E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo e cadendo a terra udì una voce che gli diceva: “Saulo, Saulo perché mi perseguiti? Rispose “Chi sei o Signore? E la voce: “Io sono Gesú che tu perseguiti!” (At. 9:3-5). Di nuovo Gesú parlò loro: “Io sono la luce del mondo: chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv. 8:12). L’autore della seconda lettura di oggi sembra confermare la fede del popolo di Israele in questa luce: “E cosi abbiamo conferma migliore della parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione, come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori” (2 Pt. 1:19). Come non possiamo vedere qui la presenza di Dio in questa luce che lui ha creato proprio per manifestarsi all’umanità? É una maniera di rivelarsi e di rendere presente se stesso attirando la nostra attenzione, nel saper cogliere il suo modo di manifestarsi e di operare.
Leggiamo nella prima lettura della Liturgia odierna la presenza del Vegliardo, un vecchio carico di anni, il nome non é menzionato e gli anni non si possono contare perché è eterno, avvolto da vampe di fuoco e dalla luce. “Un vegliardo si assise. La sua vesta candida come la neve… Il suo trono era come vampe di fuoco con ruote come fuoco ardente. Ecco apparire sulle nubi del cielo, uno simile al figlio dell’uomo”. Quello che meraviglia e che stupisce è l’uguaglianza tra il vegliardo e quello che ha le parvenze umane, la loro origine è la stessa, viene dal Cielo, a lui il Vegliardo consegna il “Potere”. Tutti e due nella misteriosa apparizione del profeta sono presentati della stessa natura e chi li accomuna è la luce è la provenienza.
É dunque chiaro che il Messia alla sua venuta non può altro che manifestarsi con quei segni di cui il popolo d’Israele sapeva riconoscere la presenza di Dio. Gesú dunque così si presenta davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni, quegli stessi che erano con lui nel Giardino degli Olivi, alla vigilia della sua passione. “Si trasfigurò davanti a loro le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbero renderle cosi bianche” (Mc. 9:2-3). Qui siamo perfettamente nella linea biblica del presentare Dio nella sua identità. Dovrebbe essere stato chiaro agli Apostoli presenti, la vera identità di Cristo. Tutta l’atmosfera é di natura divina al punto che Pietro nella sua spontaneità subito dice: “Maestro è bello per noi stare qui; facciamo tre tende una per te una per Mosé e una per Elia!” (Mc. 9:5). Non sappiamo quando bello fosse stato realmente, per loro tre, durante la notte. Ecco l’osservazione di Marco: “Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento” (Mc. 9:6), non tanto per le tende, ma perché si trovavano davanti a quello che noi chiamiamo visione beatifica.
Tutto un altro mondo. Così Paolo presenta alla comunità di Corinto, lo stato di quello che saremo nella suddetta visione. Si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale. il primo uomo Adamo divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal cielo (1Cor. 15:43-45.47). Non fa quindi meraviglia che la Chiesa desideri che questa celebrazione si commemori due volte in un anno (oggi, e la 2ª Domenica di Quaresima), per la grande importanza che ha nella nostra vita Cristiana, le conseguenze meravigliose che ne vengono, collegate non solo alle grandi azioni di Cristo, ma alla nostra vita che viene trasformata in quella divina, partecipando al grande mistero della Redenzione, che Cristo ha attuato Incarnandosi.
Nella nostra società di oggi abbiamo perduto l’orizzonte che ci orientava alla vera sorgente del bene. Non possiamo ignorare che in questa società ci sia una ricerca frenetica di godere la vita in un modo ingiustificato, si vorrebbero cancellare parole come “morte”, “malattia”, “sofferenza”, inerenti alla nostra natura umana, sembrano parole fuori dall’ordine e dal contesto. La scienza poi ha dato il via a una certa idolatria del corpo, con plastiche estetiche, clonazioni, ecc. Per cui si cerca in tutte le maniere di allungare la vita da persone illuse, per essere in un certo qual modo una specie di rabberciamento alla vita immortale che non può esistere nella nostra condizione di viandanti.
Questa immortalità non esiste! Cristo nella sua Trasfigurazione ci indica un’altra strada che certamente non può fallire. Lui, si è fatto uomo per indicarci la via al Padre. Seppure nella Gloria del Tabor, il dialogo con Mosé ed Elia era sulla sua Passione e la sua morte. Lui ha voluto prendere la nostra natura per indicarci che tutto ha valore nel mondo anche le cose che a volte sono difficili da accettate e capite, come le malattie e la morte, lui stesso volendo morire, con la sua resurrezione, ci ha dato la soluzione per accettarci nelle nostre infermità.
Ci pone in un nuovo ordine trascendente non più vincolato dal tempo e dalla spazio, immerso in un certo qual modo nell’eternità. “Ecco la dimora di Dio con gli uomini; e dimorerà con essi ed essi saranno i sui popoli, e Dio stesso sarà con essi e tergerà ogni lacrima dai loro occhi, e la morte non sarà più, né lutto, né grido, né dolore saranno più; perché le cose di prima passeranno” (Ap .21:3-4). Una visione del genere non mostra nessuna forzatura, ci aiuta a prenderci così come siamo, a capirci e ad amarci in senso vero e universale, pensando che in fondo qualunque cosa facciamo o sopportiamo avrà la sua ricompensa in lui che è giustizia e bontà infinita.
La nostra Gloria dipende anche dalla nostra libertà e dal nostro vivere. È chiaro che la fede ci deve guidare, così come ha guidato gli Apostoli, nell’ascoltare la parola di Dio, là sul monte del Figlio suo trasfigurato: “Questo é il mio Figlio diletto: ascoltatelo” (Mc. 9:8). Qui “ascoltarlo” vuol dire seguire lui che é la “Luce”, vuol dire non sentire solo cosa dice, ma soprattutto vedere il suo esempio e seguirlo, non abbandonarlo.
Crediamo che questa riflessione di Pascal sia quanto mai opportuna: “Gesù non ha fatto altro che insegnare agli uomini che amavano se stessi, che erano schiavi, ciechi e malati infelici e peccatori che era necessario che li liberasse, che li illuminasse, beatificasse e guarisse; ciò era possibile seguendo lui. Perché in lui e tutta la nostra virtù e felicità. Fuori di lui non ci sono che tenebre e morte” (Cap.VII,n.345-346).