V Domenica di Pasqua - B

Pubblicato in Domenica Missionaria
“Io sono la vite, voi i tralci” (Gv 15,5)

Il brano evangelico di questa domenica ci invita a riflettere sul nostro impegno alla sequela di Cristo. Liberato dai propri peccati grazie alla parola sacramentale, innestato su Cristo e accolto dalla comunità cristiana mediante il battesimo, il cristiano è ora impegnato ad agire da “creatura nuova” e “portare molto frutto”. Attraverso il brano evangelico di Giovanni, la liturgia ci insegna il cammino che dobbiamo percorrere per realizzare il programma pasquale.

La vite e i tralci

È opportuno soffermarsi innanzitutto a riflettere sulla metafora della vite e dei tralci. Vite e tralci formano un’unica realtà, vivono della stessa vita, producono lo stesso frutto. D’inverno la vite è un tronco arido, informe, tortuoso, senza vita e forza. Ma giunta la primavera, le sue radici iniziano a succhiare la linfa dalla terra, il ceppo si risveglia e nel fusto e nei rami circola la vita, spuntano numerosi germogli, foglie e grappoli che, al calore del sole, aumentano sempre più di grossezza fino a riempire i loro acini di una polpa dolce e succosa. La vite è apprezzata per la sua fecondità, specialmente in Palestina. La fecondità infatti è il potere di trasmettere la vita e diffonderla intorno a sé in numerosi e vigorosi polloni.

Per comprendere appieno il simbolismo della vite e della vigna, è necessario riandare anche al contesto biblico. La vite è il frutto della terra promessa: dà il vino che allieta il cuore umano (Sal 104,15). Simboleggia la gioia, l’amore: quel di più che rende la vita umana più vivibile. Il frutto abbondante della vite evoca la benedizione dei tempi messianici. Il salmo 80 rilegge la storia del popolo d’Israele utilizzando la metafora della vigna. Supplica Dio ad avere pietà del popolo “sua vigna” che Egli con tanta cura e amore ha piantato, curato, fino a farla diventare florida e tale da riempire monti e pianure. Ma ora essa è abbandonata e devastata. “Ritorna, Dio dell’universo, guarda dall’alto del cielo, vedi quello che accade, salva questa tua vigna…”.

“Io sono la vera vite”

La preghiera del Salmo 80 viene esaudita in Gesù, la vera vite che porta frutto abbondante. La vite (Gesù) sostituisce la vigna (Israele). È un passaggio fondamentale nella storia della salvezza. La vigna d’Israele, scelta e curata da Dio con tanto amore, troppo sovente è diventata campo sterile e improduttivo. Ecco allora che il Figlio (la vite vera) si sostituisce alla vigna selvatica perché l’umanità intera possa trovare la via definitiva della salvezza. Nel Figlio tutti possiamo diventare figli dell’unico Padre e portare frutti di salvezza.

Gli uomini, come i tralci, formano una cosa sola con Cristo e ne ricevono la vita. Tutta la ricchezza d’amore che intercorre tra il Figlio e il Padre, diventa pure nostra perché Lui l’ha riversata nei nostri cuori. Da parte nostra, tutte le nostre opere d’amore, pur limitate, piccole o imperfette, diventano del Figlio e il Padre le gradisce. Dopo la Pasqua, il cristiano può trovare la via sicura per portare frutto: rimanere come il tralcio unito alla vite che è Cristo.

“Dimorate in me”

La vite è una pianta delicata e dipendente. Se non è coltivata non produce frutto ed è presto soffocata da altre piante. È fondamentale che viva in stretta dipendenza dal vignaiolo. Così anche il tralcio ha bisogno di cure: va legato, potato e trattato altrimenti cresce a dismisura e sviluppa solo foglie, tanto da servire a nulla.

Noi siamo i tralci. Un tralcio da solo non produce niente. Non basta neanche che sia semplicemente attaccato alla vite. Per produrre frutto deve succhiare energia, accettare di dipendere dalla vite. È importante anche la disponibilità a lasciarsi potare, cioè permettere che un Altro ci guidi secondo i suoi progetti e non procedere guidati semplicemente dai nostri sogni.

Tocca a noi corrispondervi e “rimanere” in Gesù: “Rimanete in me e io in voi”. Anzitutto con l’accoglienza della sua parola: “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato”. È una parola che ci giudica e purifica, che chiede conversione: “Ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto”. Perciò è una parola che va tradotta nella vita: “Chi osserva i suoi comandamenti - precisa oggi la seconda lettura - dimora in Dio ed egli in lui”. Si tratta dell’intimità nostra con Gesù.

Due maniere privilegiate di dimorare in Cristo:

1. Eucaristia
Essa è il modo più profondo e personale di dimorare ed essere in comunione con Gesù: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me, vivrà per me” (Gv 6, 56- 57). La pienezza di vita propria di Dio scorre fino a noi attraverso Cristo.

«La presenza, il calore, la luce del Dio con noi devono rimanere in noi e trasparire in tutta la nostra vita. Fare comune con Cristo ci aiuta a “vedere” i segni della divina presenza nel mondo e a “manifestarli” a quanti incontriamo» (Anno dell’Eucaristia, suggerimenti e proposte, 26).

2. Spirito Santo
“In questo conosciamo
– continua ancora la prima lettera di Giovanni – che dimora in noi: dallo Spirito che ci ha dato”. Quello Spirito Santo che è la vera forza e la legge nuova che garantisce la vita al discepolo di Gesù.

Difatti: “Senza di me non potete far nulla”, è la sentenza dura di Gesù oggi. “Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie. Chi non rimane in me, viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano”. Infecondità e fallimento sul piano terreno e su quello eterno!
At 9, 26-31
1 Gv 3 18-24
Gv 15, 1- 8 

P.T.
Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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