LEGGI
Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre. (Fil 2,6-11)
RIFLETTI
Leggendo questo testo cristologico appare evidente la divisione in due unità letterarie all’insegna del duplice movimento dell’abbassamento (vv. 6-8) e dell’innalzamento (vv. 9-11) contrassegnate dalla diversità dei soggetti: nella fase dell’abbassamento il soggetto è Cristo, mentre in quella dell’innalzamento è Dio. Cristo liberamente «discende» dalla sua condizione divina, si abbassa dal suo trono altissimo fino a prendere la forma umana e a morire in modo ignominioso sulla croce. I tre gradini della discesa del Cristo sono: l’umanità, la morte e la croce. Nei vv. 9-11 viene descritta la «risposta» di Dio all’azione “kenotica” del Figlio: dopo essersi abbassato fino alla morte in croce, Dio ha “super-esaltato” il Cristo donandogli il “nome” più eccelso che esista: il nome divino di «Signore». La conseguenza di questa esaltazione è duplice: affinché tutti («in cielo, in terra e sotto terra») si inginocchino e facciano la loro confessione di fede nella divinità del Cristo, signore del cosmo e della storia.
Il brano cristologico di Fil 2,6-11 ci chiede di meditare sull’unicità della storia di amore che Dio ha voluto e realizzano attraverso il Figlio. Introdotto al v. 5 con l’invito a condividere i medesimi sentimenti di Cristo Gesù, il brano cristologico costituisce una delle più profonde e ricche sintesi del mistero cristiano. Entrare nella «spoliazione» e nella «umiliazione» del Figlio amato, che per amore sceglie di farsi il più piccolo e il più povero tra gli uomini. Non poteva esserci strada più significativa e tangibile per rivelare la vicinanza di Dio all’umanità. E di questa umanità di Figlio non condivide solo la vicenda dolorosa e al debolezza sofferente, ma Egli si immerge nell’«ultima solitudine» che è la nemica morte. Lo scandalo della morte e della terrificante disfatta sulla croce si consegna agli occhi del mondo come contrassegno di un amore senza limiti e senza compromessi.
La missione del Figlio è accolta dal Padre: egli lo ha esaltato «sopra tutti e tutto». Il servo è diventato «signore», la spoliazione e l’umiliazione si è tramutate in esaltazione: nel trionfo della risurrezione e della vita Cristo esercita la signoria dell’amore e la sua missione porta il frutto della riconciliazione e della pace. Misurato con la vicenda del Cristo, umiliato ed esaltato, il cristiano è in grado di interpretare la storia con le categorie e lo stile indicato dal Vangelo. La nostra vita non potrà che ispirarsi allo schema cristologico della croce e della gloria, dell’annullamento (kenosi) e della glorificazione (doxa), della concretezza dell’oggi, vissuto nella quotidiana lotta per il fede del Vangelo e della speranza nel domani, atteso in uno stile operoso nella fiducia che Dio realizzerà le sue promesse.
DOMANDE
Il modello della nostra santità è Gesù. Egli ha realizzato l’unità tra di noi e con Dio. Stai crescendo nel cammino di maturità verso l’unità? Quali sono i segni della maturità ecclesiale presenti nell’ambiente in cui operi?
L’abbassamento, la kenosi, non è soltanto un atteggiamento morale ma una scelta esistenziale che imita la grandezza divina: come vivi il tuo abbassamento quotidiano? Come si traduce nella concretezza delle relazioni interpersonali?
Dio ha scelto di amarci così, mediante la morte del Figlio sulla croce: come ami le persone che ti sono poste accanto?
PREGA
«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Tu sei lontano dalla mia salvezza»: sono le parole del mio lamento. Dio mio, invoco di giorno e non rispondi, grido di notte e non trovo riposo. Eppure tu abiti la santa dimora, tu, lode di Israele. In te hanno sperato i nostri padri, hanno sperato e tu li hai liberati; a te gridarono e furono salvati, sperando in te non rimasero delusi. Ma io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo. Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo: «Si è affidato al Signore, lui lo scampi; lo liberi, se è suo amico». Sei tu che mi hai tratto dal grembo, mi hai fatto riposare sul petto di mia madre. Al mio nascere tu mi hai raccolto, dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio. Da me non stare lontano, poiché l'angoscia è vicina e nessuno mi aiuta. […]
Sei tu la mia lode nella grande assemblea, scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli. I poveri mangeranno e saranno saziati, loderanno il Signore quanti lo cercano: «Viva il loro cuore per sempre». Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra, si prostreranno davanti a lui tutte le famiglie dei popoli. Poiché il regno è del Signore, egli domina su tutte le nazioni. A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra, davanti a lui si curveranno quanti discendono nella polvere. E io vivrò per lui, lo servirà la mia discendenza. Si parlerà del Signore alla generazione che viene; annunzieranno la sua giustizia; al popolo che nascerà diranno: «Ecco l'opera del Signore!». (Salmo 22)