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In questo momento storico "particolarmente critico" è quanto mai urgente "favorire il dialogo e la collaborazione multilaterale" che meglio garantisce "la cura di un bene comune realmente universale e la tutela degli Stati più deboli". Lo ha detto questa mattina papa Francesco ricevendo in udienza in Vaticano i membri della Fondation Leaders pour la Paix e che riunisce uomini che hanno ricoperto in passato incarichi di governo in tutto il mondo con l'obiettivo di adoperarsi per l'educazione alla pace.

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TRATTAMENTO E PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

ai sensi dell’art. 13 e 14 del Reg. UE 2016/679 (General Data Protection Regulation - GDPR)

Il Regolamento Europeo 2016/679, applicabile in tutti gli Stati Membri, riconosce ad ogni soggetto la tutela dei propri dati personali che siano oggetto di trattamento da parte di terzi, come espressione del rispetto della dignità umana e dei diritti e libertà fondamentali della persona.

Sulla base delle previsioni del suddetto Regolamento, la nostra associazione desidera informarTi che il trattamento dei Tuoi dati verrà da noi effettuato nel pieno rispetto dei principi di liceità, correttezza, trasparenza e di tutela della riservatezza dei Tuoi dati e diritti, in conformità a quanto previsto da dette disposizioni di legge.

Precisiamo altresì che per l’espletamento delle funzioni e delle operazioni connesse alle nostre finalità statutarie, e per l’adempimento a specifici obblighi di legge, abbiamo necessità di acquisire i Tuoi dati personali, o avremo necessità di acquisirli successivamente, senza necessità di Tuo ulteriore consenso, implicito nel conferimento dei Tuoi dati al nostro Istituto.

Pertanto, in base alle disposizioni delle norme europee ed interne in vigore, Ti forniamo le seguenti informazioni.

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2. Modalità del trattamento

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3. Durata del trattamento

Il trattamento dei dati avrà luogo per la durata della vita dell’Istituto, nonché per il tempo necessario per ottemperare agli adempimenti di legge di natura civilistica e fiscale, nonché ad ogni altro adempimento/obbligo di legge cui è tenuto il Titolare.

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Il titolare del trattamento dei dati è Istituto Missioni Consolata, Via delle Mura Aurelie, 11/13 – 00165 ROMA

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Eventuali Responsabili esterni del trattamento potranno essere nominati, all’atto del conferimento da parte del Titolare di incarichi esterni per lo svolgimento dei quali è necessario condividere i Tuoi dati, tra coloro che presentino garanzie sufficienti per mettere in atto misure tecniche e organizzative adeguate in modo tale che il trattamento soddisfi i requisiti del Regolamento e garantisca la tutela dei diritti dell’interessato e previa sottoscrizione da parte del Responsabile di apposito contratto/addendum all’incarico professionale contenente i requisiti e le specifiche del trattamento stesso.

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  5. il diritto di proporre reclamo ad una autorità di controllo (in Italia: il Garante per la protezione dei dati personali) o autorità giudiziaria ove ve ne siano i presupposti.

L’elenco integrale dei diritti dell’interessato è consultabile sul sito internet del Garante, oppure è disponibile presso la Sede del Titolare del trattamento e potrà essere inviato via mail, previa richiesta scritta dello stesso.

I Tuoi diritti potranno essere esercitati scrivendo una lettera raccomandata oppure anche una semplice email al Titolare del Trattamento, all’indirizzo email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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consolata net 00

 

consolata net 01

 

consolata net 02

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pop3s.aruba.it:995:0

Server email (SMTP) in uscita:
smtps.aruba.it:465:0

Non dimenticare di spuntare le 4 caselle che sono di seguito in giù come appare nell'esempio riportato sopra.

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... e dovrebbe essere davvero fatto.

Auguri e buon uso.

Per ulteriori informazioni vedere: https://guide.hosting.aruba.it/email-aruba/configurazione-email-aruba/utilizzo-email-aruba-client-posta-aruba.aspx 

 

Il prezzo dell’urina di vacca purificata ha superato di sei volte quello del latte. È il risultato di una campagna lanciata da una serie di santoni indù, che garantiscono i poteri miracolosi del liquido. Secondo i religiosi, l’urina “garantisce lunga vita e cura molte malattie, fra cui il cancro e il diabete”.

Rosan Gaudel, allevatore e produttore (finora) di latte, ha iniziato a trattare anche l’urina: “E’ difficile da credere ma è così. Il prezzo è di sei volte maggiore rispetto al prodotto tradizionale. Moltissimi indù di questa zona hanno iniziato a berlo, e non soltanto i malati: anche quelli sani, convinti che possa proteggerli da malattie future”.

Yogi Naraharinath, leader indù, conferma: “Purifichiamo l’urina rimuovendo ogni forma di residuo, in questo modo possiamo venderla nel mercato. La domanda sale perché è un rimedio efficace. I miei seguaci sono felici di poterla bere, sia per rispetto nei confronti delle vacche sacre sia per i poteri curativi”.

L’ottuagenaria Nanimaya Poudel racconta: “Bevo un bicchiere di urina ogni giorno. Nella nostra religione la vacca è simbolo della dea Laxmi, che porta benessere e ricchezze. I guru dicono che in questo modo posso curare ogni malattia nel mio stomaco, e inoltre è un modo per proteggere le vacche del Nepal”. 

Fonte: AsiaNews

 

 I terroristi del cosiddetto Stato islamico “sono già infiltrati nelle popolazioni europee. Per anni hanno ricevuto soldi, armi e indottrinamento religioso dall’Arabia Saudita e dai Paesi del Golfo, con la supervisione dell’Occidente. Dire che la soluzione è quella dei raid aerei [in Siria e in Iraq ndt] è una bugia”. Lo dice il patriarca della Chiesa siro-cattolica Mar Ignace Youssif III Younan a “Le Messager”, organo di stampa della Chiesa cattolica in Egitto.

In una lunga intervista, il patriarca accusa i governi occidentali di voler “mantenere il conflitto infinito in Siria” e di aver “tradito i cristiani d’Oriente. Avevamo spiegato sin dall’inizio che la nostra situazione era diversa da quella delle altre nazioni della regione, non ci hanno ascoltato. E ora piangiamo cinque anni di morti”. Di seguito l’intervista completa, traduzione in italiano a cura di AsiaNews.

Beatitudine, qual è la situazione dei siriani, e in modo particolare dei cristiani?

Al momento la situazione in Iraq e Siria è drammatica, e tutto il popolo siriano vive nel dolore. Noi, come pastori, dobbiamo essere vicini al nostro popolo e aiutarli al massimo delle nostre possibilità. I siro-cattolici (così come le altre chiese tipo i caldei, gli assiri e i siro-ortodossi) hanno vissuto per secoli nella parte orientale della Siria, nei pressi del fiume Rafi Din. Ma non ci eravamo mai spostati nella parte occidentale o in Libano come in questi giorni. La nostra presenza andava anzi verso Iran, Afghanistan e India. Le colline afghane note come Tora Bora prendono il nome da un termine siriano che significa ‘le colline più scure’.

Oggi siamo intrappolati in una situazione terribile: sciiti e sunniti, problemi settari ed etnici, gang criminali chiamate Isis e altri gruppi terroristici che usano l’islam come un pretesto per “purificare” in nome della religione le aree sotto il loro controllo, e studiosi musulmani che ci dicono che l’islam è estraneo a questi fatti.

Noi cristiani non siamo in grado di vivere in questo caos che produce milizie, bande armate, gruppi terroristi e partiti islamici. Ma quando manteniamo una posizione ferma contro questi fenomeni, allora l’Occidente ci accusa di essere dittatoriali. Eppure nella storia non importa se vi è un califfo, un re, un emiro, un principe o un presidente della Repubblica; almeno fino a quando questi garantisce pace e sicurezza alle minoranze.

Quando il caos è scoppiato, dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003 fino a oggi, abbiamo capito l’orrore di questa situazione. Le democrazie occidentali che hanno cospirato contro la Siria hanno prodotto la distruzione dell’infrastruttura della nazione, la demolizione di case, città, villaggi, monumenti e siti archeologici. Questo è il risultato di una politica non saggia e di una cospirazione, con il pretesto di portare la democrazia nella regione.

Le nostre nazioni non accettano con facilità la democrazia perché non esiste una reale separazione della religione dallo Stato. Le minoranze implorano per avere una rappresentanza davanti alla maggioranza musulmana, e si sentono come immigrati in terra straniera. Noi cristiani siamo in queste terre da migliaia di anni, molto prima dell’islam. I politici dell’Occidente – e in particolare quelli di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia – sono in favore di un conflitto senza fine in Siria e Iraq. Questo ha prodotto gruppi di terroristi e di ‘takfiriin’ [coloro che condannano gli altri per apostasia-ndr] e i media occidentali rimangono in silenzio, in modo complice e codardo. Non si tratta di difendere la verità e la giustizia: si inginocchiano davanti a chi paga e restano zitti.

Tutti i patriarchi orientali, me compreso, hanno parlato con chiarezza all’Occidente sin dall’inizio: “State attenti, la situazione della Siria non è come quella egiziana, tunisina o libica. È molto più complessa, e un conflitto creerà soltanto caos e guerra civile”. Non hanno ascoltato e hanno risposto: “No, il regime degli Assad cadrà in pochi mesi”. Cosa che non è accaduta, come avevo predetto. E cinque anni dopo un popolo innocente, e in modo particolare i cristiani, non trova più nessuno per sostenerlo. L’Occidente ci ha traditi.

Come legge la questione del flusso di migranti verso l’Europa?

Più di due mesi fa, il mondo si commosse davanti alla fotografia del piccolo Aylan, morto sulle coste turche con la sorella e la madre. Ma i governi occidentali hanno un’altra agenda, in particolare la Turchia che ha cambiato la sua politica nei confronti dei migranti quando ha capito che le Nazioni Unite e l’Unione Europea non l’avrebbero aiutata in modo sufficiente. E quando la signora Merkel ha annunciato che la Germania avrebbe accettato 800mila migranti.

In questo modo il flusso di migranti è aumentato, così come sono aumentati coloro che viaggiano con documenti falsi o in altri modi illegali per raggiungere la Germania o le altre nazioni europee. Non si tratta soltanto di siriani: sono aumentati anche coloro che provengono da altre nazioni.

Oggi le varie parti del mondo sono divenute molto più vicine le une alle altre. Non si può pensare di sconfiggere Daesh [termine arabo per lo Stato islamico ndt] con i raid aerei: questa è una grande bugia. Perché i loro sostenitori sono infiltrati nella popolazione, dove sono finanziati e ottengono armi e indottrinamento religioso. Per anni questi gruppi terroristici sono stati foraggiati dall’Arabia Saudita e dalle Nazioni del Golfo sotto la supervisione dell’Occidente. Ora i siriani chiedono alla Russia di intervenire, sulla base di un accordo di coordinamento militare. Il governo siriano è il governo legittimo, riconosciuto dalle Nazioni Unite. Dobbiamo essere pratici: soltanto l’1% dei cittadini iracheni è ormai di religione cristiana. Se scappano anche questi, la nostra presenza svanirà. Non abbiamo bisogno di parole ma di atti.

Ha speranza nei colloqui di Vienna?

La speranza c’è, ma non so quanto durerà. Distruggere è facile, mentre costruire è difficile. Negli ultimi cinque anni abbiamo avuto soltanto distruzione e migrazione forzata, e ci vorrà tempo per ripartire. Spero che questi colloqui si concludano nel miglior modo possibile.

Lei ha partecipato a Roma al Sinodo sulla famiglia. Sua Santità papa Francesco è addolorato per quello che accade ai cristiani orientali…

Sì, Sua Santità il papa – come vescovo di Roma, successore di san Pietro, capo della Chiesa cattolica e vertice della maggiore comunità religiosa al mondo – è pieno di dolore per quello che accade in Oriente. E come “padre” del Sinodo ha emesso un accorato appello di solidarietà per i cristiani del Medio Oriente. Sua Santità è un difensore della giustizia, e ha suggerito che il Vaticano ospiti la prossima conferenza sul futuro dei cristiani orientali. È una vergogna che l’Occidente lasci i cristiani in questa situazione.

Fonte: AsiaNews

 

The Pope will celebrate Mass using a 100-year-old altar when he visits next month.

The altar, which will be moved from Nyeri to Nairobi, is the same one that was used during the beatification of Sister Irene Stefani mid-this year.

On Sunday, the team arranging the visit was in Nyeri’s Mathari Consolata Missionary to inspect the altar as preparations for the pope’s visit continue.

Father Stephen Okello, the coordinator of the Pope’s visit, said the altar was selected because it is of rich historical value for the Catholic Church in Kenya.

This, according to the team, is a symbol of missionary connection to the people of Nyeri where the Consolata missionaries began their work.

“We picked the altar, which was made by Consolata missionaries here in Nyeri more than a 100 years ago. This is a symbol that the Pope’s visit touches every Catholic faithful in the country despite the fact that he will visit Nairobi only,” said Fr Okello.

The altar measures eight by six feet. The team said it had also selected the chair that will be used by the Pope, and that the construction of the podium is almost finished.

Out of the over one million worshippers expected to attend the papal Mass, only 200,000 will be allowed into the University of Nairobi grounds.

An overflow of about 300,000 will be at the Central Park and the rest of the congregation will sit at Uhuru Park, where the entire ceremony will be broadcast on big screens.

According to Mr David Omuoyo, the director of communication for the papal visit, more than 500 journalists from all over the world will be allowed into the main venue, with 70 of the practitioners coming from the Vatican-accredited media which travels with the Pope.

“We have received requests for clearance from media houses from across the world but it will be impossible to accommodate all of them,” said Mr Omuoyo.

 

Fonte: http://www.nation.co.ke/

 

I palestinesi sono stanchi di aspettare che Israele riconosca il loro Stato, mentre la comunità internazionale continua a tergiversare. E siccome lo Stato ebraico disattende costantemente gli Accordi di Oslo del 1993-1995, anche i palestinesi non si sentono più vincolati al loro rispetto. Lo ha detto il 30 settembre a New York il presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) prendendo la parola davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

In un’aula non particolarmente affollata, il capo dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) - che 137 Paesi riconoscono come Stato - ha pronunciato in arabo un discorso dai toni duri e privo di sfumature, nel quale ha dato voce alla narrativa palestinese su uno dei più antichi conflitti ancora irrisolti, evitando tuttavia di trarre le conseguenze più estreme del suo discorso. Per intenderci non ha annunciato - come qualcuno dei suoi connazionali auspicava - lo smantellamento dell’Anp, che sui suoi territori può esercitare una sovranità alquanto limitata dalla presenza delle forze armate israeliane. Neppure ha voluto escludere a priori la possibilità di intese future: «Le mie mani restano tese per (suggellare) una pace giusta che garantisca i diritti, la libertà e la dignità umana del mio popolo».

Nel suo discorso, il presidente si è soffermato su alcuni fatti di cronaca dell’ultimo anno (tacendone altri). Commentando le tensioni che da alcune settimane infiammano gli animi a Gerusalemme, intorno alla Spianata delle Moschee, ha detto: «Sono costretto a suonare un campanello d’allarme sui gravi pericoli di quello che sta accadendo a Gerusalemme, dove gruppi estremisti israeliani stanno commettendo ripetute e sistematiche incursioni» nel recinto sacro delle moschee (che coincide con la sommità del Monte del Tempio degli ebrei). Abu Mazen, e con lui buona parte dei musulmani non solo palestinesi, sostiene che ciò corrisponde all’obiettivo del governo israeliano di sovvertire lo status quo deciso nel 1967. Ma percorrere questa strada, osserva il leader dell’Anp, sarebbe un grave errore perché il conflitto politico assumerebbe tutto il peso di una guerra di religione, ancora più nefasta.

In questo 2015 ricorrono i 70 anni di vita dell’Onu e Abbas ha fatto osservare che «la questione della Palestina fu una delle prime poste all’attenzione delle Nazioni Unite e tuttavia resta irrisolta ancor oggi, mentre l’Organizzazione e i suoi Membri continuano ad essere incapaci di porre fine a questa ingiustizia inflitta al nostro popolo e di assisterlo nell’esercizio del suo diritto all’autodeterminazione e alla libertà nel suo Stato indipendente e sovrano».

Abu Mazen ha detto che la situazione presente è «assolutamente inaccettabile», a meno che non si voglia «arrendersi alla logica della forza bruta inflitta dal governo israeliano, mentre prosegue l’espansione illegale degli insediamenti in Cisgiordania, specialmente a Gerusalemme Est, e continua il blocco intorno alla Striscia di Gaza».

A questo punto Mahmoud Abbas ha menzionato le violenze recenti dei coloni estremisti ai danni dei palestinesi, a cominciare dall’incendio di Duma appiccato la notte del 30 luglio scorso all’abitazione della famiglia Dawabsheh con la conseguente morte di tre dei suoi quattro membri. «Come può – si è chiesto retoricamente il presidente – uno Stato che afferma di essere un’oasi di democrazia e che si vanta del fatto che i suoi tribunali e apparati di sicurezza agiscono secondo la legge accettare che bande come il cosiddetto “prezzo da pagare” e altre organizzazioni terroristiche atterriscano la nostra gente, (e danneggino) le sue proprietà e luoghi santi sotto gli occhi della polizia e dell’esercito israeliani, che non scoraggiano o sanzionano (i colpevoli), ma invece offrono loro protezione». Un’accusa speculare a quella che tanto spesso i politici e i media israeliani muovono alle autorità palestinesi, dopo atti di terrorismo o violenza contro la popolazione civile ebraica di Israele.

Abbas ha rivendicato che prosegue l’opera volta a dare allo Stato palestinese un’ossatura stabile e un’organizzazione articolata ed efficiente. Anche se la sua gente continua ad essere insoddisfatta di come vanno le cose, lamentando soprattutto corruzione e inefficienze, lui rimarca che i progressi fatti sono stati riconosciuti da varie organizzazioni internazionali, specialmente l’Onu, la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale. Muovendo in questa direzione i dirigenti palestinesi continueranno a chiedere spazio per il loro embrione di Stato in ogni organismo e trattato internazionale. Con l’impegno - fin qui più volte dichiarato e puntualmente disatteso – di dar vita a un governo di unità nazionale (per assicurare l’unità amministrativa tra Striscia di Gaza e Cisgiordania ora controllate la prima da Hamas e la seconda da Fatah) ed indire le elezioni parlamentari e presidenziali.

Sottacendo il fatto che, purtroppo, anche in campo palestinese c’è chi non disdegna il ricorso alla violenza, come legittimo strumento di resistenza, lotta politica e patriottismo, il presidente ha dipinto la Palestina come un «paese di santità e pace»: il luogo di nascita di Cristo, lo scenario dell’Isra’ e del Mi’raj di Maometto, inviato «come misericordia sul mondo». Qui Abbas ha anche menzionato espressamente le due sante palestinesi Alphonsine Ghattas e Mariam Baouardy, canonizzate da Papa Francesco in Vaticano il 17 maggio scorso. Questa Palestina ideale, segnata dalla santità, «cerca ancora la pace e il suo popolo vuole vivere nella propria patria in sicurezza, armonia, stabilità e buon vicinato con tutti gli altri popoli e paesi della regione», sostiene Abbas.

«Aspiriamo – ha detto – a vedere lo Stato indipendente di Palestina prendere il suo giusto posto nella comunità delle nazioni, e abbiamo fiducia che esso contribuirà attivamente al raggiungimento del progresso economico, culturale e umanitario della civiltà, con effetti positivi per il nostro popolo, la regione e il mondo intero. È dalla Palestina e con la Palestina che si raggiungerà la pace. E qui, a nome del mio popolo, voglio esprimere la più profonda gratitudine ai paesi che hanno votato a favore della risoluzione che ci consente oggi di innalzare la bandiera della Palestina nei quartieri generali delle Nazioni Unite. Non è lontano il giorno in cui isseremo quella bandiera anche a Gerusalemme Est, la capitale dello Stato di Palestina. Vorrei anche rendere omaggio alle recenti decisioni del Parlamento europeo che ha chiaramente condannato le attività degli insediamenti israeliani e i loro prodotti e affermato il diritto del popolo palestinese alla sovranità e all'indipendenza del suo Stato accanto allo Stato di Israele, dando vita anche a una Commissione per le relazioni con la Palestina».

«Quei Paesi -ha soggiunto Abu Mazen - che dicono di sostenere la soluzione dei due Stati dovrebbero riconoscere entrambi gli Stati e non solo uno. Oggi faccio appello a quei paesi che non hanno ancora riconosciuto lo Stato di Palestina, perché compiano quel passo. (…) Da questo podio delle Nazioni Unite e in questi giorni di festività religiose (musulmane ed ebraiche – ndr) rivolgo un sincero appello al popolo di Israele per una pace basata sulla giustizia, la sicurezza e la stabilità per tutti. Devo anche invitare il Consiglio di sicurezza e l'Assemblea generale a farsi carico delle loro responsabilità prima che sia troppo tardi e le opportunità di pace vadano perdute».

In proposito Abbas afferma che Israele ha vanificato gli sforzi compiuti dall'amministrazione del presidente Usa Barack Obama negli ultimi anni per giungere a una soluzione negoziale del conflitto. Di più: «Le politiche e la prassi del governo israeliano e le prese di posizione del suo primo ministro e di altri ministri ci portano a conclusioni chiare: lavorano con decisione per distruggere la soluzione dei due Stati».

Abbas rilancia l'idea, appoggiata anche da un recente vertice dei Paesi arabi, di giungere a una risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu che fissi una serie di parametri chiari e una scadenza temporale per raggiungere una pace accettabile all'insegna della soluzione dei due Stati.

Il presidente attribuisce a Israele il fallimento degli Accordi di Oslo, sottoscritti nel 1993-1995, secondo i quali entro il 1999 si sarebbe dovuti giungere alla nascita del nuovo Stato di Palestina. Israele non ha ritirato dai Territori palestinesi le sue truppe nei tempi stabiliti e non ha rispettato altre parti degli Accordi.

Tutta una serie di gravi e ripetute violazioni dei patti rendono «la situazione insostenibile». Dato che la controparte non rispetta gli Accordi, Abbas afferma che neppure i palestinesi, d'ora in poi, si sentiranno obbligati a farlo. Non precisa cosa ciò significhi, ma gli apparati di sicurezza palestinesi potrebbero non collaborerare più con le forze israeliane per il mantenimento dell'ordine nei Territori Palestinesi: «che Israele si assuma in pieno tutte le sue responsabilità di Potenza occupante», ha concluso Abu Mazen.

 

 Il missionario gesuita honduregno p. Ismael Moreno Coto, 57 anni, è il vincitore del Premio Rafto per i diritti umani. Più conosciuto come "Padre Melo", il missionario è stato premiato per la sua difesa della libertà di espressione, in uno dei paesi più violenti. L’Honduras ha il tasso di omicidi più alto del mondo (vedi Fides 01/06/2015).
Padre Coto gestisce due organismi che operano per i diritti umani nella città di El Progreso: Radio Progreso e ERIC (Equipo de Reflexión, Investigación y Comunicación). Inoltre è il fondatore dell'edizione honduregna della pubblicazione regionale "Envio" e della rivista "A Mecate Corto".
Secondo la giuria, segnala la nota inviata a Fides, "attraverso la radio, la divulgazione nelle riviste e del suo lavoro come sacerdote, padre Melo è diventato una importante voce pubblica per la democrazia, la libertà di espressione e dei diritti umani".
La Fondazione Rafto assegna ogni anno, dal 1987, un premio ai difensori dei diritti umani e della democrazia, tra i quali quattro vincitori del Nobel per la Pace: la birmana Aung San Suu Kyi, il timorese Jose Ramos-Horta, la coreana Kim Dae-jung e l'iraniana Shirin Ebadi.
(CE) (Agenzia Fides, 02/10/2015)

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