Dopo la Pasqua è il tempo della Pentecoste e della missione. Non c’è missione possibile senza il dono dello Spirito.
Ascoltiamo la Parola (Gv 20,19-23)pave a voi
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Riflettiamo
“Quella della Pasqua è un'esperienza straordinaria, concretissima. È l’incontro con una realtà talmente nuova che i discepoli hanno bisogno di tempo prima di comprenderla. Non basta incontrare il Risorto affinché la vita cambi e si abbia una motivazione tale, così da vivere diversamente, mettendo in pratica quello che si è compreso. Nonostante l’esperienza del Risorto si sia ripetuta più volte, i discepoli nel cenacolo erano e nel cenacolo rimangono.
Non è bastato a uscire dal cenacolo. Il «vado a pescare di Pietro» (cf Gv 21,3) era forse un estremo tentativo di fare qualcosa. Ma incontrare il Risorto non li aiuta. Riflettere non li aiuta. Interiorizzare non li aiuta. La loro volontà non li aiuta. Il cenacolo rimane un luogo di chiusura, potremmo definirlo come un confine invalicabile.
Che cos’è, allora, che li aiuta a venir fuori da quel recinto? L'esperienza della Pentecoste.
Non dobbiamo mai perdere di vista questo passaggio: cosa rende possibile una vita diversa? L’averla capita? No. L’averla interiorizzata? No. Aver fatto un certo tipo di esperienze? No.
Solo lo Spirito rende possibile la vivibilità di quello che abbiamo incontrato, capito, sperimentato. Solo lo Spirito scaraventa i discepoli fuori dal cenacolo. Senza la Pentecoste non serve a nulla tutto quello che hanno vissuto, pensato, incontrato. C’è bisogno di una potenza dall'alto!
Questo è ciò che manca, spesso, a noi, quando ci diciamo: «Sappiamo tutto, ma come viverlo?».
Senza lo Spirito è impossibile. Se non è il Signore stesso a darci la forza e la grazia di vivere qualcosa, nessuno di noi sa farlo. E questo ci deve dare anche una grande serenità e una grande pace, perché ci sentiamo meno soli, sapendo che, proprio perché non dipende “solo” da noi, ciò che possiamo fare è metterci nell'ottica di domandare la grazia, la forza dall’alto. Dice il salmo: «Se togli il tuo Soffio, muore ogni cosa e ritorna alla terra, mandi la tua parola ed, ecco, tutto si ricrea, tutto si rinnova, tutto rinasce» (cf. Sal 104, 29-30).
Dobbiamo avere un atteggiamento di profonda fede, consapevoli del fatto che solo Lui può tirarci fuori dal nostro Cenacolo, qualunque esso sia. Solo Lui può trasformare una chiusura in una opportunità, perché, Lui sì, ha la capacità di «entrare a porte chiuse» e di dire: «Pace a voi» (cf. Gv 20, 19).
(da “Qualcuno a cui guardare” di Luigi Epicoco)
Trasformiamo in preghiera.
Donaci, Signore, dopo tutte le nostre fatiche, un vero tempo di pace.
Dacci, dopo tante parole, il dono del silenzio che purifica e ricrea.
Donaci, dopo tanti cammini frettolosamente cancellati dalla cortina di nebbia della distrazione, la possibilità di contemplare con disponibilità e pienezza ogni porzione di realtà, anche delle realtà che ci costano.
Donaci la gioia, dopo le insoddisfazioni che ci frenano, come una barca che si staglia sull'acqua.
Donaci, Signore, la possibilità di vivere senza fretta, estasiati dalla sorpresa che i giorni portano con sé per mano.
Donaci la capacità di vivere a occhi aperti, di vivere intensamente.
Donaci l'umile semplicità degli artigiani che, preferendo la sapienza dell'esperienza all'apparato delle teorie, riconoscono che stanno sempre ricominciando.
Permettici di ascoltare la lezione del vaso sulla ruota del vasaio; del ceppo lisciato dalle mani del falegname; dell'impasto che il fornaio pazientemente trasforma in pane.
Donaci di nuovo, Signore, la grazia del canto, del fischio che imita l'aerea felicità degli uccelli, delle immagini ritrovate, del ridere condiviso.
Donaci la forza di impedire che le dure necessità del vivere schiaccino il desiderio dentro di noi e che si dissipi la trasparenza dei nostri sogni.
Fa' di noi dei pellegrini, che nel visibile scorgono l'insinuarsi discreto dell'invisibile.
(José Tolentino Mendonça, Ricominciare in Avvenire 15/11/2020)