Stare davanti all'icona
La Vergine è rappresentata a mezzo busto; in altre icone dello stesso modello si presenta in piedi o seduta. Maria tiene il Bambino sul braccio destro e lo stringe contro di sé; inclinando la testa tocca con la sua guancia quella del Figlio, che risponde appoggiando la sua mano sulla Madre. È da questo gesto di tenerezza che l’icona ha preso il nome di Eléusa. La forma particolare dell’intima vicinanza delle due guance appare in altre scene (ad esempio nell’icona della deposizione dalla croce) a ricordare la relazione tra la sofferenza della Madre e la passione del Figlio, uniti nell’unico disegno del Padre. Per questo il motivo della tenerezza ha un ruolo particolare nella liturgia della passione.
La Madre esprime la potestà di intenerire il Figlio: intercede presso di lui in favore dell’umanità. Evoca tenerezza compassionevole. Il riconoscimento del grande dono della grazia esclude il possesso: Maria accoglie il dono senza considerarsi padrona del Figlio Gesù.
Il suo sguardo rivela feconda vita interiore, di cui il radicale distacco nei confronti del Figlio è il frutto. Ella così potrà, sotto la croce, consegnare il Figlio al cielo.
Lo sguardo del Bambino è tutto incentrato su quello della Madre ed esprime la compassione per coloro che soffrono. Dai Padri Dio è detto Philantropos, amante degli uomini. Cristo ha qui compassione per sua Madre: la stringe con il suo abbraccio e il messaggio che le rivolge è: «Non piangere su di me, Madre». La veste di Gesù è luce e porpora.
Cristo soffre in tutti coloro che soffrono e rende più lieve il loro dolore. Ma nell’icona la sofferenza si trasfigura in amore, in vicinanza, in tenerezza. Maria, accompagnata dal Verbo, non è mai sola; si definisce in relazione al Figlio, è segnata dall’accoglienza in sé dello Spirito. Il compito della Madre di Dio si comprende alla luce del mistero della rivelazione.
Meditare un contenuto teologico
Nel giorno dell’incontro con l’angelo che annuncia a Maria la sua maternità verginale, Ella dà voce ai suoi dubbi, all’incapacità di comprendere il mistero tanto grande. «Come è possibile? Non conosco uomo». Non solo non le basta l’intelligenza per comprendere il messaggio dell’angelo, ma il suo cuore è inquieto. L’angelo risponde: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo» (Lc 1,34). Il Signore prende Maria sotto la sua ombra. Per Lei protezione, sicurezza, rifugio. L’abbraccio del Figlio ne è il segno.
Dio si china sul suo popolo, cui volge lo sguardo e la consolazione. Così i salmi pregano la bontà di un Dio che si china su quanti lo cercano con cuore sincero, si piega, abbassandosi sugli uomini:
«Il Signore dal cielo si china sugli uomini per vedere se esista un saggio: se c’è uno che cerchi Dio» (Sal 14,2) «Ho sperato: ho sperato nel Signore ed egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido» (Sal 40,1). Dio dal cielo si china sui figli dell’uomo per vedere se c’è un saggio che cerca Dio» (Sal 53,3).
Maria, nella fede, esprime la capacità di abbandonarsi in quell’abbraccio, di lasciarsi custodire, Maria dà voce alle parole del Salmo 17,8: «Custodiscimi come pupilla dei tuoi occhi, proteggimi all’ombra delle tue ali».
Fondamenti teologici
«Ti saluto, o Maria Madre di Dio, per mezzo della quale è entrata nel mondo la luce vera, il Signore nostro Gesù Cristo, il quale nel Vangelo dice: “io sono la luce del mondo”. Ti saluto, o Maria Madre di Dio, per mezzo della quale è giunta la luce su quanti erano nelle tenebre e nell’ombra della morte. “ Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce” (Is 9,1)» E quale luce, se non il Signore nostro Gesù Cristo, la luce vera, quella che illumina ogni uomo che viene in questo mondo?»
Cirillo Alessandrino, Omelia XI
«Che l’uomo riceva in sé Dio è bene, e in questa recettività è vergine. Ma che Dio diventi fecondo in lui, è meglio, perché diventare fecondi per il dono ricevuto vuol dire essere riconoscenti di questo dono».
Eckart
«Un tempo io appoggiavo le mie labbra sulle tue, dolci come il miele e fresche come la rugiada. Figlio, spesso hai dormito sul mio petto, e ora sei coricato tra le mie braccia, morto».
Simone Metafrasto
Celebrare
Nella processione del venerdì santo l’icona Eléusa si accompagna a quella del Mandyllon (icona del volto di Cristo). La Madre triste non cessa di volgere il suo sguardo d’amore al Figlio Gesù, prossimo alla morte di croce. La sofferenza della passione è abbracciata dalla Madre e trasfigurata in tenerezza divina. La liturgia ortodossa del venerdì santo lascia voce anche a Maria, presente nello scenario della passione.
In quello stesso giorno la celebrazione di rito cattolico non esprime nelle preghiere e negli inni la stessa attenzione verso la figura di Maria.
«Vergine hai dato alla luce, ignara di nozze, e vergine sei rimasta, o Madre intatta; Madre di Dio, Maria, prega il Cristo Dio nostro, perché ci salvi! ».
Theokia delle antifone del venerdì santo
Praticare l’ascesi dei sensi
La carezza del Bambino
Gesù porge una carezza alla Madre; Dio consola. È piccolo, umile ospite nelle nostre braccia: accolto, diventa portatore di consolazione. La mano di Cristo carezza ogni uomo sofferente, suscitando in noi una risposta alla tristezza che ci assale. L’immagine dell’Eléusa è forse tanto popolare perché offre una risposta a chi cerca in Dio misericordia e amore. Per coloro che desiderano ardentemente abbandonarsi alla sua protezione, lasciandosi custodire nel suo mistero, l’icona è il visibile appagamento.
L’ombra sul volto di Maria
L’ombra, sulla guancia in cui si uniscono i due volti, traduce in immagine la promessa dell’angelo: teneramente il Figlio accoglie sotto la sua ombra la Madre, proteggendola con amore infinito. Il Bambino Gesù si dispone dolcemente a custodire l’umanità della Vergine.
Dov’è l’ombra vi è anche indicazione del luogo di provenienza della luce. L’ombra dunque svela anche la luce, pur senza avere la presunzione di vederne la fonte.
Esiste una chiara relazione tra il “mostrarsi di Dio” e il suo nascondimento. L’ombra evoca l’ineludibile limite della conoscenza che l’uomo può avere di Dio, l’inevitabile offuscamento del suo splendore. Così Paolo dice «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa» (1Cor 13,12).
Sul monte Tabor come Mosè, anche Pietro, Giacomo e Giovanni, pur nella luce della trasfigurazione, fanno esperienza dell’ombra del Signore potente; la loro visione resta pur sempre umana, terrena, già contemplazione della gloria, ma non ancora perfetta… La narrazione di Luca evidenzia questo aspetto: «Venne una nube e li avvolse; all’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce…» (Lc 9,34). Solo Luca fa riferimento alla nube. La trasfigurazione non è dunque solo luce divina, splendore senza fine, ma rivela anche un’ombra di Dio che scende sugli uomini. Non tutto ci è dato da contemplare, resta sempre un lato oscuro del Signore: anche Maria fa esperienza di ciò. Il mistero e l’amore del Signore Gesù non solo illumina, ma talvolta oscura il cuore dell’uomo.
Fin dal battesimo ogni creatura riceve la luce del Padre, dono offerto in abbondanza perché nessuno sia escluso dalla partecipazione allo splendore divino. Nella gioia della luce, il Signore diviene parte della nostra vita a tal punto da conformare la nostra volontà alla sua: la sua luce ci trasforma, ci rende a lui somiglianti. È quello che testimonia la storia di Maria; l’umile ragazza chiamata a diventare la Madre Vergine del Figlio di Dio e con Lui destinata a soffrire.
Una metafora biblica presenta il sopraggiungere di Dio come “fare ombra sopra”. Dopo che Mosè, secondo le istruzioni divine avute sul monte, ha terminato di costruire il santuario e tutto il suo arredo sacro «la nube coprì la tenda e la gloria del Signore riempì la dimora». Quella nube guiderà gli israeliti (Es 40,34-38). La gloria divina è presenza; come una nube protegge durante il giorno, e come fuoco indica la via durante la notte. La gloria “fa ombra” nel senso che protegge e guida il popolo. La Vergine è stata scelta per essere tempio santo, santuario inaccessibile; in Lei la gloria ha trovato dimora.
Lo splendore nasconde un’ombra: il timore di Dio, il dubbio, il tentativo umano di sfuggire alla sofferenza, il desiderio di sottrarsi alla chiamata di Dio, le domande al Dio nascosto. Il Padre ci ama e continua a proteggerci in quest’ombra.
Celebrare
«La vite che aveva prodotto il grappolo senza coltura, lo portava sulle braccia come un tralcio e diceva: “Tu sei il mio frutto, tu sei la mia vita. Per te ho saputo che sono ciò che sono, tu sei il mio Dio. Alla vista dell’inviolato sigillo della mia verginità, io posso proclamare che Tu sei il Verbo immutabile divenuto carne”».
Romano il Melode, Inno al Natale 1
Testimoniare con la vita
Di fronte alla sofferenza l’uomo contemporaneo, impreparato, sfugge timidamente. Sembra tanto, forse troppo difficile, oggi, porsi accanto al dolore del fratello: «Non ho parole», oppure «Che cosa posso fare?». È un’arte difficile trovare i modi, i discreti atteggiamenti, le parole per consolare chi soffre. Gesù, il Consolatore, assume un gesto semplice della mano: la carezza, nel silenzio. In quel gesto comunica il grande amore di chi dona la sua vita in favore di molti. In quel gesto accoglie la tristezza di Maria e tutto quanto il suo cuore contiene. Maria è consolata perché accoglie Cristo, il Signore, e lo tiene accanto a sé, lo vuole vicino; il più possibile vicino. Il Bambino la consola teneramente. Sia questa la nostra testimonianza tra i fratelli.
Tratto da “Pregare con le Icone” di Anna Peiretti, Ed .Gribaudi