Guarda in cielo e conta le stelle

Pubblicato in Preghiera missionaria
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Preghiamo

La mia sorte, ho detto, Signore, è custodire le tue parole.
Con tutto il cuore ti ho supplicato,
fammi grazia secondo la tua promessa.
Ho scrutato le mie vie,
ho rivolto i miei passi verso i tuoi comandamenti.
Sono pronto e non voglio tardare
a custodire i tuoi decreti.
I lacci degli empi mi hanno avvinto,
ma non ho dimenticato la tua legge.
Nel cuore della notte mi alzo a renderti lode
per i tuoi giusti decreti.
Sono amico di coloro che ti sono fedeli
e osservano i tuoi precetti.
Del tuo amore, Signore, è piena la terra;
insegnami il tuo volere.

Genesi 15, 1–6

Dopo tali fatti, questa parola del Signore fu rivolta ad Abramo in visione: "Non temere, Abramo. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande". Rispose Abramo: "Mio Signore Dio, che mi darai? Io me ne vado senza figli e l'erede della mia casa è Eliezer di Damasco". Soggiunse Abramo: "Ecco a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede". Ed ecco gli fu rivolta questa parola dal Signore: "Non costui sarà il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede".

Poi lo condusse fuori e gli disse: "Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle" e soggiunse: "Tale sarà la tua discendenza". Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.

Commento

Il versetto seguente è quello che ho citato questa mattina: "Io sono il Signore che ti ha fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questo paese" (versetto 7).

Ecco, siccome c’è stata una domanda anche a questo proposito, allora chiarisco brevemente: l’incontro di Dio con Abramo avviene nell’Alta Mesopotamia a Carran, quindi non ancora in Israele, ma fuori. Per questo gli dice: "Va’, pianta lì tutto …". Ma qui già, quando Abramo era ancora ad Ur, quindi nella Bassa Mesopotamia, il Signore gli era alle calcagna e lo tallonava anche se lui non se ne rendeva conto. Per cui certi incontri espliciti con Dio sono spesso preparati da tutta una preistoria, ad esempio, da preghiere di gente che ci vuole bene, che magari ci vede fuori strada. A questo proposito mi ricordo di don Nino Saglietti, incaricato della cura delle vocazioni, nella diocesi di Torino, che ci raccontava una volta alla Crocetta, di quando decise di andare in seminario. Aveva un papà socialista, non frequentatore di Chiesa. Gli disse: "Papà desidero entrare in Seminario" ed il papà dopo un attimo di smarrimento, uscì in questo commento: "Ecco il frutto dei rosari di nonna Nina" che era sua madre e che don Saglietti non aveva neanche conosciuto. Questo voglio dire a proposito della preistoria di certi incontri espliciti con Dio. Di qui la domanda: "A chi dobbiamo dire grazie per certi eventi della nostra vita?" lo sapremo solo nell’aldilà.

"Dopo tali fatti" è una forma redazionale per collegare il capitolo al precedente.

Questa parola fu rivolta ad Abramo in visione

Innanzitutto troviamo una strana espressione: "in visione". È una formula in cui ancora una volta si esprime il protagonismo di Dio, perché è Lui il soggetto, è Lui che mena la danza. È una formula estranea al Pentateuco, frequente invece nella letteratura profetica.

Il Signore si premura di tranquillizzarlo: "Non temere, Abramo". Sappiamo infatti che nell’Antico Testamento il vedere Dio a quattr’occhi è pericoloso, uno può schiantare, vedere Dio e morire è un tutt’uno, in quanto la creatura è così distante, così differente! In tutto l’Antico Testamento è ribadito il fatto che non Lo si può vedere direttamente: Mosè chiede: "Mostrami il tuo volto"; Dio dice "No!", il mio volto io non te lo rivelo: tu mi vedrai di spalle; capirai che sono passato accanto a te per gli effetti che seguiranno. Ma il mio volto non puoi vederlo, cioè non puoi possedermi, oggettivarmi. Qui però, dato il contesto, probabilmente si tratta di un’esortazione alla fortezza, al coraggio, alla fede di Abramo che è rimasta un po’ scossa. Io vi ho detto ‘sta mattina (prima conversazione, ndr) che secondo la Bibbia, l’incontro con Abramo avviene quando lui ha settantacinque anni ed il figlio lo ha venticinque anni dopo a cento anni: dunque ci vuole un bel po’ di pazienza. Questo per sottolineare come le promesse di Dio abbiano un itinerario lungo, delle scadenze che non rispettano i nostri ritmi di calendario.

Io sono il tuo scudo

L’immagine dello scudo proviene dal linguaggio liturgico e richiama una situazione di lotta da parte dei nemici: quindi Abramo è probabilmente attanagliato da una situazione di conflitto. Il riferimento alla ricompensa, in base al contesto, è certamente ancora una volta la moltiplicazione della discendenza, che è la prima promessa fatta da Dio ad Abramo.

E finalmente abbiamo Abramo che parla con Dio, che dialoga con il suo Dio in un clima di schiettezza, di confidenza: ecco una delle cose splendide dell’Antico Testamento è il vedere dei tipi, che non sono poi dei temperamenti eccezionali (ad esempio Geremia o Giobbe), che con Dio dialogano dandogli del "tu". Qualche volta sembra che vogliano prendere Dio per il collo; ma anche quando sono nella notte più oscura, continuano a dare del "tu" al Signore. Per l’uomo dell’Antico Testamento Dio non diventa mai un "lui" è sempre un "tu".

Me ne vado senza figli

Qui c’è certamente un momento di dubbio, di sconforto, di sfiducia. Anche se come ha fatto la Madonna nel dialogo dell’annunciazione, potrebbe anche essere un’implorante e familiare richiesta di spiegazioni. La Madonna chiede: "Come avverrà questo?": Sembra che l’attesa di questo figlio abbia logorato Abramo nella sua fede: "Io me ne vado" può essere inteso: "Continuo a vivere – oppure, mi sto avviando alla morte – senza figli" quindi certamente in termini di teologia spirituale c’è qui adombrata la tentazione di percorrere altre strade, scelte in base a criteri semplicemente umani come l’adozione di un servo, il migliore in genere, che poi diventa erede. Fra i documenti di Nuzi, regione del Tigri orientale, del XV secolo a.C., figurano parecchi contratti in base ai quali in mancanza di figli venivano adottati degli schiavi, ai quali poi incombeva il dovere di dare conveniente sepoltura a chi aveva loro lasciato l’eredità; qui abbiamo un caso analogo.

Abramo in pratica è come se dicesse: "Non ho capito bene; probabilmente volevi dire che sì un erede l’avrò, ma lo scelgo io, fra i miei servi": è un momento in cui Abramo tentenna, cerca delle scorciatoie. Dio ha un progetto, te l’ha spiegato, ma ad un certo punto, il progetto non si realizza, la tentazione è la scorciatoia: "Trovo io un mezzo per …" nel capitolo 16 è documentata un’altra scappatoia: addirittura è sua moglie Sarai, che consiglia ad Abramo di unirsi con la schiava Agar, probabilmente la migliore delle schiave. Anche qui troviamo, nella letteratura coeva, degli episodi similari. Se la schiava rimane incinta dovrà partorire sulle ginocchia della legittima moglie e questo significa che il figlio non sarà considerato della schiava, ma della moglie. Notate che nel capitolo 16 la Bibbia non è che dica: "Che razza di operazione immorale!". No. Non è tanto lì il guaio. È che Abramo, di nuovo, cerca un’altra strada, una scorciatoia, per far sì che il progetto di Dio si attui, non secondo la promessa, ma secondo quel che pensa lui. Anche nel capitolo 17 la promessa del figlio viene ripetuta.

Dio aggiunse ad Abramo: "Quanto a Sarai tua moglie, non la chiamerai più Sarai, ma Sara. Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni e re di popoli nasceranno da lei". Allora Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: "Ad uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all'età di novanta anni potrà partorire?".

È un altro momento in cui c’è una flessione a livello di fede da parte di Abramo.

E poi ricordate tutta quella pagina fantastica, cinematografica, pittoresca del capitolo 18, quando arrivano tre personaggi, che poi diventano uno, il Signore, mentre Abramo sta facendo la siesta in un pomeriggio afoso. Li accoglie con la tipica ospitalità orientale: va in fretta alla tenda: "Presto, prendi tre staia di farina impastala per farne delle focacce…", corse lui stesso all’armento per prendere un vitello tenero. Per tre estranei …!

Sara, nascosta nella tenda – è tipica questa scena della donna – sta colle orecchie tese.

Poi gli dissero: "Dov'è Sara, tua moglie?". Rispose: "E` là nella tenda". Il Signore riprese: "Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio". Intanto Sara stava ad ascoltare all'ingresso della tenda ed era dietro di lui. Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne. Allora Sara rise dentro di sé e disse: "Avvizzita come sono dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!". Ma il Signore disse ad Abramo: "Perché Sara ha riso dicendo: Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia? C'è forse qualche cosa impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te alla stessa data e Sara avrà un figlio". Allora Sara negò: Non ho riso!", perché aveva paura; ma quegli disse: "Sì, hai proprio riso".

Vi faccio notare che Isacco, in ebraico Izhakel, significa: Dio sorride, Dio ride. E questo tema del riso, che ritroveremo ancora domani, percorre tutte queste pagine. Dunque vi ho documentato, non solamente per vostro conforto, ma anche per mio conforto, che anche il padre della fede ha avuto i suoi momenti di flessione, siamo in buona compagnia! Questo per dire che ogni tanto perdere la sinderesi, o andare in tilt a livello di fede, non è una cosa strana: è capitato a tutti i grandi uomini, a cominciare dal padre Abramo e il Signore sa che siamo vulnerabili di fronte a certi drammi della vita.

Adesso andiamo avanti nel nostro testo.

Non costui sarà il tuo erede

"Uno nato da te": letteralmente uno che viene dai tuoi lombi, dalle tue viscere: Dio ribadisce la promessa. Secondo la concezione ebraica il figlio viene dalle viscere del padre, non meno che da quelle della madre. Dice: "Hai capito proprio bene. un figlio che nasce da voi, da voi due, non da altri". Dobbiamo immaginare che questo colloquio è avvenuto nella tenda. Quindi lo condusse fuori. Immaginiamo un cielo orientale, fantastico – ho avuto la ventura di vivere certe nottate nel deserto: uno sfavillio di stelle …! – che gli viene prospettato come segno del numero incalcolabile dei suoi discendenti.

Guarda in cielo

Non è che a questo punto, con la prospettiva di una posterità così numerosa, la situazione di Abramo venga facilitata, anzi la promessa assume un carattere ancora più paradossale e proprio in questo momento, di più acuta tensione, il racconto vero e proprio s’interrompe: il narratore lascia il suo personaggio a guardare il cielo e contare le stelle; si volge al lettore e gli propone giudizi teologici di gran peso, senza peraltro riferire né sul conto di Abramo né su quello di Dio, alcun fatto reale che dia ragione di tali giudizi; è una fede non descritta ma solo affermata. Abramo è in silenzio e guarda; e il narratore viene fuori con un’espressione di incalcolabile portata teologica, quasi fosse lì a vedere la reazione di Abramo.

Egli credette al Signore

Analizziamo questa frase in maniera capillare. In ebraico quello che noi traduciamo con il termine ‘credere’ è un verbo che deriva dalla radice ebraica, amàn (da cui il nostro amen), che significa essere fondato saldamente, essere conficcato in un terreno solido. In una forma particolare del verbo, la forma causativa, acquista il senso di aver fiducia in qualcosa, in qualcuno, così da potersi appoggiare saldamente a lui e – questo ve lo comunico con grande slancio, perché la prima volta che scoprii questo tipo di esegesi ne fui particolarmente colpito – originariamente, evoca il gesto del pastore nomade che, alla fine della giornata, dopo essere andato in giro con il suo gregge, cerca un terreno solido per conficcare il piolo della sua tenda, in modo che, durante la notte, il vento non la spazzi via. Saggia vari tipi di terreno, finché non trova il terreno solido e lì pianta il piolo della sua tenda. Allora credere in Dio significa rendersi conto, convincersi, che fra i terreni in circolazione, nessuno è così solido come il suo e significa che uno pianta il piolo della tenda della sua vita in Lui, nella consapevolezza che non ci sarà vento che possa spazzare via la tenda della propria esistenza. L'atto di fede di Abramo è quindi un gesto di fiducia in Dio, un ancorarsi a Lui, un consentire al suo progetto, al suo disegno, un prendere sul serio le sue promesse, uno sperare in Lui contro ogni speranza umana, in ultima analisi, è riconoscere Dio come Dio. Questo è credere in Dio: avere la certezza che in nessun altro io posso ancorarmi, piantare il piolo della tenda della mia vita in forma così salda come in Lui.

Glielo accreditò come giustizia

Qui abbiamo un termine tecnico ebraico che era usato per indicare il giudizio di idoneità che i sacerdoti del tempio esprimevano nei confronti dei sacrifici. Quando uno veniva a sacrificare al tempio, il sacerdote esaminava accuratamente la vittima, e guardava se era storpia, cieca, vecchia, perché ci volevano delle vittime ad hoc: vitelli di un anno, con certe caratteristiche, non roba da scarto. Cosa vuol dire questo verbo applicato a questa scena? vuol dire che l’atto di fede di Abramo viene riconosciuto come giusto, come idoneo, come conforme alla volontà di Dio, come a dire: "Così ci si comporta con Dio; questo è il sacrificio che Dio accetta; questo è essere giusti davanti a Lui; questa è la relazione corretta nei suoi confronti; questo è ciò che Dio aspetta dalla creatura; non altro, questo!". C’è poi una questione di teologia neo–testamentaria nel senso che S. Paolo, nella lettera ai Galati, utilizza questo testo per provare che la giustificazione, cioè il riconoscimento di essere davvero giusti dipende dalla fede e non dalle opere della legge. Però ieri ho detto che il contrario del peccato non è la virtù ma la fede e anche che una fede autentica sfocia nella carità. Ecco allora che S. Giacomo nella sua lettera utilizza lo stesso testo per condannare la fede morta, cioè senza le opere dettate dalla fede, e sembra che sia contraddittoria la cosa; ma in realtà non lo è perché noi vedremo domani che questa fede di Abramo deve arrivare alle opere a tal punto che Dio gli chiede di sacrificare il figlio.

Attualizzazioni

La prima è ancora di tipo un tantino teoretico / teologico: è una citazione di S. Ireneo, un grande padre della Chiesa che calza molto bene con il discorso che sto facendo:

S. Ireneo

Non sei tu che fai Dio, ma Dio che fa te. Se dunque tu sei l’opera di Dio, attendi la mano dell’artista, che fa ogni cosa al momento opportuno nei confronti tuoi, che sei l’oggetto modellato. Presentagli un cuore flessibile ed adattabile e conserva la forma che l’artista ti ha dato, avendo in te l’acqua che viene da Lui per non rifiutare, diventando duro, l’impronta della sue dita ... se gli affiderai ciò che è tuo, cioè la fede in Lui e la sottomissione, riceverai la sua arte e sarai l’opera perfetta di Dio.

Con qualcuno di voi oggi in conversazione dicevo che il frutto di questa meditazione sulla figura di Abramo dovrebbe essere la disponibilità nei confronti di Dio: "Signore fatti capire". Mettersi nell’atteggiamento di disponibilità: "Se ti fai capire, io ti seguo, costi quel che costi", rendendoci conto che ciò che Dio vuole per noi è il nostro bene e che noi non impieghiamo mai così bene la nostra libertà come quando la scommettiamo su Dio.

Marcello Candia

L’altro testo è tratto da un libro di Giorgio Torelli: "Da ricco che era", un profilo di Marcello Candia. Forse conoscete questa figura di industriale milanese, che venduto tutto, è andato in Brasile a costruire lazzaretti, lebbrosari, ospedali: è in corso la causa di beatificazione. È poi venuto a morire in Italia, malato di cancro, per potersi riconciliare con il fratello, che non gli aveva mai perdonato questo gesto pazzo, mentre i suoi ex operai gli mandavano offerte in Brasile per i suoi ospedali. Qui è descritta una scena proprio in un lebbrosario, dopo la Messa con i lebbrosi.

Noi abbiamo i nostri bicchieri per la spremuta di guaranà; lui, Adalucio ha il suo. Leva il bicchiere stringendolo fra i moncherini. Il dialogo si fa aperto, non ci sono segreti.

Gli dico: "Adalucio voglio capire: tu non hai più né mani né piedi, quarant’anni di lazzaretto, tua moglie è lebbrosa, so che vi amate, che invocate insieme, che siete l’esempio per tutti: ma cosa hai provato, amico mio, il giorno che dal tuo viso di uomo è scomparso il naso?".

Adalucio: "Una pena infinita. Non mi davo pace, piangevo nel cuore. Poi ho riflettuto e ho considerato che desiderare di riavere un naso poteva essere una vanità ".

Io: "Adalucio, tu sei uomo di Dio: cosa gli domanderai il giorno dell’incontro in cielo? Quale spiegazione vorrai ottenere? Io uscirò dal lebbrosario, tu ci sei da quarant’anni ".

Adalucio: "Domandare, chiedere, indagare? No, Giorgio, assolutamente no. non chiederò né il perché né il percome perché mi sono sempre fidato. M’è bastato credere. Ripeterò: "Ti credo sempre, Signore"".

S. Giuseppe Cafasso

Un’altra citazione è tratta dagli scritti di quello che è stato il direttore spirituale di don Bosco, e se don Bosco ha preso la strada giusta è anche perché si è in qualche maniera affidato a questo sant’uomo. In uno dei suoi scritti si trovano queste espressioni che calzano a pennello col discorso che sto facendo. Dice S. Giuseppe Cafasso:

Io sono al mondo per Dio, vi sono unicamente per Dio, vi sono talmente per Dio che tanto vale dire uomo, quanto un servo, una persona che serve Dio, perché l’uomo essenzialmente deve servire al suo Dio , al suo creatore; e tutti lavoriamo al vento se non abbiamo di mira questo nostro gran fine Il servo è un uomo venduto, ceduto, consacrato e dato interamente agli interessi di Dio.

Tutta la santità, la perfezione ed il profitto di una persona sta nel fare perfettamente la volontà di Dio:

nel fare ciò che Dio vuole da noi
nel farlo in quel modo che Egli vuole che sia fatto
Più di questo mi pare che non ci sia e non si può né desiderare né domandare. Volere quello che Dio vuole, volerlo in quel modo, in quel tempo, in quelle circostanze che vuole Lui e voler tutto ciò non per altro, se non perché così vuole Iddio.

Non vi è grado di perfezione maggiore di questo: fatti indifferente a tutto e per tutto, metterci di slancio e ad occhi chiusi nelle mani del Signore e lasciare che Lui disponga di noi delle cose nostre come meglio richiede la gloria sua e maggiormente piace alla volontà sua, volere né più né meno quello che vuole Lui, volerlo come quando e dove lo vuole Lui cioè senza eccezioni, nella roba, nella stima, negli impieghi, nella vita. (dal libro di Accornero: La dottrina spirituale di Cafasso).

Marthe Robin

Da qualche anno mi sono imbattuto in una mistica francese di questo secolo che forse avete sentito nominare, Marthe Robin; c’è un foyer de la charitè sopra Saint Vincent, ad Emarèse, l’unico che esiste in Italia, nel mondo ce ne sono un’ottantina. Una donna eccezionale che per cinquant’anni è vissuta senza mangiare, senza bere, senza dormire. Al suo letto si sono avvicendati i nobel della medicina per capire come poteva accadere un tale fenomeno. Bene; io mi ricordo che durante un corso d’esercizi spirituali, una sua frase mi è bastata per colmare la mia meditazione dei sei giorni d’esercizi. In una sua preghiera lei dice: "Signore fammi come tu mi vuoi". Andrebbe bene per una coppia: "Signore, facci come tu ci vuoi" perché Lui la sa più lunga di noi su come noi dobbiamo essere fatti. E noi invece non lo sappiamo.
Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:07
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