Esse sanno di formalismo e di schiavitù da cui Gesù libera. Per una mentalità legalista la fedeltà al Signore sta nell’adempimento dei precetti, nel fare, non importa come, senza preoccuparsi dello spirito con cui si agisce. Questo atteggiamento incontra la sferza di Gesù, perchè si possono muovere le labbra, come osservavano già i profeti, per formulare preghiere, e avere il cuore lontano da ciò che si dice, la mente occupata in altri pensieri. Gesù richiama alla autenticità e alla verità. Se l’osservanza di ciò che è prescritto esprime una scelta del Signore, di Gesù come sposo che deve stare al primo posto e deve essere ascoltato come persona amata più delle altre, se indica la dedizione totale a lui e l’impegno di onorarlo e servirlo nei più bisognosi, allora è vera e da raccomandare. Altrimenti è soltanto formale, a volte perfino ingannevole, insinuando la presenza nel cuore di qualcosa che non c’è.
Il pericolo di sentirsi a posto semplicemente perché si sono eseguiti gli ordini o si è osservata la legge, è sempre in agguato. La vera religione non è questa, ma quella che realizza un legame di amore con Dio, simile a quello sponsale (I lettura). Dio non vuole essere racchiuso entro precetti e norme da osservare, ma entrare nel cuore delle persone. E’ Gesù e il rapporto di amore con lui che dà novità a tutto. Lui è il vino nuovo che comporta di abbandonare anche nella pratica religiosa tradizionale quello che non si accordasse con lui e con la sua parola. Vera religione è spirito e abbandono filiale nei riguardi di Dio e fraternità nei rapporti con gli altri; è alleanza scritta non su tavole di pietra, ma nel cuore» (cf. II lett.).
Diventare discepoli, essere cristiani, è una cosa seria perché si oppone a legami, scelte, opinioni che sono come un otre vecchio in cui si corromperebbe anche il nuovo. Nei paesi di antica tradizione cristiana si è troppo abituati alla “normalità” di una vita cristiana scontata, e incapace di imporsi per radicalità di opinioni, modo di vivere che attiri come agli inizi del cristianesimo l’ammirazione della gente. Questa è la testimonianza che anche senza parlare, predica il vangelo. Questa è la “lettera” che ogni cristiano dovrebbe scrivere, quella del suo amor per Dio e i fratelli, per la verità, la giustizia, la pace, l’accoglienza, la carità. Una lettera che tutti possono leggere perché scritta nel comportamento, animata dalla speranza, visibile nella serenità del volto… e nella gioia provocata dalla presenza di Gesù. Così è sempre stato nei suoi incontri con le persone. Se entra nella casa della nostra vita, è lo sposo a cui si dirigono tutte le attenzioni e che irradia gioia. Egli è portatore di un lieto messaggio, di consolazione agli afflitti, libertà a chi soffre per tante schiavitù, salute a chi è malato nel corpo o nello spirito. Egli proclama la “beatitudine” di stare dalla parte di Dio e dei perseguitati, degli afflitti, dei poveri, dei piccoli, che non hanno altro appoggio che lui. Questo, ancora, è il vino nuovo.
Questo è pure il messaggio di speranza e gioia che il missionario e ogni evangelizzatore deve portare. Ma prima deve viverlo lui, come raccomanda Paolo VI: «Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell’angoscia ora nella speranza, ricevere la buona novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del vangelo la cui vita irradi fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia di Cristo, e accettino di mettere in gioco la propria vita affinché il regno sia annunciato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo» (EN 80). Attraverso il suo annuncio testimoniato dalla vita lo Spirito Santo fa breccia nel cuore di chi ascolta, lo rende disponibile all’accoglienza e nascono o si moltiplicano le comunità cristiane. Anche lui, allora, può dire a esse: «la mia lettera siete voi».
Os 2, 14-15.19-20
Salmo 102
2Cor 3, 1-6
Mc 2, 18-22