III Domenica di Pasqua - B

Pubblicato in Domenica Missionaria
È nata la domenica!

La Liturgia della terza domenica di Pasqua ci fa risentire ancora una volta il racconto dell’apparizione di Gesù, come viene narrato da Luca. Quell’incontro con il Risorto è stato di fondamentale importanza per gli Apostoli: la loro mente si aprì “all’intelligenza delle scritture” e il loro cuore passò, poco a poco, dall’incredulità alla certezza: Cristo Gesù è veramente risorto!

Gli apostoli capirono che da quel momento in avanti non potevano più fare a meno di quell’incontro. E così nacque la “domenica”, il giorno settimanale del Signore che ha la “cena” come centro.

È bella la descrizione che di essa fa S. Girolamo in una delle sue omelie pasquali: «Il giorno del Signore, il giorno della Risurrezione, il giorno dei cristiani, è il nostro giorno. È chiamato giorno del Signore proprio per questo: perché in esso il Signore è salito vittorioso presso il Padre. I pagani lo chiamano giorno del sole: ebbene, anche noi lo chiamiamo volentieri in questo modo: oggi infatti è sorta la luce del mondo, oggi è apparso il sole di giustizia i cui raggi ci portano la salvezza».

L’evangelista Luca, illustrando nei dettagli ciò che avvenne in quel giorno a Gerusalemme, quando apparve agli Apostoli, ci conduce per mano a riscoprire gli elementi fondamentali di ogni nostra domenica, sì da renderla veramente “Giorno del Signore”.

“Mentre essi parlavano di queste cose Gesù apparve in mezzo a loro”

Gli apostoli sono riuniti in Gerusalemme: avviliti per la morte di Gesù, incerti sulla sua risurrezione, dubbiosi circa il racconto dei due pellegrini di Emmaus. Sono però uniti nel suo ricordo. In quel momento Gesù appare loro: augura pace, li rincuora, mostra loro mani e piedi, vuole che lo tocchino, consuma la cena con loro.

L’esperienza domenicale del cristiano ha lo scopo di rinnovare l’incontro che gli apostoli hanno avuto il giorno di Pasqua, quando Gesù appare e resta in mezzo a loro. La domenica riunisce il popolo cristiano nella fraternità e nel nome di Gesù. Senza questi due elementi, la “cena settimanale” del cristiano corre il rischio di ridursi a un veloce disbrigo di un impegno o alla fredda obbedienza ad una norma che non produce alcun effetto positivo.

Non deve avvenire che alla Messa ci si trovi quasi per caso, gli uni vicini agli altri senza alcuna espressione di comunione e di fraternità, quasi che la presenza altrui non avesse per noi alcun significato. Tocca a noi rendere concreta la norma data da Gesù stesso che “dove due o più sono riuniti nel suo nome, Lui è presente fra loro”.

Chi riunisce attorno alla tavola del “banchetto” è proprio Gesù: mostra le mani e i piedi e ci dice che quanto noi celebriamo è in continuazione con il mistero della sua morte e risurrezione. Ripete: “toccatemi e guardate”, non in maniera fisica ma spirituale, con il gusto interiore, con la pace del cuore e con la gioia che sprigiona dall’incontro con Lui.

“Avete qui qualcosa da mangiare?”

È caratteristico di Luca presentarci Gesù in cammino, oppure seduto a tavola. In questo episodio il Maestro mangia con i suoi e allude in maniera chiara al sacramento dell’Eucaristia che lascia ai suoi e alla Chiesa come “cibo di vita” e “pane dei viandanti”.

Gesù nutre i suoi, oltre che con il pesce, “aprendo loro la mente all’intelligenza delle Scritture” (24, 45). Gesù risorto compie il miracolo che non gli era riuscito in vita: illuminare i discepoli. Viene tolta quella maledizione, di cui leggiamo in Isaia: «Per voi ogni visione sarà come le parole di un libro sigillato: si dà a uno che sappia leggere, dicendogli: ‘Leggilo’, ma quegli risponde: ‘Non posso perché è sigillato’. Oppure si dà il libro a uno che non sa leggere, dicendogli: ‘Leggilo’, ma quegli risponde: ‘non so leggere’» (Is 29, 11s).

Non ci può essere vera Eucaristia senza una partecipazione attiva dei commensali: sedersi a tavola, mangiare, ascoltare, condividere e donare. Con Gesù innanzitutto e poi con gli altri. Qui la Chiesa si nutre, si rafforza e riprende il coraggio per predicare “a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati” (24, 47).

“Di questo voi siete testimoni”

Testimone è colui che si identifica con l’annuncio che fa. Testimone significa infatti uno che ricorda. L’inviato, il discepolo, è uno che ricorda il Maestro: lo tiene costantemente davanti ai suoi occhi e nel proprio cuore, lo vive nella quotidianità della sua vita, gli è fedele fino alla morte. Questo significa oggi essere missionari-testimoni: camminare come Gesù ha camminato, fare ciò che lui ha fatto e proclamare la sua parola (cf. At 1, 1).

A trent’anni di distanza mantengono tutta la loro attualità le parole di Paolo VI rivolte agli evangelizzatori affinché mirino innanzitutto ad essere “testimoni”:

«Consideriamo ora la persona stessa degli evangelizzatori. Si ripete spesso, oggi, che il nostro secolo ha sete di autenticità. Soprattutto a proposito dei giovani, si afferma che hanno orrore del fittizio, del falso, e ricercano sopra ogni cosa la verità e la trasparenza.
Questi «segni dei tempi» dovrebbero trovarci all'erta. Tacitamente o con alte grida, ma sempre con forza, ci domandano: Credete veramente a quello che annunziate? Vivete quello che credete? Predicate veramente quello che vivete? La testimonianza della vita è divenuta più che mai una condizione essenziale per l'efficacia profonda della predicazione. Per questo motivo, eccoci responsabili, fino ad un certo punto, della riuscita del Vangelo che proclamiamo.
[…] Il mondo, che nonostante innumerevoli segni di rifiuto di Dio, paradossalmente lo cerca attraverso vie inaspettate e ne sente dolorosamente il bisogno, reclama evangelizzatori che gli parlino di un Dio, che essi conoscano e che sia a loro familiare, come se vedessero l'Invisibile . Il mondo esige e si aspetta da noi semplicità di vita, spirito di preghiera, carità verso tutti e specialmente verso i piccoli e i poveri, ubbidienza e umiltà, distacco da noi stessi e rinuncia. Senza questo contrassegno di santità, la nostra parola difficilmente si aprirà la strada nel cuore dell'uomo del nostro tempo, ma rischia di essere vana e infeconda»
(Ev. nunt. 76).
Atti 3,13-15.17-19
1 Gv 2, 1-5
Lc 24, 35- 48

P.T.
Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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