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“Come si arriva a credere”: è il titolo di un’intervista a Benedetto XVI del teologo gesuita Jacques Servais, pubblicata oggi su "L’Osservatore Romano", dove si affrontano temi cruciali della fede - giustificazione, salvezza, misericordia - che interpellano l’uomo contemporaneo. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Si parte dalla giustificazione e dalla questione centrale su che cosa sia la fede e come si arrivi a credere. Da una parte, spiega il Papa emerito, “la fede è un contatto profondamente personale con Dio”, “al tempo stesso” “ha a che fare con la comunità” “dei fratelli e delle sorelle”. “L’incontro con Dio” ci fa infatti aprire, strappare dalla “chiusa solitudine”, per essere accolti “nella comunità vivente della Chiesa”. “La fede – aggiunge Benedetto XVI – non è un prodotto della riflessione e neppure un cercare nelle profondità” del nostro essere. E “la comunità non si crea da sola”, “non è un’assemblea di uomini che hanno delle idee in comune” da diffondere. “La Chiesa non è fatta da sé” ma “è stata creata da Dio” e “continuamente formata da Lui”. Si entra infatti nella Chiesa “non con un atto burocratico ma mediante il Sacramento”.

E se nei tempi odierni, ricorda Joseph Ratzinger, sovente “non è più l’uomo che crede di aver bisogno della giustificazione al cospetto di Dio” e sarebbe invece Dio a doversi giustificare “a motivo di tutte le cose orrende presenti nel mondo”, che “in ultima analisi dipenderebbero da Lui”, pure l’uomo ha in generale “la sensazione che Dio non possa lasciar andare in perdizione la maggior parte dell’umanità”. In altro modo continua “ad esistere la percezione che noi abbiamo bisogno della grazia e del perdono”. “Segno dei tempi”, “il fatto che l’idea della misericordia di Dio diventi sempre più centrale e dominante”, come rivelano Giovanni Paolo II e Papa Francesco. “Sotto la patina della sicurezza di sé e della propria giustizia – scrive Benedetto XVI – l’uomo di oggi nasconde una profonda consapevolezza delle sue ferite e della sua indegnità di fronte a Dio”. “Nella durezza del mondo tecnicizzato nel quale i sentimenti non contano più niente, aumenta però l’attesa di un amore salvifico che venga donato gratuitamente”.

Riguardo il tema della salvezza, dopo il Concilio Vaticano II - rammenta Benedetto XVI  - si è affermata la “consapevolezza che Dio non può lasciare andare in perdizione tutti i non battezzati”. “Cristo, in quanto unico, era ed è per tutti e i cristiani”, che “costituiscono il suo corpo in questo mondo” e “partecipano di tale essere per”. “Ciò non significa – chiarisce Joseph Ratzinger – un biglietto speciale per entrare nella beatitudine eterna, bensì la vocazione a costruire l’insieme, il tutto”. “Noi assieme al Signore che abbiamo incontrato – conclude il Papa emerito – andiamo verso gli altri e cerchiamo di render loro visibile l’avvento di Dio in Cristo”.

 

Benedetto XVI: “È la misericordia che ci muove verso Dio”

 di ANDREA TORNIELLI

 Fonte: http://it.aleteia.org/

 

«Per me è un “segno dei tempi” il fatto che l’ idea della misericordia di Dio diventi sempre più centrale e dominante». Parola di Benedetto XVI. Arriva in libreria il volume «Per mezzo della fede. Dottrina della giustificazione ed esperienza di Dio nella predicazione della Chiesa» (San Paolo editore, pp. 199, euro 20), curato dal gesuita Daniele Libanori, che riporta gli atti di un convegno teologico tenutosi a Roma lo scorso ottobre. In quell’ambito venne letto dall’arcivescovo Georg Gänswein il testo di un’intervista con Ratzinger realizzata dal teologo gesuita Jacques Servais su «cosa è la fede e come si arriva a credere», nella quale Papa Benedetto cita il suo successore e parla diffusamente della misericordia.

In una prima risposta, Ratzinger ribadisce che cosa sia la Chiesa e il fatto che la Chiesa non si è fatta da sé. «Si tratta della questione: cosa sia la fede e come si arrivi a credere. Per un verso la fede – spiega il Papa emerito – è un contatto profondamente personale con Dio, che mi tocca nel mio tessuto più intimo e mi mette di fronte al Dio vivente in assoluta immediatezza in modo cioè che io possa parlargli, amarlo ed entrare in comunione con lui. Ma al tempo stesso questa realtà massimamente personale ha inseparabilmente a che fare con la comunità: fa parte dell’ essenza della fede il fatto di introdurmi nel noi dei figli di Dio, nella comunità peregrinante dei fratelli e delle sorelle. La fede deriva dall’ ascolto (fides ex auditu), ci insegna san Paolo. L’ascolto a sua volta implica sempre un partner. La fede non è un prodotto della riflessione e neppure un cercare di penetrare nelle profondità del mio essere. Entrambe le cose possono essere presenti, ma esse restano insufficienti senza l’ ascolto mediante il quale Dio dal di fuori, a partire da una storia da Lui stesso creata, mi interpella. Perché io possa credere ho bisogno di testimoni che hanno incontrato Dio e me lo rendono accessibile».

«La Chiesa non si è fatta da sé – ribadisce Ratzinger – essa è stata creata da Dio e viene continuamente formata da Lui. Ciò trova la sua espressione nei sacramenti, innanzitutto in quello del battesimo: io entro nella Chiesa non già con un atto burocratico, ma mediante il sacramento. E ciò equivale a dire che io vengo accolto in una comunità che non si è originata da sé e che si proietta al di là di se stessa. La pastorale che intende formare l’esperienza spirituale dei fedeli deve procedere da questi dati fondamentali. È necessario che essa abbandoni l’idea di una Chiesa che produce se stessa e far risaltare che la Chiesa diventa comunità nella comunione del corpo di Cristo. Essa deve introdurre all’ incontro con Gesù Cristo e portare alla Sua presenza nel sacramento».

Rispondendo a un’altra domanda, il Papa emerito parla della centralità della misericordia. «L’uomo di oggi ha in modo del tutto generale la sensazione che Dio non possa lasciar andare in perdizione la maggior parte dell’ umanità. In questo senso la preoccupazione per la salvezza tipica di un tempo è per lo più scomparsa. Tuttavia, a mio parere, continua a esistere, in altro modo, la percezione che noi abbiamo bisogno della grazia e del perdono. Per me è un “segno dei tempi” il fatto che l’idea della misericordia di Dio diventi sempre più centrale e dominante – a partire da suor Faustina, le cui visioni in vario modo riflettono in profondità l’immagine di Dio propria dell’uomo di oggi e il suo desiderio della bontà divina».

«Papa Giovanni Paolo II – continua Ratzinger – era profondamente impregnato da tale impulso, anche se ciò non sempre emergeva in modo esplicito. Ma non è di certo un caso che il suo ultimo libro, che ha visto la luce proprio immediatamente prima della sua morte, parli della misericordia di Dio. A partire dalle esperienze nelle quali fin dai primi anni di vita egli ebbe a constatare tutta la crudeltà degli uomini, egli afferma che la misericordia è l’unica vera e ultima reazione efficace contro la potenza del male. Solo là dove c’è misericordia finisce la crudeltà, finiscono il male e la violenza».

«Papa Francesco – continua Benedetto citando il suo successore – si trova del tutto in accordo con questa linea. La sua pratica pastorale si esprime proprio nel fatto che egli ci parla continuamente della misericordia di Dio. È la misericordia quello che ci muove verso Dio, mentre la giustizia ci spaventa al suo cospetto. A mio parere ciò mette in risalto che sotto la patina della sicurezza di sé e della propria giustizia l’uomo di oggi nasconde una profonda conoscenza delle sue ferite e della sua indegnità di fronte a Dio. Egli è in attesa della misericordia. Non è di certo un caso che la parabola del buon samaritano sia particolarmente attraente per i contemporanei. E non solo perché in essa è fortemente sottolineata la componente sociale dell’ esistenza cristiana, né solo perché in essa il samaritano, l’uomo non religioso, nei confronti dei rappresentanti della religione appare, per così dire, come colui che agisce in modo veramente conforme a Dio, mentre i rappresentanti ufficiali della religione si sono resi, per così dire, immuni nei confronti di Dio».

«È chiaro che ciò piace all’ uomo moderno – osserva ancora Benedetto XVI – Ma mi sembra altrettanto importante tuttavia che gli uomini nel loro intimo aspettino che il samaritano venga in loro aiuto, che egli si curvi su di essi, versi olio sulle loro ferite, si prenda cura di loro e li porti al riparo. In ultima analisi essi sanno di aver bisogno della misericordia di Dio e della sua delicatezza. Nella durezza del mondo tecnicizzato nel quale i sentimenti non contano più niente, aumenta però l’ attesa di un amore salvifico che venga donato gratuitamente.Mi pare che nel tema della misericordia divina si esprima in un modo nuovo quello che significa la giustificazione per fede. A partire dalla misericordia di Dio, che tutti cercano, è possibile anche oggi interpretare daccapo il nucleo fondamentale della dottrina della giustificazione e farlo apparire ancora in tutta la sua rilevanza».

 

 

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The Consolata Missionaries are a Missionary Religious Congregation founded on 29th January 1901 by Blessed Joseph Allamano, a diocesan priest, teacher and devoted to Our Lady Consolata, Mother of Jesus and of His Church. Through our Mother Mary we receive Jesus, the true consolation of humanity.

The Congregation was first made up of brothers and priests. In 1910 Blessed Allamano founded the Consolata Sisters. Priests, brothers and sisters are consecrated for the mission for life.                                                               

In the past thirty years, Consolata Lay Missionaries have joined the Congregation. They too devote their lives, abilities and talents towards the building up of the Kingdom of God all over the world.

Some Consolata Missionaries first came to South Africa in 1940 as Italian prisoners of war. They were held at Koffiefontein and deported after three years.

In 1948 instead some were sent from Italy to the University of Cape Town to validate their degrees, according to the British system, before being to Kenya and Tanzania as teachers.

In the late 60s the General Council accepted a request to start a missionary presence in the then Prefecture of Volksrust (today, Diocese of Dundee). Frs. Jack Viscardi and John Bertè were the first ones to arrive on 10th March 1971. The first Mission was Piet Retief. For 24 years they evangelized in different places, in the territory, today known as the Diocese of Dundee.                                                                                                                                              

Consolata Missionaries, wherever they go, are called to stay for a relatively short time. Their aim is to announce Jesus, consolation of the world, through Mary, especially where the people don’t know Him. Then they form Christian communities, encourage them to become self-supporting and to be a ministerial and missionary church strengthened in unity by the Holy Eucharist, listening and spreading the Gospel everywhere.

Care for families, orphans, the vulnerable, the elderly and the sick, are all signs of Jesus consolation of humanity.

Consolata Missionaries contribute therefore to the Christian formation of leaders and catechists and to the general well-being of every person.   

Although present in the country for so many years, there is still no South African Consolata Missionaries as, initially, the goal was the development of the local church through the promotion of the local clergy.  We hope and pray that some will accept God's call to be sent from South Africa as missionaries all over the world.

The 24 years spent only in the territory today calls “diocese of Dundee”, according to an interview I did, in Italian, to Fr. John Bertè, for special issue “Sanibonani” in 1996  (silver jubilee),  he said that we could divide the evangelization of the Consolatas in four stages:   

The 1st Stage: starting in the Vicariate of Volksrust, guided by the Vicar Mgs. Marius Banks. The missionaries were at Piet Retief, then gradually went to Ermelo (Damesfontein), Evander, Secunda, Embalenhle, Kriel, Standerton and Bethal. One important act of consolation was to become bridge between some Mozambican men working in the mines of the Transvaal and their wives and children living in Mozambique. This was possible because the Consolatas evangelizing also in Mozambique.             

The 2nd Stage: at the time of the creation of the Diocese of Dundee (1980s), the missionaries went to the rural areas Pongola and Pomeroy; there was an idea to go to Amakhasi, never materialized. This was to emphasis the presence of consolation with the poorer. At that time they were, also, assisting the Bishop in Dundee Parish.

The 3rd Stage: in 1991 the Consolatas, encouraged by Bp. Michael Pascal Rowland, went to Newcastle and its townships. The energies spent in Damesfontein Pastoral Centre for the formation of Leaders and Catechists, with the new pastoral area, started to be use for the benefits of the density populated Newcastle Deanery. But soon the signs of times called the missionaries to focus on projects, workshops and retreats consoling those HIV/AIDS affected and infected.

 The 4th Stage:   On 20th June 1995 when a missionary presence was started in Waverley and Mamelodi-West (Pretoria), one of the aims was to strengthen the awareness of the missionary responsibility of the local church and to welcome and form young men to become Consolata Missionaries from South Africa to the world.

Having served for many years in rural areas, as it was mentioned above, from the early 1990s, aware of the phenomenon of urbanization, the Consolatas became present in different townships, initially in the Diocese of Dundee and later on in the Archdiocese of Johannesburg (Daveyton, 2004).

Several youth were accompanying in their vocation discernment, the parish communities were praying for vocations and a Diocesan Vocation Team was established in Dundee diocese, where Religious Sisters, Brothers and Priests could meet and plan periodically.

Fr. John Bertè, did not mention the 5th Stage, because he died on 5th January 2005. That time was another blessing for the Consolata Missionaries, that on the spring’s day 2008 started the intercultural Theological Seminary, at Merrivale (KZN), and one year later they were also open the Woodlands parish, in the Archdiocese of Durban. The seminary is made by religious professed Consolata students from several countries of Africa Continent, but no yet from South Africa.

Last year, on 23rd May, the Consolata Missionary Family had the first Beatification of one of its members, on the person of Sr. Irene Stefani, who spent her life as a nurse in Kenya, and died at the age od 39 in 1930.

Soon Consolata Missionaries will open officially in Swaziland, Diocesi of Manzini, already led by Bp. Jose` Luis Ponce de Leon, IMC

For sure the merciful consoler Our Lord Jesus Christ, for the intersession of the Blessed Joseph Allamano and Irene Stefani will pour his grace on the people of South Africa in order to become attentive to the Word of God and spread the Gospel to the world as we are living a new spring time of Pentecost.

 

 

Fr. Rocco Marra, IMC (up dated 30/03/2016)

 

 

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Depois da realização do segundo congresso das novas gerações no santuário nossa Senhora da conceição Aparecida em 2013 a comissão dos religiosos do Brasil organizou pela terceira vez o congresso das novas gerações em Brasília que se realizou durante três dias, teve o início no dia 6 até 9 de fevereiro de 2016. Esse III Congresso das novas gerações da vida religiosa Consagrada teve como tema “ #compartilhe a alegria e o lema “ Venham para fora” ( João 11,43). Aproximadamente 500 religiosos e religiosas do Brasil inteiro: Bispo, Padres, diáconos, seminaristas e freiras. Fomos provocados a pensar como está a VRC e a assumir com alegria e paixão o ser religioso (a).

 Com o mesmo espírito fomos levados a partir do mesmo tema proposto nos foi apresentado algumas pistas de como devemos compartilhar a alegria e manter o mesmo brilho nos olhos de quando ingressamos na vida religioso, ou seja, nas nossas comunidades respectivas. Iluminado pelo evangelho de João e o convite considerado como chamado incisivo de Jesus para que Lázaro venha e saia para fora para contemplar a realidade desafiadora de seu tempo, portanto nós hoje religiosos sentimo-nos animados a realizar essa dinâmica, escutar a voz de nosso salvador Jesus que chama e arriscar-se a sair.      

Portanto, durante esse tempo do congresso foi marcante um momento muito importante da caminhada pelas ruas da capital Federal, com alegria nos rostos e no coração de cada religioso das novas gerações cantando e pedindo a Deus uma sociedade edificada no amor e na justiça, fazendo memória de tantos mártires que ousaram vir a fora, seguindo seu exemplo.

 Porém os quatros pontos do pais (de norte a sul, leste a oeste) os religiosos nós fizemos presentes para refletir, fazer, aprender e encontrar. Com a fala do Papa Francisco que diz “ aonde a Religioso há alegria” a nossa presença foi um viver o lema do congresso pois compartilhamos a nossa alegria em cada momento do congresso. Ao terminar o congresso saímos revigorados, animados por místicas, missas, provocações e oficinas com diferentes temas que tocam a nossa realidade religiosa para podermos viver diariamente o sair para fora e compartilhar a alegria além da virtual, no encontro com o outro que me desafia. Por isso o compromisso foi tomado em que devemos e queremos ser as pessoas alegres que trazem alegria no mundo. Vivendo autenticamente o nosso compromisso sem artificialidade e com uma convicção e brilho nos olhos que podemos mudar o mundo com o nosso gesto do amor saindo para fora para encontrar outra realidade.

Josky Menga Makanda  seminarista da consolata 3 ano da teologia

 

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Santo Padre, venerabili Padri, fratelli e sorelle in Cristo, mi è stato chiesto di preparare un aiuto per la meditazione sulla misericordia nella vita quotidiana.

Pavel Florenskij, un geniale pensatore cristiano, di vita santa, martire, sempre ripeteva che la vita è un tessuto relazionale, che la vita scorre attraverso le relazioni, e che nelle relazioni, nella vita relazionale, l’uomo rivela il suo contenuto. E sono due le possibilità, secondo lui: l’individuo rivela se stesso; la persona, come sappiamo, teologicamente rivela l’Altro. Dentro il volto del cristiano c’è sempre ancora un altro Volto. Dentro il volto del cristiano vive la Chiesa, perché partecipiamo al Corpo di Colui che poteva dire: “Chi vede me, vede il Padre”.

 Dunque, è la storia il luogo della conoscenza della per-sona. Vale questo per l’uomo, perché la storia è un mistero delle relazioni, e vale questo per Dio. Dio lo conosciamo nella storia. Nell’Esodo, Dio si presenta così: “Una viscerale commozione per l’uomo io provo”. E nelle prime pagine della Bibbia, abbiamo Dio che si incammina sulle orme dell’uomo. Tutto questo libro è un racconto di questa ricerca.

Dio è l’unico che può coprire la distanza che separa l’uomo perduto, peccatore, morto, dal Dio vivente. L’uomo da solo non può varcare, in nessun modo questa distanza, perché significhi-rebbe varcare il peccato e la morte. Non lo può. E la capacità di Dio, di coprire questa distanza e raggiungerci, è l’identità di Dio verso di noi e verso la creazione, cioè la misericordia.

Leggiamo nell’Ufficio Maronita del Sabato Santo: “Buon Pastore, per cercare la tua pecorella, ti sei abbassato. Fosti elevato sul legno e da lassù hai visto che era diventata polvere. Allora sei disceso verso di lei, nel grande Sheol, ti sei chinato sulla polvere, l’hai chiamata con la tua voce, e l’hai risuscitata, l’hai messa sulle tue spalle e l’hai fatta risalire con te in cielo”. Questa stessa immagine, che si trova sul logo del Giubileo, la troviamo descritta anche in questo bellissimo inno di sant’Efrem il Siro: “Il Pastore di tutto è disceso a cercare Adamo, la pecora che si era perduta. Sulle sue spalle l’ha portata, alzandola. Egli era un’offerta per il Padrone del gregge. Benedetta la sua discesa! Tu sei disceso nell’Ade per cercare la tua immagine inabissata. Come un povero e un mortale, tu sei disceso e hai scandagliato l’abisso dei morti. La tua misericordia è stata confortata nel vedere Adamo riportato all’ovile”.

La misericordia è come la comunione. Nel senso stretto, la comunione è solo la vita di Dio. E la misericordia è il nome solo di Dio. Queste due cose l’uomo non può né inventare né fare. Tranne quando viene raggiunto dalla misericordia e comincia a partecipare al dono della vita che è comunione. Queste due cose non sono opera nostra. Quando l’uomo si sforza di fare la comunione, confondendola con la comunità, per esempio, che è semplicemente un luogo dove si manifesta e si realizza la comunione, prima o poi l’uomo si stanca, perché la comunione si realizza in modo pasquale.

Queste due cose noi non le possiamo fare, le possiamo solo rivelare. E io penso che bisogna stare molto attenti, perché, con tanto forte antropocentrismo, l’individuo che fa tutto, si mette a fare anche le opere di misericordia. No. L’uomo diventa luogo della rivelazione della misericordia, perché comincia a vivere secondo la vita di Dio, cioè includendo l’Altro. L’esistenza di Dio, come dicevano gli antichi Padri greci, è nel modo di essere. E qual è il suo modo? Che il Padre esiste includendo già il Figlio. L’esistenza di Dio è coinvolgente, è includente. E quando l’uomo riceve questa vita e comincia a vivere così, diventa una rivelazione.

Per poter vedere un po’ meglio come l’uomo può rivelare la sua realtà, il suo contenuto, e quale è il vero contenuto che l’uomo nella storia può rivelare come Chiesa, possiamo rifarci ad alcuni passi biblici, ben conosciuti, che non bisogna neanche leggerli, perché li sentiamo tutti dentro. Per esempio, Gv 15, quando Cristo dice: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Rimanete in me…”. Per portare frutto bisogna rimanere in Gesù.

 Prima cosa interessante è che il Padre è il vignaiolo. Lui pota! Noi siamo sempre sotto il rischio di cominciare ad aggiustare noi stessi da soli, una volta secondo un’idea, un’altra volta su un’altra corrente culturale, ma siamo sempre noi che operiamo su noi stessi. No. E’ molto bello:  il Padre pota, il Padre ci purifica.

E noi sappiamo che sono due le potature descritte. La pri-ma: quella che taglia i rami. E’ una potatura delicatissima, perché se uno non sa farla, prima o poi uccide il vitigno, non cresce bene. Ma la seconda potatura è ancora più delicata. Si fa quando ormai sui rami, sui tralci, si intravedono i grappoli. E viene il vignaiolo e comincia a tagliare anche alcuni tralci che hanno già i grappoli. Infatti, Giovanni, lì, usa la parola “purificare”, non “potare”. Perché? Perché così si porterà più frutto. E solo il vignaiolo, solo il Padre sa quale è il frutto vero che deve portare una persona, perché la storia chiederà a quella persona di rivelarsi.

 Ma se uno comincia ad aggiustare se stesso da solo, rovina. Per esempio: se una persona è molto infuocata, forte, energica, e poi comincia a sistemarsi per diventare una persona tranquilla, mite, buona, quasi flemmatica, ebbene, forse ha rovinato la sua missione. Perché forse Dio, in un dato momento, la chiamerà perché è necessaria una persona forte, energica, decisa. Dio sa quale è il frutto e come portare più frutto. E’ molto curioso, perché il frutto del vitigno non è il grappolo, ma il vino! Non ci si può innamorare del grappolo, dell’uva. Bisogna guardare il vino. E il vignaiolo sa come tagliare, affinché i grappoli che rimangono, portino miglior vino, e ne portino di più.

Una seconda cosa curiosa: non ci si può fermare alla prima tappa della vita: quando uno crea, propone, realizza... Ci vuole il passaggio del torchio, del frantoio, del mosto… per avere il vino. E la Pasqua nessuno se la prepara da solo. Sono gli altri che ce la preparano, spesso i più vicini, come per Cristo: i suoi discepoli sono andati a preparare la Pasqua. L’amore deve maturare in modo pasquale, altrimenti non porta il frutto dell’amore che rimane.

Ma c’è ancora una cosa più curiosa: il legno del vitigno. Il profeta Ezechiele, nel cap. 15, dice: “Si adopera forse quel legno del vitigno per farne un oggetto? Ci si fa forse un piolo per attaccarci qualcosa? No, neanche questo. Ecco lo si getta sul fuoco a bruciare. Il fuoco ne divora i due capi e anche il centro è bruciacchiato. Potrà essere utile a qualcosa? a qualche lavoro?”.

Sono nato sulle montagne dove c’è solo la neve e non cresce niente. Mi ricordo, da piccolo, la gente vendeva ai paesi più caldi le cose… I contadini facevano il sapone da soli… e si diceva: … da quel paese, dove c’è il vitigno, non comprate il sapo-ne, perché mischiano, nella cenere, anche la cenere del vitigno e il sapone sporca, lascia il segno. Perché il legno del vitigno non serve neanche bruciato. Non serve a nulla. Tranne per fare il vino! Quando passa l’acqua attraverso questo legno della vite, solo questo legno ha delle caratteristiche che vengono lasciate dal succo che scorre. E’ capace di produrre il grappolo dell’uva, il mosto, attraverso il torchio, e il vino. E’ un legno unico, che contiene tutto ciò che è necessario per avere il vino.

 A che cosa Cristo si riferisce con questa vite, con questo legno? E’ l’umanità. Se l’umanità non viene attraversata dalla vita filiale, dalla vita divina, finisce tragicamente come ogni essere della creazione. L’uomo è uomo solo se è divino-umano, se è di Cristo, se è la divina umanità di Cristo. Se attraverso la nostra natura umana non scorre un principio personalizzante, personale, filiale, con una vita che ha la sorgente nel Padre…, ci possiamo innalzare in tante opere, ma la tomba e il verme sarà l’ultima stazione.

Invece, se passa attraverso di noi questa vita di Dio, allora l’uomo è capace di portare il frutto che rimane! E’ capace di avvolgere il suo lavoro nell’amore che rimane in eterno, perché torna al Padre. Perciò ciò che l’uomo può rivelare è la sua divina umanità in Cristo! Per vedere questo contenuto bello della divina umanità (Cristo, mandato dal Padre, è come un raggio di sole - dicevano i Padri – che fa passare la linfa nella natura umana, rendendola filiale, divina), dobbiamo riferirci ad un altro passo, che conosciamo molto bene a memoria quasi tutti: Gv 2: Cana di Galilea. Però lì si vede bene qual è il rischio, perché si tratta delle nozze.

 Le nozze sono immagine del Cantico dei Cantici, cioè la relazione uomo-Dio, però la figura centrale sono le sei giare di pietra e vuote. E tutta la tradizione patristica vedeva in queste sei giare la Legge decaduta in un legalismo e in una religione moralistica, che si è prosciugata e non serve più per la purificazione, perché non c’è niente dentro. E quando Maria dice: “Non hanno più vino!” che cosa vuol dire? Il vino, nei Libri Sapienziali, che cos’è? Il senso della vita! (Siracide). Cos’è la vita dell’uomo senza vino? L’amore (cfr. Cantico dei Cantici), il sapore, il gusto della vita! Allora, cosa si sposano a fare se non hanno l’amore?

Una religione che finisce in un moralismo legalistico, pro-sciugato, non serve più. E infatti, come sappiamo dal vangelo di Gv, Cristo supplisce a una serie di cose, Cristo sostituisce l’allean-za: un nuovo rapporto tra l’uomo e Dio, basato sull’amore, basato su un compimento dell’alleanza. Quando fu innalzato, spirò… e l’umanità prese questo respiro e cominciò a vivere nella vita filiale. Si apre il costato e, da questa fessura, viene generata l’umanità nuova. E’ dalla ferita che siamo generati!

Il terzo giorno, che era ben conosciuto nell’Antico Testamento (cfr. Esodo 19): il giorno in cui Dio ha dato la Legge, diventa il terzo giorno della Nuova Alleanza, della risurrezione di Cristo, di un rapporto fondato nell’amore filiale tra Padre e Figlio, tra Dio, che è Padre, e noi. In Cristo, si apre la via della figliolanza, diventiamo veramente figli di Dio. Non con una conquista, ma con una accoglienza. A chi lo accoglie, gli sarà dato il potere di diventare figlio di Dio (Gv 1). Non più con uno sforzo, ma con un’accoglienza.

Questo sistema della religione decaduta in una legge sterile, si vede molto bene in un altro passo, nel vangelo di Mc 10. Troviamo questo ricco giovane, che corre verso Cristo e si getta davanti a lui con una domanda esplicita. Ora, noi sappiamo che nel Medio Oriente non si corre. Infatti nel vangelo di Mc corrono solo due, perché a Dio ci si avvicina con dignità. Si corre quando si è oppressi, quando si è pressati da qualcosa. Tanto è vero che lui si è gettato in ginocchio con una domanda. Ma strano, perché era uomo ricco e molto religioso, molto osservante. Osservava tutti i comandamenti: sta scritto… Però non era felice. Aveva paura della morte. Avrebbe voluto vivere, ma sapeva che doveva morire.

Qui, possiamo vedere una specie di decadenza della religione, come un insieme di pratiche, dottrine, precetti, coman-damenti, esercizi, che l’uomo deve fare per attirare la bene-volenza di Dio su di sé, per conquistarsi uno stato, un premio. E, se non lo farà, alla fine sarà punito. Ma guardate, sappiamo molto bene che proprio da questo Cristo è venuto a salvarci.

Ci sono tanti episodi nel vangelo. Il più clamoroso è certamente quello di Gv 10, quando Cristo scaccia le pecore dal tempio, dagli atri del tempio. Proprio nel cap. 9, il cieco viene cacciato dal tempio, ma ormai è entrato attraverso la Porta che è Cristo, in una sua casa vera. E’ libero di uscire e di entrare. Nel quadro di Gv 10, Cristo spinge le pecore fuori. Certamente sovrappone due immagini: ovile del villaggio, con aulè, che, in greco, non è ovile, ma recinto della tenda dell’incontro, fuori dagli atri del tempio. Le spinge fuori: … e per questo si sono arrabbiati gli osservanti della legge, perché se lui avesse parlato semplicemente di un ovile, non si sarebbero arrabbiati così. Ma si sono arrabbiati al punto che hanno detto: “Questi deve morire”, perché ha dichiarato qualcosa di falso in questo modo di intendere la religione, cioè l’alleanza, fatta decadere a qualche altra cosa. E addirittura sappiamo come va a finire.

 In Gv 11, Gesù chiama la pecora: “Lazzaro vieni fuori!...”, e Cristo va dentro la tomba. Per liberarci dalla morte è entrato lui. E anche in Mt 11,28, quando si dice: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò”, l’esegesi moderna, quasi unanimemente, dice che si riferisce agli oppressi e appesantiti da un modo di vivere la religione, che diventa giogo pesante.

Paolo ai Galati, in modo fortissimo, per non dire agitato, dice come è grande il pericolo per noi, che siamo in Cristo, all’interno di questo spazio libero (come dice la Lettera agli Ebrei cap. 10), di questa via aperta e vivente al santuario, al trono della grazia, della misericordia, all’interno di questa libertà, di questa apertura…, di costruire di nuovo dei modi di fare, di vivere la fede, decaduta in una osservanza delle cose, facendo leva su di noi, che conquistiamo qualcosa per avere qualche merito. Paolo si arrabbia in tutti i modi, come sappiamo dalla Lettera ai Galati. Non si può. Il rapporto con Dio viene giustificato gratuitamente. Non possiamo farlo noi. E allora c’è una vera tentazione; cominciare di nuovo a mettere al centro il mio impegno, guadagno, conquista, il merito, per avere poi in cambio qualcosa.

Christos Samaras ha fatto degli studi molto curiosi. Egli dice come di fatto si sono inaridite intere realtà della Chiesa, proprio attraverso questo modo di vivere, di far decadere la fede - che non è accoglienza di una vita nuova, un’umanità vissuta da una vita che è comunione personale – in un semplice impegno delle pratiche religiose.

Nikolaj Berdjaev avrebbe persino il coraggio di dire che, nella Chiesa, il demonio può tornare solo per la via della religione. Altrimenti è subito riconosciuto. Ma entra facendo leva sul fatto che noi dobbiamo fare qualcosa. Una religione che è sempre capace di trovare ancora qualcosa che ti manca, che deve ancora purificarsi… devi ancora impegnarti... E questo stanca, logora. Vediamo quanta gente non ce la fa più. Questa è la grande tentazione di fraintendere e di sbagliare. E allora, che cosa rivela una tale persona? Può rivelare anche la sua perfezione, formalmente impeccabile, però, no, rivelerà sempre se stessa.

Le mancherà sempre una cosa fondamentale: non può rivelare la vita come comunione, come inclusione dell’Altro, come il Volto di uno che ti include. Perché non ce l’ha. E ciò che non hai non puoi rivelare. Bisogna accogliere… acco-glienza!

Alexander Schmemann, sulla stessa pista di Samaras, fa vedere come è accaduta una specie di istituzionalizzazione religiosa della fede nella Chiesa, lungo i secoli di convivenza con l’Impero. E infatti, c’è proprio in Vaticano, nelle stanze di Raffaello, un affresco di Matthew Lauretti, che testimonia come ci siamo compresi come religione che ha sostituito una religione pagana. Questo affresco testimonia proprio questo. Ma è un errore tragico. Il cristianesimo non può essere inteso come un sostituto di una religione pagana. Abbiamo abbattuto un ‘dio’  e abbiamo messo ‘Cristo’. No, no. Mi dispiace, perché nessuna religione, nessuna legge, intesa in questo modo, può fare una costituzione dell’uomo nuovo. E non si tratta di aggiustare un po’ l’uomo, ma di farlo rinascere, di farlo risorgere, di farlo nuovo, di farlo filiale. E per essere filiali, Qualcuno ti deve generare! Non c’è verso, la nostra fede è accoglienza di una vita! Questo è il compito della Chiesa, come dice Paolo agli Efesini: manifestare di quale grazia, di quale bontà siamo stati destinatari! Far vedere al mondo cosa Dio ha fatto di noi! Cosa Dio fa quando scorre attraverso l’umanità.

Ogni Curia, non solo la Curia Romana, rischia certa-mente questa tentazione, di acquisire  un carattere un po’ para-statale, para-imperiale, come sappiamo dai tempi passati. Ed è una tentazione tremenda, perché questo mette nel cuore la funzione, la struttura, l’istituzione, l’individuo, che è in funzione di… Ma l’individuo non può rivelare altro che se stesso. Perciò si può aprire una porta alla tentazione di importare tutte le patologie del mondo proprio all’interno di noi. E questo sarebbe molto grave, è lo scandalo che noi possiamo dare davanti al mondo, di far vedere che viviamo il cristianesimo come una realtà individuale. No!

Sì, è vero, abbiamo secoli di spiritualità che ha messo nel cuore che cosa? La perfezione dell’individuo. Tu entri in semi-nario, subito si comincia la perfezione di te stesso, e dap-pertutto. Va bene, questo meno male è finito. Però non sarà così facile congedarsi da questo.

Berdjaev direbbe: il demonio della perfezione indivi-duale è la rovina della ecclesialità, del Corpo, della comunione. Come dice Schmemann, il cristianesimo non può promettere a una persona di arrivare a una perfezione ideale, ma le può promettere la vita eterna, in comunione, nel Corpo di Cristo.

Vorrei concludere con un grande maestro, che è il mio padre spirituale, padre Tomáš Špidlík. Anni fa il card. Špidlík mi ha tanto fatto leggere la Bibbia di Vladimir Sergeevič Soloviev. Soloviev, che secondo Balthasar è il più grande pensatore del secondo millennio, diceva che la perfezione della Chiesa è nella organizzazione. Provate a pensare: da noi questo significa subito mettere le commissioni in atto. No, no, no… Soloviev dice: la perfezione della Chiesa è nella organizza-zione. Cioè la Chiesa può portare nel mondo una trasfigurazione della società, perché fa e organizza la vita a modo della sinergia trinitaria, a modo della manifestazione della divina umanità di Cristo, preparando la nuova venuta di Cristo, liberando l’uomo, nella Chiesa, dalla prigione di una dinamica, che all’inizio è necessaria, ma poi deve essere superata. Quale? Peccato-Redenzione. Questa è la prima tappa. Ma poi segue la tappa dello ‘Pneuma’, dello Spirito Santo, della creatività, della liberazione da ogni imprigionamento dell’umanità, che diventa teofanica, che rivela l’amore di Dio, che rivela questo modo di essere includente, che include l’Altro, lo coinvolge.

 Questo, penso sia importante, oggi, in una società così frantumata. Se qualcosa noi vogliamo suggerire alle istituzioni del mondo, sarebbe bello se potessimo suggerire questo: un modo di strutturarsi, di governare, di dirigere, di gestire, che è comunionale, che è includente, che include e che è una manifestazione di una realtà più profonda, affinché suscitiamo l’appetito del mondo. Noi siamo chiamati a suscitare la voglia e l’appetito per una vita così.

Che il mondo, vedendoci così, possa dire: ma che bello! Dietro a una Chiesa brava non si incamminerà mai nessuno. Ma dietro a una Chiesa bella, che dentro di sé, dentro i suoi gesti, sguardi, parole, fa emergere un Altro, il Figlio, e ancora di più, il Padre, perché siamo mossi da quello Spirito Santo che è la vita di comunione, molti si sentiranno attratti.

Allora, vedete che bello! L’uomo diventa luogo della vita come comunione e come misericordia! L’uomo come luogo della Chiesa, l’uomo come luogo della ecclesialità. Come è bello quando senti qualcuno, che ha avuto a che fare con qualsiasi Curia, e dice: sai, ho trovato delle persone libere, libere da se stesse, persone che vivono come ‘offerta’, disponibili, generose, che aprono… che bello! E quanti ci sono e questi, bisogna farli emergere. E tutto cambierà.

 Ecco, questo è ciò che volevo dire come aiuto per una meditazione, affinché, come abbiamo detto all’inizio, si cominci a coprire la distanza tra noi e il nostro uomo contemporaneo, ferito come noi, dolente come noi, provato come noi. Più saremo provati, come tutti gli uomini, più saremo misericordiosi. Perché questo sacerdozio è di Cristo: “E’ stato provato in tutto per essere un sacerdote misericordioso”. E così coinvolgiamo le persone in un desiderio di vita nuova. Grazie.

 

           

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Gesù Cristo, Figlio diletto di Dio, ci ha chiamati dalle tenebre alla luce, dall'ignoranza alla conoscenza del suo nome glorioso; perché possiamo operare nel suo nome, che è all'origine di ogni cosa creata.
Per mezzo suo il creatore di tutte le cose conservi intatto il numero dei suoi eletti, che si trovano ovunque per il mondo. Ascolti la preghiera e la supplica che ora noi di cuore gli innalziamo:
Tu hai aperto gli occhi del nostro cuore perché conoscessimo te solo. Altissimo, che abiti nei cieli altissimi, Santo tra i santi. Tu abbatti l'arroganza dei presuntuosi, disperdi i disegni dei popoli, esalti gli umili e abbatti i superbi, doni la ricchezza e la povertà, uccidi e fai vivere, benefattore unico degli spiriti e Dio di ogni carne (cfr Is 57, 15; 13, 1; Sal 32, 10, ecc.).
Tu scruti gli abissi, conosci le azioni degli uomini, aiuti quanti sono in pericolo, sei la salvezza di chi è senza speranza, il creatore e il vigile pastore di ogni spirito. Tu dai incremento alle nazioni della terra e tra tutte scegli coloro che ti amano per mezzo del tuo Figlio diletto Gesù Cristo, per opera del quale ci hai istruiti, santificati, onorati.
Ti preghiamo, o Signore, sii nostro aiuto e sostegno. Libera quelli tra noi che si trovano nella tribolazione, abbi pietà degli umili, rialza i caduti, vieni incontro ai bisognosi, guarisci i malati, riconduci i traviati al tuo popolo. Sazia chi ha fame, libera i nostri prigionieri, solleva i deboli, da' coraggio a quelli che sono abbattuti.
Tutti i popoli conoscano che tu sei il Dio unico, che Gesù Cristo è tuo Figlio, e noi «tuo popolo e gregge del tuo pascolo» (Sal 78, 13).
Tu con la tua azione ci hai manifestato il perenne ordinamento del mondo. Tu, o Signore, hai creato la terra e resti fedele per tutte le generazioni. Sei giusto nei giudizi, ammirabile nella fortezza, incomparabile nello splendore, sapiente nella creazione e provvido nella sua conservazione, buono in tutto ciò che vediamo e fedele verso coloro che confidano in te, o Dio benigno e misericordioso. Perdona a noi iniquità e ingiustizie, mancanze e negligenze.
Non tener conto di ogni peccato dei tuoi servi e delle tue serve, ma purificaci nella purezza della tua verità e guida i nostri passi, perché camminiamo nella pietà, nella giustizia e nella semplicità del cuore, e facciamo ciò che è buono e accetto davanti a te e a quelli che ci guidano.
O Signore e Dio nostro, fa' brillare il tuo volto su di noi perché possiamo godere dei tuoi beni nella pace, siamo protetti dalla tua mano potente, liberati da ogni peccato con la forza del tuo braccio eccelso, e salvati da coloro che ci odiano ingiustamente.
Dona la concordia e la pace a noi e a tutti gli abitanti della terra, come le hai date ai nostri padri, quando ti invocavano piamente nella fede e nella verità. Tu solo, o Signore, puoi concederci questi benefici e doni più grandi ancora.
Noi ti lodiamo e ti benediciamo per Gesù Cristo, sommo sacerdote e avvocato delle nostre anime. Per mezzo di lui salgano a te l'onore e la gloria ora, per tutte le generazioni e nei secoli dei secoli. Amen.

Dalla «Lettera ai Corinzi» di san Clemente I, papa
(Capp. 59, 2 - 60, 4; 61, 3; Funk 1, 135-141)
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Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo
(Disc. 14 sull'amore ai poveri, 38, 40; PG 35, 907. 910)

Serviamo Cristo nei poveri

Afferma la Scrittura: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5, 7). La misericordia non ha l'ultimo posto nelle beatitudine. Osserva ancora: Beato l'uomo che ha cura del misero e del povero (cfr. Sal 40, 2) e parimenti: Buono è colui che è pietoso e dà in prestito (cfr. Sal 111, 5). In un altro luogo si legge ancora: Tutto il giorno il giusto ha compassione e dà in prestito (cfr. Sal 36, 26). Conquistiamoci la benedizione, facciamo in modo di essere chiamati comprensivi, cerchiamo di essere benevoli. Neppure la notte sospenda i tuoi doveri di misericordia. Non dire: «Ritornerò indietro e domani ti darò aiuto». Nessun intervallo si interponga fra il tuo proposito e l'opera di beneficenza. La beneficenza, infatti, non consente indugi. Spezza il tuo pane all'affamato e introduci i poveri e i senza tetto in casa tua (cfr. Is 58, 7) e questo fallo con animo lieto e premuroso. Te lo dice l'Apostolo: Quando fai opere di misericordia, compile con gioia (cfr. Rm 12, 8) e la grazia del beneficio che rechi ti sarà allora duplicata dalla sollecitudine e tempestività. Infatti ciò che si dona con animo triste e per costrizione non riesce gradito e non ha nulla di simpatico. 
Quando pratichiamo le opere di misericordia, dobbiamo essere lieti e non piangere: «Se allontanerai da te la meschinità e le preferenze», cioè la grettezza e la discriminazione come pure le esitazioni e le critiche, la tua ricompensa sarà grande. «Allora la tua luce sorgerà come l'aurora e la tua ferita si rimarginerà presto» (Is 58, 8). E chi è che non desideri la luce e la santità? 
Perciò, o servi di Cristo, suoi fratelli e coeredi, se ritenete che la mia parola meriti qualche attenzione, ascoltatemi: finché ci è dato di farlo, visitiamo Cristo, curiamo Cristo, alimentiamo Cristo, vestiamo Cristo, ospitiamo Cristo, onoriamo Cristo non solo con la nostra tavola, come alcuni hanno fatto, né solo con gli unguenti, come Maria Maddalena, né soltanto con il sepolcro, come Giuseppe d'Arimatea, né con le cose che servono alla sepoltura, come Nicodemo, che amava Cristo solo per metà, e neppure infine con l'oro, l'incenso e la mirra, come fecero, già prima di questi nominati, i Magi. Ma, poiché il Signore di tutti vuole la misericordia e non il sacrificio, e poiché la misericordia vale più di migliaia di grassi agnelli, offriamogli appunto questa nei poveri e in coloro che oggi sono avviliti fino a terra. Così quando ce ne andremo di qui, verremo accolti negli eterni tabernacoli, nella comunione con Cristo Signore, al quale sia gloria nei secoli. Amen.

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