NATIVITÀ DI GESÙ

Pubblicato in Domenica Missionaria
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...che giace in una mangiatoia

Is 52,7-10;

Eb 1,1-6;
Gv 1,1-18

L’inizio del Vangelo di san Giovanni fa provare al lettore un senso di vertigini “in principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio... e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” in questo senso la nascita del Cristo è il punto di partenza e di direzione della storia: è l’unico evento in grado di darle un senso; è l’unico evento che può conferirle la sicurezza di gravitare verso la vita e non verso la morte. Fuori di questo mistero, secondo le parole di Pascal, c’è solamente l’assurdo (Gianfranco Ravasi).

Le circostanze in cui Gesù venne alla luce sono connesse con la storia e il costume del suo paese e del suo tempo.

L’imperatore Augusto aveva comandato il censimento di tutta la terra e secondo il costume orientale bisognava andare a iscriversi nella località di origine della propria tribù e famiglia;

Fu così che Giuseppe, sposo di Maria, divette fare un viaggio di circa 150 chilometri per portarsi da Nazareth di Galilea a Betlemme di Giudea, dove aveva avuto i natali il re Davide, alla cui discendenza Giuseppe apparteneva (senza saperlo Augusto collabora con il piano della salvezza; ecco come i poteri mondiali siano al servizio del progetto di Dio).

Giuseppe andò a Betlemme “per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta” (Lc 2,5), mentre Dio sta scrivendo la storia della sua volontà di liberare l’uomo, proprio grazie a questa Madre e al Bambino che lei sta partorendo.

“Ora mentre si trovava in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto” è il compiersi delle scritture e non solo il tempo del parto - è la ‘pienezza del tempo’, come dice san Paolo (Gal 4,4) (il tempo dell’uomo non è un fluire di istanti senza senso, anzi si dispiega un progetto - un disegno salvifico, che origina nell’eternità divina e si concretizza nella particolarità della storia e dei suoi eventi).

“Diede alla luce il suo figlio primogenito” il primogenito della creazione nuova, il primo che introduce il mondo nella creazione nuova, e poi essendo Gesù il primogenito dovrà essere presentato al Tempio (Es 13,1).

“Un bimbo avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia”, come dicono le parole dell’angelo ai pastori perché possano riconoscere quel bambino, la cui nascita è annunciata loro come motivo di grande gioia (in realtà Luca contempla nelle fasce una prefigurazione della sindone).

“... che giace in una mangiatoia” (il censimento aveva in definitiva il compito di valutare quante tasse potevano essere imposte). Quel bambino invece non sarà uno che chiede da mangiare, ma che offre da mangiare, anzi si fa Lui stesso cibo per il mondo.

“È proprio questo che, incredibilmente, verrà dato come segno ai pastori e ai credenti di ogni tempo, la prova della grandezza di Dio è la sua piccolezza, e il segno della sua potenza è la sua debolezza” (R. Mejnet).

“... perché non c’era posto per loro nell’albergo” per quel bambino che è il Signore della storia, non c’è posto! E questa sarà la verità che lo accompagnerà fino alla morte, con la quale la cattiva volontà umana penserà di poterlo eliminare dal mondo degli uomini.

Poi però c’è una scena di una totale esplosione di luce e di suoni: cielo e terra vi sono coinvolti, uomini ed angeli, luoghi abitati e deserto; si vuole così evidenziare la portata universale ed unica di quella nascita.

I pastori, considerati pressoché dei peccatori: la salvezza portata da Gesù vuol raggiungere tutti gli uomini; ma riserva un particolare privilegio per gli ultimi, perché il cuore misericordioso di Dio va a cercare anzitutto ciò che è perduto.

Così i pastori all’annuncio dicono “andiamo a Betlemme...” in obbedienza alla parola che il Signore ha loro donato; nella luce di Dio che li ha avvolti, cioè trasformati, per incontrare quel bambino portatore della promessa grandiosa di una regalità salvifica e non oppressiva.

Poi non possono non condividere la “buona notizia”, testimoni dell’opera di Dio, che li ha raggiunti e trasformati nell’intimo.

Il loro annunzio si allarga, figura della forza contagiosa dell’Evangelo. Gli angeli escono di scena accompagnati da una lode corale al Dio che abita nelle altezze e che riversa la sua pace sulla terra, qui i pastori fanno eco “i pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto”.

Cielo e terra, le realtà visibili e invisibili, contemplano stupiti l’amore di Dio che visita questa terra per salvarla e per innondarla di gioia.

Colla nascita di un bambino si compie sulla terra il piano divino che voleva procurare all’umanità un Salvatore. La nascita di Gesù era aspettata dopo che al momento dell’annunciazione Maria aveva dato il suo consenso al misterioso progetto svelato dall’angelo. Quello che era più inatteso erano le condizioni di povertà della nascita. Nella sua onnipotenza, Dio determina il suo modo sorprendente di guidare gli avvenimenti del mondo. Si rivela come maestro sovrano degli avvenimenti, ma non vuole togliere il carattere gioioso della nascita, anzi desidera rafforzare questa gioia. Tutto doveva essere affidato alla sapienza ed alla bontà del Padre, che aveva manifestato la sua volontà imponendo il viaggio a Betlemme coll’intenzione di dare una più grande gioia all’umanità, questa gioia che si diffonde ancora oggi alla contemplazione della mangiatoia.

Il solo segno divino rivelato dagli angeli ai pastori è il neonato giacente nella mangiatoia. Gesù aveva bisogno non di soddisfazioni materiali ma dell’affetto di coloro che gli facevano l’omaggio della loro fede. Maria e Giuseppe potevano offrire a Gesù soltanto una mangiatoia, ma questa era l’accoglienza desiderata dal Padre che voleva assumere tutto il peso della povertà umana per colmarla con la ricchezza divina. Così la gioia di Natale fu una gioia molto pura. Era una gioia di possedere soltanto Gesù, riconoscendo in lui l’espressione più alta della generosità di Dio (Jean Galot).

Ci farà tutti ricchi: san Paolo dice “ringrazio continuamente il mio Dio a motivo della grazia data in Cristo Gesù” (1 Cor 1,4). Paolo vede questa grazia come una ricchezza per cui chi la possiede non manca di nulla “nessun dono di grazia più vi manca” (1 Cor 1,7).

Alle volte i vuoti, le delusioni che ci intristiscono sono causati dalla disistima o mancanza di gusto per la grazia offerta in Cristo, che riteniamo un bene stratto, lontano, generico. Chiediamo con insistenza altro dopo che Dio ci ha dato tutto.
Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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