Vuoi onorare il Corpo di Cristo, non trascurare i poveri

Pubblicato in Preghiera missionaria

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“Vuoi onorare il Corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra cioè nei poveri, privi di panni per coprirsi. Non onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre per il freddo e la nudità. Colui che ha detto: «Questo è il mio corpo», confermando il fatto con la parola, ha detto anche: Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare (cf Mt 25,42), e: Ogni volta che non avete fatto queste cose a uno dei più piccoli tra questi, non l’avete fatto neppure a me (cf Mt 25,45).Il corpo di Cristo che sta sull’altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure; mentre quello che sta fuori ha bisogno di molta cura”.

San Giovanni Crisostomo, vescovo (Om. 50, 3-4; PG 58, 508-509) 

Cristo è nel pane. Ma lo si riconosce nello spezzare il pane

 Non riesco a liberarmi dal fascino di una splendida riflessione di Garaudy a proposito dell'Eucaristia: «Cristo è nel pane. Ma lo si riconosce nello spezzare il pane». Sicché oggi, festa del Corpo e del Sangue del Signore, mi dibatto in una incertezza paralizzante. 

Parlerò dell'Eucaristia come vertice dell'amore di Dio che si è fatto nostro cibo? Dirò della presenza di Cristo che ci ha amati a tal punto da mettere la sua tenda in mezzo a noi? Spiegherò alla gente che partecipare al pane consacrato significa anticipare la gioia del banchetto eterno del cielo? Mi sforzerò di far comprendere che l'Eucaristia è il memoriale (che parola difficile, ma pure importante!) della morte e della risurrezione del Signore? Illustrerò il rapporto di reciproca causalità tra Chiesa ed Eucaristia, spiegando con dotte parole che se è vero che la Chiesa costruisce l'Eucaristia è anche vero che l'Eucaristia costruisce la Chiesa? 

Non c'è che dire: sarebbero suggestioni bellissime, e istruttive anche, e capaci forse di accrescere le nostre tenerezze per il Santissimo Sacramento, verso il quale la disaffezione di tanti cristiani si manifesta oggi in modo preoccupante. 
Ma ecco che mi sovrasta un'altra ondata di interrogativi. 

Perché non dire chiaro e tondo che non ci può essere festa del «Corpus Domini» finché un uomo dorme nel porto sotto il «tabernacolo» di una barca rovesciata, o un altro passa la notte con i figli in un vagone ferroviario? 
Perché aver paura di violentare il perbenismo borghese di tanti cristiani, magari disposti a gettare fiori sulla processione eucaristica  dalle loro case sfitte, ma non pronti a capire il dramma degli sfrattati? 
Perché preoccuparsi di banalizzare il mistero eucaristico se si dice che non può onorare il Sacramento chi presta il denaro a tassi da strozzino; chi esige quattro milioni a fondo perduto prima di affittare una casa a un povero Cristo; chi insidia con i ricatti subdoli l'onestà di una famiglia? 
Perché non gridare ai quattro venti che la nostra credibilità di cristiani non ce la giochiamo in base alle genuflessioni davanti all'ostensorio, ma in base all'attenzione che sapremo porre al «corpo e al sangue» dei giovani drogati che, qui da noi, non trovano un luogo di accoglienza e di riscatto? 
Perché misurare le parole quando bisogna dire senza mezzi termini che i frutti dell'Eucaristia si commisurano anche sul ritmo della condivisione che, con i gesti e con la lotta, esprimeremo agli operai che hanno perso il lavoro, ai tanti disoccupati delle nostre città? 

Purtroppo, l'opulenza appariscente delle nostre città ci fa scorgere facilmente il corpo di Cristo nell'Eucaristia dei nostri altari. Ma ci impedisce di scorgere il corpo di Cristo nei tabernacoli scomodi della miseria, del bisogno, della sofferenza, della solitudine.  Per questo le nostre eucaristie sono eccentriche. Miei cari fratelli, perdonatemi se il discorso ha preso questa piega. Ma credo che la festa del Corpo e Sangue di Cristo esiga la nostra conversione. 

  A. Bello (1935-1993) Vescovo di Molfetta, in "Alla finestra la speranza", san Paolo 1988

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Salvador de Bahía (Brasile). la decorazione della festa del corpus fatta con gli alimenti che saranno donati ai poveri.

Giuda il traditore tradito

Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e dichiarò: «In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: «Di', chi è colui a cui si riferisce?». Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose allora Gesù: «È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò». E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. E allora, dopo quel boccone, satana entrò in lui. Gesù quindi gli disse: «Quello che devi fare fallo al più presto». Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo; alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte. (Giovanni 13,21-30)

Il primo sacrilegio della chiesa nascente

Nel contesto del racconto dell’Ultima Cena, l’evangelista Giovanni, parlando di Giuda, riferisce un fatto agghiacciante: “Satana entrò in Giuda”. Cosa può voler dire? Satana ha potuto occupare il cuore di Giuda perché oramai  era “disabitato”. Ma è lecito il sospetto: il traditore non era per caso “disabitato” dall’amore degli altri Apostoli?
Se il cuore di Giuda fosse stato costantemente vigilato, tenace­mente sorvegliato dall’amore degli altri Apostoli, sarebbe stato pos­sibile a Satana prenderne possesso? Il demonio ha via libera soltanto quando l’amore si rende diser­tore. 
Ancora. Gli Apostoli, nonostante il cibo soprannaturale che era stato “preparato” proprio in quel momento da Gesù, sono rimasti tranquillamente al proprio posto. Non si sono spinti a rincorrere Giuda quando è corso fuori per rifugiarsi nelle tenebre.

Eppure, probabilmente, il Cristo aspettava qualcosa del genere da loro. Sperava che il proprio Corpo sarebbe servito a compiere quel gesto pazzo di rincorrere Giuda fuori nelle tenebre. Invece il Signore ha dovuto assistere, deluso, a un secondo tradimento. Il tradimento degli amici verso il traditore.
Mettiamo a fuoco questa scomoda realtà. Giuda ce li aveva, i suoi amici. I suoi amici erano là, al caldo, con molto cibo e molto vino. E facevano una buona digestione, nel tepore di una lieve ebbrezza, sdraiati a loro agio sui triclini nell’ascoltare la parola di Gesù. Chi è pieno di cibo e di consolazioni raramente si ricorda di chi non ha nulla. Ma quello degli Apostoli non era un cibo comune, ed avrebbe dovuto fare eccezione a questa regola. Una cena speciale. Non sol­tanto agnello ed erbe amare e pane azzimo e vino purissimo; ma an­che un pane ed un vino speciali, il nutrimento della Vita: “questo è il mio Corpo …questo è il mio Sangue”.

Quel cibo e quella bevanda, che avrebbero dovuto riempirli d’amore, li hanno invece riempiti di egoismo. E non diceva proprio nulla ai loro cuori quel Gesù che era entrato in loro e parlava loro del Suo Giuda? 
Quella “prima comunione” degli Apostoli era un primo sa­crilegio: la prima Chiesa tradiva Gesù prima ancora che Giuda venisse a prenderlo. Il primo fatto di una lunga storia d’amore e di tradimenti, di questa Chiesa che ha in sé il Cristo e Lo tradisce continuamente.
Era un tradimento dell’amore. E gli Apostoli erano più colpe­voli di Giuda, perché non avevano capito il Cibo di Gesù.  Un Cibo sprecato, un dono sprecato, un mi­stero d’amore buttato via per nulla.

Quanto sarebbe piaciuto a Gesù, che fosse stato proprio Gio­vanni a muoversi verso Giuda! Egli, il più giovane di tutti, sarebbe stato il più ascoltato.
Avrebbe potuto raggiungere Giuda senza sforzo: ed ansiman­do tirarlo per la veste e dirgli: “Amico, ritorna, che il Maestro ti attende. Egli mi manda a chiederti perdono per le sofferenze che stai attraversando. Ed a dirti che ti vuole bene e che ti affida di nuovo la Sua Chiesa nascente, con dignità superiore agli angeli".
Bastava per un istante saper rinunciare al tepore del cenacolo. Lasciarsi trasportare dal cuore... E in un attimo, fuori, per la strada, sulle tracce di Giuda. L’amore di dodici avrebbe recuperato Giuda. 
Se l’Eucarestia non ci scaraventa fuori dal cenacolo delle nostre placide e rassicuranti devozioni, se non ci spinge a compiere qual­che azione imprevedibile, a prendere qualche iniziativa che può sem­brare folle, noi sprechiamo quel Cibo.
Il tradimento dei fratelli coincide col tradimento del Pane di Vita.

Ci preoccupiamo e siamo inorriditi giustamente, in seguito an­che al severo ammonimento di Paolo, dell’indegnità antecedente la Comunione (1 Cor,11,17-34). È temerario presentarsi « sporchi » dinanzi alla mensa eucaristica. C’è, però, anche un 'indegnità che viene dopo. Meglio: un rendersi indegni di quel Cibo di cui ci siamo nutriti. Ed è altret­tanto temeraria della precedente.
Il rimanere al «calduccio», sicuri, protetti, mentre Giuda è « fuori », nella notte, a concludere il suo commercio, con i soldi che a un tratto gli scottano tra le mani, equivale a renderci complici del suo tradimento.
Ma chi può sostenere che quel nome, diventato sinistro, non com­prenda anche il proprio nome?
Sì. Cristo è in agonia sino alla fine dei secoli. Cristo continua a essere tradito.
I trenta denari si sono venuti accumulando, fino a formare un grosso capitale. Per cui « il campo del sangue » raggiunge dimen­sioni vastissime.
E Lui è sempre in attesa che qualcuno dei «suoi» si alzi ed esca fuori, nella notte.

Alessandro Pronzato

 

Ultima modifica il Sabato, 05 Giugno 2021 20:30

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