)”.

E conclude con una citazione della XIV Capitolo Generale sulla composizione dell’Istituto: “Siamo una famiglia interculturale e intergenerazionale. Il tesoro del nostro carisma ci porta a essere fratelli e sorelle nella comunione, in unità nella diversità: missionari, missionarie, laici e laiche che vivono la missione in uscita. Il ‘bene fatto bene’ del Beato Allamano è un richiamo ancor oggi a una vita semplice, umile, vicina alla gente, carica di umanità” (XIV CG – Allegato 2). “Siamo la famiglia di coloro che hanno accolto nella loro vita la chiamata alla vita missionaria nella volontà di Dio che per noi si è manifestata con il dono del carisma del beato Giuseppe Allamano”.

"Valgono allora anche qui gli insegnamenti indicati da Gesù: lo sguardo l'ascolto e la fedeltà".

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La programmazione

L'obiettivo della Conferenza è analizzare il lavoro missionario svolto dalla comunità dei Missionari della Consolata in Europa negli ultimi anni e delineare un piano d'azione per i prossimi sei anni alla luce del XIV Capitolo Generale.

La programmazione prevedi momenti di riflessione, preghiera, discernimento, condivisione, ascolto e dibattito dove tutti i partecipanti daranno il loro contributo. L'incontro sarà l'occasione per discutere una serie di tematiche che fanno parte della vita e della missione dell’Istituto, come i contesti della consolazione e della Chiesa Locale, formazione e carisma, comunicazione, economia e amministrazione, cooperazione e Animazione Missionaria, governo e altri temi emersi in Assemblea.

Nella conclusione dei lavori, i missionari dovranno prendere una serie di decisioni e delineare un “percorso per i prossimi sei anni fatto di proposte concrete”, affermano gli organizzatori dell’incontro in un comunicato. “Si tratta essenzialmente di un esercizio di ascolto. Ascoltiamoci a vicenda”.

* Padre Jaime C. Patias, IMC, con informazione di Padre Albino Braz.

Nel pomeriggio di mercoledì 15 novembre, nel Municipio di Castelnuovo Don Bosco, si è tenuto il conferimento della cittadinanza onoraria per Padre James Bhola Lengarin e Madre Lucia Bortolomasi, Superiori generali dei Missionari e Missionarie della Consolata. 

Tale evento è ormai una tradizione che si ripete da più di vent’anni, ma è soprattutto il segno forte di un legame profondo, che unisce i nostri Istituti missionari alle radici del Padre Fondatore, il Beato Giuseppe Allamano. Come ha affermato Padre James: “Fin dai primi passi nell’Istituto, il legame con questa terra fa parte di ogni missionario della Consolata”.  

Il Sindaco, Antonio Rago, ha sottolineato che, attraverso questo gesto, i Castelnovesi vogliono arrivare a tutti i Missionari e Missionarie della Consolata, ai quali sono grati sia per la presenza significativa nel paese, sia per il servizio missionario in tante parti del mondo. 

Alla cerimonia erano presenti le due Direzioni generali e un gruppo di Missionari e Missionarie provenienti da Torino. Nel primo pomeriggio si è celebrata nella casa del Fondatore la Messa di suffragio per i confratelli e consorelle deceduti nell’ultimo anno.

*Suor Stefania Raspo è Missionaria della Consolata

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Alcunde parole di padre James Lengarin

Siamo veramente orgogliosi di ricevere questo riconoscimento perché non è un riconoscimento personale, ma è riferito ad un noi, Missionari e Missionarie della Consolata sparsi nel mondo. Siamo e ci sentiamo sempre stati parte di voi. Questo è quel che conta per me ed è per questo che vi ringrazio dal profondo del cuore perché questo segno è la conferma di questa reciproca appartenenza.

Castelnuovo Don Bosco è per noi, Missionari e Missionarie della Consolata, il luogo in cui è conservata come un tesoro, la nostra memoria storica. Tutti noi, appena entrati nella Famiglia della Consolata, studiamo e facciamo tesoro della storia di Castelnuovo, terra di Santi, recuperando e valorizzando le sane e profondamente sentite tradizioni della gente di questa terra.

Sono vivamente grato a Lei ed al Consiglio Comunale per questo gradito privilegio che, attraverso la mia persona, onora l'intero Istituto Missioni Consolata e rafforza la memoria del Beato Giuseppe Allamano che, insieme ad altre grandi figure, come il Cardinale Guglielmo Massaja, San Giuseppe Cafasso, San Giovanni Bosco, San Domenico Savio, Monsignor Francesco Cagliero, Monsignor Giovanni Battista Bertagna etc... hanno illustrato il nome e l'operosità di Castelnuovo Don Bosco nel mondo. Con voi come non ricordare con stima e profonda gratitudine, tutti i cittadini e le cittadine che hanno dato la vita per questa terra rendendola ricca di fede, di spiritualità e di umanità.

 

"Esprimiamo solidarietà e rinnoviamo il nostro impegno per la vita dei Popoli Indigeni dell'Amazzonia, in particolare degli Yanomami che si trovano ad affrontare gravi minacce alla loro sopravvivenza". Questo è un estratto del messaggio diffuso dai Missioni Consolata giovedì 16 febbraio, festa del Fondatore, a conclusione dell'Assemblea del Continente Americano in preparazione del prossimo Capitolo Generale. 

L'incontro online ha riunito per tre giorni 35 missionari che lavorano in diversi Paesi del continente e la Direzione Generale da Roma. "Siamo indignati per questa tragedia inflitta a un popolo che conosciamo da tempo, pieno di vitalità, bellezza e ricchezza spirituale, senso della festa e della condivisione. Questa barbarie è il risultato di un progetto di sfruttamento che la società non indigena ha imposto agli Yanomami", sottolinea la nota della Congregazione che da 75 anni accompagna i popoli indigeni in Amazzonia.

A continuazione il messaggio completo diffuso il 16 febbraio. Festa del Beato Giuseppe Allamano:

NOTA DI SOLIDARIETÀ CON IL POPOLO YANOMAMI

"Dobbiamo ascoltare di più i popoli indigeni e imparare dal loro modo di vivere per capire bene che non possiamo continuare a divorare avidamente le loro risorse naturali" (Papa Francesco, 6° Incontro Mondiale del Forum dei Popoli Indigeni, Roma, 10/02/2023).

Noi, Missionari della Consolata riuniti online per l'Assemblea Continentale dal 14 al 16 febbraio 2023 in preparazione al XIV Capitolo Generale, esprimiamo solidarietà e rinnoviamo il nostro impegno per la vita dei popoli indigeni dell'Amazzonia, in particolare degli Yanomami che si trovano ad affrontare gravi minacce alla loro sopravvivenza.

Le immagini e le informazioni diffuse sugli Yanomami, all'interno del loro territorio legalmente riconosciuto nello stato del Roraima, hanno avuto grande risonanza in Brasile e in tutto mondo, generando diverse manifestazioni di indignazione, solidarietà e richieste di indagini sui vari crimini che sono stati commessi. Siamo indignati per questa tragedia che è stata inflitta a un popolo che conosciamo da molto tempo, pieno di vitalità, bellezza e ricchezza spirituale, senso di festa e condivisione. Questa barbarie è il risultato di un progetto di sfruttamento che la società non indigena ha imposto agli Yanomami.

Ciò che è emerso dai mezzi di comunicazione non è nuovo. Negli ultimi cinque anni, le organizzazioni indigene e i loro alleati hanno fatto innumerevoli denuncie: dall'invasione delle terre degli Yanomami fino all'abbandono della assistenza sanitaria pubblica

Senza ottenere una risposta adeguata, che avrebbe potuto evitare questa situazione di sterminio,  l'omissione delle autorità pubbliche è stata notoria.

Le prove indicano che negli ultimi anni la combinazione di incentivi sistematici per l'estrazione mineraria, la negligenza con rispetto all’assistenza sanitaria hanno finito per minacciare la vita fisica e culturale del popolo Yanomami. Questi fattori hanno generato, tra gli altri mali, una crescente violenza contro le comunità, la distruzione dell'ambiente, la contaminazione dei fiumi, l'aumento della malaria, della malnutrizione, della verminosi e delle malattie respiratorie.

Come fratelli e sorelle degli Yanomami, ribadiamo gli appelli della Chiesa in Amazzonia, del Consiglio Missionario Indigeno (Cimi), delle organizzazioni indigene e dei loro alleati, affinché le autorità governative competenti affrontino il problema alla radice con misure volte allo smantellamento dell’attività mineraria illegale, all'immediata espulsione dei garimpeiros dal territorio indigeno, alla protezione permanente del territorio, nonché all'indagine e alla punizione rigorosa dei responsabili dei crimini commessi contro il popolo Yanomami.

Appoggiamo tutte le misure di emergenza adottate dal governo federale per salvare vite umane, ma allo stesso tempo chiediamo la ripresa dell'assistenza sanitaria all'interno del territorio in conformità con la Costituzione.  

In spirito di comunione, esprimiamo anche il nostro sostegno e la nostra solidarietà alla Diocesi di Roraima e a quei Missionari della Consolata che da 75 anni accompagnano le popolazioni indigene del Roraima. La missione svolta con rispetto, dialogo e testimonianza profetica contribuisce alla difesa delle comunità, dei loro territori e delle loro culture, e alla cura integrale della Casa Comune. L'opzione storica per i popoli indigeni e l'Amazzonia ci aiuti a essere più fedeli alla missione ad gentes e al carisma ereditato dal Fondatore.

I partecipanti all'Assemblea Precapitolare IMC del Continente Americano.

Per noi Missionari e Missionarie della Consolata la celebrazione [in questo santuario della Consolata ricordando il centenario della morte di Giacomo Camisassa, fedele collaboratore del Beato Allamano] è una celebrazione speciale e diventa doppiamente speciale perché ricordiamo un grande che insieme all’Allamano, un altro grande, ha sognato, realizzato e costruito due istituti missionari. 

I nostri missionari e le nostre missionarie della Mongolia ci hanno insegnato a dire che la missione in Asia, ma non solo lí, possiamo farla solo in punta di piedi. La missione non ha bisogno di pompe, applausi, protagonismi ma si fa nell’unità quotidiana cercando di costruire il vangelo pezzo per pezzo con le persone che il Signore mette sul nostro cammino.

La prima volta che sono andato in Mongolia, a visitare i nostri confratelli e le nostre consorelle, eravamo con Giorgio nel cuore della Mongolia nella prima parrocchia lontana dalla capitale. La domenica abbiamo celebrato la messa con quindici cristiani e qualche curioso che ci sbirciava da fuori e poi dopo ci siamo incontrati con questi cristiani e abbiamo preso qualcosa assieme.

Quello che mi ha segnato per anni e lo porto ancora nel cuore, è che mi sono seduto vicino a un giovane di approssimativamente diciott’anni che vedevo veramente contento, sprizzava gioia da tutte le parti. Con l’aiuto di un missionario che mi ha tradotto mi sono sentito di chiedergli
– Ma perché sei così contento?
La risposta che lui ha dato è stata la più bella che si possa dare e fino ad ora non ne ho trovate altre
– Io voglio essere cristiano perché essere cristiano mi da la gioia di vivere.

C’è tutto; questo giovane ragazzo ha capito tutto! Essere cristiani in mezzo a tutti gli altri che non lo sono, appartenendo a un piccolo gruppo come sono i cristiani della Mongolia, e manifestare la gioia che si vive incontrando a Cristo, per me è la cosa più bella.

Questo ha caratterizzato i nostri grandi: Allamano e Camisassa ed è per quello che dopo cent’anni oggi ricordiamo ancora il Camisassa. Sono delle persone che hanno fondato la loro vita si Gesù Cristo; hanno cercato solo di vivere il vangelo e di fare la volontà di Dio. La volontà di Dio li ha portati a stare 42 anni in questo santuario in amicizia, in compagnia e in collaborazione stretta e insieme hanno realizzato questo grande sogno: la creazione dei due grandi Istituti Missionari della Consolata. 

Il Camisassa era un uomo di grande intelligenza e non era solo l’uomo concreto che sapeva fare i lavori manuali e materiali. Era un uomo di visione, il primo nella teologia, esperto in diritto canonico e civile, un’autorità riconosciuta nella Torino di quel tempo... eppure era di una umiltà tale che quando parlavi con lui diceva “guardate l’Allamano, è lui il maestro, io accompagno soltanto” e quando andavi dall’Allamano lui diceva “andate dal Camisassa”... i due giocavano a ping-pong non in una falsa umiltà ma nella vera umiltà di chi capisce che senza l’altro non fa niente; che ha bisogno dell’altro per costruire qualcosa che valga la pena. Non per essere protagonista ma per costruire sempre nel nome del Signore.

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Ci sono della frasi che noi missionari e missionarie conosciamo ma permettetemi di recuperarle perché sono troppo belle. Dice l’Allamano: “tutte le sere passavano in questo mio studio (nel santuario) diverse ore, qui è nato il progetto dell’Istituto, qui si parlava di andare in Africa, insomma, tutto si combinava qui. Se non avessi avuto al mio fianco il canonico Camisassa non avrei fatto quello che ho fatto”. Questa era una amicizia profonda fondata sulla sincerità, oggi che è così difficile essere sinceri. 

L’Allamano diceva: “ci siamo promessi di dirci sempre tutto in verità” e questo ha fatto si che la loro amicizia durasse nel tempo, per ben 42 anni. Quello che noi abbiamo cominciato a chiamare, usando termini un po’ più abbelliti , “promozione fraterna” loro l’hanno sempre fatta senza chiamarla in quel modo e ci hanno insegnato che solo aiutandoci a vicenda si può costruire qualcosa di valido. 

Gesù Cristo è il fondamento ma dietro il loro comune impegno c’era anche una umanità vera, non fittizia o fatta di immagine, e che porta a dirsi le cose in verità, per costruire e camminare insieme, per vivere in Comunione. Sono tutti valori che il Papa Francesco e la chiesa attuale ci sta proponendo in questo cammino di sinodalità, dove ognuno è chiamato ad essere protagonista là dove ognuno sta. È una chiesa nuova che ha il vangelo al centro e dove Gesù Cristo è quello che conta, non tutto il resto.

Celebrare per noi il centenario della morte del Camisassa è prima di tutto un momento di grande commozione e fraternità perché ci aiuta a recuperare l’amicizia, la correzione, il camminare insieme, la comunione ma poi è anche un momento di revisione per vedere come i nostri Istituti stanno tentando di portare avanti gli orientamenti, il progetto e i sogni che l’Allamano e il Camisassa, in questo santuario, hanno covato nel loro cuore dialogando e pregando insieme.

I nostri istituti sono ancora fedeli a quest’opera originaria? Anche se facciamo fatica da qualche parte io risponderei a questa domanda con un sí. Con semplicità e con umiltà dobbiamo dire che stiamo camminando anche se il tempo magari ti logora un pochino.  Con verità possiamo dire che Il Signore continua a benedire questi Istituti perché siamo fondati e formati da dei grandi che ricordiamo in questo santuario.

Il mondo è fondato su pilastri e questi pilastri sono i santi, le persone buone, le persone vere che nella vita di ogni giorno costruiscono la storia. Noi ricordiamo l’Allamano, il Camisassa e tanti fratelli e sorelle che sono morti dando la vita per la missione. 

Che bello che in questa eucaristia inviamo a Suor Francesca in Mongolia. Gesù ci ha voluti missionari; l’Allamano e il Camisassa sono stati missionari; noi continuiamo a inviare missionari: questa missione è una missione vera, autentica, di Istituto, di comunione. Le difficoltà non mancheranno perché fanno parte della vita, ma quello che conta è l’amore al Signore e quell’autenticità di vita che abbiamo imparato dai nostri grandi.

Continuiamo ad ascoltare le parole dell’Allamano sul Camisassa: “Se abbiamo fatto qualcosa di buono è appunto perché eravamo tanto diversi. Se fossimo stati uguali non avremmo visto i difetti l’uno dell’altro e avremmo fatto molti sbagli di più”. Noi parliamo tanto di interculturalità e diversità, ma che fatica che facciamo spesso per accettarla, questi già allora la vivevano.

Poi ancora: “Tocca a me fare i suoi elogi: era sempre intento a sacrificarsi pur di risparmiare me; aveva l’arte di nascondersi e possedeva la vera umiltà. Egli viveva per voi e per le missioni”. Oggi, quando tutti vogliono apparire, vediamo che nascondendosi, come fece il Camisassa, si continua a vivere per cent’anni nella storia di un Istituto. 

L’Allamano, dando l’annuncio della morte del Camisassa, dice una cosa importante che può anche aiutarci nella nostra vita: “fino all’ultima ora, pur essendo ammalato, il Camisassa continuava a pensare, a pregare e a parlare degli Istituti”. Il suo amore è tutto descritto in questi tre verbi. 

Oggi questi Istituti che loro due hanno pensato e sognato insieme esistono ancora e mandano ancora delle persone. Che bella questa continuità, che bella questa catena d’amore che va avanti, perché la storia non la fanno i grandi e i potenti, non la fanno neanche i cattivi anche se poi subiamo le conseguenze delle loro azioni, ma la fanno i buoni, quelli che rimangono per l’eternità perché il loro ricordo rimane per sempre. 

*Stefano Camerlengo è Superiore Generale dei Missionari della Consolata. Testo dell'omelia tenuta nel Santuario della Consolata in occasione della celebrazione del centenario della morte del canonico Camisassa. 

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Tempi di cambiamento

"Ve l’ho detto e ve lo ripeto: io non mi attendo che questa sia la casa dei miracoli, piuttosto voglio che facciate il miracolo di adempire sempre bene il vostro dovere, vincendo voi stessi. Di miserie ne abbiamo tutti un sacchetto se non un sacco” (G. Allamano, VS 359)

Ogni volta che c'è un cambio di governo, tanto nel paese, come è accaduto in Colombia lo scorso 19 giugno, come nell’Istituto con l'elezione della nuova Direzione Regionale, si generano aspettative, incertezze, timori e speranze.

Il fatto che per la prima volta nel nostro Paese sia stato eletto un candidato che rappresenta una corrente politica di sinistra è davvero una novità e un evento storico. Indubbiamente il presidente Gustavo Petro e la vicepresidente Francia Márquez rappresentano un cambiamento nel modo in cui questa nazione è stata governata da partiti politici tradizionali per la maggior parte della sua esistenza repubblicana. Almeno questo è ciò che loro stessi hanno proclamato in tutta la campagna presidenziale. Sebbene alcuni settori della società abbiano espresso molti timori sul fatto che questo nuovo governo genererà abusi e persecuzioni nei confronti di certe persone e gruppi economici, la società colombiana in generale non smette di sperare che i cambiamenti previsti saranno per il bene della maggioranza. Anche se vari stanno già prevedendo che si tratta di un sogno idilliaco e che tra pochi mesi si tornerà agli affari di sempre, noi in ogni caso non perdiamo la speranza: come qualcuno ha detto: “Se Petro fa bene, facciamo bene tutti”.

Anche nel nostro Istituto c'è stato anche un cambiamento nella Direzione Regionale. Non è un caso che ciò avvenga in un momento in cui la Chiesa è chiamata a un cammino sinodale, che vuole essere soprattutto un cammino di conversione, fatto con l'impegno di tutti e bisognoso di molta pazienza perché si tratta di “camminare insieme” per testimoniare il Regno. 

Il servizio affidato alla nuova Direzione Regionale è proprio quello di promuovere e prendere la guida del cammino che facciamo come Regione, offrendo a ciascuno la possibilità di esprimere la propria opinione e di sentirsi protagonista nel compito che svolgiamo di annunciare il Regno con l'impronta del nostro carisma di consolazione. È vero, non mancano paure, dubbi, incertezze ma non può mancare la speranza che, come Regione, continueremo a crescere nella nostra identità e nel nostro lavoro di Missionari della Consolata.

Sappiamo che abbiamo molte sfide e cose da fare davanti a noi, e forse questa è l'occasione per confidare ancora di più nella Grazia e nella Provvidenza Divina, nei doni e nelle potenzialità che il Signore ha messo in ognuno di noi e nell'Istituto per continuare a rispondere alla vocazione "ad gentes" a cui siamo stati chiamati. Non saremo probabilmente in grado di fare grandi cambi o inedite proposte di trasformazione, ma siamo anche certi che, come dice il nostro Beato Fondatore, “abbiamo molte miserie, ma dalle miserie si possono fare miracoli”.

* Juan Pablo de los Rios è Superiore Regionale in Colombia

 

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