Zc 9, 9-10;
Sal 144;
Rm 8, 9. 11-13;
Mt 11, 25-30
Al rientro dei settantadue inviati nei vari villaggi della Palestina, Gesù, pieno di gioia per opera dello spirito santo, così prega: “Io ti lodo e ti ringrazio o Padre, Signore e creatore del cielo e della terra”. L’esultanza e la gioia denotano un momento straordinario dell’anima di Gesù che si rivolge al Padre, Signore e Creatore.
Il linguaggio della preghiera riportata da San Matteo ha toni densi, intensi, sublimi. La preghiera si apre con una benedizione: “Ti benedico o Padre” che riveste le varie sfumature della benedizione biblica.
Benedire infatti nella Bibbia vuole dire: riconoscere le meraviglie di dio, lodare il signore, glorificarlo e ringraziarlo per le tante meraviglie del creato e del nostro corpo.
È nel giorno del Signore, la domenica, che noi riprendiamo la preghiera di Gesù e, pieni di gioia, celebriamo l’eucaristia con l’animo colmo di gratitudine e di lode verso Dio, Signore e creatore. La conoscenza di dio, scriveva il grande scienziato Einstein, consiste nel leggere la sua presenza nell’universo. Significativa in proposito la testimonianza di Enrico Fermi, scienziato dell’atomo. “Ero giovanissimo e avevo l’illusione che l’intelligenza umana potesse arrivare a tutto. Una fortissima nevrastenia mi costrinse a rifugiarmi in un remoto paesello dell’Umbria. Contemplavo i monti azzurri e le campagne tranquille. Una notte stavo ascoltando le placide conversazioni di alcuni contadini: cose semplici, né volgari, né frivole. Ed ecco la voce grave di un contadino esclamare: “Come è bello contemplare le stelle! Eppure c’è chi dice che Dio non esiste!”. Quella frase, in quel luogo e in quell’ora, toccò tanto al vivo il mio animo che la ricordo come se fosse ieri. Quel vecchio contadino non sapeva nemmeno leggere, ma c’era ne suo animo, custodito da una vita onesta e laboriosa, un breve angolo in cui scendeva la luce di Dio”. Come è bello! Eppure c’è chi dice che Dio non esiste. Così affermò nell’alto dei cieli il primo astronauta sovietico, affermazione contraddetta dai russi stessi nel messaggio inviato in eurovisione dalla stazione spaziale Mir e confermata dall’astronauta Amstrong nel trentesimo anniversario dello sbarco sulla luna.
Un secondo spunto di riflessione ci è dato dall’affermazione teologica di Gesù: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare”. Il Padre, anzi Abbà, babbo. L’invocazione per noi familiare era un’invocazione inammissibile per gli ebrei. Nessuno osava pronunciare il tetragramma di Javeh, il vero nome di Dio, e tanto più invocarlo con il nome di Padre. E Gesù, nonostante la mentalità dei suoi ascoltatori, ripete per ben tre volte l’invocazione Padre. Tale inconsueta confidenza suppone in Gesù, figlio diletto, una profonda conoscenza del Padre: conoscenza, amore, confidenza che Gesù vuole trasmettere anche ai suoi discepoli, a noi.
La santa Messa, la liturgia eucaristica è lo spazio in cui si realizza questa partecipazione alla preghiera intima di Gesù. Infatti, dopo la consacrazione, il sacerdote invoca lo Spirito santo affinché faccia di coloro che ricevono il Corpo di Cristo, una sola famiglia, la sua Chiesa, la famiglia dei figli di Dio. Così trasformati, con audacia, possiamo rivolgerci a Dio come Gesù, con filiale fiducia, dire: Padre nostro.
“Venite a me voi tutti che siete stanchi”: è il consolante invito di Gesù. Ed è il segreto che sostiene ogni buon cristiano nelle difficoltà immancabili della vita. Stimolati dall’atteggiamento i Gesù e delle sue parole, ci affidiamo, pieni di fiducia, all’amore del Padre.
Il giorno dell’incoronazione, nel novembre del 1958, Papa Giovanni XXIII così si confidò con i suoi bergamaschi: “Quando avevo sette anni mio padre mi portò ad una grande manifestazione. Per strada mi stancai… e mio padre mi mise sulle sue spalle. Giunti alla festa, piccolo e in mezzo alla folla, non riuscivo a vedere nulla e allora… tirai la giacca a mio padre. E mio padre mi mise sulle spalle. Ero veramente felice: dall’alto potevo vedere tutto e mio padre ne godeva anche lui. Sono passati settant’anni - concludeva il Papa buono – e quel gesto di mio padre me lo ricordo ancora. Per me è diventato un simbolo meraviglioso. Faccio ancora così: quando sono stanco e ci vedo poco… prego e mi faccio portare dal Padre celeste”. È il Padre che ha tanto amato da dare il suo Figlio, che nel suo testamento sulla croce ci dona anche una mamma, la sua Madre.