Il Vangelo di oggi ci ricorda varie cose:
- il mandato missionario di Gesú agli Apostoli;
- il dono dello Spirito;
- il regalo del perdono che Dio offre a tutti, attraverso i suoi inviati (affinché non ci siano dubbi sulla realtá del perdono ottenuto).
Nell’inviare i suoi apostoli, Gesú ha un fine ben preciso: essi devono ripetere quello che Lui ha fatto: “lo Spirito del Signore é su di me, mi ha unto affinché annunci la Buona Notizia ai poveri…. (cfr. Lc 4,18 ss).
É la storia della salvezza che si va estendendo al mondo intero e che va realizzando il piano di Dio attraverso tutti coloro che sono e saranno inviati nel suo nome. Tutto sembra semplice e facile, tuttavia, ci sono alcuni ostacoli “naturali” da superare.
Anzitutto, la fede non é questione di “toccare e vedere”: Felici coloro che credono senza aver visto. Abituati, come siamo, al valore dell’esperienza, resulta spesso difficile annunciare il messaggio di Cristo e che questo venga accettato. La prima lettura dice che gli Apostoli facevano molti miracoli, ma nessuno osava unirsi a loro. D’altra parte, dice la stessa lettura: aumentava sempre di più il numero di coloro che credevano nel Signore…Sarà una contraddizione o i miracoli sono più forti della paura? Quante volte succede a tutti di essere un po' indifferenti alle cose di Dio e della fede, eppure, se ci capita qualcosa di grosso, ci ricordiamo subito del Signore, visitiamo i santuari (specialmente mariani), facciamo promesse… Allora, anche a noi é diretta la frase di Gesú a Tommaso: felici coloro che credono senza aver visto…
Eppure, anche se la fede é per le cose “che non si vedono”, tutti abbiamo bisogno di vedere dei segni. Come missionari che siamo tutti i battezzati, abbiamo il compito di mostrare e scrivere questi segni, affinché altri “credano in Gesú il Messia e credendo abbiano vita nel suo nome”.
Si tratta dell’impegno della testimonianza. Mi pare che questo breve testo del Card. Bergoglio ci possa aiutare in questa meditazione. La chiesa, dice lui, (i cristiani) non deve chiudersi in se stessa, ma uscire “…sulle strade. A chi sta sulla strada, possono succede tante cose. Ti puó investire una machina. Tuttavia preferisco una chiesa malconcia a una chiesa ammalata. É chiaro? Se vanno per le strade e ritornano feriti o graffiati, malmessi o con delle storte ai piedi, qualsiasi ferita, se prodotta per annunciare Cristo o per lavorare nel suo nome, questo é sano (va bene). Invece, le malattie che si vanno formando dentro della chiesa (per essere rinchiusi, paurosi, ritirati) sono quelle che il demonio vuole che abbiamo…. Allora, come va la mia generositá missionaria? “Ah, Padre, fenomenale, sempre metto la mia offerta nella cassetta per le missioni. Raccolgo francobolli per i neretti”.. É qualcosa, ma… é generositá missionaria? Ho imparato ad uscire da me stesso o no? Esci dalla tua terra, perché all’uscire dai un senso alla tua terra. All’uscire dalla tua comunitá parrocchiale, per fare un passo piú in lá con generositá, dai valore ecclesiale alla tua comunitá parrocchiale. Gli dai sapore, gli dai vita”.
Quando Gesú é apparso ai suoi discepoli non gli ha permesso di godersi il Signore risorto, di sedersi e fargli compagnia, chiacchierare del passato, dell’esperienza vissuta, del “meno male che sei vivo di nuovo, altrimenti cosa sarebbe successo a noi, richiusi in casa per paura”, ma subito, dopo un breve saluto, li ha mandati a lavorare nella sua vigna. “Come il Padre mi ha mandato, cosí io mando voi”. Forse speravano che Gesù ritornasse sulle strade della Palestina per continuare la sua predicazione e fare miracoli, ed essi (gli apostoli) sarebbero diventati persone importanti, amici-discepoli di colui che aveva vinto la morte.
Invece Gesú non si ferma. Continua a camminare, insegnare, fare miracoli, ma attraverso i suoi inviati. Sarà questa loro testimonianza che fará il miracolo e aiuterà a superare la paura di “unirsi agli apostoli”, alla chiesa, ai gruppi ecclesiali, alla comunità parrocchiale, a coloro che testimoniano la risurrezione con le opere di carità, d’amore. Saranno questi i miracoli che sveglieranno e susciteranno l’interesse per la fede.
Questo, mi pare , sia anche il senso dell’invito del Vaticano II a tutti i cristiani “che sono chiamati da Dio, affinché, realizzando la propria professione con spirito evangelico, contribuiscano alla santificazione del mondo, dal suo interno, come un fermento”.
Quante volte, dovremo ripetere, come Tommaso, “Signore mio e Dio mio” senza vedere, né capire. In quel momento, allora, si realizzerá la promessa di Gesú: “Felici coloro che credono…”. “Non temere, ricorda l’Apocalisse, io sono il primo e l’ultimo, il Vivente. Ero morto ma ora vivo per sempre e possiedo la chiave della morte e dell’abisso”.
Celebrazione quella di oggi, di ringraziamento per i doni che abbiamo ricevuti (essere missionari, dono dello Spirito, il perdono). {e che si riflettono, in molte comunità, nei nuovi battezzati di cui la comunità si é arricchita in questo tempo di Pasqua}.
Chiediamo a Maria, che ci aiuti a fare nostra la preghiera dell’inizio: “aumenta in noi la tua grazia perché possiamo compredere sempre meglio la sublimitá del battesimo che ci purifica, del potere (dello Spirito) che ci fa rinascere e del sangue (la passione e morte) che ci salva”.
At 5, 12-16;
Sal 117;
Ap 1, 9-11.12-13.17.19;
Gv 20, 19-31